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La Birmania: due campane
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RANGOON - Che cosa succede davvero in Birmania?
Lo chiede un lettore che «non si fida della stampa cartacea».
Ma su internet può trovare ciò che cerca, se gli piace.
Un Alessandro Lattanzio, che non conosco, ha sulla rete un Bollettino Aurora.
«Aurora», credo, in ricordo dell’incrociatore Aurora, che sparò il colpo contro il Palazzo d’Inverno che, nella iconografia mitologica comunista, diede inizio alla rivoluzione bolscevica.
Difatti Lattanzio fa un blog «internazionalista», dove difende tutti i regimi che si definiscono comunisti, quei pochi rimasti, e quali che siano.

Ecco cosa scrive:
«Il bersaglio reale è la politica di collaborazione strategico-economico tra Yangoon e Beihjing e NewDehli.
Difatti, intervengono così le agenzie ‘non-governative’:
- L’organizzazione statunitense Earth Rights International attacca il cruciale progetto di alcune multinazionali cinesi che vogliono costruire in Myanmar un oleo-gasdotto di 2.380 chilometri, che va dalla costa dell’Arakan alla provincia dello Yunnan in Cina.
Effettivamente la Cina ha bisogno di questa pipeline e di un porto vitale in Myanmar, necessario alla crescente importazione di petrolio e gas dal Medio Oriente, dall’Africa e dal Venezuela.
- Un altro motivo di intervento in Myanmar, da parte USA, è lo stretto legame, nel progetto di guerra elettronica avanzata,patrocinata dal leader della junta (il Consiglio per la Pace e lo Sviluppo - SPDC), lo specialista di guerra psicologica, generale Than Shwe.
Il progetto, da 1,5 miliardi di dollari, vede la collaborazione della Cina Popolare.
Una collaborazione Cina-Myanmar volta a controllare i movimenti delle guerriglia etnica in Myanmar; Karen, Chan, Wa e altri, che si spostano attraverso i confini con la Cina.
Inoltre, tale accordo comprende la sorveglianza strategica dell’area e del traffico navale nell’Oceano Indiano, soprattutto dei movimenti della flotta militare degli USA, senza menzionare il ruolo cruciale del traffico nello Stretto di Malacca.
Tali legami militari tra Beijng e Yangoon sono uno dei motivi dell’intervento USA, sotto le mentite spoglie dell’ennesima ‘rivoluzione’ colorata, entusiasticamente celebrata dagli ‘umanitaristi’ di casa nostra.
- Dall’altro lato, l’India ha stipulato un accordo con i generali della junta di Yangoon, riguardante lo sfruttamento del gas naturale; un altro accordo prevede l’investimento di 150 milioni di dollari per
lo sfruttamento del gas, nella zona occidentale del Myanmar.
- L’India è il quarto maggiore partner commerciale del Myanmar.
I governi di New Delhi e di Yangoon hanno fissato l’obiettivo di raggiungere un volume di scambi del valore di 1 miliardo di dollari tra i due Paesi nel 2006-07.
Vi è anche una crescente collaborazione militare tra i due Paesi, che è fortemente voluta dall’India che vuole agire contro alcuni gruppi di ribelli birmani che operano nell’India nord-orientale.
- La Campagna Britannica per la Birmania ha esortato i governi UE a fare pressione sul governo indiano perché metta fine alla sua collaborazione con Yangoon.
‘Questo deve essere fatto ai più alti livelli’.
- Saferworld, un gruppo di consulenza sulla risoluzione dei conflitti, ha pubblicato un rapporto all’inizio di luglio sulle vendite di armi al Myanmar, in cui si sottolinea che l’Unione Europea non applica il suo embargo.

Il dossier, che accusa la Francia e l’India, secondo cui i motori della Turbomeca sono destinati agli elicotteri indiani che, poi, vengono venduti al Myanmar.
- L’Ufficio Euro-Birmania di Bruxelles incita l’UE a persuadere l’India, la Cina e l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) ad adottare una posizione comune nell’opporsi agli abusi dei diritti umani in Myanmar.
E il suo direttore Harn Yawnghwe afferma: ‘Ci auguriamo che l’UE incoraggerà l’India ad unirsi agli altri Paesi vicini e alla comunità internazionale, per lavorare alle costruzione di una democrazia inclusiva in Birmania».
E termina con una frase rivelatrice dei veri scopi di tutto l’affaire: ‘Vorremmo vedere l’UE usare i propri mezzi per convincere il governo indiano che la sua campagna per supportare i generali birmani vendendo armi e collaborando nelle operazioni militari non porterà nessun beneficio».
- Non manca l’opera di delegittimazione degli esponenti del governo di Yangoon: la nota organizzazione gestita dalla CIA, Reporter senza Frontiere, ha descritto Than Shwe come un ‘notorio paranoico che si è mummificato nella nuova capitale, Naypyidaw, la costosa nuova capitale del Myanmar creata nel 2005’.

