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Un tempio massonico a San Pio da Pietrelcina
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Sin dalla sua apertura al culto la «Nuova Chiesa» di San Giovanni Rotondo dedicata a San Pio non ha mancato di suscitare numerose perplessità nella comunità cristiana.
Perplessità, dubbi, avversioni rivolte a taluni aspetti architettonici e strutturali del luogo di culto che idealmente dovrebbe trasformarsi in un santuario per il Santo stigmatizzato, ospitando anche la sua tomba.
Le numerose perplessità di fedeli colti e maturi nella conoscenza del sacro, possono essere suddivise in due ordini di giudizi.
Uno di carattere istintivo ed irrazionale, un altro, invece, comprovato dai fatti, ovvero sperimentato e raffinato nel confronto fra il piano progettuale dell’edificio, le sue misure i suoi simboli ed i contesti anticristiani ed anti-cattolici nei quali queste misure, questi simboli hanno un ruolo ed un’importanza precipua.
Non è d’altra parte da sottovalutare o da respingere neppure il primo ordine di giudizio, quello istintivo, quasi inconscio, del fedele che entrando nel tempio, non riesce a riconoscerlo come una vera chiesa, ma vi scorge l’assenza dei connotati tipici del luogo di culto cristiano, occultati e camuffati da altre simbologie aliene dal cristianesimo e profondamente incoerenti con una chiesa.
E’ proprio da questa «impressione» riscontrata in maniera quasi oggettiva in numerosi fedeli privi di pregiudizio ed esperienza nel riconoscimento delle simbologie anticristiane, non collegati fra di loro e di differente estrazione sociale e culturale, ma accomunati dalle medesime reazioni alla vista del nuovo santuario, che sarebbe opportuno partire nella nostra analisi.

Anzitutto il fedele non percepisce un orientamento coerente della chiesa.
Il viale che conduce al santuario non corrisponde infatti con l’ingresso della chiesa stessa.
L’ingresso è invece sul «retro» del santuario e già questo disorientamento è caratteristico di un luogo che induce il fedele ad attraversarlo in maniera nuova ed inusuale, a mo’ di «percorso» di iniziazione.
Eccolo dinanzi al portale, che rappresenta due colonne sormontate da volti umani, colonne misteriose che lo accolgono, piene di simboli inintelligibili.
Superato l’ingresso il fedele si ritrova in una chiesa sui generis, che riduce la sua attenzione sì all’altare, ma nella quale manca ancora una volta il riferimento principale, il Centro.
Il fedele è costretto a cercarlo prima con curiosità, poi con sempre maggiore preoccupazione e con un crescente senso di scandalo.
Una chiesa senza il Tabernacolo non è più una chiesa.
O meglio è un luogo di culto non orientato a Cristo.
Al suo posto si nota un altare dalla forma strana ed esoterica: una piramide rovesciata con il culmine al di sotto dell’altare.
Alzando gli occhi, si resta ancor più colpiti da un’astratta immagine del Signore.
Pur essendo l’arte libera e non criticabile nella sua pura dimensione creativa, tuttavia, sotto il profilo del sacro, la prima domanda che colpisce il cristiano è: «Può il Signore Nostro che si è fatto uomo per incontrare la Sua creatura e salvarla dal peccato essere rappresentato come un informe ammasso di ferraglia, un groviglio senza volto, un’astrazione rispetto alla concreta realtà di Cristo?».

Volgendo poi lo sguardo all’immensa vetrata se dapprima stupisce il grandioso affresco apocalittico, quasi emergesse da un manoscritto medievale, o da un incunabolo del primo Rinascimento, d’improvviso il volto contemplante si irrigidisce dinanzi ad un altro scandalo che si apprende inconsciamente, che si fa strada silenziosamente nella mente: non la Gerusalemme Celeste, non Cristo Giudice finale, non il Messia nel suo secondo avvento è il centro di quell’affresco sui tempi ultimi, bensì il drago rosso con le sue sette teste che pare si vogliano allungare fino ad assorbire la scena, sino a trasformarsi in quegli archi di pietra che mirano all’altare.
Il drago è il centro di quella visione apocalittica ed egli si erge al di sopra della stessa Gerusalemme Celeste.
Il messaggio sembra essere quindi: «La battaglia, al di là del suo esito, rende onore al drago, il liberatore, il vero difensore dell’uomo, che pur se non trionferà su Dio resta per l’uomo esempio di pia libertà, di vera gloria, di autentica purezza!».
Così lo sguardo ritorna mesto al suolo e sui banchi il fedele cerca di ritrovare il Signore che sembra assente.
Ma anche questo momento di preghiera non gli è concesso!
In questa chiesa infatti non ci sono inginocchiatoi.
Solo panche e nuda pietra al suolo.
In alto invece il blu, che si fa poi azzurro, puntellato di linee spezzate di colori luminosi è la tonalità della volta, o almeno dell’incipit della volta che ricopre lo pseudo-abside su retro dell’altare.

Allorché il visitatore scopre la presenza al di là dell’altare di un corridoio, oltre il quale vi è l’accesso alla cosiddetta «Cappella dell’Adorazione» è tentato di entrarvi, ma ormai con sospetto e sfiducia verso un luogo sacro bizzarro e deludente.
All’ingresso resta interdetto dinanzi ad un’enorme stele di pietra nera.
Nessuna croce adorna quella pietra: è una sorta di totem dedicato ad un Dio oscuro, nascosto e senza volto.
Il netto contrario del Dio cristiano.
La delusione cresce ancora.
Il percorso non è completo… normalmente dovrebbe proseguire nell’abisso della cripta, dovrebbe essere un ritorno al centro della terra, nel luogo dell’iniziazione finale, alla scoperta della vera ricchezza, uno sprofondamento verso il punto indicato dal vertice dell’altare piramidale, alla ricerca della verità, dell’uomo che possiede la chiave per riprodurre il creato, per trasformare la pietra in oro, per ottenere l’eterna giovinezza.
Quella sapienza mistica è indicata oggi da un vuoto.
Ma quel vuoto è destinato ad essere riempito dai resti mortali del Santo Padre Pio.
A questo punto la struttura dell’iniziazione è al suo culmine.
Il fedele è preso per mano fino ad esser condotto alla conoscenza di un uomo santo ma in un’altra accezione del termine.

San Pio è trasformato in un «grande iniziato» in colui che è stato in grado di accedere ai misteri del G.A.D.U. il Grande Architetto dell’Universo.
Padre Pio che comandava ai demoni, che guariva i malati, che prevedeva il futuro, che si presentava in bilocazione ai suoi fedeli, che amministrava enormi ricchezze derivate dalle donazioni dei fedeli, quest’uomo santo è interpretato come uno dei rari possessori della chiave divina.
Il mistico di Cristo è vestito da iniziato di Lucifero e dunque altissimo maestro nella scienza del G.A.D.U.
La missione anticristiana e pervertitrice della fede è a questo punto espressa con una chiarezza cristallina e minacciosa al contempo.
L’ultimo blocco della chiesa non è stato ancora deposto nel vertice angolare della cripta.
Quel blocco è la tomba del Padre.
Finora la chiesa è come un ingranaggio spento.
Si può ammirare la tecnologia, l’arte, la perfezione delle forme, ma il suo messaggio è incompiuto, perché l’iniziazione non può essere conclusa per ogni fedele con la discesa alla tomba del Santo. Dunque questo meccanismo immobile è soltanto ora in grado di mostrare i propri limiti, la propria simbologia occulta, il proprio senso anticristiano, può solo ora svelare gli arcani della sua intricata ma sempre evidente struttura iniziatica.
Quando il corpo del santo sarà, che Dio non voglia, traslato in quella cripta, il progetto architettonico sarà completo e perfetto.
E nessuno potrà più sanare la ferita che la Chiesa tutta avrà nel suo seno, nessuno potrà più rimediare all’oltraggio al grande Santo Padre Pio, meditato, progettato e realizzato con serafica convinzione da un gruppo di artisti e progettisti ispirati da ideologie e fedi nettamente in conflitto, anzi in guerra perpetua con il cristianesimo.

«Gesù purtroppo ha ragione di lamentarsi della nostra ingratitudine! Quanti disgraziati nostri fratelli corrispondono all’amore di Gesù col buttarsi a braccia aperte nell’infame setta della Massoneria! Preghiamo per costoro acciocché il Signore illumini le loro menti e tocchi il loro cuore». (Padre Pio a padre Agostino, Pietrelcina, 7 aprile 1913).

Per un’analisi delle problematiche legate alla «Nuova Chiesa» di Padre Pio vanno individuati anzitutto elementi di carattere strutturale, formale, simbolico e figurativo.

1. La struttura

La nostra analisi procederà a partire dalla struttura stessa della chiesa.
La struttura è quella di una spirale.
Ma cosa significa la spirale nella simbologia cristiana?
Nulla a dire il vero.
La spirale non ha nessun rapporto con il cristianesimo, ma sembra averlo piuttosto con una dottrina esoterica tramandata dalla setta nota come Libera Muratoria o più comunemente Massoneria.
In particolare la spirale si configura come immagine del percorso iniziatico del massone e fa il suo ingresso nel secondo grado, porta d’accesso alla conoscenza interiore: «Il secondo grado ti mostrerà che moto e progresso non si realizzano muovendosi su linee rette, ma circolari avvicinandosi alla verità che ci è invisibile mentre la stiamo cercando. La scala a chiocciola è una rappresentazione simbolica del tuo cammino personale verso le altezze spirituali della consapevolezza. Per poterti muovere verso l’alto, devi esercitare i rituali ripetutamente mentre il tuo cerchio si restringe sempre più verso il centro della conoscenza».

Questa breve descrizione del percorso dell’iniziato massone al II grado rende precisamente il senso simbolico della spirale.
E’ inoltre lo stesso dizionario massonico a definire la spirale «simbolo della potenza dinamica dell’universo, del Principio Creatore, del G.A.D.U».
Ritornando alla spirale di Renzo Piano sono le misure a provare ancor di più la connessione della struttura della chiesa con una simbolica massonica.
Per generare la spirale bisogna considerare un cono con un dato raggio di base ed un angolo al vertice. Tracciando una linea a pendenza costante sulla superficie del cono a partire dalla base si ottiene il disegno della spirale.
Ora nel nostro caso il raggio dato misura 72m ed entrambi gli angoli (quello al vertice e quello che governa la pendenza dell’avvolgimento della spirale sul suo vertice misurano 33°).

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Figura 1 Lo «gnomone» che indica il raggio «generatore» della spirale

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Figura 2 La spirale di Archimede e Figura 3 Pianta della chiesa di San Pio a San Giovanni Rotondo

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Figure 4-5  Altre due immagini della lastra di marmo che indica il raggio della spirale

Va inoltre aggiunto che come i nomi di Dio secondo la Kabbala sono impronunciabili, ovvero soltanto pochissimi rabbini di grande fede hanno la conoscenza di questi lunghissimi nomi, e la loro pronuncia garantisce l’adempimento di qualsiasi richiesta rivolta a Dio, così anche il raggio che porta questo numero non è presente concretamente nella struttura della chiesa.
Esso è invisibile, è segnalato da una pietra, ma resta ineffabile, proprio come i 72 nomi di Dio.

2. I Portali di ingresso

Per comprendere meglio il senso di questo «percorso iniziatico» di ascesa attraverso i gradi della Massoneria è fondamentale iniziare dal portale bronzeo della chiesa, o meglio dai portali, dal momento che ve ne sono due: quello principale che introduce all’aula e quello secondario corrispondente al battistero.
Entrambi sono opera del medesimo artista, Mimmo Paladino.
Il portale principale rappresenta a prima vista due stele con testa umana barbuta (i Patriarchi).
Sulla parte sinistra del portale sono presenti inoltre cinque stelle a otto punte, e 12 rettangolini sparsi.
Nella parte destra ai piedi della stele è rappresentato un agnello e su tutto il battente sono sparsi dodici elementi con piccoli agnelli al loro interno.
Inoltre nella parte superiore della stele, appena sotto la testa barbuta si apre una sorta di edicoletta dalla quale appare una mano benedicente.
Non vi sono descrizioni «ufficiali» esaustive sul portale in questione.
Esso rappresenterebbe Abramo e Davide.

