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Sorpresi dalla seconda crisi. Con le braghe giù
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«L’Europa ha deciso di tassare le banche», hanno deciso di titolare i media italioti sull’ennesimo incontro dei capi a Bruxelles. Bel titolo, dà l’idea che i nostri governanti sono al comando e prendono dure decisioni. Ottimismo, ottimismo.

Basta tacere che queste decisioni sono «flatus vocis»: una tassa sulle banche europee, sarà accollata dalle banche stesse ai clienti, una tassa sulle transazioni finanziarie (tipo Tobin) non può essere applicata nella sola Europa perchè provocherebbe gigantesche fughe di capitali verso i «mercati» senza tasse: occorre che la tassazione sia mondiale. Ciò che gli europei «proporranno al prossimo vertice del G-20 a Toronto». Dove sarà colata a picco, anzi nemmeno discussa.

Insomma, decisioni vere, come al solito, zero. Solo proclami. Oltretutto in ritardo.

«La Banca Centrale Europea è sempre in ritardo di un giorno e di un euro», ha detto Mortimer Lee, il capo-speculatore del BNP Paribas. Lo stesso si può dire della «governance» europea.

A Bruxelles hanno riconfermato l’austerità feroce voluta dai tedeschi, anche sapendo che sarà disastrosa per l’economia reale, a causa della riduzione dei consumi che porterà. I «mercati» infatti chedono: austerità va bene, ma dov’è lo sviluppo? Perchè solo una ripresa dell’economia reale procurerà i soldi per pagare i debiti pubblici.

Pronti, replicano gli europoidi: ecco un bel programma che chiamiamo «Strategia 2020 per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro». Siete contenti, mercati?

I «mercati» ricordano che una simile «strategia di Lisbona», che doveva fare dell’Europa la più dinamica economia del pianeta, è rimasta lettera morta. Dietro la proclamazione, non c’era niente. E così è la «strategie 2020». Vuota.

Ma c’è ottimismo. Perchè la Spagna – che dopo la Grecia è sul punto di fallire – ha deciso di pubblicare gli «stress test delle sue banche». E una vendita di titoli di Stato iberici è andata benino, anche se la Spagna ha dovuto dare il 2% in più di interessi rispetto ai Bund germanici.

Il fatto è che la banche spagnole stanno prendendo a prestito quantità senza precedenti di fondi dalla BCE (quella sempre in ritardo di un giorno e di un euro): quasi 86 miliardi di euro il mese scorso, che è il doppio di quello che ricevettero nell’imminenza del collasso di Lehman (settembre 2008) e il 16,5% dei prestiti fatti dalla BCE nell’intera eurozona.

Perchè le banche spagnole si fanno prestare i soldi dalla BCE? Perchè non trovano nessun altro disposto a prestarglieli. Lo stesso vale per le imprese ispaniche: i mercati del credito privati sono chiusi per loro. E probabilmente, dalle banche spagnole i depositi vengono ritirati a man bassa.

Ma almeno, con questo gigantesco finanziamento, la BCE sta «stampando moneta», salvando il sistema dalla deflazione? No. La BCE, come da robotica norma, ci sta difendendo dall’inflazione, ricordatelo: così i fondi che crea per prestarli alla Spagna, li sottrae da qualche altra parte del sistema – si chiama «sterlizzazione» – in modo che la massa monetaria non aumenti, anzi si riduca. E la recessione diventa deflazione-depressione tipo anni ‘30.

Insomma, come dice Wolfgang Munchau in una spietata analisi sul Financial Times, nulla di quel che l’Europa ha deciso finora funziona: non il salvataggio a piè di lista delle banche, non i 440 miliardi di euro impegnati a scudo dell’euro-sistema, non le dure austerità dei Paesi, una più feroce dell’altra.

Lo indica il fatto che le forbici tra i BOT dei vari Paesi europei continuano a divaricarsi, e che le banche non si prestano più l’un l’altro, e i mercati del credito sono congelati (nessuno paga più nessuno, e l’ABI ha esteso ancora di un anno il permesso alle piccole-medie imprese indebitate una moratoria sul debito: possono esimersi dal restituire i ratei di capitale, paghino solo gli interessi). Eppure il calo dell’euro ha fatto rialzare un poco il nostro export.

