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Uscire dall’euro subito. Ah, ci fosse un partito!
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Le notizie sempre più ripugnanti che provengono dalle Regioni, la commistione sempre più evidente fra i nostri politici – i nostri traditori politici – e la mafia, ha un lato tragico ulteriore: non c’è nessuna forza autorevole che possa darsi come programma politico l’uscita dall’euro, e spiegarne i motivi alla popolazione. Ciò significa la rovina certa della nostra economia e della nostra società.

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S’è mai calcolato, ad esempio, quante centinaia di migliaia di disoccupati in più sono causati dalla sopravvalutazione dell’euro, a prescindere da quelli aggiuntivi provocati dalle «austerità» di Monti, che ci stanno facendo precipitare nella depressione economica? L’economista francese Jacques Sapir, docente all’Ecole de Hautes Etudes en Sciences Sociales, l’ha calcolato per la Francia. I suoi dati, come vedremo, valgono a maggior ragione per l’Italia.

Fatto di partenza: l’euro – nonostante i «mercati» lo diano per spacciato e profetizzino che si spaccherà, chiedendo interessi sempre più alti ai Paesi «a rischio» – è notevolmente sopravvalutato; meno per sua virtù, che per la massiccia svalutazione del dollaro operata dalla Federal Reserve stampando moneta a fiumi. Inizialmente quasi in parità (1 euro per un dollaro), dal 2003 ad oggi l’euro è salito parecchio: oggi a 1,30 rispetto al dollaro. Mentre il tasso di «parità economica», calcola Sapir, sarebbe per la Francia di 1 euro per 1,05 dollari. La Francia ha dovuto commerciare nel mondo offrendo le sue merci a prezzi maggiorati del 30%, il che ha danneggiato il suo export e quindi la sua economia ed occupazione.

Sapir ha cura di precisare che, se il tasso d’equilibrio dell’euro per la Francia è di 1,05 dollari, per la Spagna dovrebbe essere di 0,90, e per l’Italia a 1 contro 1 o un poco meno. I danni per noi sono dunque stati maggiori.

Ma quanti sono stati, per la Francia, i danni da euro? Vi rimando allo studio di Sapir per i particolari, alquanto tecnici, che comprendono due proiezioni: una «lineare» e una «non-lineare». (Le coût de l’Euro et l’économie française)

Salto alle conclusioni. In breve, stima l’economista, se l’euro fosse rimasto al valore di equilibrio per la Francia, restando fisse tutte le altre condizioni, il suo prodotto interno lordo sarebbe cresciuto dal 2003 ad oggi 2012 di una cifra fra i 400 e i 600 miliardi di euro. Tali cifre sono invece mancate; un decennio di mancata crescita. L’euro è costato alla Francia tra i 3 e i 4,5 mesi di un anno di ricchezza prodotta (PIL), e i francesi si sono impoveriti, nel decennio, del 25-37%.

I disoccupati sono oggi in Francia quasi 3 milioni. Se l’euro fosse rimasto in parità a 1,05, la maggiore crescita ne avrebbe riassorbito quasi un terzo: tra i 720 e gli 830 mila se si calcolano «unicamente le perdite di competitività esterna dovuta alla sopravvalutazione delleuro», ma Sapir nota che la crescita e il ritorno al lavoro «trascina fenomeni cumulativi» (per cui il lavoro crea più lavoro), sicché oggi il Paese avrebbe 1 milione, 1,3 milioni di gente al lavoro in più. Con l’effetto collaterale benefico che la previdenza sociale (Assedic, l’INPS francese) avrebbe in cassa 10 miliardi di euro in più per i contributi del milione di occupati. Invece, restando nell’euro sopravvalutato, sotto le strette di austerità volute dall’ideologia eurocratica, promette che il numero di disoccupati crescerà di altri 700 mila.

Inoltre, la mancata crescita conseguente all’euro «forte» ha danneggiato le finanze pubbliche francesi: da una parte minori entrate tributarie, dall’altra spese maggiori assistenziali: un danno che viene valutato tra i 50 e i 65 miliardi.