Ma proprio nello stemma araldico del primo grado massonico si riscontrano notevoli affinità fra i simboli indicati: «Si dice che la loggia fu eretta su suolo consacrato perché la prima fu santificata in virtù di tre augusti doni offerti, che garantirono l’approvazione celeste. Il primo fu la sottomissione di Abramo alla volontà divina con il sacrificio di Isacco, suo primogenito, come pegno da immolare sul fuoco, ma l’Altissimo alla fine optò per un sostituto più adatto. Il secondo furono i legittimi interventi e le suppliche di re Davide, causati dalla rabbia dell’Altissimo che aveva scatenato una pestilenza tra i suoi sudditi per l’imposizione di un censo contro la volontà divina. Il terzo fu un gran numero di benedizioni, sacrifici, offerte e costose oblazioni fatte dal re Salomone d’Israele  in occasione di completamento, santificazione e dedica del Tempio di Gerusalemme. Questi tre doni, consacrarono e sempre consacreranno la fondazione della Massoneria al sublime».

«Proprio in memoria di questa ‘fondazione sublime’, quella del Tempio, nello stemma del primo grado ricorrono le due colonne simbolo di ingresso del Tempio, Boaz e Jachin. Queste due colonne sono le steli del portale ed in esse sono stati incorporati simbolicamente i due patriarchi. Inoltre se ci si sofferma sulla colonna di sinistra (normalmente Boaz) si notano su di essa 15 ‘x’. ‘X’ è la rappresentazione simbolica di un altro elemento dei quadri di loggia del primo e del secondo grado (Compagno e Apprendista): ci riferiamo ai cosiddetti ‘nodi d’amore’. Sono attribuiti 7 nodi al Compagno e 9 all’Apprendista. Infatti abbiamo nella parte sinistra della colonna 7 nodi e 9 in quella destra. E veniamo quindi alla spiegazione dei ‘nodi’: ‘Questi nodi intrecciati che, senza interrompersi, formano il Cordone a nodi dei nostri Templi, sono l’immagine dell’unione fraterna che lega con una catena indissolubile tutti i massoni del globo, senza distinzione di sette né di condizioni. I nodi intrecciati simboleggiano pure il segreto che deve circondare i nostri misteri» (1).

Oltre ai nodi è possibile spiegare anche la presenza delle stelle.
In realtà esse sono più di 5.
Le prime tre formano un triangolo equilatero e possono essere inquadrate nella riproduzione del «Delta Luminoso», il triangolo della trinità luciferina posto ad oriente (e la porta è orientata) sul seggio del Maestro Venerabile della Loggia.
Inoltre rappresenta il frontone del tempio di Salomone.
La forma delle stelle è d’altra parte interessante.
Esse hanno l’aspetto di Lucifero (pentalfa) con l’aggiunta di altre tre punte ad indicarne il perfetto splendore mattutino.
Anche Lucifero, la stella a otto punte posta in basso al portale è presente nel quadro di loggia del primo grado.
Ma per capire meglio il senso di questa stella (nella sua versione semplice a 5 punte) possiamo leggere la spiegazione di un iniziato: «Essa è riferita ai cinque sensi nel grado di Compagno: la vista è la percezione del mondo luciferiano. L’odorato è la percezione del buon odore luciferiano opposto al buon odore di Gesù. Il tatto è la percezione della azione demoniaca sulla carne e sullo spirito. Il gusto è la percezione anticipata del pane e del vino satanici che, più tardi, il cavaliere Rosa-Croce deve rompere e bere nella cena del 18° grado. L’udito è la percezione della voce di Satana». (2)
Come aggiunge inoltre Wirth «La stella a 8 punte rappresenta Lucifero il Portatore di Luce, detto anche Venere, nel suo aspetto di stella del mattino che, al mattino, risveglia i dormienti e incita alla rivolta luciferina contro i dogmi esistenti» (3).

Le stelle rappresentano comunque anche il cielo primaverile in quanto la loggia è sulla linea dell’equinozio di primavera.
Dunque, come è possibile notare nell’araldica massonica, esse simboleggiano la costellazione dell’Orsa Maggiore o preferibilmente dell’Orsa Minore, verso la cui stella principale è fissato l’asse del mondo, elemento di attiva speculazione nella mentalità massonica.
L’agnello è alfine lo stesso iniziato, reso innocente e puro, debole e sottomesso come un agnello, mentre la mano che emerge dalla finestrella all’interno della colonna allude ai toccamenti di questo grado, ovvero alle modalità attraverso le quali il massone può farsi riconoscere dai suoi fratelli. Sappiamo infatti che il «toccamento di apprendista» «si fa con la mano destra, premendo col pollice tre volte l’indice di colui dal quale ci si vuol far conoscere» e ancora «poiché l’indice corrisponde alla Religione e il medio alla Filosofia, non occorre alcun commento per capire il simbolismo di questi toccamenti» (4): per l’appunto!
In entrambe parti del portale abbiamo inoltre 12 rettangolini intarsiati.
Cosa rappresentano?

Collegandole alle colonne Boaz e Jachin possiamo riconoscerle come i dodici denti delle nappe
poste sui capitelli delle colonne, ma anche come simboli delle dodici tribù di Israele.
Emergono inoltre piccole figure floreali, non difficilmente identificabili come l’acacia, pianta sacra della Massoneria.

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Figura 6 Ecco come si presenta il battente sinistro del portale «Jachin», con le stelle a formare il «Delta Luminoso»

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Figura 7  I 15 «Nodi d’amore»

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Figura 8 La stella a 8 punte che rappresenta «Lucifero», la scarpa, la coppa

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Figura 9 L’agnello senza gambe che prenderà a camminare con nuovi arti dopo l’iniziazione (vedi la scarpa dell’altro battente) e la stella a cinque punte formata da dodici piramidi a base pentagonale

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Figura 10 «Boaz» con la mano benedicente, il compasso e la squadra stilizzati, la pianta d’acacia

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Figura 11 A sinistra «Boaz»: è ben visibile la pianta d’acacia disegnata come nell’immagine di cui sopra

Il fonte battesimale

Passando quindi al fonte battesimale ed al portale secondario, vi si nota un busto di uomo barbuto, posto su una sorta di altare con al suo fianco una coppa.
Su entrambi i battenti del portale si contano dodici pesci.
Una mano pende dall’alto ed una bara giace all’estremità in basso al battente sinistro.
Il quadro rappresenta il battesimo massonico.
Una riproduzione dell’Arca di Noè è il centro del quadro, simbolo della conoscenza che verrà rivelata all’apprendista.
La mano a penzoloni rappresenta il giuramento massonico.
Vi è poi la memoria del superamento di se stessi, simboleggiato dalla tomba in basso a sinistra.
Nel terzo grado infatti, il compagno che si appresta a diventare apprendista riprodurrà la rappresentazione della sua morte (in ricordo dell’uccisione del fantomatico architetto del Tempio di Salomone, Hiram).
Questa morte delle percezioni e dei sensi, prelude al raggiungimento della nuova consapevolezza iniziatica che conduce ai gradi superiori dell’iniziazione massonica.

Riprendendo, invece, le parole del Boucher riguardo all’acacia, essa rappresenta la «certezza che la morte simbolica di Hiram, come quella di Osiride, come quella del Cristo, annuncia non già una distruzione totale dell’Essere, ma un rinnovo, una metamorfosi. Uscendo dalla tomba, uscendo dalla bara, l’Iniziato che prima era il bruco o il verme strisciante sulla terra e nell’oscurità diventa, uscendo dalla crisalide, la farfalla variopinta che si slancia nell’aria verso il Sole e la Luce».
La luce di Lucifero per la precisione, una luce davvero «abbagliante».
Oltre all’acacia presente ancora in questo portale vi è al lato della figura barbuta una coppa.
Si tratta precisamente della cosiddetta «coppa dell’amarezza» (già presente in basso al battente sinistro del portale principale).

Eccone una dettagliata descrizione: «Nell’iniziazione al primo grado, il Recipiendario riceve una Coppa nella quale è stata versata una bevanda che, dapprima dolce, diventa amara, per ritornare poi dolce. […] Nella cerimonia di iniziazione massonica, tre fasi caratterizzano la bevanda.
Queste tre fasi dovrebbero essere le seguenti:
1. Insapore, è la vita del profano nel quale lo Spirito non è stato risvegliato;
2. Amara, la vita dell’Iniziato, di colui che cerca, di colui che è tormentato dal desiderio di ‘conoscere’;
3. Dolce, la vita dell’Adepto, di colui che è infine pervenuto alla serenità che può portare la vera
Iniziazione. […] La bevanda è legata alla Coppa e la Coppa simbolica si trova in numerose leggende mitologiche e,
in particolare, nelle leggende celtiche dette del «Ciclo di Artù
». […]

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Figura 11 Il fonte battesimale

Il rito della Coppa è una delle ultime preparazioni alla Iniziazione massonica. Iniziatori e Recipiendari non sempre ne comprendono tutto il valore e l’alta portata iniziatica. I commenti dei rituali, su ciò come altrove, indeboliscono il senso reale del simbolo. E’ subito dopo il compimento del rito della Coppa che il Recipiendario pronuncia il suo giuramento solenne e ne riceve la Luce» (5).

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Figura 12 La coppa dell’amarezza con la pianta d’acacia

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Figura 13 La tomba

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Figura 14 La mano a penzoloni

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Figura 15 Un volto misterioso su uno dei pesci

E’ inoltre da notare che ogni singolo pesce rappresentato sul portale ha incisi dei simboli di
difficile interpretazione diversi per ciascun elemento

3. L’altare

Dopo aver attraversato questi inquietanti portali il fedele-iniziato si ritrova nell’aula liturgica.
Non nella chiesa!
Un’aula perché in questa chiesa «funzionale» ogni cosa ha un suo posto preciso e l’aula liturgica è separata dalla cappella eucaristica, dalla penitenzieria, ecc.
Detto ciò, il fedele si ritrova in un’aula priva di inginocchiatoi.
Si tratta di un elemento non di poco conto perché in questa chiesa l’assenza di inginocchiatoi è colpevole e non motivata da ragioni «funzionali».
Se infatti l’aula liturgica non presenta inginocchiatoi, la cappella eucaristica è arredata con banchi forniti di inginocchiatoi.
Dunque perché ci si dovrebbe inginocchiare dinanzi al tabernacolo e non dinanzi al Corpo Vivo di Cristo nella Transustanziazione?

Questa domanda troverà probabilmente risposta allorché parleremo del tabernacolo.
Intanto l’attenzione del fedele-iniziato è attratta dall’altare di questa chiesa bizzarra.
L’altare si presenta come una piramide rovesciata, con il vertice letteralmente conficcato nel pavimento.
Osservandolo da vicino infatti si può notare che la superficie di bronzo nella quale è conficcato lo pseudo-altare è sfrangiata quasi a voler rappresentare plasticamente le crepe della terra nella quale è piombata questa piramide.
A questo punto è doveroso introdurre l’acronimo mistico nel quale è racchiuso il senso dello pseudo-altare: stiamo parlando del V.I.T.R.I.O.L.

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Figura 16 Interno dell’aula liturgica: l’altare

Lo scioglimento dell’acronimo è il seguente: «Visita interiora terrae, rectificandoque invenies occultum lapidem».
Ma qual è questa «pietra occulta»?
Sappiamo chiaramente che la piramide rovesciata è indizio per l’iniziato massone della pietra filosofale.
Essa indica la posizione della ricerca della pietra filosofale secondo l’antica tradizione alchemica.

