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Buddhismo tibetano
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Alla ribalta della recente cronaca politica internazionale, al centro di discussioni ed all’attenzione del mondo, il fascino dell’estremo Oriente contagia non poche persone.
Solidali con chi subisce ingiustizie e prevaricazioni e con i monaci ingiustamente perseguitati, ci accingiamo a scrivere qualcosa sulla natura del buddhismo tibetano.

Questo buddhismo, considerato a lungo come una sorta di degenerazione del buddhismo tradizionale, è oggigiorno visto invece, per lo meno dal comune sentire mediatico, come la voce ufficiale del buddhismo stesso.
Con ciò ed erroneamente il Dalai Lama assurge quasi a vestire il pontificato di tale religione.
Ma facciamo un passo alla volta.

La prima statua buddhista fu portata in Tibet soltanto durante il regno di re Songten Gampo (Sron-btsan sGam-po) (617 - 649), a cagione delle due mogli buddhiste del re, ed in occasione dell’invio di alcuni ministri in India, per apprendere la lingua e la scrittura del luogo.
Tuttavia la diffusione del credo buddhista si ebbe in maniera decisa soltanto a partire dal regno di Trhisong Detsen (nato nel 742, morto nel 798), a partire in particolare dal 786, anno in cui il re chiamò in Tibet Padmasambhava, un noto yogin buddhista, si narra, dotato di enormi poteri, proveniente dalla terra del Kashmir.
Egli aveva la missione di sconfiggere le divinità presenti nel Tibet, ostili all'introduzione del Buddhismo.

Padmasambhava (considerato il padre del Buddhismo tibetano, chiamato «Guru Rimpoche», cioè «Maestro Prezioso»), secondo la leggenda, sconfisse alcuni di questi demoni, costringendone altri a divenire difensori della nuova religione.
Da qui la fondazione del monastero di Samye (762-766), ove si ebbero i primi monaci e dove cominciò la traduzione in lingua tibetana dei testi del canone buddhista, sia hinayanici sia mahayanici.
Nel 779 il Buddhismo fu dichiarato religione di Stato.
Quale fu la corrente buddhista che penetrò in Tibet?

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Costruito nel 1614, il monastero di Sera è uno tra i più importanti di tutto il buddismo tibetano

Esistevano all’epoca infatti diverse scuole e diramazioni della dottrina di Buddha Sakyamuni; le principali sono: l'Hinayana (il «Piccolo Veicolo» o scuola meridionale), il Mahayana (il «Grande Veicolo» o scuola settentrionale) basate sui Sutra, e il Vajrayana (Veicolo di Diamante) basato sui Tantra.
Padmasambhava (sembra, accusato di omicidio e sicuramente bigamo, benché monaco! Dedito a strane pratiche meditative presso cimiteri) portò in Tibet quest’ultima corrente; prova ne è il fatto che nascose i propri scritti in luoghi segreti, in attesa di una loro riscoperta in tempi più propizi: questi testi vengono detti «terma» e vi confluiscono elementi buddhisti tantrici ed elementi «bon» (1).
In effetti furono riscoperti nei secoli XII e XIV, e codificati proprio nella «Raccolta degli antichi tantra».

Dopo il governo marcatamente filo-buddhista del sovrano Ralpachen (815-838), il nuovo re Langdarma scatenò una violenta reazione anti-buddhista.
Intorno al IX-X secolo, nacque la scuola Nyingma, detta «degli antichi» che si basava sulle opere tradotte a Samye.
Uno dei terma principali della scuola è quello del «Bar do t'os grol» (anche conosciuto come Bardo Thodol - Il libro Tibetano dei Morti), attribuito allo stesso Padmasambhava.
Il testo è interamente dedicato alla tecnica del trasferimento del principio vitale nel momento della morte; esso si identifica con l'unione ontologica (manifestata al trapasso) tra il proprio essere-luce e la luce stessa.
La recitazione al capezzale del moribondo è pratica esclusivamente lamaista ispirata ad ormai perdute tecniche di tipo sciamanico; una sorta di guida per aiutare il moribondo a reincarnarsi.

L’insegnamento più noto di tale scuola è definito Dzogchen; «Nello Dzogchen è possibile raggiungere l'illuminazione in una sola vita, ma si parla del grande trasferimento nel corpo di luce, cioè il corpo materiale senza morire si trasferisce o si riassorbe nella sostanza luminosa degli elementi e, agli occhi di una persona ordinaria, sparisce» (2).