E l’Italia?

I conti sono presto fatti, anche prendendo pochi dati a caso. Se per noi la parità di equilibrio è meno di 1 euro per 1 dollaro, mentre dobbiamo competere con un euro che vale 1,3 dollari – sopravvalutato per noi del 30% e più – nell’import-export perdiamo 45 miliardi, ossia perdiamo il 3% di PIL; non c’è da stupire che il nostro prodotto interno lordo sia stagnante – lo è stato fin dall’introduzione dell’euro – ed oggi sia in calo. La Germania per contro opera con un euro per lei sottovalutato – se andasse per conto suo, il nuovo marco salirebbe a 1,65 dollari, invece che all’attuale 1,3 – e appunto per questo ha un attivo commerciale di 400 miliardi annui e una crescita del PIL del 3% annuo. Il successo tedesco è pagato in notevole misura da noi, e dal nostro insuccesso – oltreché da quello spagnolo, greco, portoghese, francese...

Ecco perché la Germania vuole che restiamo tutti nell’euro, vicini-vicini, e Draghi (Goldman Sachs) e Monti (Trilateral Commission) sono stati messi lì per «salvare l’euro», il che non significa salvare l’Italia. Al contrario, se resta ancora nell’euro, l’Italia è perduta.

Perché? Si cominci a ricordare che, fino al 1992, con la liretta svalutata, il nostro PIL cresceva del 2,5% annuo. Poi ha rallentato (grazie ai nostri politici che per mantenere le loro clientele parassitiche ci indebitavano al 120 del PIL, prelevando cifre crescenti dalle nostre tasche per pagare gli interessi: a botte di 100 miliardi l’anno in più), ma cresceva pur sempre ancora dell’1,1 % circa. Appena siamo entrati nell’euro, è arrivata la stagnazione: crescita zero.

Tragico il declino della produzione industriale: nei dieci anni dall’entrata nell’euro, è calata di oltre il 2,10% annuo, e la bilancia dei pagamenti è diventata passiva, con un passivo crescente, al ritmo di 5 miliardi annui. Attenzione: il declino industriale non rallenta. Se restiamo nell’euro sopravvalutato, fra dieci anni la produzione industriale sarà del 22% minore di quella di oggi. Cosa significa?

Questo:

Fatta 100 la produzione industriale del 1992, oggi siamo a 85 anzi meno, e fra dieci anni saremo a 66,5. Avremo perso un terzo della nostra capacità produttiva – un terzo di fabbriche, un terzo di occupati competenti, e un terzo di mercati di sbocco. E il passivo della bilancia dei pagamenti sarà peggiorato di altri 50 miliardi, un deficit commerciale che toccherà i 90 miliardi. Insomma, saremo molto somiglianti alla Grecia. O come era l’Italia del dopoguerra, con le industrie bombardate e la miseria nera. Ma senza la speranza di una ripresa, perché l’euro sopravvalutato ci inchioderà al sottosviluppo.

Anzi peggio. Molto peggio. Perché i nostri politici traditori, dopo aver ceduto la sovranità che gli avevamo delegato al governo «tecnico» Goldman Sachs-Trilateral, hanno pure approvato il «fiscal compact»: che ci obbliga a rientrare dal debito pubblico dal 120 al 60%, a botte di 5% in meno l’anno. Il che significa che – oltre al peso dell’euro sopravvalutato – avremo anche un prelievo di 70-80 miliardi aggiuntivi ogni anno, perché l’Europa ci costringe al pareggio di bilancio, anzi all’attivo.

Il termine «attivo di bilancio» suona bene, ma da dove Monti trarrà quei 70-80 miliardi in più ogni anno? Non dalla ricchezza crescente del Paese, che come abbiamo visto, invece di crescere cala. Dunque, dalle ricchezze accumulate dalle famiglie italiane.