Leggiamo le parole di frà Elias Cabodevilla Garde, autore di un testo «ufficiale» sulla chiesa: «L’altare è costruito in pietra e ha la forma di un cuneo, come i chiodi della croce gloriosa, come se uno di essi fosse caduto per terra; si trova, non sul pavimento, ma affondato, inchiodato nel pavimento».
E ancora: «Affondato, inchiodato nel pavimento, ci suggerisce che il sacrificio di Cristo, rinnovato sull’altare, è sorgente di salvezza per gli uomini, nella concreta e quotidiana realtà delle loro vite» (6).
Come faccia a ricordarci ciò una piramide rovesciata conficcata nel pavimento è ancora, con buona pace di frà Elias, tutto da dimostrare.
Il segno dell’altare è un’indicazione di qualcos’altro.
Non mira in alto, non si eleva come i normali altari preconciliari, né si dispone rettangolarmente a mo’ di mensa come gli altari postconciliari.
Esso è un altare capovolto che indica un altro sacrificio.

Il sacrificio dell’iniziato alla ricerca della sapienza massima, dell’ottenimento delle chiavi dell’universo attraverso la conoscenza del G.A.D.U..
La pietra filosofale degli alchimisti rappresentava quell’elemento in grado di dare all’uomo il potere dell’immortalità, di guarire attraverso la taumaturgia, la virtù profetica e la capacità di trasformare i metalli vili in oro.
Chiunque è stato legato a questo misterioso minerale o fluido è stato connotato dalle seguenti qualità: capacità di accumulare somme ingentissime di denaro e di ricchezze, capacità di sostentarsi del solo minerale mantenendo il proprio corpo in purezza e senza mangiare o bere, poteri soprannaturali rispetto alle limitate potenzialità dell’uomo.

Leggiamo un passo tratto da un autorevole dizionario esoterico: «Detta anche pietra dei filosofi, secondo la dottrina alchimistica rappresenta la sostanza catalizzatrice o mediatrice in grado di consentire la trasformazione in oro di qualsiasi metallo. […] Il Flamel (famoso alchimista francese del XIV secolo), pare che, dopo aver scoperto la Pietra Filosofale, avesse acquistato un gran numero di proprietà immobiliari ubicate nel centro di Parigi. Al cero alchimista occorreva realizzare una trasmutazione onde assicurarsi della qualità dell’eventuale Pietra scoperta. Loro scopo, ottenuta la trasmutazione, era tramutare se stessi con l’ingestione biennale di una sostanza omeopatica di Pietra Filosofale […]. Solo quanti fossero stati realmente in condizione di trasformarsi finalmente, o meglio tramutarsi da pietre morte in pietre filosofali viventi, acquisivano la possibilità di accesso ai segreti dell’Arte […]».

Durante il percorso che scende nella cosiddetta «chiesa inferiore», anch’esso elaborato secondo la struttura a spirale, dunque fatto in modo tale da indirizzare l’iniziato all’avvolgimento inferiore verso il centro, verso la conoscenza del principio dell’Universo, si verifica una vera e propria catabasi esoterica alla ricerca della Pietra Filosofale.
Padre Pio era taumaturgo (virtù riservata agli alchimisti che fossero in grado di riprodurre la pietra), aveva il dono della profezia e della bilocazione (anche queste virtù indotte dal possesso della pietra) e soprattutto era possessore di enormi ricchezze (le ingenti offerte dei fedeli).

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Figura 17  Corridoio a spirale che conduce alla cripta

Agli occhi del massone, ed ancor più dell’ignaro iniziato, pertanto, il corpo del padre deve assurgere a vera Pietra Filosofale, centro della spirale simbolica che riconduce al G.A.D.U. ed al principio divino che l’uomo attraverso la conoscenza interiore può scoprire ed esercitare in vita.
Illuminanti al riguardo sono le pagine di un Maestro Venerabile massone, Walter Leslie Wilmshurst, che illustra il principio fondamentale della speculazione massonica: «Lo scopo spirituale della libera muratoria è nel passare dalla mera condizione di umani e dalla ragione carnale alla condizione divina conscia mentre siamo ancora nella carne. Si tratta della realizzazione della nostra unità e identità fondamentale con il Supremo. Se questo, perciò, è il fine dell’iniziazione, l’ipotesi fondamentale e il segreto filosofico della Massoneria è il fatto solenne che Dio e l’anima umana sono in essenza un’unità, non una dualità, e la sola intenzione del nostro sistema iniziatico è, mediante l’istruzione e la disciplina, portare in ciascuno di noi la realizzazione consapevole di tale unità» (7).

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Figura 18 Rampa d’accesso dall’esterno alla cripta

Questa unità non è intesa tuttavia nel senso cristiano dell’umile sottomissione alla legge di Dio, bensì nell’attività di raggiungimento delle leggi che governano il mondo, perché l’uomo si sostituisca a Dio.
L’idea gnostica del Dio malvagio e geloso che ha privato l’uomo della conoscenza dell’universo ed è stato vendicato dal liberatore Lucifero è il perno di tutta la dottrina massonica.
Pertanto la massima aspirazione dell’iniziato sarà quella di riconquistare questa conoscenza celata, che non è ricongiungimento nel seno dell’amore divino, ma possesso delle leggi del mondo ed esercizio di potere.
Non è creazione ma riproduzione della natura, imitazione di Dio, non nella sua bontà, ma nella sua Superiorità all’umano.
E’ reale pervertimento del cristianesimo in una delirante smania di sostituirsi a Dio.
Se nei piani dei progettisti della nuova chiesa di Padre Pio vi è un’idea fondamentale, un asse intorno al quale si regge l’intera struttura esso non è ancora visibile, ma potrebbe divenirlo in breve.

Nella chiesa inferiore fervono infatti i lavori preparatori.
Ed è già possibile intravedere pezzi ancora da inserire nell’aula, tra cui un ambone che giace momentaneamente in un vestibolo tra l’anticamera della chiesa inferiore e la Penitenzieria.
Questo ambone ha scolpita un’aquila, simbolo massonico per eccellenza che reinvia a San Giovanni (uno dei due protettori della Massoneria).
Questo asse che darebbe senso totale all’idea progettuale della chiesa sarebbe quindi la presenza del corpo stesso del Padre nel santuario ad esso dedicato nella chiesa inferiore.
In esso i fedeli non contemplerebbero più perciò un santo cristiano, ma l’iniziato perfetto, l’autentico detentore dei segreti del G.A.D.U.
Questo totale capovolgimento della figura umana e santa del Padre Pio sarebbe una blasfemia.
SE infatti dovessimo ricercare uno scopo nella realizzazione di un sì «bizzarro» edificio di culto, il principale e più superficiale sarebbe quello di evitare l’incontro del fedele con Cristo e con padre Pio «alter Christus».
La patina simbolica di cui è ricoperta la chiesa costituisce dunque un filtro formidabile alla ricezione e all’accoglienza del Signore.
Asetticità e vacuità  degli spazi da un lato e simbologie ambigue ed estranee alla coscienza cristiana dall’altro complicano e rendono impossibile l’incontro con Cristo e San Pio nella Loro dimora.

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Figura 19 Ambone in marmo destinato alla cripta

4. Le formelle del Tabernacolo

Le formelle che adornano il Tabernacolo rappresentano un’ulteriore fonte di simboli e messaggi in una chiesa spoglia di iconografie cristiane.
Le formelle (in tutto 13) sono disposte su due ante scorrevoli.
Se il Tabernacolo è chiuso ne appaiono 6 per lato ed una centrale (laddove normalmente vi è la porticina del Tabernacolo stesso).
Quando invece il Tabernacolo è aperto appaiono ulteriori 6 formelle per lato, mentre al centro appaiono due ante chiuse a chiave con l’immagine di due pesci.
Veniamo ora all’analisi delle scene bibliche rappresentate sulle formelle e distribuite secondo lo schema seguente:

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1. Abele offre l’agnello
2. La Manna nel deserto
3. Melchisedech
4. Presentazione di Gesù al Tempio
5. Moltiplicazione dei pani
6. Ultima cena
7. Crocifissione
8. Resurrezione
9. Emmaus
10. Abramo sacrifica Isacco
11. La Pasqua Ebraica
12. Elia nutrito dagli angeli
13. Il Pellicano


Se prendiamo ogni formella di quelle che appaiono anche quando il Tabernacolo è chiuso e che rappresentano scene dell’Antico Testamento e le accoppiamo con le rispettive formelle interne riferite al Nuovo Testamento è possibile riconoscere delle evidenti connessioni simboliche e formali.
Ad esempio l’offerta dell’agnello di Abele corrisponde alla presentazione di Gesù al Tempio, come la discesa della Manna dal cielo è accoppiata alla moltiplicazione dei pani o piuttosto la Pasqua ebraica corrisponde alla Resurrezione, ecc., ecc.
In particolare emerge dall’insieme delle scene un’idea dominante perfettamente connessa all’Eucarestia, ovvero quella del cibo, del mangiare, dell’offerta votiva connessa all’alimentazione. Agnello e pane sono i simboli ricorrenti nella maggior parte delle formelle.
Tuttavia la rappresentazione di queste scene bibliche contiene dettagli e simboli di difficilei nterpretazione per un cristiano, ma particolarmente pregnanti per un massone.
L’intera chiesa è progettata e realizzata per contenere simbologie equivoche ed ambivalenti dai significati piuttosto reconditi per i cristiani, il cui uso spesso desueto o in generale estremamente raro nella simbologia cristiana, può essere scambiato per estro artistico o volontà di valorizzare simboli dimenticati della tradizione cristiana.
D’altra parte però questa summa simbolica ha un valore precipuo, attuale, evidente e specifico per la comunità massonica, tanto che qualunque massone potrebbe individuarvi messaggi precisi legati alla sua missione, alla conoscenza esoterica ed ai riti di iniziazione ai misteri dell’universo praticati nelle logge.

Partendo da questa consapevolezza possiamo passare all’analisi delle singole formelle.
Anzitutto la formella della Presentazione di Gesù al Tempio rivela anche ad uno sguardo non esperto un particolare non indifferente (che ritorna anche in quella dell’Ultima Cena): parliamo del pavimento.

Il pavimento sul quale agiscono i protagonisti della scena è curiosamente fatto a scacchi.
Scacchi lisci per indicare il bianco e scacchi ruvidi per indicare il nero.
Non è un mistero anche per i più lontani dalla conoscenza della Massoneria che le logge hanno un pavimento caratteristico fatto di scacchi neri e bianchi, attraverso i quali si muovono i candidati, gli iniziati, i fratelli massoni in genere.
In particolare ogni grado prevede delle marce particolari attraverso gli scacchi: «la marcia, accompagnata dai segni di ogni grado, è obbligatoria per tutti i massoni che entrano in un Tempio quando i lavori sono aperti» (8).
Che l’immagine della formella sia quella di una loggia è confermato dalla presenza di tre pilastri: «secondo le indicazioni del rito scozzese tre pilastri devono essere collocati nel quadrilungo», ovvero la sala della loggia.
Questi tre pilastri rappresentano la Saggezza, la Forza la Grazia.
In ogni loggia c’è un immaginario quarto pilastro invisibile, l’Intelligenza Suprema, che «essendo sciolta dalla materia, esiste ma non appare ai nostri occhi mortali. D’altronde la disposizione di questi tre pilastri implica l’esistenza virtuale del quarto».
Infatti, dalla formella intuiamo la presenza del quarto pilastro nel prolungamento dell’arcata.
Questi pilastri vengono inoltre assimilati ai tre ordini delle colonne greche (dorico, ionico e corinzio). Ed anche nella formella abbiamo la prima colonna con una foglia di acanto (ordine corinzio), la seconda e la terza con delle piccole volute (ordine ionico): Saggezza e Bellezza.
La Forza è esclusa da questa loggia dell’Agnello.

