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“Emmanuel”: Dio con noi
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Impara, o cristiano, da Cristo come Cristo si debba amare

È San Bernardo che ne parla, uomo di intelligenza superiore nelle cose celesti, e credo non vi sia argomento più prossimo al periodo dell’anno che stiamo vivendo.

L’amare Cristo è una di quelle cose sulle quali l’anima di chi ha cominciato a camminare alla luce del Vangelo si interroga più frequentemente (o perlomeno dovrebbe). Anzi, è la domanda più importante ed intima che l’uomo è in grado di porsi, poiché l’uomo è spirito e materia; un’anima vivente in un corpo animato. La profonda vocazione insita nella nostra ragione è inevitabilmente quella di tendere verso la Verità e la perfezione eterna in Dio.

Durante i miei confusi esami di coscienza mi sono spesso interrogato, e quasi sempre furtivamente, su tale punto (amo Cristo?), non volendoci pensare dopotutto che di sfuggita, perché solo così, di sfuggita, mi sembrava possibile rispondermi. Di fronte alle affermazioni sicure di chi si proclama innamorato di Dio, personalmente mi sono sempre sentito un po’ smarrito, confuso, dubbioso di me e della mia fede, la quale è pur sempre debole ed ancora immatura.

Come si ama difatti Dio? Lo si ama nelle opere di carità? Anche e certamente. Forse nei sacrifici quotidiani? Sicuramente. Ma sono certo, io, di amare Cristo fino in fondo? E se lo credo, o credo di intuirlo scandagliando la mia vita e la mia devozione, che genere di amore è il mio? È mosso da desideri terreni? Forse da paure umane, o è un amore dopotutto disinteressato, ma pur sempre un po’ troppo carnale?

Sono domande che oggi andrebbero correttamente riproposte, perché l’insegnamento della ‘pastorale aggiornata’ tende sempre più a confondere le anime e le menti, e spesso lo fa basandosi su ragionamenti ingannevoli. Fede ed intelligenza sono due questioni notevolmente interconnesse, e difficilmente potrà esserci una senza l’altra. La prima senza la seconda sarà sempre fragile e preda di sentimenti passeggeri ed instabili; la seconda senza la prima sarà sempre inutile e sterile egoismo.

Amare Dio dunque, e con tutte le facoltà del mio essere — ovvero senza abbandonarmi a pericolosi voli ed imprudenze, o stravaganti soggettivismi (sempre incomunicabili). Come riuscirci?

Ci può aiutare San Bernardo a risolvere tali quesiti dell’anima, perché nell’intelligenza del suo spirito riuscì a costruire un’architettura perfetta, la quale si fondò su tale assunto: Dio è sapienza e vuole essere amato non solo dolcemente, ma anche saggiamente. Difatti — dice il santo abate — lo scaltro nemico delle anime non ha mezzi più efficaci per distruggere l’amore in un cuore che di farlo camminare in esso per vie imprudenti e irragionevoli.

Oggi le vie imprudenti sono così numerose che si fa fatica a riconoscerle e a separarle dalla ‘retta via’. L’amore e la carità quasi forzosamente tentano di effondersi, ma si ritrovano ad operare in ambiti sempre più pericolosi, dove la luce scarseggia a tal punto che l’uomo moderno difficilmente potrà riuscire nuovamente ad alimentarla o a condurre olio sufficiente per accenderla, poiché oggi, tale olio, è già manchevole in ognuno di noi, figuriamoci se è bastevole per illuminare le ‘periferie del mondo’. Non si può dare ciò che non si ha insegna san Bernardo. È una questione di buon senso. L’amore su tali terreni sdrucciolevoli si sparge ma perdendosi, come un canale senza argini, il quale riceve ma, al tempo stesso, versa tutto quello che ha ricevuto. Oggi nella Chiesa abbiamo molti di questi ‘canali’ e ben poche ‘conche’, le quali, invece, poggiando su un terreno saldo, aspettano di essere ricolme prima di traboccare, e così possono comunicare senza loro danno solamente ciò che sovrabbonda.

