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Annuncio di depressione profonda
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Il commercio mondiale di beni si è ridotto quasi a nulla. Nei tre mesi da novembre a gennaio è cresciuto di un esangue 0,2%. Per confronto: nel trimestre precedente, chiuso ad ottobre 2007, la crescita era stata del 6,9% (1). Lo scambio di beni mondiale era arrivato a crescere del 9,7% nel novembre 2006, quando sia USA che Cina erano in pieno boom. I dati sono forniti dal Bureau for Economic Policy Analysis, un ente olandese che è controllato dal Fondo Monetario.

Essi dicono parecchie cose: primo, che l’economia reale era in recessione mesi prima che le Borse cadessero e le banche d’affari cominciassero a non farsi più prestiti a vicenda, sospettando i reciproci titanici buchi da subprime. Accadde lo stesso anche nel ‘29, quando la Borsa continuò a salire mentre i trasporti ferroviari in USA (di merci) erano già calati quasi a zero. Stavolta, tra novembre 2007 e gennaio 2008, si è visto che sia USA che Europa avevano già ridotto le importazioni.

La riduzione dei commerci parla di restrizione del credito, riduzione dell’attività industriale e dei consumi, rincari dei carburanti tali da rendere non convenienti i trasporti internazionali. I segni di un’economia reale in via di sprofondare nella depressione.

Può esserne una conferma anche il repentino calo delle materie prime, che negli ultimi due mesi avevano conosciuto rincari irrealistici, sia come beni-rifugio sia perché se n’era impadronita la speculazione, che aspettava ulteriori rincari per il ribasso del dollaro: Goldman Sachs «prevedeva» il greggio a 150 dollari, e i contratti futures si adeguavano. Oggi il petrolio è calato del 10% in soli quattro giorni, attestandosi sui 100 dollari a barile dopo aver sfiorato anche i 112.

L’oro è calato da 1.030 dollari l’oncia a 984. Il grano è precipitato del 15%. Le altre materie prime, in media, del 7%. Le analisi parlano di speculatori che hanno comprato a credito queste materie prime in vista di rialzi ulteriori, e che hanno dovuto smobilitare le posizioni per fare liquidità e pagare i debiti, conseguenza della restrizione del credito.

Ma è più che possibile che abbia manipolato i prezzi un intervento del Plunge Protection Team, il consesso riservato capeggiato dalla FED e dal Tesoro USA con vari grandi banche, il cui scopo è intervenire quando la borsa va a capofitto (plunge). Stavolta può aver preso posizioni sui futures delle materie prime in modo da farle calare e bastonare gli speculatori che puntano all’apocalisse finanziaria.

In tal modo, la discesa delle materie prime dà ragione alla strategia di Bernanke: che ha iniettato 400 miliardi di dollari nel sistema finanziario - misura iper-inflazionistica - nel calcolo implicito che non c’è da preoccuparsi dell’inflazione, perché la recessione reale avrebbe congelato i prezzi (deflazione) per la frenata dei consumi e della produzione e trasporti mondiali. La manipolazione deve aver colpito specialmente l’oro, a cui i piccoli investitori sono ricorsi come bene rifugio.

«L’attrazione dell’oro come bene rifugio», ha dichiarato infatti Julian Jessop, capo economista della Capital Economics, «è stata sicuramente indebolita presso i piccoli risparmiatori, che l’hanno visto perdere il 10% del valore in soli due giorni». Frase che rivela l’intento punitivo: via i piccoli che credono di godere nella tempesta, solo i grandi speculatori meritano i salvataggi della Banca Centrale. Soprattutto, l’oro non deve tornare a fare concorrenza alla moneta di carta ed elettronica, creata dal nulla.

Ma c’è anche un altro motivo. Per esempio la domanda fondamentale per cui l’oro è richiesto (gioielleria in India e Cina, apparati dentari) si riduce drasticamente quando l’oro sale a 1.000 all’oncia. Così per il petrolio: a gennaio, in USA, i consumatori hanno ridotto il consumo di carburante del 2,4%. Anche le cicale diventano formiche.

In ogni caso, Bloomberg esulta: «Il crollo delle materia prime, il più grande del cinquantennio, segnala che Bernanke ha ricostituito la fiducia nelle ditte finanziarie USA». E’ l’aria di disperata speranza che si vide anche nel ‘29: con la Borsa che crollava e poi tornava su in disperate «gyrations», e tutti i giornali dicevano che la crisi era passata.