Inoltre, in corrispondenza con la tradizione massonica il Tempio ha 3 finestre: «Esse rappresentano le tre porte del Tempio di Salomone» e «servono a marcare i tre punti fondamentali del moto apparente del Sole».
Il sole è al centro, dunque i lavori della loggia si aprono a Mezzogiorno.
Un ulteriore simbolo conferma l’ambientazione di carattere massonica: la colomba.
Simbolo alchemico dell’albedo, la colomba simboleggia il passaggio dell’iniziato dal nero colore dei corvi, simbolo della caducità morale e materiale dell’uomo, al bianco della colomba.
Fa specie che in questo evento evangelico nessun Evangelista parli di colombe.
Come colombe non sono tradizionalmente presenti durante la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma nonostante ciò una colomba appare nella corrispondente formella.

Prima di continuare la ricerca è necessario soffermarsi in particolar modo sulla simbologia ed il significato di uno dei gradi più importanti del Rito Scozzese Antico e Accettato.
Si tratta del 18° grado, detto del «Cavaliere del Pellicano» o «Cavaliere della Rosa+Croce».
Questo grado è una sorta di memoriale della morte e resurrezione di Cristo, inteso in chiave massonica. Cristo, con la sua morte e resurrezione, ha segnato il passaggio dalla tradizione iniziatica di Hiram Abif (il leggendario costruttore del Tempio di Salomone) a quella cristiana.
L’incorporazione di Cristo all’interno della dinamica mistica massonica e l’assorbimento dell’esperienza cristiana in quella dell’iniziato è il tema principale di questo grado: «Il Cavaliere della Rosa+Croce è consapevole del fatto che il suo posto sulla terra, per modesto che sia, è il risultato di una successione di cicli e rinnovamenti; la ricerca spirituale permette di elevarsi al di sopra della linea dell’orizzonte. Servo di un Principio Superiore egli opera per amore del prossimo in Fede, Carità e Speranza. Ciascuno muore simbolicamente centinaia di volte, ma nulla si spegne se il motore dell’azione è la coscienza di un fuoco potente che è insieme Amore e Luce.[…] La missione del Cavaliere della Rosa+Croce su questa terra consiste nel liberare gli oppressi, indicare il cammin ai viaggiatori smarriti, cercare la parola perduta, contribuire ad instaurare ovunque la giustizia e l’equità» (9).
Come si configura la loggia del Cavaliere Rosa+Croce?

Ebbene, sono presenti sempre i tre pilastri, ma in questa loggia assumono un nuovo valore e precisamente rappresentano, in ordine, Fede, Carità e Speranza.
La loggia deve rievocare l’atmosfera della morte di Cristo.
Dunque il colore predominante è il nero, il sole è offuscato dalle nubi, solo un’aquila appare tra le nubi.
Siamo a mezzogiorno, l’ora in cui Cristo spirò.
Il velo del tempio si apre e «sul quadro del tempio nero è rappresentato un pavimento a mosaico con lastre bianche e nere» (10).
Questi elementi non sono forse tutti rintracciabili nella formella della presentazione al Tempio?
Ma non basta.
All’inizio della cerimonia massonica vi sono dei segni e dei contro segni.
Per il 18° grado sappiamo che il segno consiste nell’ «alzare la mano destra con l’indice separato, e indicare il cielo. Risposta: indicare la terra con lo stesso dito».

Poi prosegue la Mainguy: «Quando Gesù punta l’indice verso il cielo, lo fa per indicare la fonte unica ed essenziale da cui provengono tutte le cose, che dovrebbe trovare il suo riflesso in un’immagine inversa sulla terra» (11).
Così non è difficile intuire che se la Vergine nella formella indica il cielo, il Sacerdote del Tempio o San Giuseppe indicherà la terra.
E non è un caso se in buona parte delle formelle questo gesto sia ripetuto con insistenza: Moltiplicazione dei Pani: Gesù indica il cielo, il dignitario all’estremità sinistra indica la terra (sempre con la mano destra).
La Manna nel deserto: Dio benedice verso il basso, Mosè indica il cielo.
La Pasqua Ebraica: Il terzo e quarto personaggio alla mensa indicano il cielo, il secondo invece la terra.
Inoltre il gesto con l’indice verso l’alto si ritrova nelle formelle n.1, 8, 9.
Mentre il gesto verso il basso lo fa Gesù sulla croce con entrambe le mani!

Ma veniamo ai significati di questa gestualità: «Il richiamo al fatto che ciò che è in alto è come ciò che è in basso e viceversa, invita il Cavaliere della Rosa+Croce a stabilire il regno dell’Eterno sulla terra, vale a dire contribuire a instaurarvi la Pace, la concordia tra tutti per riconoscersi come autentici FF vedi originale pdf e idem SS, e infine a operare nell’unione dei cuori affinché tutte le Logge sparse sulla superficie della terra formino la Grande Loggia dell’Universo» (12).

E ancora: «Mostrare il cielo con l’indice puntato verso l’alto è un gesto che può essere interpretato come il riconoscimento di una potenza superiore all’uomo, per arrivare a comprendere l’Inconoscibile. E’ necessario infatti riuscire a padroneggiare la materia attraverso la Conoscenza per non essere più prigionieri della sua presa. Indicare la terra con lo stesso dito in risposta significa ricordare che l’uomo è nato dalla terra e che, dopo la liberazione dell’anima e dello spirito dal corpo, ad essa farà ritorno. Significa anche illustrare lo stato del più umile di tutti e ricordare che è vano inorgoglirsi o vantarsi di qualunque cosa, così come dimostra con forza nella maggior parte delle tradizioni la gestualità primitiva della preghiera, in cui gli oranti si prosternano, nella posizione più umile di tutti» (13).
Questo concetto della natura umana che si eleva al cielo pur appartenendo alla terra è in un certo senso molto più evidente nel complesso della cappella dell’adorazione, anzi nella struttura stessa del Tabernacolo.
Esso ha infatti una base quadrangolare che si trasforma in una piramide a pianta ottagonale.
Perché questo passaggio dal quadrato all’ottagono?
E perché la forma della piramide tagliata?

E’ noto che il quadrato rappresenta la terra e il cerchio l’Universo.
Tridimensionalmente, la sua rappresentazione è data dall’edificio cubico sormontato da una cupola.
Ma la base circolare della cupola non può poggiare su quella quadrata del cubo (è il problema della quadratura del cerchio); occorre una figura intermedia, un mediatore tra la terra e il cielo.
Per avvicinare il più possibile la figura di un poligono a quella di un cerchio bisogna moltiplicare il numero dei suoi lati, tenendo presente che il cerchio è il limite, in senso matematico, cui tendere; un poligono per quanto ne aumentiamo i suoi lati non diventerà mai un cerchio.
Il quadrato è simbolo dell’uomo, il cerchio dell’Infinito e dell’Universo; per collegare l’uomo all’Infinito occorre un mediatore: questo simbolo è l’ottagono.

Il dizionario esoterico aggiunge: «In Massoneria è il simbolo della resurrezione e della vita eterna, in contrapposizione all’esagono che è simbolo della Morte e della putrefazione. Interessante rilevare come le fonti battesimali, e spesso anche le strutture degli stessi battisteri, abbiano forma ottagonale; quando è invece rotonda, quasi sempre è retta da otto colonnine o pilastri».
Dunque il Tabernacolo ha per base un quadrato che si trasforma in un ottagono.
Cosa vorrà dire?

La-nuova-chiesa-di-San-Pio-da-Pietrelcina_img_16.jpg Molto semplicemente che Gesù Cristo è l’uomo che si è fatto Dio e non il contrario.
E che pertanto il Suo esempio è guida e ispirazione somma per l’iniziato, in questo caso il Cavaliere Rosa+Croce.
Ciò è evidente a partire da due considerazioni.
Anzitutto la simbologia del quadrato e dell’ottagono non hanno questo valore «esoterico» nel cristianesimo.
Si tratta dunque di simbologie evidentemente aliene al cristianesimo.
Dove esse hanno un significato pregnante?
Nella Massoneria.

Se analizziamo il contesto, è evidente che troviamo numerosi elementi di una simbologia che nulla ha a che vedere col cristianesimo ed i cui elementi hanno al contrario un significato specifico nella Libera Muratoria.
Al di là di questo dobbiamo analizzare il contesto religioso nel quale sono inserite queste simbologie.
Che interesse potrebbe avere la Massoneria ad inserire la sua simbologia in un tabernacolo? Evidentemente bisogna vedere se nella Massoneria vi sono riti che imitano precisamente la celebrazione eucaristica, e la trasformano in qualcosa d’altro rispetto al «sacrificium», ne danno una connotazione totalmente opposta nel significato, ma mimetica nel rituale.
Se dunque questi rituali (quello eucaristico e quello «eucaristico massonico») sono simili, le differenze non potranno essere riscontrate se non in simbologie specifiche proprie di ciascun rituale.

Ecco perché a partire dal quadrato che si fa ottagono, per passare attraverso i numeri presenti nelle dimensioni della cappella (18=6+6+6, 33 come i gradi massonici, ecc.), per finire alle formelle, tutto riconduce a simbologie non semplicemente a-cristiane, bensì chiaramente anticristiane.
La Massoneria di Rito Scozzese Antico e Accettato (ma anche di altri rituali), riconosce infatti agli ultimi due cosiddetti «Capitoli» (gradi 17° e 18°) il valore di un passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento.
Sono questi dunque i gradi che racchiudono in sé l’interpretazione massonica del mistero cristiano.

Spiega la Mainguy: «Il 17° grado segna il compimento di un ciclo e l’inizio di uno nuovo. Ispirato al libro dell’Apocalisse, sembra inserirsi in modo un poco anacronistico nel passaggio (simile a una sorta di ponte, di setaccio, di interfaccia) tra l’Antico, cui i gradi precedenti si ispiravano largamente, e il Nuovo Testamento» (14).
Se il telone della facciata della chiesa è ispirato, come vedremo, al 17° grado, trattando di scene dell’Apocalisse non «canoniche» (normalmente l’evento rappresentato in tutte le chiese del mondo è quello del Giudizio, tuttavia analizzeremo in seguito queste immagini), ma corrispondenti ad elementi del rituale di questo grado; così il Tabernacolo è realizzato tenendo conto della simbologia e dei significati del 18° grado, ovvero il grado della morte di Cristo e dell’ultima cena.
Abbiamo visto precedentemente come il contesto di loggia nel quale si svolgono i riti del 18° grado sia il cosiddetto «tempio nero»: «Il tempio nero rappresenta il monte Golgota o Calvario, il luogo dove Cristo venne messo a morte […]. Il tempio nero o tempio del lutto ricorda l’eterna lotta del bene contro il male, che momentaneamente ha la meglio» (15).

Ora, è evidente che il tabernacolo è ricavato da una pietra di colore nero.
Se si mettono insieme gli elementi raccolti il quadro è evidente: un quadrato simbolo di umanità si trasforma in ottagono, simbolo di congiunzione al divino, attraverso una pietra nera, per poi sconfinare nel foro circolare presente nel tetto della cappella dell’adorazione.
Se la struttura del tabernacolo è dunque pienamente ispirata ad una simbologia coerentemente massonica, così anche le formelle avranno una medesima ispirazione.
Tuttavia è importante ed affascinante notare come il significato rituale massonico di ogni singola formella corra in parallelo con l’evento evangelico corrispondente.
In poche parole è evidente che nell’idea dell’artista vi è lo scopo di connotare eventi evangelici con una reinterpretazione massonica.
E ciò senza discostarsi dall’ortodossia rituale massonica, ma al contrario seguendola appieno.
Le scene scelte sono infatti tutte presenti nel bagaglio pseudo-religioso della Massoneria.
Esse vengono dunque meramente rappresentate in accordo con una simbolica massonica e non semplicemente secondo la descrizione biblica.
Scopo evidente della Massoneria è quello di rivendicare a sé, alla propria personalissima interpretazione, episodi biblici il cui valore nel cristianesimo è del tutto differente ed opposto a quello individuato dalla Massoneria.
Concordemente al grado 18° quello verso il quale il Cavaliere della Rosa+Croce si indirizzerà è un cammino di sacrificio: «in Capitolo, per il Cavaliere della Rosa+Croce si tratta dell’offerta consapevole, totale e volontaria del suo essere nella fede, nella carità e nella speranza, scegliendo di operare per la Concezione Suprema».
Sarà quindi facile immaginare che la maggior parte se non proprio tutte le scene delle formelle abbiano un legame specifico con questo concetto «sacrificale».