Come mai i «mercati» non si fidano a prestare agli Stati europei? E’ che hanno capito che questa non è una crisi dei debiti sovrani, ma una crisi del sistema bancario europeo fortemente e stupidamente interconnesso: questa crisi «sta per esplodere», secondo Munchau, e «la risposta dei politici non affronta questo problema». (Why this crisis will go all the way)

Vediamo. Le banche tedesche sono esposte per 200 miliardi di dollari con la Spagna, di 175 miliardi con l’Irlanda, di 50 miliardi con la Grecia e di altrettanti con il Portogallo. Insomma le banche della virtuosa Germania hanno un’esposizione verso i Paesi a rischio d’insolvenza che, addizionata, ammonta a 500 miliardi di dollari: pari al 20% del prodotto interno lordo della Germania.

Le banche francesi hanno un’esposizione simile verso i Paesi in pericolo, pari al 25% del PIL francese. Nell’insieme le banche di Francia e Germania hanno un’esposizione di 1.100 miliardi  verso la Spagna e di 800 verso l’Irlanda. Aggiungete le esposizioni verso Grecia e Portogallo, e otterrete 2 mila miliardi di dollari, due trilioni (le cifre sono in dollari perchè così le dà la Banca dei Regolamenti internazionali, la nostra fonte).

Non tutti i 2 trilioni sono debiti che non saranno pagati. Ma nessuno sa qual è la porzione di debiti «cattivi», e quali banche li detengano, ed è questo il problema: è il motivo per cui le banche non si prestano l’un l’altra, e i «mercati» sono sospettosi a prestare a governi che non sia quello tedesco. Il fatto che i debiti siano garantiti dagli Stati non li tranquillizza, perchè ormai i mercati dubitano della solvibilità degli Stati che hanno dato le garanzie.

E’ una situazione simile a quella della bolla dei subprime, quando nessuno sapeva quanti mutui inesigibili erano mescolati a quelli «buoni» nei titoli sparsi nei portafogli, e nel dubbio, tutti smisero di comprare qualunque titolo basato sui mutui e debiti vari.

In questo frangente, anche la vittoria italiana a Bruxelles – ossia di valutare il debito di ogni Paese tenendo conto non solo di quello pubblico, ma anche privato (in Italia bassissimo) conta poco. E’ una buona cosa, come mostra questa tabella dei Paesi verso cui i mercati provano la massima «avversione al rischio»: come si vede, l’Italia non è messa male nella graduatoria.





Ma siccome Spagna, Grecia, Portogallo sono messe malissimo, l’avversione al rischio travolge comunque anche noi. E’ una buona misura, ma anch’essa arriva in ritardo.

Ormai il circolo vizioso del sospetto-congelamento del credito-sospetto aggravato a panico,è in corso. La BCE è ormai il prestatore non di ultima istanza alla Spagna, ma il prestatore di prima – ed unica - istanza.

Ed ora dovrà fare di più, per impedire che il contagio – già lasciato espandere dalla Grecia alla Spagna – si diffonda a tutto il sistema. La BCE dovrà comprare centinaia di miliardi di euro di titoli di debito, perchè tra il 2011 e il 2012 le banche europee devono rifinanziare 2 trilioni (2 mila miliardi) di euro che vengono a scadenzza, offrendo i loro BOT a «mercati» pochissimo fiduciosi.   Se lo fa creando moneta, provoca inflazione; se «sterilizza», provoca distorsione dell’intero sistema europeo. E in ogni caso, l’acquisto da parte della BCE si traduce nel solito fatto: che banche e fondi rifilano i loro «attivi» dubbi ai contribuenti UE. Specialmente i tedeschi.