«L’attivo di bilancio» è lo Stato che spende meno di quanto incassa con la torchia fiscale. Sembra un’ottima cosa, ma se dura troppo a lungo, per un meccanismo che sarebbe complesso spiegare (il debito pubblico si tramuta in parte in risparmio dei cittadini), i cittadini non riescono più risparmiare, anzi non riescono più a pagare le tasse se non indebitandosi, o dando fondo ai loro beni: dalle case ai braccialetti, dagli orologi all’auto, mobili, iPAd, tutto verrà «risucchiato» da quell’ottima cosa apparente che è l’attivo di bilancio. In dieci anni di «compiti a casa», Monti ci estrarrà dalle tasche, come si è impegnato a fare, 750 miliardi. Una cifra colossale. Resteremo impoveriti di altrettanto: ossia nudi come Adamo ed Eva, ma non nell’Eden. In un inferno di disordine, criminalità, fame, ingiustizia sociale. L’unica cosa somigliante, sarà che ci divideremo una mela in due, o un torso di cavolo trovato nei bidoni. E Monti, coi media servili, lo chiamerà paradiso terrestre.

È curioso domandarsi – nessuno lo fa – a chi andranno quei 750 miliardi che ci toglieranno di bocca. Risposta: sostanzialmente alle banche creditrici, ossia a quelle tedesche in gran parte, e ai «mercati», per mostrare loro che «leuro è irreversibile» (Draghi dixit). Per garantire le banche (tedesche, francesi) che non faremo default trascinandole nella rovina, noi italiani dobbiamo morire tutti. E sentirci per giunta fare la lezione sulla nostra «scarsa competitività», su costo del lavoro troppo alto, poco flessibile, e sugli sprechi pubblici (qui, almeno, con ragione).

Ecco perché non dovevamo entrare nelleuro. Se non ci fossimo entrati, la nostra produzione industriale (fatta 100 quella del ‘92) sarebbe a 118 anziché all’85 di oggi, e avremmo un attivo nella bilancia dei pagamenti anziché un passivo.

Ma ora ci siamo dentro. Uscirne – ci continuano a gridare – sarebbe una rovina, i mercati non ci farebbero più credito, i tassi d’interesse sui nostri BOT e BTP salirebbero alle stelle, le materie prime, petrolio e benzina schizzerebbero al cielo, la UE ci punirebbe...

Balle. Certo, lo shock del ritorno alla lira (con default simultaneo) potrebbe durare qualche mese, forse anche un anno e mezzo: limitazioni dei prelievi bancari, fuga di capitali, rincari di materie prime, chiusura di imprese per restrizione del credito: tutti i danni di una battaglia di questa vera guerra. Ma tutto sarebbe rapidamente compensato da una maggior crescita economica. Anzi, un vero e proprio rilancio: le nostre industrie torneranno a prendere quote di mercato alle tedesche, l’occupazione crescerà e con essa i consumi, e le entrate fiscali aumenteranno in modo fisiologico... e i «mercati» torneranno a farci credito. Anzi faranno la coda alle porte dello Stato, per indebitarlo di nuovo: il rapporto debito sul PIL sarà infatti tornato favorevole, e le prospettive di crescita (dunque di nostra solvibilità come debitori) più rosee... Non ci credete?

Il ministro argentino Roberto Lavagna, che era alle Finanze quando decise di fare default sul debito sovrano, l’ha detto in un’intervista: «48 ore dopo il default, già una grossa banca daffari (sarà stata Goldman Sachs?) mi offriva di aprire allArgentina una linea di credito, visto che il rapporto del debito sul PIL era tornato favorevole (e ci credo: il debito era stato annullato, ndr)... Fummo noi a rifiutare, per non ricominciare subito il ciclo dellindebitamento». (Roberto Lavagna, ancien ministre argentin de l’économie)

Perché questa immediata apertura? Perché i banchieri, gli speculatori, i detentori di capitali hanno bisogno di investirli, ossia prestarli, ossia indebitare il prossimo, Stati, imprese, famiglie: altrimenti come fanno i loro profitti? Se questa apertura c’è stata per l’Argentina, figurarsi per l’Italia, che è ancora una potenza industriale (finché Monti non avrà finito di desertificarla).

