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David Ben Gurion (5)
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I Primi Anni Dello Stato D’Israele

Israele siede all’Onu (1949)

Appena un anno dopo la sua nascita Israele era già una Nazione a tutti gli effetti. Il 14 maggio 1949 Ben Gurion annunciò che da 4 giorni i rappresentanti d’Israele sedevano ufficialmente alle Nazioni Unite. 

L’internazionalizzazione di Gerusalemme

Tuttavia una delle condizioni imposte a Israele per essere ammesso nell’Onu era l’internazionalizzazione di Gerusalemme. Israele, allora, dette garanzia formale e scritta che non si sarebbe opposto allo statuto internazionale della Città Santa di Gerusalemme (come stabilito dall’Ordinanza dell’Assemblea generale dell’Onu del 13 aprile 1949). Solo a questa condizione lo Stato d’Israele fu ammesso nell’Organizzazione internazionale, ma oggi (dicembre 2017), con l’aiuto del Presidente statunitense Donald Trump, Israele vìola esplicitamente il patto siglato nel 1949. 

Ben Gurion contro l’internazionalizzazione

D’altronde già lo stesso Ben Gurion, il 6 novembre 1949, in un’intervista rilasciata al New York Times, all’Herald Tribune e all’Observer contraddisse le promesse fatte dai delegati israeliani all’Onu, dichiarando: “Israele non rinuncerà ai suoi diritti sul Neghev, se non sarà costretto con la forza e non accetterà che si stabilisca un regime internazionale a Gerusalemme” (Nuccio Francesco Madera, Ben Gurion, Milano, Mondadori, 1972, p. 107). 

Insofferenza d’Israele verso l’Onu

Lo Stato d’Israele sin dall’inizio della sua esistenza si dimostrò insofferente ad ogni intervento dell’Onu nei suoi riguardi, come il sionismo negli anni Trenta/Quaranta era stato insofferente verso la GB, sebbene inizialmente essa avesse aiutato i sionisti in tutti i modi per la futura nascita dello Stato ebraico.

La Risoluzione n. 181 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947 stabili: “La città di Gerusalemme sarà costituita come un corpus separatum sotto uno speciale regime internazionale e verrà amministrata dalle Nazioni Unite”.

Pio XII fu pienamente d’accordo con la Risoluzione 181 dell’Onu. Egli nell’Enciclica In Multiplicibus del 24 ottobre 1948 si espresse favorevolmente all’instaurazione di un regime internazionale per Gerusalemme e dintorni e nell’Enciclica Redemptoris nostri del 15 aprile 1949 scrisse: “Nelle attuali circostanze il regime internazionale sembra il più adatto per la tutela dei venerandi monumenti della vita e della morte del Divin Redentore”.

Ben Gurion sfida l’Onu

Il 7 dicembre 1949 l’Assemblea generale dell’Onu votò una risoluzione secondo cui Gerusalemme doveva esser sottoposta al suo controllo. Invece il 13 dicembre Ben Gurion decise, anche contro il parere del Ministro egli Esteri israeliano, di trasferire la capitale del nuovo Stato da Tel Aviv a Gerusalemme. Il suo fu un gesto di sfida verso l’Onu e tutta la sua politica estera fu sempre improntata a questa spregiudicatezza, destreggiandosi - da una parte - per non urtare troppo le potenze occidentali onde non perdere i loro aiuti economici, cercando sempre però - dall’altra parte - di mantenere la superiorità bellica ed economica sui Palestinesi.

Nel febbraio del 1948 un esperto americano di politica mediorientale scrisse: “Senza il flusso ininterrotto di denaro e di appoggio politico da parte degli Ebrei residenti in Usa, la Nuova Giudea rischia la distruzione” (R. W. Van Alstyne, “Current History”, febbraio 1948). In cambio di questi aiuti economici, nel 1950, Ben Gurion dovette sostenere gli Usa nella guerra in Corea. Un economista ebreo (Eli Lobel) definì la politica di Ben Gurion come “servilismo verso l’imperialismo occidentale” (cfr. Nuccio Francesco Madera, Ben Gurion, Milano, Mondadori, 1972, p. 109). 