Mentre un’altra notoria organizzazione legata agli interessi USA, Transparency International,
ha definito il Myanmar, assieme alla Somalia, come il Paese più corrotto del mondo, nel suo indice del 2007.
Ovviamente si tratta delle trite e ritrite argomentazioni ‘umanitarie’, espresse da sospette organizzazioni ‘non-governative’, che hanno il solo scopo di preparare, nei confronti della nazione presa di mira, o un golpe eterodiretto o un intervento armato.
Il tutto, ripeto, con la piena e attiva complicità dei mezzi di propaganda e disinformazione strategica, delle organizzazioni ‘umanitarie’ fiancheggiatrici di ministeri, Stati Maggiori, agenzie d’intelligence e multinazionali finanziarie occidentali.
Memori delle precedenti esperienze, Mosca e Beijing hanno reagito prontamente, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ponendo il veto alla proposta degli USA d’imporre un ennesimo embargo strategicamente orientato.
Ciò può apportare un beneficio all’equilibrio mondiale.

Mosca e Beijing collaboreranno più strettamente a livello di politica internazionale; sostenendo, in
ambito ONU, ognuno le ragioni dell’altro, in relazione alle questioni che, man mano, l’Occidente e gli USA, soprattutto, cercano e cercheranno di sollevare: Sudan, Siria, Iran, Kosovo, ecc.
Inoltre, altro aspetto positivo della vicenda del Myanmar è che l’India, dopo le vaghe minacce brandite verso i suoi interessi economico-strategici, guarderà con maggiore prudenza e attenzione alle proposte di partnership con potenze occidentali, come nel caso del recente accordo per la collaborazione nucleare con gli USA».

Sono informazioni di cui non ho motivo di dubitare, tanto più che le strategie imperiali USA
(e la funzione delle loro ONG in queste strategie) è ben nota a conosciuta: «esportare la democrazia», interventi «umanitari», rivoluzioni «colorate» sono invariabilmente strumentali ad interessi loro.
Quanto a Pechino, fa in Myanmar quello che fa in Africa: offre ai più dementi dittatori infrastrutture, e in cambio prende materie prime, senza fare la lezione sui diritti umani, sapendo di non avere le carte in regola; in confronto a Bush e alla UE, almeno, in Cina conoscono il buon gusto.
E ciò aiuta il business.

A tali informazioni posso aggiungere che non solo la Francia e l’India violano l’embargo e forniscono armamenti alla giunta birmana, ma - come poteva mancare? - Israele.
La cui ditta d’armi «Elbit» ha modernizzato tre squadrigle di caccia F-7 (sono dei Mig-21 di fabbricazione cinese) per il regime del Myanmar, fornendoli dell’avionica avanzata, e di missili israeliani, fra cui i Raphael a infrarossi, bombe laser-guidate, e radar aria-aria israeliani Elta EL/M-2032.

Inoltre Israele ha rimodernato tre corvette, armate di missili OTO Melara da 76 mm - che secondo la rivista Jane’s l’Italia non ha venduto direttamente al regime, ma «attraverso una terza parte»: con il sospetto che la terza parte sia Israele, la quale ha adottato i missili nostrani e li ha «combat tested» sui suoi lanciamissili veloci Reshef.
Circostanza che Israele ha cercato di negare pietosamente (Haaretz, 29 settembre), smentita da Jane’s.
Dato a Bush quel che è di Bush e a Sion quel che è di Sion, non faremo della giunta birmana le vittime innocenti di una campagna orchestrata dai poteri forti.

Gira su internet il video delle nozze di una figlia di Than Shwe, il caporione del regime, dove la fortunata ragazza riceve una quantità di diamanti pari al suo peso.
Come ciò avvicini l’immancabile liberazione del proletariato dalle sue catene, piacerebbe sapere dal compagno Lattanzio.
Le notizie sulle personalità della giunta che conduce la Birmania al socialismo sono scarsissime. Ma tra quelle certe, ci sono i viaggi di queste avanguardie proletarie negli Stati Uniti per vorticosi giri di shopping, con incetta di tutte le merci di lusso introvabili a casa, fra cui spicca una preferenza per il Chivas Imperial in bottiglie numerate, e simili super-alcoolici di marca: come il «Caro Leader» che impera sulla fame nord-coreana; pare che  anche le elites combattenti per l’internazionalismo operaio dal ridotto birmano abbiano bisogno di quantità rilevanti di whisky invecchiato, da acquistare direttamente nei negozi del nemico di classe, roccaforte dello sfruttamento capitalista.

E’ per questo che gli USA vogliono applicare un embargo selettivo - anzi nominativo: niente visti ai capi proletari assetati, niente viaggi-shopping, niente Chivas, niente gioielli, gadget elettronici e scarpe italiane per le figlie.
Così il Capitale cerca di piegare le volontà d’acciaio di questo gruppo asceticamente votato alla causa proletaria, uscito da un esercito che da mezzo secolo, cioè dall’anno dell’indipendenza nel 1948,  si dedica a massacrare, nelle foreste, le numerose minoranze etniche che pretendono - serve degli sfruttatori internazionali - di essere politicamente rappresentate.
Vano proposito, essendo il Chivas (e gli altri piccoli piaceri) facilmente contrabbandabile da agenti infiltrati nel cuore del Nemico.
Però il Nemico ha usato questo fatto per diffondere calunnie allo scopo ingannare il proletariato mondiale e scuoterne la fiducia che non manca di tributare alla illuminata avanguardia birmana.