Oggi si pretende di amare l’uomo prima di Dio, o si teorizza l’amore per l’uomo come canale per giungere ad un presunto amore per Dio. Bernardo insegna invece che solo quando si detiene il in pienezza quello per Dio si può riversare ciò che sovrabbonda sugli altri; per tale motivo la carità non cerca i propri interessi, ovvero non cerca il suo e non domanda nulla per sé, semplicemente perché nulla le manca. Chi cerca difatti quello che già possiede in abbondanza? Invece, voler invertire i due termini del discorso ci conduce inevitabilmente alla rovina, perché ci fa mancare anzitutto verso noi stessi, e, di conseguenza, verso gli altri. Qui, mi sembra, risiede il centro del problema.

Per prima cosa, dunque, si dovrebbe cercare di amare Dio (ed un Papa dovrebbe semplicemente tornare ad insegnare ai fedeli come poterci riuscire); solo successivamente, forti di questo amore (il quale è un canale di donazione perfetta), riusciremmo certamente ad amare anche l’uomo nostro prossimo, come Nostro Signore stesso ci comanda di fare in seconda istanza (Matt., cap XXII).

1° grado: Amore del cuore (o amore carnale)

Quale sia questo amore per Dio ci era già stato indicato con tre moniti della Legge, là dove il Signore ordinò: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, e con tutte le tue potenze (Deut., VI, 5). Un trittico a tal punto totalizzante da risultare quasi paralizzante: Amare Dio con tutto il cuore? Addirittura con tutta l’anima e con tutte le forze? Sembrerebbe impossibile per l’uomo innalzarsi a tali vette. Ma se non fu impossibile per i santi dell’Antico Testamento — i quali salvarono le loro anime grazie alla prescienza che Dio diede loro della futura espiazione di N.S. Gesù Cristo — dovrà essere a maggior ragione possibile per noi, che quel Salvatore possiamo adorarlo in carne ed ossa, e vederlo “faccia a faccia”.

Il Verbo si è fatto carne proprio a tale scopo — un motivo che San Bernardo, nei suoi Sermoni sulla Cantica, giunge a ritenere la causa principale della Sua venuta: ovvero per aiutarci, fin da questa vita, ad acquisire il primo grado di amore, che è quello carnale, visibile e materiale per la sua Persona; un amore di prossimità — quello del cuore — che è il primo e più facile da conquistare.

Ciò che dovrebbe attirare sopra tutte le cose l’affetto per Cristo, ciò che lo rende oggettivamente amabile ai nostri occhi è riflettere su quanto Egli abbia faticato per amore nostro, quel calice della redenzione umana che ha bevuto, che nel fabbricare il mondo intero non si è stancato così tanto. Nella creazione gli bastò dire e fu fatto: dare il comando e tutto si eseguì [Salmi, XXXII, 9] ma tra noi sostenne contraddizioni di parole, e opposizioni, e derisione nei tormenti, e nella morte recriminazioni d’ogni sorta. E questo suo amore non fu un amore di ricambio, ma per primo ce lo ha dato, come dice S. Giovanni evangelista: Non già perché noi avessimo amato Dio, dacché Egli pel primo ci amò [Giov., IV, 10]. Ci amò quando non esistevamo ancora, e ancora ci amò quando addirittura resistevamo con le nostre opere malvagie, secondo la testimonianza di S. Paolo, che dice: Perché, essendo ancora suoi nemici, fummo riconciliati a Dio per mezzo del sangue del Figlio suo [Rom., V, 10]. Altrimenti, se non avesse amato dei nemici, non poteva possedere degli amici, come non potrebbe amarci ora che esistiamo, se prima non ci avesse amato, quando non esistevamo.

Spiega Sant’Agostino nel Sermo 26 (de Verbo) che fu “il Grande dal piccolo, il Salvatore dal salvando, il Vivo dal morto. Venne, e accorciò le sue membra di giovane ben formato, annichilendo sé stesso per rivestire la forma di servo. Accorciò le sue membra di giovane formato e, divenuto piccolo, si commensurò con chi era piccolo, per rendere il nostro misero corpo conforme al suo corpo glorioso”.