Altre scuole ed ulteriori diffusioni del buddhismo si ebbero in seguito grazie all’impulso di diversi maestri: in particolare, un ruolo speciale è da riconoscere al maestro indiano Atisha, (siamo poco oltre il 1040 dopo Cristo; nacque infatti nel 982 e morì nel 1054), autore della «Lampada per il sentiero dell'Illuminazione», considerato uno dei più importanti insegnamenti del Buddhismo tibetano.
Atisha (insieme anche al successivo maestro Tsong KhaPa) ebbe anche importanza per la nascita successiva della scuola Gelugpa («quelli [seguaci] della virtù»), di cui è la massima autorità spirituale il Dalai Lama.

Questa scuola ebbe pieno sviluppo soltanto a partire dal 1400 in poi (data importante è il 1578, quando il principe mongolo Altan Khan riconobbe il titolo di Dalai. A metà del XVII secolo l'ordine gelugpa diviene la chiesa ufficiale del Tibet ed il maestro della linea sovrano temporale del grande regno transhimlayano).

Il Dalai Lama (traducibile con «oceano di saggezza»), venerato come manifestazione del bodhisattva della compassione Avalokitesvara, la cui reincarnazione sarebbe individuata grazie ad oracoli e responsi e confermata dalle doti dell’eletto è, insieme al meno noto Panchen Lama (reincarnazione del Amitabha Buddha, di infiniti meriti, in virtù delle numerose buone azioni compiute durante le sue innumerevoli vite come bodhisattva) la massima autorità spirituale del buddhismo tibetano.

Ma a cosa crede davvero il buddhismo tibetano?
L’apparenza pacifista e compassionevole che inonda a fiume le nostre TV sulla figura di poveri perseguitati è davvero
«il cuore» della dottrina lamaista?

Potremmo rispondere: «si e no»!
In realtà le cose si presentano in maniera più complessa.
Anche gli stessi Dalai Lama, in passato, hanno invitato a brandire le armi in nome della causa buddhista; ma questo, allo Stato, non importa.
Quello che interessa è il corpus dottrinale dell’insegnamento in questione.

Il buddhismo tibetano, l’abbiamo visto, nasce da una matrice complessa: vi si scorgono elementi propriamente buddhisti, tantrici e finanche sciamanici.
Il risultato finale è quello di un sistema di pensiero abbastanza fluido, in cui forte è l’elemento esoterico (e se si vuole anche magico esoterico), finalizzato all’ottenimento dello stato di illuminazione anche mediante una sola vita (nell’ottica della reincarnazione, chiaramente).
Cerchiamo di approfondire.

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The Buddha

Il tantrismo (il termine si può tradurre con canestro, tessuto e metaforicamente come «trasformazione continua», legata al compimento di certe pratiche), sorto in India verso il 500 e sviluppatosi tra l’VIII ed il XV secolo, si fonda su 64 Tantra.
Questi sono veri e propri manuali di occultismo e di magia; pretendono infatti, attraverso particolari rituali, di avere effetti sull’uomo e sulle cose, col semplice ricorso a suoni, lettere, immagini, incantesimi, ecc.
Il tema centrale è costituito dall’insistenza dell’unione mistica della divinità con se stessa, unione generatrice del creato, rappresentata figurativamente come unione sessuale, uomo e donna praticanti il coito (maithuna).
Tale convinzione, evidentemente monista, porta alle estreme conseguenze i presupposti ideologici da cui prende le mosse: se il divino è omnipervadente ed è conciliazione degli opposti, la differenza ontologica del creato e delle cose tra loro, percepibile alla mente umana, è soltanto frutto di una incapacità cognitiva, che vede la sua piena consapevolezza realizzativa nell’illuminazione; gli stessi concetti di bene e di male sono da considerare come superabili appendici di una sintesi superiore.
Non c’è nulla, pertanto, nella vita che debba essere oggettivamente condannato come male in sé; tutto può portare all’illuminazione, alla beatitudine.
Ciò che costituisce caduta per l’uomo, diviene (secondo il tantrismo) causa della propria salvezza.
Questo in virtù dell’energia cosmica latente all’interno di ogni individuo, che può riscoprirla e farla propria al fine di un maggiore progresso spirituale.

Le pulsioni ed i desideri – anche efferati – possono essere causa di liberazione dal ciclo indefinito delle esistenze (samara che, in quest’ottica, si identificherebbe addirittura con il nirvana); l’importante è la giusta canalizzazione delle energie.
Non conta affatto quel che si fa, in poche parole, ma se si è «lasciata passare a dovere» la Kundalini (energia dell’universo), che ha sede sotto l’ombelico, nel primo dei chakra.
L’energia sessuale è la vera energia del creato e non solo; lo è anche della medesima divinità.