I successi tedeschi all’export hanno riempito di depositi le banche tedesche: troppi. Non sapendo come investirli nell’economia tedesca, le banche germaniche hanno comprato titoli dei Paesi con grandi deficit di conti correnti, appunto Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda. Un effetto perverso della virtù  tedesca, austerità interna ed esportazione a tutto vapore. Solo che adesso i tedeschi devono di fatto salvare i loro clienti europei, in modo quasi permanente; e non è detto che lo facciano. Anzi. Munchau prospetta che la Germania con qualche satellite forte, si ritiri unilateralmente dall’euro.

E il bello è che in questo frangente, e dopo tante prove di cecità, i capi europei proclamano di voler regolamentare e punire le banche: ancora una volta, troppo tardi. Bisognava farlo, ma anni fa. Come dice un avvocato d’affari sentito dal Telegraph, «Entriamo in un lungo periodo di confusione, e cè solo da sperare che la seconda ondata della crisi finanziaria non ci colga con i pantaloni  regolamentatori abbassati».

Quanto a «regole» europee, basti dire che oggi 23 Paesi sui 27 sono assoggettati da Bruxelles a procedura di punizione per deficit eccessivo, e dunque obbligati a misure di austerità. Quando le regole sono tali che quasi tutti i Paesi europei devono infrangerle, c’è qualcosa che non va nelle regole, non nei Paesi. E del resto non sono più i governi che possono prendere decisioni. La parola è passata di fatto alle Banche Centrali, prestatrici ultime e prime e creatrici di moneta, che stanno sostenendo in permanenza un sistema finanziario che da sè non funziona più; almeno finchè anch’esse non saranno sovrastate dall’onda.

Sintomo illuminante: la Grecia in bancarotta, che la Germania insiste a voler punire (i prestiti di salvataggio sono dati al 5%), e che la finanza schifa (Moody’s ha declassato il suo debito a spazzatura), ha trovato un investitore molto interessato: la Cina. (China invests 'billions of euros' in debt-laden Greece)

Il vice premier Zhang Dejang è piombato ad Atene ed ha firmato 14 accordi bilaterali,  impegnandosi ad investire direttamente in Grecia per «miliardi di euro». I cantieri ellenici costruiranno sette navi da carichi secchi, con una  opzione per altre quattro, per il gigante dei trasporti COSCO (China Ocean Shipping Company). I cinesi sono interessati anche all’acquisto delle ferrovie greche, piene di debiti, e in via di privatizzazione (come impone il dogma liberista).

Perchè tanto interesse per ferrovie vecchie e disastrate? La risposta è nel fatto che da un anno la Cina sta espandendo i due più grossi terminali per containers al Pireo, di cui s’è aggiudicata l’affitto per 35 anni al prezzo di 3,4 miliardi di euro. Evidentemente, i cinesi vogliono fare della Grecia – col suo potente sistema portuale e cantieristico e la sua posizione nel Mediterraneo – la testa di ponte per la penetrazione delle loro merci in Europa (1). E lo fanno adesso, approfittando degli incentivi che il governo greco offre per attrarre investimenti esteri. Dunque con lo sconto. Uno sconto pagato, in parte, coi «salvataggi» malmostosi che gli altri europei hanno dovuto dare alla Grecia. Ma almeno, la Grecia avrà ferrovie nuove e porti più ampi e moderni, che le cure di austerità imposte dalla Merkel rendevano impossibili.

Evidentemente a Pechino ci sono degli strateghi. Ce ne fossero a Bruxelles, o a Francoforte!

E poichè siamo in tema di mot d’esprit, ecco l’ultimo: «Chi va in giro col paraocchi, sappia che morso, redini e frusta sono parte dell’attrezzatura».

 



1) I cinesi sono interessati anche ad ampliare il porto di Civitavecchia, con un terminale-Cina capace di accogliere navi di nuovo tipo da 12 mila containers, dotato di un vasto interporto nell’entroterra da due milioni di metri quadri, capace di coinvolgere anche il comune di Tarquinia; nel progetto c’è anche la rimessa in esercizio di linee ferrroviarie abbandonate (Civitavecchia-Orte) e uno scalo merci ferroviario collegato con la linea Roma-Pisa. E’ da vedere se gli accordi con la Grecia faranno decadere questo progetto, osteggiato dagli ecologisti e dalle lungaggini della burocrazia italiota.


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