Se non mi avesse teneramente amato — dice San Bernardo — quella divina maestà non mi avrebbe nemmeno visitato e cercato nel carcere; io non temo né violenza né frode alcuna, nessuno mi potrà strappare dalle mani di Colui che ha vinto la vittoriosa su tutti, la morte, e deluse il serpente, seduttore universale, con un’arte santa, mostrandosi di questi più abile, come di quella più forte.

È qui, nel mistero d’amore della sua Incarnazione che oggi festeggiamo, che ci si rivela l’aiutante divino. È noto che l’amore del cuore è in qualche modo carnale, perché porta il cuore dell’uomo più verso l’umanità di Cristo, e a ciò che Egli ha fatto e ordinato mentre viveva sulla terra. Ripieno di quest’amore, colui che versa nel primo grado è facilmente mosso da compunzione al sentire i discorsi e le gesta di questo Maestro. Nulla ascolta più volentieri, nulla legge con maggior avidità, nulla ripensa più frequentemente, nulla medita più soavemente. Da queste considerazioni trae il fuoco delle sue preghiere e s’impingua con le polpe del vitello ingrassato, dice San Bernardo. Pregando gli sta dinnanzi la sacra immagine dell’Uomo-Dio — o nascente, o allattato, o insegnante, o morente, o risorto, o mentre ascende in cielo; e qualunque cosa di simile gli si presenti, l’animo è spronato necessariamente all’amore delle virtù, o a combattere i vizi della carne, o a fuggire le sue tenebre, o a sedare le sue brame. E questa è la causa principale per cui l’invisibile Dio volle farsi vedere nella carne, e conversare Uomo con gli uomini, affinché gli affetti di coloro che, essendo sensibili, non potevano amare che sensibilmente, prima attirasse salutarmente alla sua umanità, per poi condurli gradatamente all’amore spirituale.

Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore.

Non stavano forse ancora sul primo gradino d’amore coloro che nel Vangelo dicevano: Ecco noi abbiamo abbandonato tutto, e ti siamo andati dietro? [Giov., XV, 13]. Per il solo amore della presenza corporea di Cristo, tutto avevano lasciato per seguirlo, al punto che non potevano neppur sentir parlare della sua futura passione e morte salutare e, neppure dopo, mirare la gloria del Maestro che ascendeva in cielo, senza grave tristezza [Matt., XIX, 27]. Il Signore ribadì il loro insufficiente amore con queste parole: Perché vi ho detto questo (morirò, risorgerò e andrò al Padre), la tristezza ha riempito il vostro cuore [Giov., XVI, 6]. Soltanto in grazia della sua presenza corporea avevano sospeso in essi l’attacco del cuore alle cose terrene.

È questo il grado di coloro che cominciano la vita spirituale, i quali riposano ritemprandosi all’ombra, non sentendosi abbastanza forti da sostenere l’ardore del sole, e si nutrono delle dolcezze sensibili, finché non valgano ancora a percepire le cose dello Spirito di Dio. L’ombra di Cristo è giustappunto la sua carne, per cui fu adombrata Maria [Luc., I, 35], affinché sotto di essa giungesse temperato il fervore e lo splendore dello Spirito Santo.

“Dunque — dice il santo abate Bernardo — si consoli con la devozione sensibile chi non ha ancora lo Spirito vivificante. Perché non altrimenti che per mezzo dello Spirito Santo si ama il Cristo anche sensibilmente, sebbene non nella sua pienezza”.

La misura tuttavia di questa devozione è che la sua soavità riempia tutto il cuore, e tutto lo preservi dalle attrattive dell’amore carnale. Ciò è amare con tutto il cuore. Ma questo è un amore incompleto, e pertanto, come tutte le cose insufficienti, può generare delle insidie.

