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Les putaines de la république
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«La magistratura sta facendo politica».
Stavolta non lo dice Berlusconi.
Lo dice Claudio Velardi a proposito del rinvio a giudizio di Bassolino per truffa e falso nello scandalo-monnezza (1).
Claudio Velardi è assessore di Bassolino alla Regione Campania.
E’ stato uno dei più discutibili esponenti del D’Alemismo: è sua l’idea di introdurre in Italia il bingo - il gioco d’azzardo dei poveri - per finanziare il partito coi soldi presi ai pensionati travolti dal gioco, progetto che pare per fortuna fallito.
Fa insomma parte di quella sinistra che, quando a dire che la magistratura è politicizzata era Berlusconi, lo derideva, ed esprimeva il più alto rispetto verso i magistrati e i procuratori e la loro obbiettività.

Ora che l’accusato è quel comunista napoletoide con la faccia da pregiudicato, sicuro responsabile del disastro-monnezza, è quella sinistra a dire che la magistratura fa politica con le incriminazioni.
Il rinvio a giudizio di Bassolino ?
«E’ sospetta la velocità dell’azione della magistratura», dice Velardi.
Pare di sentire Berlusconi e i suoi avvocati: «Proprio sotto elezioni».
In realtà, a Napoli, la magistratura è stata cieca, per riguardo alla «sinistra» sgovernante, e si è mossa in ritardo: tant’è vero che il processo («Cento falconi», apprendiamo dai media) è minacciato dalla prescrizione.
Finirà in nulla, come tutti i giustizialismi rivolti a «sinistra».
Ma il punto è ovviamente: la magistratura «fa politica» sì o no?

Do la parola a una voce terza: un giornalista britannico, Tobias Jones, che vive a Parma da anni ed ha scritto un libro per spiegare agli inglesi cos’è l’Italia al di là degli stereotipi, sole, mare, pastasciutta e mandolino.
Il titolo: «The dark heart of Italy», «Il cuore oscuro dell’Italia» (2).
Tobias Jones parla per esperienza, avendo seguito l’ultimo processo di piazza Fontana, quello contro Delfo Zorzi.

Nella giustizia italiana, informa anzitutto Jones i suoi lettori inglesi, «non c’è habeas corpus [si può incarcerare uno a tempo indeterminato senza giudizio] e solo raramente c’è una giuria».
Poi: «Per il suo passo da lumaca e le sentenze contraddittorie, la giustizia italiana è stata messa nella lista nera di Amnesty International, e nel 1999 il Paese è stato in cima alla lista delle condanne da parte della Corte Europea per i diritti umani. La Corte Europea ha da trattare quasi 7 mila ricorsi contro sentenze italiane, oltre il 20% del suo lavoro totale».
Ancora: «L’ordine giudiziario è politicizzato ad un grado impensabile nelle altre democrazie moderne, sicchè la giustizia italiana somiglia spesso a una ‘giustizia rivoluzionaria’ alla maniera di Robespierre…Gli avversari politici sono sconfitti non nel dibattito ideologico ma da una incriminazione giunta a tempo debito, ciò che assoggetta l’avversario alle paludi del sistema giuridiziario, coi suoi tempi infiniti».

Il lettore italiota, ossia settario, concluderà subito che Jones sia un «berlusconiano».
Al contrario: il suo libro è soprattutto un atto d’accusa contro il patron di Mediaset.
Egli nota con disgusto britannico che, al processo contro Zorzi, «due dei parlamentari di Forza Italia avevano assunto la difesa degli imputati» nonostante «l’acuta delicatezza politica del processo».
Anzi, «uno degli avvocati inalberava orgoglioso il distintivo di Forza Italia nell’asola della giacca. Non c’è alcun senso di conflitto d’interesse, né del bisogno di tener separati ordine giudiziario e legislativo».
Poiché Delfo Zorzi era incriminato in base alle dichiarazioni di un pentito di nome Digilio, Jones deve spiegare ai lettori inglesi cos’è «il pentitismo», istituzione ovviamente solo italiota: è qualcosa «allowing criminals the opportunity to ‘repent’ and to point the fingers», ossia: a dei delinquenti viene offerta la possibilità di «pentirsi» se accusano altri.

In questo modo, dice Jones «nel momento in cui scrivo ci sono in Italia 1171 pentiti mantenuti dallo Stato, trasformati da malfattori a riveriti guardacaccia della giustizia», che «hanno prodotto molte condanne, ma alquanto vacillanti».
E fa il caso di Enzo Tortora, accusato da un pentito di spaccio di coca all’ingrosso.

Il risultato: nessuno in Italia «ha una gran fiducia nelle toghe».
Tanto i magistrati hanno abusato del loro potere di incriminare per settarismo, che «ciò spiega l’allegra noncuranza per i voluminosi precedenti penali che hanno molti politici. Se dici che in parlamento siedono troppi ‘inquisiti’ (in italiano nel testo), la gente per lo più alza le spalle e replica: si sono fatti nemici i magistrati, ecco tutto».
Ora, se la magistratura non fosse una Casta tra le altre, volta al proprio interesse corporativo, capirebbe almeno una cosa: che ha perso l’essenziale, la radice della sua autorevolezza.
Che può suscitar paura (specie negli onesti), ma non rispetto.
Tutta l’autorevolezza di un corpo giudiziario, tutto il suo onore e la sua forza, consiste in questo: nell’obbiettività delle sue sentenze.
Ogni minima lesione della obbiettività, ogni sospetto di lesione, riduce la magistratura a una parte in lotta con le altre, e la trascina nel fango.