È stato calcolato che se potessimo limitare il deprezzamento della nostra neo-lira (o euro-Sud) a 1 per 1 dollaro-30%), crescerebbero i tassi d’interesse (ma crescerebbero anche per i tedeschi), quindi avremmo da pagare più interessi passivi. Ma sarebbero compensati dai benefici della maggior crescita economica e dalle maggiori entrate tributarie conseguenti. Mettiamo che i tassi passivi aumentino di cento punti-base; ma in compenso lo spread potrebbe diminuire di 200, perché il rischio di svalutazione sarebbe compensato dal fatto che siamo tornati padroni della nostra moneta, e perciò capaci di far fronte, a scadenza, a tutti i BOT BTP immaginabili (stampandola: è per questo che il Giappone, col 220% di debito sul PIL paga tassi bassi d’interesse). L’effetto netto sul debito pubblico sarebbe addirittura positivo...

Ma è probabile che l’uscita dall’euro debba avvenire in modo traumatico, d’urgenza e senza preparazione. Non pagare il debito farebbe di noi uno Sato-paria, ci dicono, saremmo sbattuti fuori da tutti i consessi, andremmo a mendicare.

Ma è proprio vero?

Partiamo dal principio: possiamo fregarcene dei nostri creditori esteri, se possiamo farne a meno. Ma possiamo farne a meno? Se interrompono i loro prestiti per ritorsione, possiamo farcela?

Ebbene, sì. Per quanto paia incredibile, lo dobbiamo a Tremonti che ha tenuto a freno il cavaliere e gli altri allegri ministri spendaccioni. L’Italia ha avuto negli ultimi anni un pareggio, anzi un avanzo primario del bilancio pubblico. Spendendo meno di quanto incassa, lo Sato italiano oggi non ha bisogno di indebitarsi se non per «servire» il debito pubblico fatto prima.





Questi sono dati OCSE 2011; quelle del 2012 sono previsioni ottimiste che non si sono avverate, la nostra situazione è peggiore, anche grazie al tecnico Monti (da simili tecnici ci guardi Iddio). In ogni caso, se prendiamo per buoni i dati, mostra che l’Italia non ha bisogno di indebitarsi per sostenere la spesa corrente. Al contrario di Francia e Spagna, e ancor più di USA e Gran Bretagna che sono strutturalmente deficitarii e dipendenti dai loro creditori.

Ciò dimostra come tutto il bailamme allarmista sulla zona euro è in gran parte una creazione dei media che dipendono da Wall Street e dalla City, bisognose di canalizzare i flussi finanziari mondiali verso i loro mercati dei capitali. Ma dice anche che se USA e Londra hanno meno problemi, è perché hanno mantenuto tutti gli strumenti di politica economica (svalutazione, stampa di carta, Banca Centrale accomodante, monetizzazione del debito) che i nostri politici-traditori ci hanno sottratto, delegandoli alla BCE.

Capite cosa significa avere un avanzo primario? Significa che, finché dura, noi italiani abbiamo convenienza a fare default. Smettiamo di servire il debito, e possiamo sopravvivere anche se i creditori non ci fanno più credito. Le nostre finanze pubbliche verrebbero alleggerite della macina da mulino che il servire il debito ci mette al collo: 90 miliardi l’anno. Non saranno mai tutti i 90 miliardi (la stessa Argentina, alla fine, ha rimborsato il 30% del debito che aveva ripudiato), ma sarebbe una quota comunque decisiva. Soprattutto, la situazione cambierebbe a tutto nostro favore. Quando potete fare a meno dei vostri creditori, potete fare un «default ragionato»: rimborsare quello che potete, quando potete, al tasso che decidete voi.

Ciò significa passare a un debito amministrato dal debitoreossia noiinvece che lasciato in balia dei «mercati» (che sono contro di noi), e dei diktat e austerità impostici dai tedeschi.