“Difatti, spiega Bernardo, se io preferisco alla sacra umanità del Signore qualsiasi attacco ai miei piaceri — donde ne derivi che io osservo meno ciò che il Signore, vivendo in carne mortale, mi ha insegnato con le parole e con le opere —, non ne risulta chiaramente che io non l’amo con tutto il cuore, avendolo diviso, una parte sembrando dedicarla all’affetto sensibile del Signore, un’altra parte ripiegandola ad amare me stesso?”.

Un esempio ci farà capire quanto sopra. Non potendo i discepoli arrendersi a ciò che il Maestro, prossimo ad ascendere al cielo, aveva loro detto della sua dipartita, ne udirono queste parole: Se mi amerete, godrete senza dubbio, perché Io vado al Padre [Giov., XIV, 28]. San Bernardo si domanda: “Non amavano Colui della cui partenza si affliggevano?”. In un certo modo amavano e non amavano. Amavano dolcemente, ma poco saggiamente; amavano sensibilmente, non ragionevolmente; amavano sì con tutto il cuore, non con tutta l’anima. Il loro amore tornava contrario al loro bene spirituale, per questo Egli disse loro: Giova a voi che Io vada [Giov., XVI, 7], censurando il loro errore, certo non il loro amore. Quando poi, parlando della sua morte futura, redarguì severamente Pietro che teneramente l’amava, perché tentava di dissuaderlo, che cos’altro rimproverò in lui se non l’imprudenza dottrinale? Che cosa vuol dire: Non hai il senso delle cose di Dio [Matt., VIII, 32, 33] se non che: ‘Non ami con sapienza, seguendo l’affetto umano contro il disegno divino’? E lo chiamò: satana, in quanto, sebbene inconsciamente, si opponeva alla redenzione, non volendo che il Salvatore morisse. San Pietro amava Cristo nella verità della sua Persona, ma ciò non bastava; si scandalizzò all’idea della sofferenza della Passione. Era un amore a metà, limitato dalla paura per la sofferenza; un amore carnale e di prossimità, allettato da un santo egoismo.

Dunque, per dirla in breve, amare con tutto il cuore è posporre qualunque lusinga della carne propria o altrui all’amore della sua sacrosanta Umanità. Nel che viene ovviamente compresa anche la gloria del mondo, perché la gloria del mondo è la gloria della carne; e coloro che di essa si dilettano non c’è dubbio che sono carnali, insegna San Paolo.

Ma Cristo domanda di più, perché a questo amore che ci donò alla vista della sua umanità, un amore incompleto senza la fede, aggiunse la sapienza (della sua Passione) per ingannare il tiranno, e la sua pazienza nelle sofferenze per placare Dio Padre offeso. Perché, dice Bernardo: “Egli ci ha visitato sì nella carne, ma tuttavia non ci ha amato carnalmente, ma con la prudenza dello spirito”.

Vediamo quale sia questa prudenza di Cristo, perché è cosa piena di soavità e di grazia contemplare i misteri occulti della Sapienza nella Sapienza stessa, dice il santo abate.

2° grado: Amore dell’anima (o amore razionale)

Dio è sapienza e vuole essere amato non solo dolcemente, ma anche saggiamente” dice San Bernardo.

Non basta dunque il cuore e la sua conversione, se questo non è illuminato dalla ragione e dalla dottrina. Il secondo grado dell’amore di Dio è difatti razionale, possiamo dire dottrinale, e per questo è superiore al primo, quanto lo spirito lo è rispetto alla carne. È in tal senso che Egli mostrava ai discepoli un più alto grado d’amore dicendo: Lo spirito vivifica, la carne non giova nulla [Giov., VI, 64].

Se dunque è molto buono il primo amore sensibile, per cui si esclude la vita sensuale, si disprezza e si vince il mondo, l’anima progredisce e diventa perfetta solo se diviene anche razionale, e nel farsi razionale, contrariamente a quanto penserebbe l’uomo comune del giorno d’oggi, si fa soprattutto spirituale. È questo il secondo grado d’amore, che passa dal cuore allo spirito: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta la tua anima.