Tobias Jones spiega la patologia specifica di questa non-rispettabilità: il processo a Delfo Zorzi, racconta, comprendeva «tonnellate di faldoni, solo per le fotocopie si sono spesi 16 milioni di lire. Un altro processo, in cui Giulio Andreotti, per sette volte capo di governo, è stato accusato di coinvolgimento nell’uccisione del giornalista Mino Pecorelli, ha raggiunto le 650 mila pagine di documenti».
Quando finalmente si stufa di seguire il processo di piazza Fontana, Jones dice: «Sto cominciando a capire perché i più gravi scandali, anche le stragi, sono in Italia ignorati. E’ troppo complicato scoprire la verità. Prende troppo tempo. C’è tanto gergo legale e tanta mistificazione, che è impossibile dire esplicitamente, e con concisione, che cosa è successo».
Anzi, questo ha fatto marcire ogni aspetto della vita pubblica, anche il giornalismo, perfino lo sport del calcio.
«Non c’è alcuna coscienza che esistono aree di obbiettività che debbono essere rispettate, sia dagli arbitri di calcio sia dall’informazione».
Ognuno legga dentro di sé, e riconoscerà che è vero.

Anzi, che anche ciascuno di noi personalmente non riconosce alcuna «area di obbiettività da rispettare», nessuno sa o vuole dire «concisamente ed esplicitamente, cosa è successo» né a Piazza Fontana né nei processi a Previti, né nello scandalo delle partite truccate, né in quello della monnezza.
Basta evocare questi temi, perché ciascuno di noi «prenda parte», si schieri in termini «politici» - o ciò che noi chiamiamo col nome «politica», e che invece è una malattia morale.
Ho sentito un’ ascoltatore di sinistra dire che lo scandalo monnezza è colpa di Berlusconi, è lui che bisogna inquisire.
Naturalmente, i berlusconiani difenderanno i conflitti d’interesse del Salame; con tanta più ragione apparente, in quanto - come spiega Jones ai britannici - in Italia «squadre di calcio e giornali» appartengono a «famiglie oligarchiche», fra cui gli Agnelli.
Una magistratura che colpisce solo Berlusconi e non Agnelli è dunque priva di autorità, è falsa e settaria.

Il risultato è che Velardi dice «La magistratura è politicizzata» e, pur dicendo la verità, non ha ragione, perché lo dice per difendere Bassolino, e per contrastare Berlusconi diceva il contrario.
E quando Berlusconi e i suoi avvocati dicono che la «magistratura è politicizzata» hanno torto pur avendo ragione.
Ora che «da destra» e da «sinistra» si dice che la magistratura è politicizzata, bisognerebbe perfino rallegrarsi: ecco almeno una verità condivisa, finalmente.

Invece, bisogna preoccuparsi: perché le due schiere possono coalizzarsi per rimettere i giudici al loro posto, ma solo perché entrambi hanno porcherie da nascondere e corrotti da proteggere.
Più probabilmente però le due parti, raggiunta la verità condivisa, non faranno nulla e lasceranno alla magistratura i suoi poteri abusivi: agli uni fa troppo comodo quando li usano (come le intercettazioni) contro l’altra parte, l’altra ha troppa coda di paglia per mettersi apertamente contro la cosca giudiziaria.
Non a caso, nel programma del Salame non si legge «separazione delle carriere».
Alla fin fine, è lui il miglior alleato della casta magistratuale.
In ogni caso, lo «spazio di obbiettività» necessario non sarà mai difeso da nessun potere.

Guardate, questo falsa profondamente tutto.
Ogni parola pubblica è menzogna, ogni faccia che ci guarda dai manifesti che affollano i muri in questo periodo pre-elettorale è ripugnante, ogni slogan suona come un vetro rotto e allega i denti. Ma fa marcire anche ciascuno di noi.
Tutti sappiamo che nessuna promessa verrà mantenuta, ogni slogan verrà tradito; ma la cosa peggiore  non è questa.
La cosa peggiore è che, come cittadini, approviamo la menzogna «della nostra parte», prontissimi ad accusare la menzogna della parte avversa.

La faccia della Santanchè sui manifesti, per La Destra, mi dice qualcosa di questo tempo marcio.
Su La Stampa (3), la signora dichiara: «Per fare carriera non sono mai scesa a compromessi, non ho mai ceduto: in altre parole, non l’ho mai data».
Come dire, «esplicitamente e concisamente», la verità?
Finirebbe in querela da parte della signora offesa che non l’ha mai data, e in nostra sicura condanna da parte della magistratura.
Asteniamoci.

Apprendo che la fanatica Fiamma Nirenstein viene candidata «in quota AN», non Forza Italia: splendida parabola, un partito si svuota del suo fascismo nazionale per accogliere una fascista israeliana del Likud.
Falsi e pure subalterni.
Ora sento dire che Ignazio La Russa vuole per sé il ministero della Giustizia: dopo la «mafia» di Ceppaloni, quella di Paternò.
Intanto, Veltroni compone le sue liste elettorali come se fosse il Presepio: qui metto una precaria, qui un operaio della Thyssen, là due omosessuali, poi una statale.
E la sinistra-sinistra, quella komunista dura e pura, ripropone al nostro voto Vladimir Luxuria. Insomma, a liste bloccate, abbiamo la scelta tra diverse «putaines», dei due anzi dei tre sessi.

Ma forse siamo putaines noi italiani tutti.
Putaines de la république.
O Rèpublique de putaines?



1) Amedeo La Mattina, «Velardi: la magistratura sta facendo politica», Stampa, 1 marzo 2008.
2) Tobias Jones, «The dark heart of Italy», Londra 2003.
3) «Santanchè: per la carriera mai stata con nessuno», Stampa, 1 marzo 2008.

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