Ma dobbiamo farlo adesso, prima che Monti e i suoi tecnici ci abbiano spolpato del tutto, che la loro cura omicida di persecuzione fiscale, recessione e troncamento dei consumi abbia ridotto a nulla la nostra residua forza industriale – senza la quale non avremmo più le basi per la ripresa post-svalutazione – e prima che l’attivo di bilancio torni a mutarsi in passivo (ossia che noi abbiamo di nuovo bisogno di indebitarci per le spese correnti).

Monti è già riuscito, a forza di «cure», ad aumentare il debito pubblico che veleggia verso il 130%. Monti è stato messo lì proprio per impedirci di liberarci dal nodo scorsoio.

La liberazione non sarà un pranzo di gala. Questa è una guerra. Uscendo dall’euro, svalutando e ripudiando il debito, si tratterà di sopportare qualche mese di tempesta e difficoltà, più rincari e un’inflazione (1), ma con la prospettiva di una vittoria, ossia di una recuperata prosperità in un futuro non lontano. C’è una luce in fondo al tunnel.

L’alternativa è stare sotto Monti, e sotto l’euro: ossia una lunga agonia – fra distruzione del tessuto industriale, ìtasse ferocemente crescenti causa gettito calante, e i 75 miliardi annui da portarci via per il fiscal compact – senz’altra prospettiva futura che il sottosviluppo permanente, con deflazione e disoccupazione strutturale da Grande Depressione. In fondo al tunnel di Monti, non c’è alcuna luce; nemmeno quella del treno che ci arriva contro, che sarebbe meglio (meglio una fine orribile che un orrore senza fine, come si dice). Il tunnel di Monti è chiuso, senza uscita.

Ma ci vuole una forza politica che proponga l’alternativa, la spieghi agli italiani, e ne ottenga la fiducia necessaria per attuarla con audacia e fermezza: c’è riuscito il governo argentino, figurarsi se non ci riusciamo noi.

Ci manca una sola cosa da nulla: il partito politico che guidi gli italiani a questa alternativa.

Abbiamo invece dei traditori e profittatori, che dopo aver ceduto ai «tecnici» il loro dovere e diritto di governare il Paese, sono lì a sostenere il governo non-eletto; e temono solo le elezioni, perché troppi di loro li manderemo a casa, e non avranno più i 15 mila euro mensili. Berlusconi ha anzi detto che spera di coagulare un blocco moderato che sbarri la strada alle sinistre, e che avrebbe come capo del governo chi? Monti. Bersani giura che se vincerà le elezioni, governerà «nella scia» di Monti. Casini e Fini si alleeranno con chi lascerà Monti a capo del governo. E il bello che tutti fanno a tal punto schifo, che gli italiani a maggioranza sono pronti a votare davvero per Monti, non capendo che li sta uccidendo. E che c’è un’altra via.

La Lega è contro: ma poverina, ormai ha perso il treno della storia; nel momento in cui la crisi da euro ha mostrato la convenienza del Nord a secedere, era lì a giocare col Trota, il cerchio magico e le ampolle. Sia contro o pro, oggi non ha più i voti per cambiare una briciola. Soltanto Grillo ha ventilato, almeno, un referendum sull’euro, ma in termini vaghi. Il solo a capire il da farsi pare essere – mi spiace per chi lo detesta, ma ho sentito gli interventi di Riccione – Tremonti Giulio. Ma quante divisioni ha? Zero.

Ah, avere un partito!




1) Sono cose che gli italiani della mia età hanno già conosciuto: svalutazioni competitive della lira, conseguenti rincari delle bollette energetiche e dei carburanti, rialzo dei tassi d’interesse sul debito pubblico. Tutto ciò non impedì all’Italia decenni di crescita e persino un periodo di miracolo economico (rovinato poi dai sindacati e dalle sinistre «rivoluzionarie»). Quanto al debito pubblico, veniva sottoscritto totalmente dai risparmiatori italiani, nella moneta nazionale. Non c’era bisogno di andarsi a indebitare all’estero. Senza contare che oggi un po’ d’inflazione, un aumento della massa monetaria del 3-5%, in poco tempo dimezzerebbe il debito pubblico in termini nominali diluendolo.



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