Come passare a questo secondo grado? L’amore diventa razionale (e quindi spirituale) abbandonando la sensibilità alle ‘cose terrene’, ovvero quando in tutti gli articoli della dottrina cristiana si mantiene con tale fermezza la norma della fede, che non ci si lascia in nessun modo deviare da nessun sofisma o diabolico raggiro, nella purezza del nostro sentire con la Chiesa. È parimenti razionale quando nella propria condotta si è sufficientemente cauti da non oltrepassare i limiti della discrezione con nessuna superstizione, o leggerezza, o effervescenza.

Se nel primo grado Cristo ci si manifesta come un dolce Amico, nel secondo è Consigliere prudente. Per questa ragione l’uomo può affidarsi con tutta sicurezza a Lui nelle tristi prove di ogni giorno, quando il tentatore riesce quasi a convincerci che non possiamo far nulla per sfuggirgli e per resistergli; che il male ha la meglio in questo mondo e che la nostra resistenza è debole. Non cediamo a questo inganno del maligno. Cristo vuole, sa, e può certamente salvarmi. Mi cercò, mi chiamò con la sua grazia: ora che vengo, mi caccerà via da Lui?

Io non temo né violenza né frode alcuna — ripete San Bernardo —, nessuno mi potrà strappare dalle mani di Colui che deluse il serpente, seduttore universale, con un’arte santa, mostrandosi di questi più abile, come della morte più forte. Perché Cristo ha preso sì la verità della carne, ma del peccato solo la somiglianza: porgendo con quella una dolce consolazione all’infermo, e in questa nascondendo un laccio per il diavolo, che è una creatura di Dio, e pertanto rimane pur sempre uno strumento nelle sue mani.

In questo grado l’uomo è spinto non solo ad amare dolcemente (come nel primo), per non lasciarsi allettare dal mondo, ma anche prudentemente, per non lasciarsi ingannare dal mondo. Se nel primo, affinché non ci distolga la gloria del mondo o la voluttà della carne, prevaleva la dolcezza della sapienza che è Cristo, nel secondo, affinché non ci seduca lo spirito di menzogna e di errore, ci illumina la verità che è Cristo. L’amore per Cristo nascituro e sofferente infiammi il tuo zelo, dice san Bernardo, ma la tua anima progredisca formandosi con la scienza delle verità.

Questo secondo amore dell’anima prende il suo alimento dall’ingegnosità o dal discernimento di una vera e santa ragione, ben differente da quella razionale ed illuminata in senso deteriore (ed in definitiva irrazionale, perché deprivata da ogni Verità soprannaturale).

Dovremmo pertanto tornare a reclamare la Ragione come nostra prerogativa, perché ci appartiene nella sua più alta forma e non dovrebbe essere appannaggio dei Lutero e degli Scalfari di questo mondo, i quali vissero (e vivono) nella più alta ignoranza, perché non andarono al di là di quello che potevano comprendere con le loro piccole forze intellettuali. La ragione difatti dona vigilanza e circospezione, affinché il terreno spirituale non sia solo affettivo, ma anche Luce che precede all’intelletto, Guida alla ragione non solo per guardarci dalle trappole delle frodi eretiche, e per custodire la purezza della fede dalle loro insidie, ma anche per procedere cautamente, evitando l’indiscreta veemenza nell’agire, che è purtroppo una tipica forma di imprudenza di molti cattolici dei nostri tempi.

La più grande e manifesta differenza tra il primo e questo secondo grado di amore la spiega San Bernardo quando pone il seguente paragone tra l’uno e l’altro:

“Sebbene tuttavia sia un dono, e un gran dono dello Spirito codesto amore sensibile per Cristo, tuttavia lo direi un amore carnale in confronto di quell’amore per cui non tanto il Verbo fatto carne incontra il mio gusto, ma piuttosto il Verbo-sapienza, il Verbo-giustizia, il Verbo-verità, e tutto il resto che in tal genere dir si può”.

Cristo è tutte queste cose insegna San Paolo, essendo venuto a noi come divina Sapienza e Giustizia e Santificazione e Redenzione [I Cor., I, 30].