Afferma infatti il testo di riferimento della Mainguy: «Tutte le Tradizioni, tra cui quella abramica, sono ricche di numerosi esempi di sacrifici con valore archetipico. Si menzionano sacrifici in epoca molto remota: innanzitutto quello di Abele, cruento ma gradito, contrariamente al sacrificio vegetale di Caino; poi il sacrificio del primogenito di Abramo, in cui alcuni vedono la prefigurazione di quello del Cristo; così, l’Eterno sostituisce un ariete e un montone al figlio di Avremo che doveva essere sacrificato. In seguito, il sacrificio assunse carattere di strage dei primogeniti in occasione della nascita di Mosè; infine il sacrificio considerato come il più significativo, quello di Gesù, già in qualche modo realizzato fisicamente da quello di Abramo, in quanto ‘agnello’ simbolico designat(16).
E aggiunge: «Il sacrificio biblico è strettamente legato alla nozione di alleanza o di triplice alleanza del sangue di cui i Cavalieri della Rosa+Croce portano il segno nella propria sciarpa rossa. Un sacrificio bene noto, di primaria grandezza simbolica, con implicazioni e conseguenze pluridirezionali significative, è questo sacrificio o alleanza dell’Eterno con Abramo attraverso la circoncisione. Una seconda alleanza è quella conclusa sul Monte Sinai per mezzo di Mosè. Verrà poi la terza alleanza conclusa con tutta la Terra, attraverso la messa a morte di Gesù, definito ‘agnello di Dio’» (17).

Nelle formelle abbiamo, pertanto, non solo la presenza del tema alimentare, del pane, della Manna, dell’eucaristia, ma anche quello del sacrificio.
Tuttavia se il significato della morte e resurrezione di Cristo è nella sostituzione del sacrificio rituale dell’agnello con il Sacrificio del Figlio di Dio, operato per la redenzione degli uomini, il sacrificio massonico ha una impostazione nettamente differente.
Questo sacrificio non è che exemplum, non unicum.
Esso è ripetibile in gradi diversi da ogni singolo uomo.
Il sacrificio di Cristo non è quello del Redentore, ma è una delle tante possibilità di iniziazione, di rinuncia al sé che conduce l’uomo al rapporto diretto con Dio. La morte e resurrezione di Cristo è inserita dalla Massoneria in una dinamica  purificazione dell’uomo dai metalli vili, fino alla scoperta della pietra filosofale.
Ciò è evidente dallo stesso rituale del 18° grado che prevede il recupero della cosiddetta «parola perduta».
La «parola perduta» è il segreto, la «parola sacra del Maestro» che il leggendario costruttore del Tempio di Salomone, venerato dalla Massoneria, Hiram Abif, non avrebbe mai rivelato anche a costo della morte.
Questa parola non viene svelata fino al 13° grado, quando viene identificata col tetragramma.
Questa parola viene ulteriormente identificata nel 18° grado con le quattro lettere INRI.
Ma che significato dare a questa sigla?
Ebbene, non di certo quello canonico, cristiano, bensì quello alchemico: Igne Natura Renovatur Integra (Dal fuoco la natura è rinnovata per intero).

Spiega a tal riguardo la Mainguy: «Questo fuoco o combustione interiore ha il potere di rigenerare tutta la natura umana rinnovandola. Evidentemente, non si tratta di un fuoco materiale, bensì di un fuoco spirituale che permetterà di rinnovare interamente l’umanità. E’ il fuoco dell’Amore che ha la sua sorgente nella Speranza e attinge la sua fonte essenziale nella Fede e nella Carità. Incontriamo anche quest’altra formula, nettamente più alchemica: ‘Igne Nitrum Roris Invenitur’, che significa: ‘Con il fuoco, si ottiene l’essenza del nitro’. Questo fuoco di natura tanto particolare, attraverso il quale si opera la trasmutazione della materia, permette al Cavaliere della Rosa+Croce di accedere agli effetti di una completa metanoia, in cui la Fede gli conferisce la forza di vincere vizi e passioni, la Speranza diviene il viatico del suo cuore, con la luce interiore che gli permette di orientarsi, guidato da un Ideale che va oltre. A questo stadio iniziatico, la Carità rappresenta la quintessenza del sacrificio mediante l’Amore al servizio del gesto che non distingue più il fratello dal fratello. Dunque, qui si tratta, in tale accezione del significato di INRI in cui il fuoco è essenziale, di una completa rigenerazione del cosmo attraverso l’azione del fuoco, la quale corrisponde, sul piano interiore, alla rigenerazione spirituale dell’essere, che ritroviamo ancora illustrata dalla rappresentazione della fenice. Anche qui si parla di realizzazione del Maestro, a somiglianza di Hiram che con la morte ha vinto la morte dopo essersi rigenerato. A immagine della natura completamente rigenerata dal fuoco, il Cavaliere della Rosa+Croce si rigenera attraverso il fuoco interiore che lo consuma, che è quello dell’Amore per la creazione e per le sue creature. […] Gesù non è stato bruciato, come sarebbe avvenuto in seguito a Giovanna d’Arco, ma il suo sacrificio, la sua messa a morte, è assimilabile al fuoco interiore dell’incendio che consuma ‘il più umile di tutti’, per amore» (18).

Il ritrovamento della parola perduta non è un evento concluso, esso culmina con la riapparizione della «stella fiammeggiante», il pentalfa che emette luce, rappresentazione di Lucifero che normalmente vede iscritta al suo interno la lettera «G» del G.A.D.U.
A questo punto sembra evidente che se si dovesse rappresentare una scena simbolica del recupero della parola perduta, questa dovrebbe essere basata sulla crocifissione di Cristo. Se quindi prendiamo la formella della crocifissione non ci stupirà certo trovare il tetragramma INRI, ma qualche stupore lo darà la possibilità di dedurre la presenza del pentalfa attorno al volto di Cristo.

La-nuova-chiesa-di-San-Pio-da-Pietrelcina_img_17.jpgIl pentalfa o pentacolo è una stella a cinque punte inscritta in un cerchio.
Che cos’è il pentalfa?
Risponde il Ragon: «Era, presso gli Egizi, l’immagine del figlio di Iside e del Sole, artefice delle stagioni ed emblema del movimento; di quell’Horus, simbolo della materia prima, sorgente inesauribile di vita, della scintilla del fuoco sacro, germe universale di tutti gli esseri. E’, per i massoni, l’emblema del Genio, che innalza l’anima a grandi cose; è illuminata perché un illustre iniziato (Pitagora) ha raccomandato di non parlare delle cose divine senza fiaccola» (19).
Prosegue il Boucher: «L’irradiamento’ della Stella Fiammeggiante non dipende dalla raffigurazione delle fiamme di cui la si circonda. Esso è una conseguenza dell’universalità di questo simbolo» (20).
I suoi settori sono infatti immagini simboliche dei quattro elementi (aria, acqua, terra, fuoco) nonché del quinto elemento superiore ovvero lo Spirito divino.
Come si riferiva in una nota precedente il Boucher nel suo volume sulla simbologia massonica, vero e proprio «vangelo» per ogni apprendista del Grande Oriente, cita la famosa opera di Jean Kostka, ovvero Jules Doinel, «Lucifer Démasqué», pubblicato nel maggio 1895 da un ex adepto della Massoneria, convertitosi al cattolicesimo.
Certo stiamo parlando di una figura ambigua e profondamente discussa di «rinnegato» della Massoneria, purtuttavia la citazione merita di essere ripetuta a questo punto, laddove il Boucher si riferisce al pentacolo come ricettacolo anche dei cinque sensi; afferma dunque Doinel: «La vista è la percezione del mondo luciferiano. L’odorato è la percezione del ‘buon odore’ luciferiano opposto al buon odore di Gesù. Il tatto è la percezione dell’azione demoniaca sulla carne e sullo spirito. Il gusto è la percezione anticipata del pane e del vino satanici che, più tardi, il cavaliere della Rosa+Croce deve rompere e bere nella cena del 18° grado» (21).
Prima di passare a questo punto alla trattazione della «cena» massonica, culmine del rituale del 18° grado, sarebbe opportuno riflettere meglio sul quadro della crocifissione.

La formella rappresenta Gesù al Calvario con altre due figure.
Una è velata e sembra essere una donna, l’altra ha invece i capelli corti, ha il capo scoperto ed è evidentemente un uomo.
Sappiamo dal resoconto evangelico che erano presenti sul Calvario, Maria Santissima, Maria di Magdala, Maria di Cleofa e l’apostolo Giovanni.
Un Calvario, dunque, molto più affollato di quello della formella.
Perché allora rappresentare solo una donna ed un uomo?
E perché queste figure non hanno l’aureola come ad esempio nel caso delle altre formelle in cui è rappresentata la Vergine?
Coerentemente al percorso intrapreso, se la simbologia della croce è qui rielaborata in chiave massonica e luciferiana, tutto deve essere coerente con tale summa simbolica.
Partiamo dunque da un gesto di Cristo: le sue palme non sono disposte correttamente parallelamente al braccio della croce, bensì sono rivolte verso il basso.
Ciò ha un significato soltanto in ambito massonico; in alcuni rituali infatti i candidati assumono questa posizione.
Ma soprattutto è interessante notare come la composizione del quadro della formella sia estremamente simile a quella di una immagine dei tarocchi, chiave della simbologia massonica: la carta numero XV, denominata il Diavolo.

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Figure 22-23 Immagini del XV arcano maggiore dei Tarocchi: il Diavolo

Questa carta rappresenta il Diavolo ovvero il principio dell’indifferenza e della sessualità globale.
In esso si raccolgono maschio e femmina; esso è il principio che solve et coagula, che raduna e disperde gli elementi e le forze vitali dell’uomo.
L’immagine diabolica è su una sorta di altare ai piedi del quale vi sono una donna alla sua destra ed un uomo alla sinistra.
Non a caso anche sul calvario della formella la donna e l’uomo sono disposti allo stesso modo ai lati di Cristo.
Se tuttavia nella formella l’immagine di Cristo è assimilata a quella satanica in una dimensione quasi miltoniana ed apollinea, nei tarocchi il cosiddetto baphomet è espressione dell’istinto e della negatività dei sensi e della sessualità dissolta dall’illuminazione razionale.

