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Oscar Giannino
Oscar Giannino e la «mano invisibile» del mercato
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«Segnalo a Luigi Copertino questo articolo di Giannino su ilsussidiario:

Giannino
: siamo troppo calvinistiper un mercato libero?

Sono molto curioso di un suo parere.

Cordiali saluti


Michele M
».


Quel che non mi convince, e non mi convincerà mai, in Giannino – che cattolico non mi sembra dichiararsi – e negli altri liberali è il loro strusciare, da qualche decennio, l’altare alla ricerca di non si sa quale legittimità da parte di una Chiesa, la cattolica, che per secoli, proprio loro, protestanti e liberali, hanno osteggiato come l’oscurantismo che si opponeva al progresso civile ed economico. Ora, essi, e con essi i catto-liberali alla Michael Novak, ci spiegano che no, non è così! Che in fondo quello scontro del passato è stato solo frutto di un equivoco.

Ora, però, al di là delle chiacchiere, allo scrivente, cui piace rimanere ai fatti, non pare affatto che Cattolicesimo e liberalismo possano andare d’accordo – magari convivere coattamente forse sì! – per il semplice fatto che gli obiettivi del primo sono antitetici a quelli, esclusivamente mondani, del secondo.

Detto questo, Giannino può dire fin che vuole che Adam Smith, nella sua opera, ha usato una sola volta l’espressione mano invisibile e che egli scriveva di delicati sentimenti d’altruismo come motore del mercato. I fatti, ossia la realtà – basta guardarsi attorno – e la storia della nascita e dello sviluppo del capitalismo liberale di tipo anglosassone, poi diventato globale, testimoniano il contrario.

La mano invisibile, che è concetto che nasconde radici «magico-gnostiche» e che equivale concettualmente allo spontaneismo sociale sul quale Marx (anche lui ferocemente antistatalista!) fondava la società autogestionaria, senza Stato e senza Dio, del socialismo compiuto, è esattamente l’idolo, il «credo» profondo, del liberismo.

E’ vero che i liberisti affermano che per poter efficacemente svolgere la propria benefica azione la mano invisibile deve essere lasciata libera di agire e che dunque lo Stato serve solo, come un gerdarme, per porre, e far rispettare, le regole («rule of law») – poche e semplici – necessarie all’agire spontaneo del mercato: come l’eliminazione di vincoli e barriere al libero scambio e di protezioni dalla concorrenza assoluta. Ma essi, poste quelle poche regole, negano recisamente che la mano invisibile possa fallire nel suo spontaneo ruolo di redistributore di ricchezza (i poveri sono tali per colpa loro, perché non si danno abbastanza da fare). Insomma, essi fanno metafisica del mercato, assegnando al loro idolo poteri divini, e promettendo la pace ed il benessere globali, esattamente come i marxisti divinizzavano il partito rivoluzionario.

Se Giannino conoscesse un po’ di storia delle idee teologiche e filosofiche saprebbe che dietro  l’egoismo virtuoso di Adam Smith (che, questo e non altro è, o se si vuole a questo e non ad altro conduce, il «delicato» moralismo sentimentale smithiano, checché ne pensi Giannino) – concetto, quello dell’egoismo virtuoso, che Smith ha desunto dal Mandeville e dalla sua favola delle api –, si nasconde lo stesso errore teologico, «gnostico», introdotto da Lutero quando esaltava il peccato salutare ossia il peccato, cui per l’antropologia luterana l’uomo è irrimediabilmente determinato, che però salva: simul iustus, simul peccator o ancora pecca fortiter, sed fortius credat. Il che  tradotto nei termini filosofico-economici di Mandeville e di Adam Smith significa questo: è l’egoismo, l’utile tornaconto, a far muovere tutto, non solo l’economia, ma proprio per questo, tale egoismo, lungi dall’essere negativo, è «virtuoso», ossia «salvifico», in quanto assicura, in virtù dell’agire della mano invisibile, il benessere generale. Appunto: «il peccato salutare», il peccato luteranamente inevitabile che però è mezzo, e fonte, di salvezza.

Sempre se conoscesse un po’ la storia del pensiero teologico, Giannino saprebbe che Calvino assegna al rigore professionale il ruolo di segno della predestinazione divina. Se sei bravo professionalmente non solo la ricchezza che te ne viene è meritoria ma essa è il segno che sei predestinato alla salvezza. Dietro questa visione vi è il predestinazionismo già presente in Lutero: alcuni nascono per essere salvati, altri nascono per essere condannati. Solo che per Lutero, il quale aveva una visione orrifica di Dio – un Dio che salva arbitrariamente solo chi egli vuole mediante una sorta di «decreto giuridico» ed indipendentemente dalla trasformazione per Grazia del cuore, della quale per la fede cattolica le opere di misericordia sono segno esteriore – non vi era nessuna certezza per nessuno di essere tra i predestinati.

Calvino, per calmare un po’ la disperazione dell’uomo luterano, si è inventata la ricchezza ed il rigore professionale come segni di predestinazione. Ottenendo però solo il risultato di costringere ancor di più l’uomo a tener la testa bassa, verso il mondo. Infatti il suo è un «ascetismo intramondano» che condanna l’uomo ad una vita da un lato austera – poi per reazione arriva il permissivismo morale – e dall’altro dedita solo al lavoro, per impedire che con la povertà si scopra di essere stati dannati dalla volontà imperscrutabile di un Dio senza misericordia. Perché il dramma luterano-calvinista è esattamente questo: i meno bravi (per restare all’espressione di Giannino che ci dice che il liberismo non vuole la sopraffazione del più forte ma solo il riconoscimento del più «bravo»), i meno dotati, i meno capaci, i poveri, altro non sono che i predestinati alla condanna eterna. Prima sulla terra, nella sofferenza e nel disprezzo sociale, poi nell’aldilà nell’inferno. Se questo è «cristianesimo» – e non gnosi luciferina –, allora lo scrivente non ha capito nulla del Cristianesimo!

I catto-liberali, seguendo la lezione di Novak, oggi affermano che il vecchio Max Weber, che individuava nell’etica calvinista la matrice del capitalismo liberale, sia ormai superato, perché quella radice invece sta nel benedettismo e nell’etica economica, cattolica, medioevale.

Ora, però, con troppa faciloneria si è gettato alle ortiche il vecchio Weber, perché in realtà, se il capitalismo si è diversamente sviluppato e modulato nel mondo anglosassone e protestante rispetto all’Europa  che, per quanto vittima delle ideologie di matrice giacobina, è rimasta più influenzata dal Cattolicesimo (l’economia sociale di mercato, il cosiddetto modello renano, nasce nella cattolica Baviera), una ragione storico-teologica vi sarà pure. Ed è esattamente quel che sfugge al Novak (a suo tempo, negli anni ‘60, cattolico progressista) e soci.

Per questi motivi lo scrivente non guarda con simpatia, ma anzi con preoccupazione, alle sirene liberali e catto-liberali che da diverso tempo stanno facendo «strage», in senso culturale, tra i cattolici, in particolare tra quelli di «destra».

Quanto male, alle anime, stanno facendo certuni – come coloro che gestiscono il sito Il Sussidiario – che si prestano a fare da megafono al teo-neo-conservatorismo ed al liberalismo cattolicheggiante!

Luigi Copertino


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