Bernardo non ha dubbi nel ritenere il secondo grado superiore al primo, perché, secondo il santo abate, coloro che sono dotati d’un affetto che compatisce piamente il Cristo crocifisso, e facilmente ricordano tutto ciò che Egli ha patito, e si compiacciono con la soavità di questa devozione, e ne traggono forza per compiere azioni meritorie, belle e pie… non sono in definitiva paragonabili a coloro che sempre infiammati dello zelo della giustizia, dovunque combattono per la verità, e vanno ardendo alla conquista della sapienza, perché questi secondi amano la santità della vita e la buona disciplina, e, come per un istinto naturale, respingono tutto ciò che è male, ed abbracciano tutto ciò che è bene. Pertanto, sarei pronto a scommettere che molta parte dell’attuale gerarchia della Chiesa non sia mai giunta a questo secondo grado.

Non è vero, dice San Bernardo, che se paragoni gli affetti dell’uno e dell’altro, apparirà che il primo, accostato a questo secondo, non ha che un amore di carne?”.

Fu questo grado d’amore che mosse Pietro alle soglie del giovedì santo, quando amava Cristo di un amore più perfetto del precedente, ovvero nella verità dottrinale della sua divinità ed al tempo stesso della sua imminente sofferenza; aveva sì accettato l’idea della Passione e della umiliazione del Re divino, ma ciò non bastava; non era ancora capace di seguirlo nei patimenti.

Durante l’Ultima Cena, Pietro, progredito rispetto al grado precedente (quello del cuore), a Gesù, che gli ripeteva nuovamente la triste profezia della sua Passione, non si oppose più perché non morisse, ma gli promise di morire con Lui. Non mantenne però la sua promessa, perché non era ancora arrivato al terzo grado, in cui si ama con tutta la fortezza. Sapeva amare con tutto il cuore e con tutta l’anima, ma era ancora infermo; ben istruito, ma non si sentiva in forze; conscio del mistero, ma pavido del martirio. Allora certo il suo amore non fu così forte come la morte, perché alla prova della morte soccombette.

3° grado: Amore delle potenze

Se Cristo ci amò con dolcezza e con sapienza, Egli ci amò anche con fortezza. È a questo punto che San Bernardo invita il cristiano ad imparare ad amare Cristo da Cristo stesso. La sua fortezza fu quella di aver sostenuto la morte per noi, attraverso la quale ci redense. E mentre con la sua sapienza tiene lontana la colpa dalla nostra natura, con la sua potenza ne caccia la morte.

Se nel primo grado Cristo ci si manifesta come un dolce Amico, e nel secondo è Consigliere prudente, nel terzo è Aiutante gagliardo, che ci insegna ad amare fortemente per non lasciarci opprimere da nulla che possa strapparci a Lui. È questo quell’amore attraverso il quale si ama con tutte le forze.

Dice San Bernardo: “La carità infiammi il tuo zelo” (primo grado), “l’informi la scienza” (secondo grado), “lo confermi la costanza” di questo terzo grado.

La ragione viene qui rafforzata — altrimenti da sola non potrebbe procedere oltre — dall’amore delle potenze, il quale appartiene alla costanza o al vigore dell’animo, il quale non cede ai terrori, né soccombe al lavoro, il quale ama con una tale forza da non temere neppure la morte per amore di Cristo, com’è scritto in ciò che segue: Perché forte è come la morte l’amore, e la gelosia è indomabile come l’inferno [Cant., VIII, 6].

Questo, in definitiva, significa amare Dio pienamente: prima con tutta l’anima come già abbiamo detto sopra, ma quando si aggiunge tanto “vigore del divino Spirito da non abbandonare mai la giustizia per nessuna mole di fatiche e di tormenti, e nemmeno per paura della morte”, allora si ama anche con tutte le potenze, e si ha l’ultimo grado di amore, conclude San Bernardo.

