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L’inganno del rialzo delle Borse
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Un blogger italiano ha coniato nel 2009 un’espressione che ritengo molto efficace per descrivere l’andamento dei mercati finanziari: Toro Drogato.

La droga è costituita dall’insieme delle misure, prese principalmente dal governo USA ed in seguito dalle Banche Centrali di tutto il mondo, per cercare di sostenere a qualunque costo l’attività dei banchieri-sciacalli (mi scuso con gli sciacalli e anche con le iene) di Wall Street e dintorni. Oltre alle massicce iniezioni di liquidità, per usare un eufemismo, nel sistema bancario, una delle droghe distribuita a piene mani dai vari establishment politici e finanziari è stata quella della disinformazione. Questa è ovviamente molto più subdola e più difficilmente verificabile di quanto sia calcolare la quantità di moneta stampata.

Avete presente quei film, di solito interpretati da Schwarzenegger o da Stallone, dove prendono l’eroe e gli fanno litri di endovene di miscugli vari per rintontirli e farli parlare?

Bene questo è ciò che succede con l’informazione nei confronti della popolazione. Sperando però che un giorno o l’altro ci sia il lieto fine come in quelle pellicole. Fuor di metafora, torniamo all’attualità e facciamo un po’ di esempi.

Grande euforia martedì 1 settembre per un meraviglioso dato dell’indice manifatturiero americano (ISM) che in agosto batte le attese, cioè il consenso espresso da economisti, analisti e papaveri universitari.

Su questo aspetto due brevi precisazioni da tenere sempre presenti:

a
. in un modo o nell’altro questi personaggi sono per la maggior parte collusi con il sistema, di conseguenza,

b
. secondo le necessità si fanno stime più alte o più basse per poi rimanerne sorpresi quando i dati si muovono in senso difforme dalle previsioni.

Tenendo presente a. e b. ecco che risultano molto più chiari i disallineamenti tra i dati che si vogliono far emergere ed altri, altrettanto importanti, che invece bisogna andarsi a cercare con il lanternino perché dicono il contrario del consenso generale.

Perché le Borse sono cresciute del 3% (!!!) quando nello stesso report si dice che i nuovi ordini sono calati dello 0,4% in un’economia già asfittica? Cosa c’è da rallegrarsi tanto? Ma la vera domanda è soprattutto un’altra: come è possibile che questo benedetto indice cresca così clamorosamente quando quelli disaggregati con cui viene formato quello finale sono tutti in diminuzione?

Di fronte a queste reazioni mi pare che il parco buoi sia quello degli investitori professionali e non certo quello dei privati che si stanno ancora leccando le ferite del 2007 e del 2008.

Il giorno prima era uscito un altro dato certamente più significativo e cioè il dato rivisto del GDP (il nostro PIL) del secondo trimestre corretto, come spesso succede da un paio d’anni, al ribasso dal 2,4% all’1,6%; e non è finita qui perché il dato definitivo, quello vero, verrà pubblicato alla fine di questo mese.

Allora quale è il giochetto ormai non più tanto nascosto?

Qualunque dato sensibile agli umori delle Borse viene presentato come ottimo nel momento in cui ha la maggiore risonanza, per essere poi rivisto in uno mediocre o addirittura brutto nei momenti in cui su questo dato c’è meno attenzione.

Un altro esempio? In contemporanea al dato ISM è uscito quello sui risultati delle maggiori banche americane: un esplosione di utili. Quindi il sistema bancario è sano, ha ricominciato a viaggiare sui binari corretti. Niente di meno vero. I grandi risultati sono stati ottenuti riducendo in modo drastico gli accantonamenti per perdite su crediti incagliati o inesigibili. Le grandi banche nel primo trimestre hanno diminuito queste partite da $ 51,3 a $ 41,1 miliardi. Questa è un’operazione lecita se il quadro della qualità del credito è in miglioramento, ma non è così, anzi è peggiorata. Dagli ultimi dati del Federal Deposit Insurance Corporation (organismo governativo) si può notare infatti che una banca su tre è in difficoltà e che l’attività di prestito è ulteriormente diminuita del 1,4% anno su anno. In compenso le tasse sui redditi personali sono aumentate dell’1,6%.

Siamo ancora in pieno credit crunch, ma le Borse sembrano non accorgersene.

Tutta la cosiddetta informazione, sostenuta da autorevoli commentatori ed analisti, continua a disegnare un quadro economico ottimisticamente sano, ma in realtà malato di schizofrenia dove i comportamenti vanno in direzione contraria a quella dei dati reali.