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Figura 24 Il Pentacolo adorno di simboli kabbalistici

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Figura 25 L’uomo vitruviano all’interno del Pentacolo

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Figura 26 «Croce Microcosmica» ovvero la croce alchemica nella quale il pentalfa è ricettacolo dei 5 elementi del cosmo

Tuttavia, al fine di completare la nostra analisi della formella, è opportuno segnalare che nel pentalfa massonico deve essere presente la lettera G, simbolo del G.A.D.U.
Alternativamente alla G, è possibile trovare il V, il gamma greco, simbolo archetipico del G.A.D.U. giacchè è identificabile con la squadra, strumento della creazione del Grande Architetto.
Afferma il Boucher, citando il Ribancourt che: «Furono i nostri antenati, i frammassoni di mestiere, costruttori di chiese, più preoccupati della forma che della sostanza, che adattarono il loro  simbolo, la squadra, ai loro mestieri e sostituirono il simbolo geometrico della squadra all’antico simbolo della lettera gamma. La forma era la stessa, ma il simbolo cambiava significato» (22).
Nella formella, in particolare, Gesù non ha la corona di spine, bensì una sorta di turbante che pende da un lato del viso.
Ricalcando questa sorta di turbante cosa ritroviamo se non un gamma?
E’ evidente che non si tratta di un caso giacché non solo nella formella viene sovvertita l’iconografia classica, con un Cristo privo di corona di spine e inturbantato, ma guarda caso, è evidente riscontrarvi un simbolo di evidenza immediata per ogni massone: la g del G.A.D.U..

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Figura 27 Il turbante di Cristo si trasforma in un gamma
Figura 28 Il pentalfa massonico con il gamma

A questo punto il quadro è chiaro.
Per completarlo è necessario affrontare l’ultimo elemento del rituale del 18° grado, nonché quello più importante, il coronamento della missione del Cavaliere Rosa+Croce: l’eucaristia massonica.

Seguiamo le spiegazioni della Mainguy: «La questione della Cena è, tra tutte, una delle più delicate perché, evocando questa parola, alla mente occidentale si impongono immediatamente accostamenti o paralleli con il cristianesimo. […] Nel 1787, nel manoscritto della Maconnerie adonhiramite, troviamo precisato che il terzo punto della Rosa+Croce, che corrisponde alla cerimonia della Cena, si svolge sempre dopo aver tenuto Capitolo. Quest’uso è stato conservato nella maggior parte dei rituali moderni. Al momento della ricezione di un nuovo cavaliere, il rituale della Cena o terzo punto della sua ricezione ne segna l’integrazione nella cerchia degli anziani. Il più delle volte, questo punto viene così descritto: ‘Tutti i Cavalieri prendono posto intorno alla Tavola, il Saggissimo rivolto verso Occidente mentre i Sorveglianti, con il Candidato tra loro, si dispongono di fronte al Saggissimo. Quando il cerchio è formato quest’ultimo spezza il pane, ne prende un pezzo e lo mangia. Subito dopo passa il vassoio all’Oratore alla sua destra e dice ‘prendete e mangiate, e datene a coloro che hanno fame’. Il vassoio passa successivamente nelle mani di tutti i Cavalieri, che ne prendono ciascuno un pezzo. Torna quindi al Saggissimo, che lo poggia sulla tavola, per poi versare del vino nel boccale; beve e presenta all’Oratore dicendo: ‘prendete e bevetene; datene a coloro che hanno sete’. Il boccale passa successivamente nelle mani di tutti i Cavalieri e, quando torna al Saggissimo, questi versa sul braciere il resto del vino».

Prosegue quindi la Mainguy: «La Cena è un simbolo fondamentale che risale alla più remota antichità; non è appannaggio della tradizione cristiana, poiché la divisione del pane e del vino si ritrova nell’antica Agape. Ne risulta che tutte le ‘mistagogie’ (iniziazioni ai misteri) si concludevano dividendo fra tutti uno stesso pane e bevendo il vino della coppa comune, per ricordare la comunità di beni tra i membri e il fatto che gli iniziati non possiedono niente di proprio. […] Possiamo vedere nella pratica della Cena un sacramento di unione tra tutti i Cavalieri della Rosa+Croce e l’incoraggiamento a praticare una fraterna carità attiva. In realtà questa pratica della condivisione dovrebbe essere estesa ad ogni essere umano, massone o no, con l’impegno a diffondere all’esterno i nobili valori e l’etica attinti all’interno delle Logge Massoniche».
Infine, citando il Lacordaire, aggiunge: «Tutti i Cavalieri della Rosa+Croce celebrano insieme un rito che, d’altro canto, è in genere riservato ai soli sacerdoti. Infatti, tramite la loro identificazione con il Cristo nella sua Passione, essi accedono a uno status ‘sacerdotale’ che li rende idonei a partecipare ciascuno attivamente alla Cena in pari condizioni» (23).

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Figura 29 L’ultima cena                                      Figura 30 La Pasqua ebraica

La cosiddetta «Agape Massonica» o pranzo conviviale fra confratelli è altra cosa rispetto alla Cena praticata nel grado 18°.
Qui abbiamo una vera e propria parodia dell’eucaristia cristiana, laddove all’ultima cena in cui Cristo-Agnello sacrifica se stesso in remissione dei peccati, attraverso il sacrificio del sangue e del corpo, nella Cena del Cavaliere Rosa+Croce, il Cavaliere come fosse Cristo si fa «sacerdote» in un rito di distribuzione di pane e vino che hanno valore di comunione e di simboli divini.
Il Cavaliere prende pane e vino che assicurano la sua appartenenza all’insieme dell’ordine del suo grado.
Ma oltre al valore di riconoscimento nel gruppo, c’è il valore intrinseco di questi elementi.
Il pane, l’alimento grezzo e primario è fonte materiale, pietra da sbozzare, materia prima dell’iniziato. Senza la sua sostanza non può compiere l’opera.
Ma il solo pane non basta.
Esso va purificato dalla spiritualità del vino, dall’ebbrezza bacchica, dalla conoscenza iniziatica propria del vino.
Riprendendo le parole di Jules Doinel, tuttavia, potrebbe trattarsi anche di una sorta di «comunione satanica», ove alla comunione della pane della vita che toglie i peccati del mondo, si sostituisce la comunione del potere e della libertà faustiana, la comunione satanica che è appropriazione del mondo e illusione di elevazione a poteri divini.
Nella formella dell’ultima cena non manca l’ingrediente principale ovvero la simbolica massonica.
Essa è evidente a partire dal pavimento, fatto di mattonelle a scacchi.
Il Cavaliere accoglie a piedi nudi la «comunione massonica».

Notevole è poi anche la formella della Pasqua ebraica.
Essa rappresenta il banchetto con l’agnello ed il capretto, come imposto nell’Esodo a Mosè.
Tuttavia non si possono non notare strane presenze.
Ad esempio quella di un gatto accovacciato sul quarto gradino e di una sorta di angelo munito di spada sulla sinistra.
Ma prima di parlare di queste figure va notato l’ambiente.
Si tratta dello stesso ambiente della presentazione al tempio.
Dunque la Pasqua è ambientata nel tempio di Salomone.
Le colonne in stile corinzio e ionico e la tenda (il velo del Tempio) nonché le arcate corrispondono. Inoltre i personaggi che siedono alla mensa sono intenti a gesticolare in maniera piuttosto vivace.
Si tratta con tutta evidenza di segni e controsegni tipici del 18° grado.
Veniamo dunque all’angelo armato di spada che sorveglia il banchetto.
E partiamo da una considerazione.

La-nuova-chiesa-di-San-Pio-da-Pietrelcina_img_20.jpg Gli angeli sono normalmente ritratti nella simbologia occidentale e orientale come dotati di ali.
Qui l’angelo (che dovrebbe ricordare lo sterminio dei primogeniti d’Egitto) non ha ali.
Egli impugna una spada a doppia lama nella mano destra.
Se cerchiamo nella simbologia massonica il simbolo della spada, vi ritroviamo anzitutto la cosiddetta «spada fiammeggiante», quella usata nei riti di iniziazione.
Ma, chiarisce il Boucher: «Il Maestro Venerabile, tenendo la spada con la sinistra, dirige la lama sopra la testa dell’impetrante e batte sulla lama tre colpi di maglietto» (24).
Dunque, la spada viene impugnata con la sinistra e ciò sembrerebbe smentire ogni simbologia massonica celata dallo pseudo-angelo della formella.
Tuttavia precisa: «In Loggia, la Spada è tenuta sempre con la sinistra. Il solo Copritore tiene la sua spada con la destra; infatti è un difensore incaricato di vigilare alla porta del Tempio da cui deve senza pietà allontanare i profani» (25).
Il Copritore è una figura particolarmente importante nel rituale massonico.
Può essere interno o esterno. In questo caso il Boucher si riferisce al Copritore esterno, colui che sorveglia la loggia dall’arrivo di eventuali visitatori indiscreti.

Egli è anche rappresentazione della vigilanza del corpo esterno, fisico, che non deve dare spazio alle passioni ma agevolare la conoscenza.
Non a caso il Copritore raffigurato sulla formella è sul gradino più basso del tempio.
Egli è fuori dal tempio, ne sorveglia l’accesso.
Tende la mano verso il giovane apprendista che sale i tre gradini dell’altare massonico portando l’agnello.
Egli è infatti l’agnello, colui che sacrificherà se stesso per recuperare la divinità nascosta nell’uomo.
E sul terzo gradino appare l’immagine di un gatto.
Un animale che non ha alcun legame, apparentemente, con questo episodio biblico, se non fosse che nella simbologia alchemica ed esoterica il gatto rappresenta la conoscenza, il risveglio della conoscenza interiore.
Ecco perché è posto sull’ultimo gradino prima dell’altare: l’apprendista fatto entrare dal Copritore sta salendo i gradini della conoscenza, il gatto gli indica il progresso interiore che dovrà affrontare per raggiungere la vera sapienza.

Aggiungiamo ancora qualche dettaglio riguardo alla spada: «Le spade massoniche sono fatte con una lama stretta e a due tagli; l’impugnatura è cruciforme e ornata di figure simboliche» (26).
Si tratta precisamente della tipologia di spada raffigurata nella formella, come si può vedere anche dai tanti modelli di spade massoniche oggi in vendita anche on-line.
Va aggiunto, peraltro, che la celebrazione della Pasqua ebraica, fa parte del rituale specifico del 18° grado: «La celebrazione della festa pasquale o Pessah (parola ebraica che significa passaggio, o anche ‘egli è passato’) è, come la Cena, una cerimonia di obbligazione annuale per i Cavalieri della Rosa+Croce» (27).

Come è, dunque, evidente, le scene descritte da ogni singola formella si inquadrano in un contesto iniziatico di stampo massonico.
Esse sono immagini attraverso le quali simboli ed eventi del cristianesimo e della Bibbia vengono reinterpretati o traslati nella dimensione spirituale e sapienziale massonica.
Il concetto di sacrificio di sé, di oblazione ed offerta del proprio io, assieme all’idea del cibo, della soddisfazione di fame e sete di conoscenza e dei bisogni fondamentali dell’uomo sono le colonne portanti del sistema ideologico alla base di questa creazione artistica.
In tutte le formelle vi è sì l’immagine di Cristo, di Colui che ha sacrificato se stesso ed ha offerto la propria carne e il proprio sangue, ma questa è l’immagine di un Dio solitario o meglio relegato alla solitudine.
In qualche modo è come se le formelle rappresentassero il sacrificio di Cristo, dimenticando la ragione stessa del sacrificio che è la redenzione dell’uomo.
Cristo è rappresentato quale ipostasi dell’uomo e non nel Suo ruolo di Salvatore.
Il Suo sacrificio viene imposto, secondo quanto già affermato, come exemplum e non come unicum. Cristo Gesù, decontestualizzato, isolato, capace di offrire se stesso e di sanare la fame dell’uomo non è il Dio in cui crediamo.
Questa è una caricatura di Cristo.