Questo amore ‘potenziato’ fu quello di Pietro quando, ormai rivestito di Virtù dall’alto secondo la promessa di Gesù Cristo nella Pentecoste, cominciò ad amare con tanta gagliardia che, proibito dal Sinedrio di predicare il santo nome di Gesù, intrepidamente rispose: Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini [Atti, V, 29]. Allora finalmente amò con tutte le potenze, quando per l’amore non risparmiò nemmeno la vita. Nessuno, infatti, può avere carità maggiore che quando dà la vita pei suoi amici [Giov., XV, 13]: che se anche allora (a Gerusalemme) ancora non la depose nel martirio, tuttavia già l’espose nella verità della predicazione.

San Bernardo termina quindi asserendo: “Non essere distolto dalle blandizie, non essere sedotto dagl’inganni, non infranto dalle ingiurie; questo, infine, significa amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le potenze.

Una sola creatura ebbe fin dal primo momento del suo concepimento la pienezza di questo triplice amore: in Maria erano difatti presenti tutti e tre i gradi di amore nella totale perfezione dell’essere, perché il suo trasporto per il Figlio era ricolmo di perfezione quale madre del Verbo, così come era perfetta la conoscenza della sua Natura, ed in lei le potenze del coraggio, della costanza e della sequela erano ad un grado tanto elevato che addirittura (e per prima) spronò il Figlio diletto a cominciare anzitempo la sua missione terrena – come vediamo nell’esempio delle nozze di Cana – che ella ben sapeva l’avrebbe condotta a morire in croce con Lui.

Quale inesplorabile abisso di comunione si sprigionò allora e fin dal principio tra tale madre e tale Figlio. Maria conosceva tutto quello che il Redentore avrebbe dovuto operare e soffrire, e nonostante la profezia del santo Simeone (E l’anima tua stessa sarà trapassata da una spada, affinché restino disvelati i pensieri di molti cuori), nella piena potenza del suo amore non volle ritardare di un solo istante quel cominciamento, luce a illuminare le nazioni, e gloria del popolo tuo Israele [Luc., II, 32]. Fu lei che dopo l’Ascensione confermò gli Apostoli ed i discepoli ricolmi di tristezza per la temporanea separazione del Maestro divino il giorno dell’Ascensione, quando Pietro non disponeva ancora della piena potenza della fede. I discepoli si aggrapparono a Lei in quei giorni di attesa e di sgomento, ed ella resse e tenne ferma la loro fede nella promessa della venuta dello Spirito Santo, un evento che ancora essi non capivano pienamente, ma che Maria attendeva con ogni fiducia.

In questa Natività allora non solo potremo adorare Dio che si fa carne — la qual cosa uno come Scalfari non arriverà mai a comprendere, perché non gli è permesso, nonostante le sue “amicizie petrine” — ma siamo tenuti anche a celebrare il coraggio e la potenza di questa Donna forte, madre del genere umano rinnovato.

Aggrappiamoci anche noi alla Signora del Cielo come fecero gli Apostoli, ed il suo maestoso coraggio ci faccia avere l’ardore di dire con San Bernardo:

Inclina a Te, o Dio, quel poco essere che ti sei degnato di elargirmi; e dalla mia misera vita prendi il residuo degli anni miei: per quelli poi che ho perduto vivendo, poiché vissi perdutamente, non disprezzare, o Dio, un cuore contrito e umiliato. I giorni miei declinarono come l’ombra, e passarono senza frutto. Mi è impossibile richiamarli indietro: ti piaccia che io li ripensi davanti a te, nell’amarezza dell’anima mia. Davanti a te sono tutti i miei desideri e i propositi del mio cuore; se vi fosse in me qualche sapienza, vorrei consacrarla a te. Ma tu, o Dio, conosci la mia impazienza; e forse questo è già un sapere: riconoscere, per tuo dono, che sono un ignorante. Accrescimelo; non sarò ingrato al minimo tuo beneficio, imploro da te ciò che mi manca. Per tutti questi motivi, ti amo quanto io posso.


In questo modo, credo, potremo avvicinarci alla nascita di Nostro Signore come a Lui si conviene, ovvero quale Dio di Sapienza.

Ringraziandovi per la vostra continua presenza, auguro un santo Natale a tutti i lettori.

Lorenzo de Vita


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