Poi cadeva di nuovo… perché questi alti e bassi sono tipici dell’innesco iniziale delle depressioni, e ben spiegabili:  c’è chi compra «short» (allo scoperto) e per paura (perché non ha più profondità finanziaria) si ritira al primo tremore; e appena la Borsa risale, gli speculatori  in bancarotta si precipitano a prendere beneficio per recuperare le perdite, e fanno ricrollare i corsi; quando i corsi sono nell’abisso, c’è chi comincia a comprare sperando di rifarsi, come al tavolo verde.

Ma la Grande Depressione, già dal ‘29, non dipese più dalle avventure azionarie; dipese dal fatto che cominciarono a fallire le banche, oltre 4 mila, nel 1929-31. Qualunque cosa facesse la Borsa in su e in giù (2). Fiducia nelle finanziarie americane ricostituita?

Oggi i finanzieri si aggrappano alle speranze più assurde, proprio come nel ‘29: Wall Street ha esultato quando Goldman Sachs ha annunciato una riduzione dei profitti del 53%, perché erano «meno del previsto». Chi si contenta gode.

Così, la caduta delle materie prime si spiega in parte col fatto che Bernanke non ha tagliato ulteriormente i tassi come s’attendeva il mercato, e così il dollaro ha rallentato la sua caduta, mentre chi specula sulle commodity contava sulla caduta del dollaro nell’abisso. E i giornali titolano: «Il dollaro si rafforza». Che pare un po’ esagerato.

Invece che le gyrations e le convulsioni dei titoli e delle materie prime, conviene guardare a quel che fa il consumatore americano, quello che ha tenuto su (a credito) il miracolo economico del capitalismo terminale globale. Si scopre che, ancora a gennaio, ha aumentato la sua richiesta di prestiti, del 3,3%. Con questo, ha speso 6,9 miliardi di dollari in più che il mese precedente. Ma non ha comprato più merci, più carabattole made in China, più benzina.

Anzi al contrario «la spesa è rimasta piatta per il secondo mese a gennaio», dice la FED. Insomma, gli americani hanno speso di più per comprare meno. Si sono indebitati di più, hanno gettato 6,9 miliardi di dollari un più, per una diminuita quantità di beni e servizi. Ciò significa che l’inflazione infuria per loro (come per noi poveri cittadini), mentre le materie prime sarebbero in deflazione.

Sono i consumatori che qui dicono la verità: l’economia è in recessione, perché non possono indebitarsi di più: i salari diminuiscono come i posti di lavoro. Ora cominceranno a spendere meno, e compreranno meno ancora. Perché le materie prime sono ancora carissime.

Il petrolio sceso da 108 a 100 non è più, comunque, a portata dei consumatori. Esattamente come l’oro a mille dollari l’oncia disaffeziona gli indiani che volevano comprare il braccialetto per la signora. Le materie prime non sono più, probabilmente, alla portata di molte industrie nell’economia reale. Le compagnie aeree segnalano perdite da rincari del carburante. Ma non per gli speculatori.

«Ci sono molti money-manager e investitori che hanno perso il treno rialzista dell’oro nei mesi precedenti, ed aspettavano una correzione del mercato per saltare su», dice Kenneth Gerbino, un operatore di metalli preziosi: «Ora, con l’oro sotto i 950 dollari e l’argento sotto i 19, la correzione è arrivata».

Ora salteranno sul treno, i grandi disperati, a comprare a credito, e faranno risalire le quotazioni: c’è chi si aspetta l’oro a 110, l’argento a 26, il greggio a 105. Sono solo gyrations, convulsioni, alti e bassi da grande depressione, cosa da finanzieri.

In USA, la gente reale abbandona le case che non può pagare. Abbandona i lontani «suburbia» di lusso, quelli con le villette e i giardinetti, per appartamenti  d’affitto vicino al centro, da dove si può andare al lavoro in bicicletta. Le tendopoli dei borghesi senza-tetto si ampliano; non sono solo quelli che si sono visti sequestrare la casa gravata da mutuo, ma quelli che l’hanno restituita perché il valore della casa è sceso sotto il costo del mutuo.

Perché, sotto le convulsioni finanziarie, i veri problemi non sono stati risolti: l’insolvenza delle banche, la crisi dei suprime, la stretta del credito, i rincari del cibo e del gasolio, quelli contano. Tornerà presto conveniente mangiare cose prodotte vicino a casa, in una autarchia necessaria; forse occorreranno le tessere annonarie, o i sussidi alimentari ai poveri di cui parla Tremonti.

 


1) Alan Beattien, «World trade decelerates almost to standstill», Financial Times, 19 marzo 2008.
2) Paul Krugman, «Partying like it's 1929», New York Times, 21 marzo 2008.


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