Non a caso sono stati scelti episodi dell’Antico Testamento in cui il rapporto tra Dio e l’uomo è mediato da individui dotati di un carisma speciale e capaci di intrattenere un rapporto privilegiato con Dio (Abele, Mosè, Abramo, Elia, Melchisedech).
Il rapporto tra Dio e l’uomo emerge come un rapporto tra il singolo uomo e la divinità.
Ed è un rapporto di accesso al divino.
In sintesi il significato profondo di questa opera artistica è insito nella descrizione delle modalità con cui grandi iniziati, grandi conoscitori del divino hanno raggiunto la vetta di un rapporto privilegiato con Dio.
Queste modalità sono essenzialmente il sacrificio di sé e l’offerta del cibo.
Il dono di sé inteso come strumento ascetico di perfezione interiore, l’offerta del cibo, invece, quale espressione della capacità dell’uomo «divino» di distribuire agli altri umani la conoscenza divina raggiunta dentro di sé.
Il tema centrale del cristianesimo, quello della  Salvezza, è totalmente assente da questa rappresentazione artistica.
E se l’uomo non necessita di salvezza allora egli vive al di fuori del peccato, dunque non ha bisogno di Cristo.
Ecco quindi il Salvatore trasformarsi nel «grande sapiente», nell’iniziato, in Colui che in Sé ha realizzato l’ascesa dalla condizione umana a quella divina.

La-nuova-chiesa-di-San-Pio-da-Pietrelcina_img_21.jpgPer concludere questa analisi dobbiamo però soffermarci sull’ultima formella che è forse anche la più pregnante: quella del Pellicano.
«Nel 1756, quando venne fondato il Capitolo di Clermont da parte del Cavaliere de Bonneville, vi si aggiunse il grado della Rosa+Croce, al quale fu associato il simbolo del Pellicano. […] La rappresentazione del pellicano che si apre il petto per nutrire i suoi piccoli è insieme bella e atroce. Bella per la rappresentazione dello spirito di abnegazione che giunge fino al sacrificio, atroce per l’aspetto sanguinario che sembra giungere fino al masochismo. […] Il pellicano che dorme in ciascuno di noi deve potersi risvegliare, quali che siano i tempi e i luoghi, per battere le ali offrendo il proprio cuore. Analogamente ogni Maestro massone, e a fortori ogni Cavaliere della Rosa+Croce, deve far dono delle proprie conoscenze per trasmetterle ai più giovani. Il pellicano viene talvolta rappresentato sulle vetrate di cattedrali, cappelle o chiese […]. Nell’immaginario cristiano esso rappresenta il Cristo che offre il proprio corpo per la salvezza del mondo. D’altro canto, in alcune litanie medievali possiamo leggere: pie pellicane, ora pro nobis» (28).

Il Cavaliere della Rosa+Croce è noto anche come Cavaliere del Pellicano, dal momento che questo animale è simbolo del grado stesso ed è raffigurato nel gioiello del 18° grado.
L’immagine del pellicano è poi accompagnata dai suoi piccoli: «Il pellicano è all’origine di un’importante iconografia, immagine emblematica che lo rappresenta con tre, cinque o sette piccoli. Questa simbolica dei numeri è familiare al Maestro massone» (29).
Così veniamo a sapere che il numero dei piccoli pellicani è legato a significati particolari ed è variabile, ma quanti pellicani sono rappresentati nella formella?
Se ne contano 5.
E non a caso: «In realtà la rappresentazione abituale nei Capitoli mostra cinque o sette piccoli pellicani. Oltre ad essere il numero della vita e dell’uomo, nella simbolica cristiana il cinque ha il significato di libero arbitrio, il che potrebbe essere compreso nel senso che non basta ricevere un nutrimento spirituale affinché operi dentro di noi, poiché la sua integrazione si effettua solo mediante un volontario sforzo di assimilazione» (30).

La-nuova-chiesa-di-San-Pio-da-Pietrelcina_img_22.jpgMa qual è il reale significato del pellicano?
Questo animale che sacrifica se stesso, che dà il proprio sangue per i piccoli non ha soltanto un significato puntuale, legato al sacrificio di sé.
Come in buona parte della simbologia massonica vi sono due strati interpretativi che traggono significati e forza l’uno dall’altro.
In particolare il pellicano che muore per i suoi figli è immagine alchemica di rigenerazione e purificazione.
Spiega pertanto la Mainguy: «Nell’alchimia questo presunto sacrificio serve come paragone con quello della pietra filosofale che muore al fine di rigenerare i metalli perfetti. Nella figura III del Solidonius, il pellicano e la fenice sono associati nella morte, l’uno mediante il suo stesso sangue, l’altra attraverso la cremazione, per rinascere come pietra filosofale. Morte e resurrezione segnano la continuazione dell’opera attraverso la rigenerazione, fino allo stato di perfezione simboleggiato dalla pietra filosofale. Le Forestier ricorda che nei trattati di alchimia la pietra filosofale era frequentemente raffigurata dal pellicano perché, secondo la teoria spagirica, essa si esauriva comunicando al vile metallo il colore rosso che nascondeva, proprio come il pellicano muore per l’emorragia del sangue bevuto dai suoi figli… La maggior parte dei quaderni dei Rosa+Croce si astengono, è vero, dal fare allusioni all’alchimia; a voler credere ad essi, il pellicano non è altro che il simbolo del redentore del Mondo e della Perfetta Unità» (31).
Come è evidente dal tono dell’autrice, l’alchimia è in qualche modo alla base della rappresentazione del pellicano e quindi dell’intero grado 18°.

La-nuova-chiesa-di-San-Pio-da-Pietrelcina_img_23.jpgQuesto grado è stato simbolicamente rappresentato in quello che dovrebbe essere il Tabernacolo della nuova chiesa di San Giovanni Rotondo e che invece potrebbe piuttosto esser definito un totem pagano, ove sotto le spoglie del sincretismo massonico si celano messaggi alchemici, teorie sapienziali e simbologie iniziatiche nettamente in contrasto con il cristianesimo.
Non ci soffermiamo in una trattazione analitica di tutte le formelle, ci basta, tuttavia, aver evidenziato come la struttura stessa di questo pseudo-Tabernacolo è inquadrata all’interno di una dinamica «spirituale» e «iniziatica» totalmente aliena dal cristianesimo.
L’immagine essenziale è quella già ispirata dalla forma del quadrato che si fa ottagono, l’uomo che si «indìa».
Questa idea, questo programma massonico ed alchemico (la purificazione dai metalli volgari per il raggiungimento della pietra filosofale), è un programma niente affatto formale e quindi tipico di una associazione fondata su un’accozzaglia di tradizioni e simboli, bensì prettamente spirituale: l’uomo deve innalzarsi a livello di Dio, attraverso una retta conoscenza dei Suoi segreti.
Deve sacrificare la propria esistenza purificandosi dai desideri materiali, deve mettere a morte la propria carne, offrirla al Suo Dio, per farla rinascere in spirito divino capace di attingere le vette più alte della divinità.
La creatura deve trasformarsi nel creatore, assumere in sé le stesse caratteristiche ed il medesimo potere.
Questo potere è spirituale ma anche materiale, nel senso che è potere di condurre l’umanità obnubilata dalla conoscenza fallace dei sensi, verso la retta conoscenza.
E per raddrizzare le menti e le anime degli uomini, altri uomini illuminati devono esercitare il proprio potere nelle forme più convenienti a questo disvelamento.

E’ evidente che stiamo parlando di idee in netto contrasto con il cristianesimo, con gli insegnamenti della Chiesa, ma ancor più in contrasto con il buon senso comune laico e razionale.
Tuttavia elementi precipui di tali dottrine sono scolpite all’interno di una chiesa cattolica quasi a rimarcare quel «potere» e «dovere» di illuminare le menti degli uomini che i massoni eletti ascrivono a sé.
Cavalieri al servizio di un dio di loro stessa invenzione si appropriano dei luoghi del cristianesimo per generare nuovi insegnamenti, per raddrizzare le strade (a loro parere erronee) dell’insegnamento cristiano e dell’ortodossia.
Tutto ciò nel Santuario del Santo che in sé portava i segni della comunione con Cristo.
I segni della sofferenza di un Dio fattosi uomo per salvare l’umanità dal peccato e non del contrario: un uomo fattosi dio per liberare l’umanità da se stessa, dal limite dell’uomo rispetto a dio.
Questo dio, osannato nello pseudo-tabernacolo, lo si è visto, è il Miltoniano Lucifero, immagine di liberatore dell’uomo dallo stato umano, ribelle che ha insegnato all’umanità la strada per ergersi effimeramente ad antagonisti di Dio. Questo dio è Satana, che beffandosi della finta razionalità dell’occidente contemporaneo contento di averlo relegato a retaggio del medioevo, riemerge sottoforma spirituale e rabbonita di principio di libertà e saggezza.
Che grande blasfemia nella chiesa del Santo di Pietrelcina!

5. L’Arazzo dell’Apocalisse

La-nuova-chiesa-di-San-Pio-da-Pietrelcina_img_24.jpg
Figura 34 La donna sfugge al drago - Il trono di Dio da cui sgorga il fiume che dona la vita

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Figura 35 La donna vestita di sole - Il drago e le sette stelle - In basso: la Gerusalemme celeste

La-nuova-chiesa-di-San-Pio-da-Pietrelcina_img_26.jpg
Figura 36 In basso: i 24 vegliardi - In alto: gli adoratori dell’Agnello

L’arazzo realizzato in tessuto aerospaziale dall’artista statunitense Robert Raushenberg (uno dei fondatori della Pop Art da sempre vicino a circoli esoterici e kabbalistici) è una sorta di collage di episodi tratti dall’Apocalisse di San Giovanni.
Si tratta propriamente di un collage di sette scene dell’Apocalisse su di uno sfondo che raffigura un immaginario «paradiso» fatto di prati, alberi e rocce, il cui orizzonte, precisamente a metà altezza dell’arazzo, si spalanca su di un cielo rosso fuoco.
Le scene a partire da destra rappresentano:

a. In basso a destra: i 24 vegliardi che adorano l’Agnello (riconoscibili dalle corone d’oro)
b. In alto a destra: i 4 animali che circondano il Trono con le «migliaia di migliaia» in adorazione dell’Agnello
c. Al centro in alto: la donna vestita di sole, il drago e il bambino
d. A sinistra in alto: la donna con le ali che sfugge al drago
e. Al centro in basso: Gesù appare nei cieli
f. Al centro in basso: la Gerusalemme celeste
g. A sinistra in basso: il fiume cristallino che sgorga dal trono

Anzitutto va precisato che l’arazzo non va letto dall’interno ma dall’esterno, dunque in senso contrario rispetto alle fotografie qui riprodotte.
Ciò lo si intuisce dalle piccole diciture che accompagnano le scene.
Tutti i singoli episodi sono separati da una sorta di cerchio nero, quasi un cerchio di penna fatto con tratto veloce per individuare ogni momento specifico del racconto.
Balza subito agli occhi una incongruenza con il racconto dell’Evangelista: di tutti i settori - i cerchi che individuano gli episodi - soltanto uno è fuori posto rispetto ad un ordine grafico che parta dalla sinistra dell’osservatore esterno alla chiesa e proceda verso destra.

La-nuova-chiesa-di-San-Pio-da-Pietrelcina_img_27.jpg
Figura 37

Questa diversione nel percorso di lettura dell’arazzo, come vedremo, non è casuale.
Inoltre colpisce immediatamente la scelta degli episodi.
Dall’apertura dell’Apocalisse, appena dopo le lettere alle 7 chiese (capitolo 4), si passa al capitolo 12, per concludere con i capitoli 21 e 22.
In questa rappresentazione sacra manca infatti l’elemento principale della rivelazione di San Giovanni: il giudizio.
Non un accenno è riservato al giudizio di Cristo nella sua parusia.
Il centro dell’opera è invece riservato all’inseguimento della donna e del bambino da parte del drago, anzi il drago a sette teste è esso stesso il centro di tutto l’arazzo.
Neppure la battaglia tra San Michele e il drago è raffigurata, né si può intuire la fine di Satana, se non fosse per il fatto che la scena si sposta immediatamente dopo alla visione del fiume generatore di vita che sgorga dal Trono di Dio e dell’Agnello.