Israele tra Urss e Usa durante la “Guerra fredda”

Il mondo si trovava allora in piena “guerra fredda”. Ben Gurion inizialmente si mantenne neutro tra Usa e Urss, ma capì ben presto che la sua posizione era irrealistica. Infatti sebbene l’Urss avesse riconosciuto sin dall’inizio la nascita dello Stato d’Israele, tuttavia non permise agli Ebrei/russi di lasciare l’Unione sovietica e non volle rinunciare a perdere ogni influenza sui Paesi arabi.

Invece dall’occidente filoatlantico e totalmente filosionista - a partire dal 15 maggio 1948 sino al 31 dicembre 1951 - oltre 650 mila immigranti entrarono in Israele. La popolazione ebraica raddoppiò in pochi anni grazie all’appoggio statunitense e raggiunse quella palestinese. 

La “Legge del ritorno” (1950) e i risarcimenti tedeschi

Ben Gurion il 5 luglio 1950 promulgò la “Legge del ritorno”, secondo cui ogni ebreo aveva il diritto di stabilirsi in Palestina. Tuttavia col crescere della popolazione ebraica in Terra Santa aumentarono le spese per lo Stato d’Israele, che così andò in deficit. Allora Ben Gurion corse alla ricerca di capitali ovunque fosse possibile. Egli il 12 marzo 1951, tramite il Ministro degli Esteri Sharett, presentò una Nota diplomatica alle 4 Potenze occupanti la Germania in cui chiedeva allo Stato tedesco, a titolo di riparazione per gli eccidi nazisti, 1 miliardo e mezzo di dollari ed inoltre il 7 gennaio 1952 arrivò a proporre alla Knesset (la Camera dei deputati d’Israele) di accettare le riparazioni tedesche per gli eccidi nazisti compiuti contro gli Ebrei europei, mettendosi contro l’estrema destra israeliana (capeggiata da Menachem Begin), che si stracciò le vesti per una tale proposta giudicata, forse farisaicamente, “blasfema”. Ma Ben Gurion guardò al “solido” e continuò per la sua strada, anzi fece domare, con estrema severità, dall’Esercito i tumulti organizzati dall’estrema-destra attorno al Parlamento israeliano. Così assicurò a Israele un guadagno annuo di circa 80 milioni di dollari per 10 anni da parte della Germania di Adenauer, che dichiarò la sua disponibilità e quella del suo governo al risarcimento sin dal 27 settembre 1951.

Nel 1952 morì il Presidente d’Israele Chaim Weizmann e venne rimpiazzato da Yitzak Ben Zvi, un vecchio amico di Ben Gurion, che venne rieletto per 2 volte, conservando la Presidenza d’Israele sino all’aprile del 1963.

Ben Gurion moderato?

Comunemente si presenta Ben Gurion come un “moderato” per rapporto agli estremisti dell’Irgun di Menachem Begin, tuttavia non bisogna dimenticare che egli fu spietato sia nel reprimere i dissidenti ebrei di estrema-destra, sia nella lotta contro la GB e soprattutto nella guerra contro i Palestinesi. Infatti già nel 1948, al nascere dello Stato ebraico in Palestina, disse: “Dobbiamo fare di tutto perché non tornino mai!”, riferendosi ai circa 650 mila Palestinesi fuggiti dalla Terra Santa e rifugiatisi all’estero in séguito agli eccidi ebraici. In questo caso Ben Gurion fu assai intransigente e si scontrò, ad intra, con il suo Ministro degli Esteri Sharett, che pur essendo laburista come lui, era moderatamente favorevole ad una soluzione negoziata del problema dei profughi Palestinesi[1], essendo pronto ad accettare una Risoluzione dell’Onu che imponeva a Israele di accettare il rimpatrio dei profughi, di cui Sharett ne avrebbe ammessi soltanto 100 mila. Ben Gurion non ne volle sapere, l’opinione pubblica israeliana si schierò con David e Sharett dovette cedere.

Anche in questo Ben Gurion dimostrò di non aver fiducia nell’Onu. Infatti per lui, contrariamente alle Risoluzioni delle Nazioni Unite, “ogni palestinese di ritorno sottrarrebbe un po’ di spazio all’immigrazione ebraica” (Nuccio Francesco Madera, Ben Gurion, Milano, Mondadori, 1972, p. 118), che secondo lui avrebbe dovuto impadronirsi dell’intera Palestina estromettendone completamente i Palestinesi. Così David “non è disposto a transigere sui confini: neppure un centimetro di terra conquistata col sangue ebraico deve essere ceduta. Unica strada valida per imporre agli Arabi l’esistenza d’Israele è la rappresaglia; gli Stati confinanti sono responsabili di ogni infiltrazione in Israele commessa dai fedayn di Palestina e perciò devono subire la ritorsione” (ivi).