Si rileva un'identità assoluta di spirito e materia, microcosmo e macrocosmo, anima individuale e anima universale.
L’anima universale viene concepita come il fondamento del tutto, unità indivisibile, trascendente ed eterna, che si manifesta in forma androgina.
L’anima universale ha in sè un principio maschile/femminile (statico/dinamico) che, all’integrarsi, crea continuamente
la vita.
L’infelicità consisterebbe proprio nella mancata realizzazione della completezza totale nella propria esistenza.
Il desiderio – che domina tutte le azioni umane - rappresenterebbe quindi la molla utile proprio al ritrovamento di questo perduto equilibrio; esso corrisponde alla propria deificazione (o meglio, riscoperta del divino in sé).

L’eros si considera la forza fondamentale della vita, scintilla dell’energia creatrice.
Solo scendendo nel profondo di questa forza vitale si sarebbe in grado di riconoscere la forza cosmica.
Il sesso nel tantrismo è espressione della divinità.
La funzione dell’accoppiamento tantrico non è riproduttiva, bensì redentrice.
Il buddismo tibetano crede in questo.
Cosa possiamo dire in merito?

Nelle pratiche orgiastiche difficilmente l’uomo riesce ad elevarsi spiritualmente: sarà forse accaduto che taluno abbia – per pura Grazia di Dio, innocenza personale ed ignoranza della Verità – ottenuto di non macchiare ulteriormente la propria anima con questi fasulli e mortiferi rituali, ma le considerazioni da farsi non possono che essere negative (anche se la pratica sessuale può restare marginale, il tantrismo contamina l’uomo con i suoi soli assiomi filosofici).
L’uomo che è dominato dall’impulso e dalla passione, vive schiavo di essa.
Soltanto colui che sappia controllare le pulsioni inferiori – proprio quelle che provengono dalla zona della Kundalini - è capace di vivere soprannaturalmente.

Questo è evidente già dal testo di Genesi.
La creazione dell’uomo segue a quella del mondo vegetale e a quella del mondo animale, a significare, tra le altre cose, anche la superiorità dell’essere umano e delle sue facoltà (dello spirito) sopra quelle meramente vegetative (istintivamente portate alla conservazione dell’esistenza: come sono le pulsioni nutritive e sessuali) e quelle sensibili (legate alla sola materialità ed istintività bruta).
La libertà di cui Gesù parla scaturisce precisamente dalla piena armonia con la propria verità creaturale, secondo quanto da Dio determinato e voluto: lo spirito sull’anima, l’anima sul corpo e lo spirito dell’uomo nello Spirito di Dio: «tutto è vostro, ma voi siete di Cristo».
Il peccato (oggettivamente individuabile anche dalla mera morale che scaturisce dal diritto naturale) non può mai essere mezzo di salvezza, perché sovverte sempre quest’ordine divino di felicità  e di immortalità.

L’illuminazione buddhista è una mera illusione, ancor più aggravata dalla piena identificazione tra samara e nirvana; schiavitù e libertà confuse nell’indistinto calderone, dal quale non v’è via d’uscita se non l’assoluta negazione di ogni individualità, che si disperde «come lacrime nella pioggia» nel flusso energetico di una fagocitante Kundalini (rappresentata tra l’altro come un serpente: forse migliore rappresentazione non era possibile. Intelligenti pauca), ingannevolmente e terribilmente celata nelle pieghe di una schiavizzante perversione sessuale.
Lo stesso tecnicismo nel rapporto è sovrastruttura imposta, che toglie ogni spontaneità all’amore sacro di due coniugi.

La procreazione, che è fine primario del matrimonio, è relegata ad episodio rispetto alla redenzione personale; con ciò stesso evidenziando un profondo latente egoismo di base, che non vuole il bene dell’altro e la sua gioia completa con
il totale dono di sè fino alla generazione di una nuova vita – che sarà eterna!
E per la gloria accidentale di Dio e la sua stessa felicità (l’uomo nuovo concepito nasce chiamato alla felicità eterna di Dio!) – ma pensa solo a quanto possa venirgli in tasca in termini di karma (scusate la brutalità, ma, senza ipocrisie, è così).

Tra l’altro, e concludo, tra i culti più notevoli praticati dai lamaisti vi è quello dei «Buddha viventi», ossia dei grandi monaci
i quali, durante le funzioni liturgiche, sono fatti oggetto di venerazione come esseri divini.

Stefano Maria Chiari

(Ringraziamo il sito www.mondotibet.com per le immagini)



1) “Bonpo” è la religione autoctona del Tibet; essa si fondava su elementi di origine sciamanica di visione monista. Questo credo fu praticamente assorbito dal buddhismo tibetano.
2) Da http://www.etanali.it/dzogchen.htm


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