La collusione di cui ho parlato sopra è data dal fatto che questi personaggi continuano ad avallare come validi metodi di analisi e di valutazione che hanno dimostrato la loro inefficacia e la loro pericolosità.

Un esempio per tutti: il VAR o Value At Risk, una metodologia universalmente accetta per valutare il rischio di un investimento su un dato arco temporale, metodologia clamorosamente fallita dal 2008, ma che viene tuttora spacciata agli investitori come sistema oggettivo di controllo del rischio.

Tutto il sistema accademico si regge sul consenso corporativo a questi metodi: se dissenti non farai mai parte dell’élite, della crème, insomma non farai mai carriera. Invece qualche marginale critica e proposta di parziale revisione di questo o quel parametro sarà accettata come dimostrazione di genialità, capacità di analisi e di indipendenza, purché tutto rimanga come prima. Tant’è che dopo aver sistematicamente sbagliato le previsioni stanno ancora tutti al loro posto. Come dice Nicholas Taleb: non si dovrebbe mai dare in mano un nuovo scuolabus a chi lo ha distrutto perché guidava con gli occhi bendati.

Dal mondo accademico questo sistema perverso si dirama nelle banche, nei consigli di amministrazione e soprattutto nelle reti commerciali di banche ed assicurazioni grazie ad un esercito di automi conniventi che non trovano utile fare la fatica di porsi delle domande di tipo etico anche solo in senso laico e civile.

Ciò detto, se aggiungiamo a quanto sopra che il mercato immobiliare americano, il volano di tutta l’attività economica, al di là di ogni possibile manipolazione dei dati continua a mandare segnali non di debolezza, ma addirittura di pericolo, qual è il trappolone che ci stanno preparando?







Ed ora passiamo all’Europa perché anche qui non ci facciamo mancare dei begli esempi.

Monsieur Trichet nel suo discorso del 29 agosto ha prospettato tre possibili soluzioni per uscire dallo spaventoso abisso dei debiti pubblici:

1
. Inflazione, con conseguenze disastrose e perdita di credibilità dei banchieri (ma come fanno ad averne ancora? Perché la gente crede ancora ai banchieri? Ndr).

2
. Convivere con il debito stile giapponese (rapporto debito/PIL previsto a fine 2010 al 227%).

3
. Uscire dal debito attraverso la crescita economica, la soluzione auspicabile.

Egli fa notare come già in passato giganteschi debiti pubblici in Europa siano stati riassorbiti e come questa sia dunque un’uscita possibile. Attualmente la media del rapporto debito/PIL in Europa e di circa il 90%; bisogna dunque abbattere questo rapporto di un 30% per rientrare nei famigerati criteri di Maastricht. Le esperienze dell’Inghilterra nel dopoguerra o del Belgio tra il 1994 e il 2007 (da 134% a 84%) dell’Irlanda in un periodo analogo (-69%) sembrerebbero, secondo Trichet, deporre a favore della percorribilità di questa strada. Ma Monsieur BCE non vuole evidentemente fare i conti con la storia e con l’attualità.

In quei periodi infatti le condizioni economiche generali erano di tutt’altra fatta: nel dopoguerra era necessaria una massiccia opera di ricostruzione che generava un’enorme crescita economica; nella metà degli anni ‘90 e fino al 2007 la crescita media del PIL europeo era del 4%, gli indici azionari si erano triplicati, i prezzi degli immobili continuavano a salire, le economie erano in pieno boom, l’inflazione moderata e il clima sociale era stabile ed ottimista, condizioni ideali per consolidare le politiche fiscali.

Oggi di tutti questi elementi non se ne salva nemmeno uno, anzi per parecchi Stati europei il costo dell’approvvigionamento è diventato enormemente oneroso. Grecia e Irlanda rinnovano il loro debito a costi di interesse che superano il loro PIL. Di conseguenza i mercati obbligazionari di questi Stati, con l’aggiunta di Italia e Spagna, saranno estremamente critici e con loro i sistemi bancari non solo di tutta Europa, ma dell’intero mercato finanziario.

Dobbiamo solo sperare che Trichet ci abbia visto giusto, ma credo, purtroppo, che sarà solo questione di tempo perché il mercato dei debiti sovrani gli dia torto.

In conclusione non è solo la notizia che conta, ma soprattutto il modo e la risonanza con cui viene presentata; ed in campo economico-finanziario la possibilità di dire mezze verità o intere bugie è molto più ampia data la grande complessità della materia.

Giovanni Sicola



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