I profughi palestinesi

La legislazione israeliana toglieva ogni base legale alle rivendicazioni dei profughi palestinesi. Infatti Israele poteva, in base alle sue leggi, circondare le zone abbandonate ritenute strategiche con una “cintura militare” e impedirvi l’entrata di chiunque. Inoltre la “Legge sulle proprietà degli assenti”, promulgata nel 1950, decretò che i beni “abbandonati dai Palestinesi per un certo periodo sarebbero divenuti proprietà dello Stato d’Israele” (Sabri Geries a cura di, Gli arabi in Israele, Roma, Editori Riuniti, 1970; Walter Schwartz, The Arabs in Israel, Londra, 1959).

Le dimissioni di Ben Gurion (1953) e il suo ritorno al governo (1955)

Tuttavia tale politica estremamente aggressiva correva il rischio di isolare i sionisti. In questo stato di cose Ben Gurion, per non scendere a compromessi ed anche per non isolare Israele, si dimise da Primo Ministro il 7 dicembre del 1953, lasciando il posto al moderato Moshe Sharett e quello della Difesa al suo delfino e “falco” Pinhas Lavon, ritirandosi nella sua tenuta nel Neghev. Dopo oltre un anno (il 21 febbraio 1955) egli riprese il Ministero della Difesa anche per l’insistenza del Ministro del Lavoro Golda Meir.  La politica moderata o prudente di Sharett venne sepolta da Ben Gurion in pochi giorni.

Riprendono le rappresaglie contro i Palestinesi

Infatti non appena Ben Gurion prese possesso del Ministero della Difesa, Israele tornò all’intransigenza iniziale. In contrapposizione alla politica distensiva e diplomatica di Sharett, Ben Gurion riorganizzò immediatamente la rappresaglia contro i Palestinesi e i Paesi arabi che avevano accolto i profughi della Palestina. Fu così che l’Esercito Israeliano fu lanciato in una serie d’incursioni militari specialmente in Egitto (cfr. New York Times, 2 marzo 1955). Questa tattica militarmente aggressiva venne battezzata da Ben Gurion “Difesa attiva” ed era destinata a diventare una “guerra preventiva” (cfr. R. Stephens, Nasser, a political biography, Allen Lane, The Penguin Press, 1971). Nonostante le condanne dell’Onu di queste rappresaglie e gli appelli a maggior prudenza da parte degli Usa Ben Gurion (Israele: la grande sfida, cit.) continuò a sostenere la liceità di queste operazioni di ritorsione perché, secondo lui, azioni di legittima difesa anche se preventiva.

Pure il Presidente statunitense Truman, in una nota diplomatica del 29 maggio 1949, manifestò a Ben Gurion il suo disappunto per il rifiuto d’Israele di far concessioni sul problema dei rifugiati, ma Ben Gurion non demorse dal suo pensiero e, pur dimettendosi per non nuocere allo Stato ebraico, continuò a sostenere che i Palestinesi rifugiati “sono bande di predoni addestrati per commettere atti di terrorismo e di sabotaggio” (D. Ben Gurion, Israele: la grande sfida, Milano, Mondadori, 1967).

Secondo Maxime Rodinson Ben Gurion fu costretto alle dimissioni perché faceva troppi “colpi di testa”, mettendo in difficoltà la diplomazia israeliana e lo stesso Stato d’Israele. Per esempio Ben Gurion ordinò ad un contingente dell’Esercito Israeliano di attaccare il villaggio giordano di Kibya la notte tra il 14 e il 15 ottobre del 1953, distruggendo 40 abitazioni, uccidendo 53 abitanti (uomini, donne, vecchi e bambini) e ferendone 15 (M. Rodinson, Israele e il rifiuto arabo, Torino, Einaudi, 1969).

d. Curzio Nitoglia  

Fine Quinta Parte

(Continua)



1] I beni mobili e immobili abbandonati dai Palestinesi dopo la guerra del 1948 sarebbero valutabili nella cifra che oscilla tra i 120 e i 2400 milioni di sterline (cfr. Peretz, Israel and Palestine Arabs, 1958).


 
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