La verità è probabilmente quella che diceva una barzelletta rumena ai tempi di Ceausescu:
«Lo champagne è il vino che il popolo rumeno beve ogni giorno - tramite i suoi rappresentanti».
Ebbene, in Birmania i rappresentanti bevono Chivas per tutto il popolo buddhista, notoriamente astemio.
E’ un vero tour de force cui si costringe la elite, per attuare la democrazia sostanziale.
Than Shwe, anni 74, cresciuto nel reparto «guerra psicologica» di quell’esercito scalzo (mezzo milione di uomini mal addestrati, usati soprattutto in lavori pubblici come manodopera gratuita e nelle piazze contro i «nemici interni» e i «sabotatori» filo-capitalisti) appare, nel video matrimoniale, in abiti cerimoniali che paiono quelli del favoloso re del Siam, o dei precedenti re birmani, così soavemente crudeli (bella genìa anche quelli).

Questi democratici estremi si stanno facendo costruire in proprio onore degli stupas colossali e nuovissimi fra quelli antichi  che si ergono numerosi a Pagan, antica capitale dell’impero birmano (1044-1278): mausolei e memoriali delle loro glorie nella repressione dei sabotatori interni, in cui si faranno onorare da morti e che si elevano da vivi.
La dottrina materialistico-scientifica, l’ateismo dialettico, non trattiene costoro dall’aderire all’astrologia (gli oroscopi sono pubblicati regolarmente sulla stampa di regime), di consultare testi di predizioni in cifra, e di servire diverse superstizioni.
Il giornale ufficiale del partito, «Luce di Burma», di solito ha come sole notizie gli annunci delle cerimonie religiose nel linguaggio tradizionale buddhista.
I generali e gli ufficiali partecipano ostentatamente alla quotidiana presentazione delle offerte ai religiosi: è stato proprio il rifiuto di alcuni monaci di accettare i doni della giunta a scatenare, a quanto sembra, le ultime manifestazioni di Rangoon.

C’è da chiedersi quale corollario ignorato della dottrina scientifico-dialettica renda necessaria l’evoluzione dell’avanguardia proletaria, una volta  al potere, in semi-monarchie ereditarie e di culto divino, circondate di lusso, paranoidi e superstiziose.
Dev’esserci qualche passo nel testo di Marx che prevede e giustifica questo culto come parte ineliminabile del progresso della storia verso la società senza classi.

Dev’esserci - anche se non lo si è ancora trovato - perché così si sono compiuti praticamente tutti i «socialismi reali» che abbiamo conosciuto: dal culto di Stalin e Mao ad Henver Hoxha, da Fidel al «Caro Leader» della Nord-Corea, sboccano tutti invariabilmente così: nel culto della personalità, nell’invisibilità ieratica in palazzi regali usurpati, in cui tengono feste con mangiate e bevute colossali e peggio.
A spese di una popolazione che il dominio divino-socialista impoverisce (la Birmania era il primo esportatore di riso negli anni ‘60, ora è al razionamento), e che per tenere a freno le guide del proletariato devono ogni tanto far sparare, arrestare, torturare e scomparire, nonché infiltrare di spie e delatori.

Il compagno Lattanzio ci dovrebbe spiegare come mai ogni dittatura del proletariato deve senza sosta fare la guerra al proprio popolo, che  i dittatori proletari si sono dati il compito di liberare dalle catene del capitalismo sfruttatore.
O, in alternativa, come mai il regime birmano, coi suoi diamanti e Chivas in bottiglioni, resta per lui «comunista»,  e perché lo ritenga degno di difesa.
Ce lo dica, se può, con una certa urgenza.
Perché anche noi in Italia abbiamo al potere dei comunisti, convinti che il comunismo reale non abbia ancora potuto dimostrare i suoi benefici effetti, e che occorra lasciargli un’altra possibilità.

E già vediamo i segni aurorali della ineluttabile evoluzione del comunismo realizzato: le ville e gli sfarzosi appartamenti di Stato di Bertinotti, il panfilo di D’Alema, i lussi sfrenati della Casta progressista, la tendenziale ereditarietà delle cariche, su un popolo impoverito e tartassato, additato continuamente come infiltrato da «evasori fiscali» da epurare, in quanto sabotatori del progetto scientifico-dialettico nonché colpevoli unici del ritardato passaggio dal socialismo al comunismo libertario, con relativo deperimento dello Stato.

Qui, lo Stato non deperisce, deperiamo noi.
Non vorremmo che Diliberto cominciasse a costruirsi uno stupa, e Pecoraro Scanio un mausoleo nella Città Proibita.

 
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