L’arazzo, seppur concepito come un poster sintetico, come un collage di scene apocalittiche in realtà nasconde tutta l’Apocalisse per concentrarsi sulla scena più inquietante e tremenda che annuncia la guerra fra Satana e Cristo: il drago che vuol trangugiare il bambino nato dalla donna.
Non i sette sigilli o le sette trombe, non i quattro cavalieri, non il giudizio, non il prosieguo della sconfitta del drago, con la nascita delle bestie.
Quale senso avrebbe rappresentare dunque scene dalle quali non si può evincere il significato profondo del libro?
Come si può raffigurare l’Apocalisse quasi fosse una lotta privata fra Cristo e Satana nella quale l’umanità ha un ruolo marginale e quasi totalmente assente?
E che senso ha rappresentare la Gerusalemme celeste come una città presente già sulla terra ed anzi sovrastata dal drago?

Cercheremo di rispondere a questi interrogativi sfruttando la chiave interpretativa offerta dai rituali e dalla simbologia del 17° grado della massoneria, quello del Cavaliere d’Oriente e d’Occidente.
Come illustra la Mainguy: «Il grado indica la necessità di lanciarsi nella lotta contro i danni dell’intolleranza, dei pregiudizi, del fanatismo, tanto distruttivi sul piano umano, allo stesso modo dell’ignoranza che genera errori e oscurantismo, in breve contro tutto ciò che ostacola l’avvento di una coscienza chiara e luminosa» (32).
Inoltre: «Il 17° grado segna il compimento di un ciclo e l’inizio di uno nuovo. Ispirato al Libro dell’Apocalisse, sembra inserirsi in modo un poco anacronistico nel passaggio (simile a una sorta di ponte, di setaccio, di interfaccia) tra l’Antico e il Nuovo Testamento» (33).
E’ interessante notare come sin dal titolo di Cavaliere d’Oriente e di Occidente sia esplicitato il percorso iniziatico dell’adepto.
Egli dovrà passare dall’occidente attraverso la conoscenza interiore per raggiungere l’oriente: «Il viaggio verso oriente è un viaggio iniziato con la ricerca della Conoscenza di sé che amplia progressivamente lo sguardo sulla Conoscenza dell’Universo» (34).
Il Grande Oriente, l’Oriente Eterno, sono sinonimi del traguardo della conoscenza.
Ecco perché coerentemente l’arazzo rappresenta immagini che da occidente corrono verso oriente ed è posto sul lato orientale della chiesa.

Scopo del grado è quello di trasferire sulla terra la Gerusalemme Celeste.
Il Cavaliere dovrà fare in modo di portare sulla terra la perfezione divina del Paradiso: «In questo nuovo stato, viene ristabilita la parentela diretta con il Principio. Ciò corrisponde al segno e controsegno che sarà dato al Cavaliere della Rosa+Croce, per ricordare che ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e che dovrà fare la Sua volontà sulla terra come in cielo» (35).
Se sinora l’obiettivo era la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, a questo punto del cammino iniziatico, il tempio si identifica con la Gerusalemme celeste, con il tempio interiore dell’uomo che non deve vivere solo in cielo, ma va condotto sulla terra.
Ecco spiegata la posizione centrale della Gerusalemme, raffigurata non mentre scende dall’alto, ma già installata sulla terra.
Resta ora da spiegare perché il centro di questo arazzo non sia Cristo ma il Drago.
Probabilmente la risposta non va cercata con insistenza, in quanto è già evidente in se stessa.
Michelangelo quando ha rappresentato il Giudizio non ha avuto tentennamenti né ha realizzato un’opera equivoca e ambigua: ha posto al centro Cristo Giudice.
Qui invece tutta la scena centrale è occupata dal drago.

La stessa Vergine ha un ruolo marginale e il suo piede non schiaccia neanche il serpente.
Si difende nel deserto dal drago ma non ne determina la sconfitta.
D’altra parte la lotta dell’Apocalisse sembra non avere senso alcuno in quest’opera, dal momento che l’uomo e il mondo sono due grandi assenti in un quadro che descrive soltanto un aldilà completamente distaccato dalla realtà immanente.
Il 17° grado porta il massone alla consapevolezza della ciclicità della storia: un ciclo, quello rappresentato dai templi ricostruiti e distrutti, si chiude.
Ecco spalancarsi le porte al nuovo ciclo che condurrà all’Apocalisse, alla rivelazione della nuova città ideale, luogo in cui l’uomo e Dio convivranno come nel passato edenico.
Ma, come si evince dalla stessa parola sacra del 17° grado, «Abaddon», il reale protagonista di questo ciclo, colui che lo rende possibile, è «il Distruttore» ovvero Satana.
Potremmo dunque interpretare l’opera come un inno a Satana che giunge a collocare finalmente la Gerusalemme celeste in terra?
La gnosi crede nella necessità del male, nella sua bontà definitiva in quanto movente del termine della schiavitù dell’uomo nei suoi limiti «umani».
Satana che ha liberato l’uomo offrendogli l’opportunità di raggiungere le vette della conoscenza divina è qui presente come il grande protagonista della finale divinità umana, della riconciliazione con la divinità latente nello spirito d’ogni essere umano.
Ecco perché la storia della Redenzione ed il Giudizio non sono importanti e non vengono rappresentati né accennati in questo magnifico arazzo: è evidente che l’uomo non ha alcun ruolo in questa lotta tra il Liberatore ed un Dio dispotico e geloso del Suo potere.
L’unica possibilità di intervenire in questa lotta è data all’uomo che sia consapevole della bontà di Satana e ne voglia invocare l’arrivo per trasportare finalmente in terra la Città Celeste.

6. Conclusione

La nuova chiesa di San Giovanni Rotondo è indubbiamente una creazione architettonica tra le più audaci e stupefacenti degli ultimi decenni.
Ma forse è meglio usare le parole di frà Cabodevilla Gardes: «In essa non si sentono né le voci delicate dei mosaici bizantini dei templi del primo millennio, né i suoni maestosi dell’arte gotica, o del Rinascimento, o del barocco… corrispondenti al secondo millennio dopo Cristo. Ma, con un po’ di attenzione, con quanta chiarezza, con quanta forza si ascolta il linguaggio simbolico della colonna in cemento armato, degli archi e del pavimento in pietra, della croce luminosa e gloriosa, dell’altare, dell’ambone, del tabernacolo, dell’arazzo…[…] I messaggi sono uguali. Le voci sono diverse. Le voci della ‘basilica del terzo millennio’. Bisogna imparare ad ascoltarle» (36).

Certamente mai sono state usate parole più appropriate a descrivere questa struttura fatta di «linguaggio simbolico» e si direbbe che il frate cappuccino sia quasi consapevole della reale natura della chiesa.
E se è vero che la chiesa di San Giovanni Rotondo in qualche modo sembra parlare, non è sempre consigliabile «imparare ad ascoltare» la sua voce, soprattutto se non parla di Cristo ma di ben altro.
La chiesa di Renzo Piano è stata accuratamente progettata e realizzata come grande teatro della Massoneria.
Racchiude in sé simboli dai significati anticristiani che sono usuali e ben noti ai massoni.
E’ inoltre concepita come un luogo di cammino spirituale - secondo la spiritualità massonica - alla scoperta di Cristo vera pietra filosofale e di Padre Pio (suo emulo) il cui corpo sarà destinato a giacere nella cripta e a divenire quindi culmine del disvelamento della pietra per tutti gli iniziati che abbiano intrapreso il suddetto percorso spirituale.

Ci si domanda immediatamente il perché di una simile realtà: perché la Massoneria avrebbe voluto impadronirsi del tempio di uno dei più grandi Santi della storia, applicandovi subdolamente per i profani, ma apertamente per gli iniziati, simbologie e segni propri dei suoi insegnamenti e delle sue pratiche?
Chiunque abbia visitato Roma avrà sicuramente alzato almeno una volta il suo sguardo per ammirare uno dei tanti obelischi che adornano le piazze della città.
Quelle opere venute per mare dal lontano Egitto, cariche di simboli e cartigli con nomi di divinità pagane sono coronate da un simbolo a loro estraneo: il crocifisso.
I Papi nei secoli scorsi vollero applicare un crocifisso sul culmine di queste pietre che si slanciano verso il cielo ad indicare la divinità solare.
E’ questo un gesto che indica la vittoria del cristianesimo sui caduchi simboli pagani.
Ma ancor più è la vittoria della Croce, il patibolo di Cristo, sui simboli, sugli oggetti che significano altro da quanto rappresentano immediatamente.
La realtà concreta di Cristo emerge sulla confusione magica e nebulosa di simboli ed amuleti, segni e gesti privi dell’immediatezza della presenza di Dio.

Oggi la Massoneria ripete il sapiente atto dei Papi, ma lo fa con tronfia presunzione, nascondendo la sua presenza ai profani, confondendosi nel cuore stesso del tempio cristiano, e sebbene la sua presenza sia apparentemente evidente soltanto ai suoi affiliati, anche i puri di cuore e i cristiani umili e semplici riescono a intravederne la mefitica presenza in un luogo solenne.
Ma l’opera non è compiuta.

Un altro passo attendono i fautori di questo scempio: la traslazione del corpo del Padre Pio nella cripta della nuova chiesa.
Se questo avverrà non solo sarà stata oltraggiata la Chiesa tutta, ma Padre Pio sarà esposto alla blasfemia e all’affronto più grande!
E sta a noi fedeli e suoi devoti preservarne la memoria e la bellezza fermando la mano di coloro che anche ingenuamente immaginano di arrecare una grande gioia alla Chiesa garantendo il riposo del Santo frate di Pietrelcina nella cripta della spirale massonica.

Padre D. T.



1) J.Boucher: «La Simbologia Massonica», 1948, pagine 171-172.
2) J. Boucher, opera citata, pagina 236.
3) Epiphanius, «Massoneria e sette segrete», 2002, pagina 197.
4) J.Tourniac, «Simbolismo massonico e tradizione cristiana», 2005, pagina 339.
5) J. Boucher, opera citata, pagine 49-52.
6) Fra Elias Cabodevilla Gardes, «Una chiesa per San Pio, una santità per la Chiesa», 2005, pagina 46.
7) R.Lomas, «Il segreto dei Massoni», 2007, pagina 192.
8) J. Boucher, opera citata, pagina 325.
9) I. Mainguy, Simbolica dei Capitoli nella Massoneria, 2007, p.181.
10) I. Mainguy, opera citata, pagina 199.
11) I. Mainguy, opera citata, pagina 271.
12) I. Mainguy, opera citata, pagina 271.
13) I. Mainguy, opera citata, pagina 273.
14) I. Mainguy, opera citata, pagina 114.
15) I. Mainguy, opera citata, pagina 197.
16) I. Mainguy, opera citata, pagina 227.
17) I. Mainguy, opera citata, pagina 227.
18) I. Mainguy, opera citata, pagina 253-254.
19) J.M.Ragon, «Le Compagnonnage», 1901, pagina 81-82.
20) J. Boucher, opera  citata, pagina 236.
21) J.Kostka, «Lucifer Démasqué», 1895, pagina 281.
22) J. Boucher, opera  citata, pagina 244.
23) I. Mainguy, opera citata, pagine 289-292.
24) J. Boucher, opera citata, pagina 58.
25) J. Boucher, opera citata, pagina 59.
26) J. Boucher, opera citata, pagina 60.
27) I. Mainguy, opera citata, pagina 432.
28) I. Mainguy, opera citata, pagine 243-244.
29) I. Mainguy, opera citata, pagina 244.
30) I. Mainguy, opera citata, pagina 244.
31) I. Mainguy, opera citata, pagina 246.
32) I. Mainguy, opera citata, pagina 113.
33) I. Mainguy, opera citata, pagina114.
34) I. Mainguy, opera citata, pagina 122.
35) I. Mainguy, opera citata, pagina 123.
36) Cabodevilla Gardes, opera citata, pagina 5.


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