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Origine degli ebrei
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Il lettore A. B. mi sollecita un commento a proposito di un testo, «La cospirazione di Tutankhamon», di Andrew Collins e Chris Ogilvie-Herard, che si riferisce a presunti documenti, trovati nella tomba di Tutankhamon e poi trafugati e che spiegherebbero l’origine egizia del monoteismo ebraico.

«Con l’avvento del faraone eretico Amenofi IV (rinominatosi Akhenaton), la minoranza Hyksos si convertì al culto monoteista di Aton, seguendo la sorte del suo breve regno. Cosa accadde dopo la caduta di Akhenaton ancora oggi non è chiaro, poiché i regnanti che gli succedettero ne cancellarono ogni traccia dalla storia.
L’esodo biblico appare quindi inequivocabilmente connesso alle vicende del faraone eretico Akhenaton (le uniche idonee a garantirne un fondamento storico), il quale instaurò una nuova fede monoteista dedita al culto dell’ineffabile Dio Aton».

Cosa commentare?
Anzitutto la storia è niente affatto nuova: è parso evidente a molti studiosi che il culto dell’unico dio solare promosso da Ahkenaton (padre di Tutankamon) abbia in qualche modo influenzato il monoteismo di Mosè.
E che costui fosse di cultura egizia lo suggerisce il suo nome, essendo la radice «- moses»
o «- mosis» molto presente in Egitto (Tutmosis, nome di faraone, ecc.).
In questo non c’è nulla di strano: l’Egitto era la potenza culturale più prestigiosa dell’epoca,
di grandissima influenza e autorità in ragione della sua stessa antichità.
L’intero Antico Testamento pare del resto un’eclettica compilazione di miti e leggende dell’area egizio-mesopotamica.

Il culto solare di Akhenaton (poi cancellato dai sacerdoti dei vari templi politeisti egizi, ostili a quel dio-concorrente che riduceva le offerte agli dei ippopotamo, falco, iena, scimmia, eccetera) aveva tuttavia una carattere che manca nel monoteismo ebraico: l’universalità.
Non dimentichiamo che il Dio ebraico è un dio nazionale esclusivo.
Resto inoltre alquanto scettico davanti a «rivelazioni» che sarebbero contenute in testi che ci assicurano esistere, ma che sono stati nascosti, e che dunque non si possono leggere: è il livello di scientificità di Dan Brown.
In attesa che questi documenti vengano fuori, mi attengo alle ricerche accuratissime dell’archeologo-capo di Israele, Israel Finkelstein.

Egli ha cercato per decenni le conferme del racconto biblico sul terreno, e non le ha trovate.
Ha trovato invece che: non ci fu alcun «esodo», e nessuna popolazione arrivò da fuori in Palestina;
gli «ebrei» furono popolazioni locali che si distinsero a poco a poco dai loro prossimi, abitanti negli stessi villaggi, adottando usi alimentari ebraici (smisero di mangiare carne di maiale, ad esempio), evidentemente per impulso religioso.
Finkelstein ha trovato che le città presuntuosamente «conquistate» dagli ebrei sotto il comando di Mosè, come Gerico, non esistevano nel periodo indicato come quello dell’Esodo.
Ha mostrato che era impossibile traversare il deserto del Sinai in un’epoca in cui non era stato ancora addomesticato il cammello: l’unica via di fuga dall’Egitto era la strada costiera lungo il Mediterraneo, presidiata da fortini egizi ogni paio di chilometri, e i cui comandanti annotavano regolarmente i passaggi di genti e di tribù che chiedevano di passare in Egitto.

Si dimentica troppo spesso che l’Egitto era uno Stato ben organizzato e con una burocrazia sviluppatissima e grafomane, che annotava tutto: e non annota, per esempio, la presenza ai suoi confini di un potente regno di Davide e di un ancora più fastoso regno di Salomone.
Se ci fossero stati, i faraoni avrebbero stretto rapporti, di alleanza o di ostilità, con essi.
Invece nulla.

Allo stato attuale, questi due «regni» (che avrebbero dominato una Israele unificata, le tribù del nord e quella del sud, di Giuda), vanno ritenuti una invenzione politico-propagandistica, elaborata 600 anni dopo dai sacerdoti del Tempio, quando sperarono di conquistare i ricchi territori del nord, «Israele» in senso proprio, abbandonati degli Assiri in decadenza.
Allora il giovane re Joshua, che salì al trono di Giuda all’età di 8 anni (dunque era nelle mani dei sacerdoti) fu esaltato come «il germoglio di Davide», il mitico unificatore del regno presunto antichissimo.
Sogno presto tramontato (Joshua fu sconfitto e ucciso dal faraone Necho II, figlio di Psammetico, nel 610 avanti Cristo), ma trasfigurato nell’attesa del «re discendente da Davide», l’unto che avrebbe liberato per sempre il suo popolo dai suoi oppressori.

Tutto questo racconta Finkelstein nel suo libro capitale, pubblicato anche in Italia: «Le tracce di Mosè» (Carocci editore), a cui rimando: è una lettura appassionante, e scientifica in senso proprio.
Il testo pubblicato da «luogocomune» presenta infine un’evidente falsità: dice che i falasha, gli ebrei etiopici, avrebbero abitato in Egitto sotto il monoteista Akhenaton, per poi tornare in Etiopia con un loro esodo.
In realtà, l’origine dei falasha è ben nota: si tratta di un gruppo cristiano copto molto isolato, che a poco a poco, a forza di leggere la Bibbia, si è auto-identificato con il «popolo eletto», ma senza alcun fondamento.
I rabbini lo sanno benissimo, tanto che hanno sottoposto i falasha, trasportati con gran grancassa mediatica dall’Etiopia, a rituali di conversione umilianti; e non accettano il loro sangue «impuro» per le trasfusioni a veri ebrei  di razza.

Per il momento, credo più al professor Finkelstein che al «segreto di Tutankamon»: pronto a correggermi, appena i documenti trafugati salteranno fuori.

 

 

 
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