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La catastrofe dell’occidente (parte IV)
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Il sionismo cristiano

Il cosiddetto sionismo cristiano o cristiano-sionismo è l’ultima, in ordine di tempo, delle devianze teologiche partorite dall’evangelicalismo neo-protestante americano. Esso ha origini dalla corrente dispensazionalista dell’anglo-israelismo. Il dispensazionalismo si nutre di una lettura apocalittica della storia, suddivisa in età o dispensazioni, nella quale l’intera epoca costantiniana, quella cioè corrispondente all’egemonia della Chiesa di Roma, che per i dispensazionalisti è la Prostituta o la Babilonia di cui parla l’Apocalisse, è identificata con l’età dell’Anticristo ormai prossima a tramontare nei bagliori tragici dell’Armageddon finale.

L’esegesi cristiano-sionista è radicalmente letteralista. Questo consente la decontestualizzazione, esegeticamente illegittima, delle profezie veterotestamentarie che vengono così applicate al presente ed al futuro prossimo. In tal modo la presenza dello Stato di Israele in Terra Santa assurge ad una funzione escatologica e messianica. Per i cristiano-sionisti, infatti, il ritorno in massa degli ebrei nella Terra Promessa costituisce l’adempimento delle profezie veterotestamentarie le quali – secondo questa ambigua esegesi – annunciano l’instaurazione del Regno messianico di Israele nell’al di qua e, pertanto, la fine, ormai prossima, dei tempi. Israele ricostruirà il Tempio, per instaurare a Gerusalemme un culto mondiale nell’imminente nuova era messianica.

In appoggio ad Israele la provvidenza divina avrebbe suscitato i cristiani rinati, ossia i sionisti cristiani, il cui dovere è quello di guidare l’America cristiana ad adempiere la volontà di Dio ossia a difendere da ogni minaccia lo Stato di Israele, germe del regno messianico futuro. Nell’esegesi cristiano-sionista lo Stato di Israele è l’opera maestra di Dio nel dispiegamento della Sua volontà in questi ultimi giorni. E’ a questa esegesi che si ispirava Ronald Reagan quando, da presidente degli Stati Uniti, sollecitava le pulsioni messianiche dei suoi sostenitori proclamando:

«Tutte le altre profezie che si dovevano realizzare prima di Armageddon sono avvenute. Nel trentesimo capitolo del profeta Ezechiele si dice che Dio raccoglierà i figli dispersi di Israele dalle lande pagane dove sono stati dispersi per riunirli di nuovo nella terra promessa. Dopo 2000 anni, questo momento è finalmente giunto. Per la prima volta nei tempi, ogni cosa è pronta per la battaglia di Armageddon e il secondo avvento di Cristo» (1).

Si tratta, con evidenza, di una esegesi sostanzialmente priva di autentica prospettiva cristologica. I cristiano-sionisti partono dalla convinzione, come afferma un loro teologo, che «il Nuovo Testamento è un patto fatto con la nazione ebraica» (2). Affermazione, questa, che implica il primato della nazione ebraica non in termini meramente veterotestamentarii, ossia teologali, ma spiritualmente e politicamente attuali. Nell’esegesi tradizionale della Chiesa, sulla scorta del magistero apostolico e patristico, il Verbo/Logos, storicamente incarnatosi in Gesù di Nazareth, ha assunto, con l’Incarnazione, la natura umana, ossia ha preso su di Sé l’umanità della creatura, dell’essere umano. Non, dunque, un carattere antropologico e culturale connesso ad un particolare retaggio etnico. Benché l’Incarnazione sia avvenuta all’interno di un popolo scelto per vocazione teologale, e non per una presunta distinzione naturalistica, essa ha avuto, in Gesù Cristo, nella Seconda Persona della Santissima Trinità, come effetto l’unione ipostatica della Natura Divina alla natura umana, intesa, quest’ultima, nella sua universalità e non nella sua particolarità etnica. E’ ciò che la fede cristiana esprime nella formula vero Dio e vero Uomo.

La prospettiva della Promessa messianica custodita, nell’economia veterotestamentaria, dal popolo ebreo era squisitamente teologale e nient’affatto mondana. In questo senso gli Apostoli e i Padri della Chiesa hanno riconosciuto in Cristo lUomo Universale, il Figlio dellUomo, il Secondo Adamo, il Sacerdote in Eterno al modo di Melchisedeq. Cristo, in altri termini, pur appartenendo storicamente al popolo ebreo, travalica e trascende, senza tuttavia affatto negarla, tale appartenenza nell’Universalità del Logos Incarnato. Nel sionismo cristiano, invece, in via tendenziale, Cristo non è più il ‘Logos’ giovanneo ma è, innanzitutto, un uomo di etnia ebraica mediante il quale il Dio di Abramo, fermo rimanendo il primato messianico del popolo ebreo, ha stretto, a latere, un’alleanza anche con i gentili. Un’alleanza, però, parallela a quella precedentemente stretta con gli israeliti il cui primato, come si è detto, resta confermato proprio perché quella con i pagani è, nel piano divino, un’alleanza secondaria, subordinata all’egemonia spirituale dell’Israele post-biblico. Vi è, in altri termini, una tendenziale ed inconfessata, ma evidente, riduzione di Cristo alla sola natura umana, oltretutto etnicamente caratterizzata. Siamo, in qualche modo, di fronte ad una sorta di neo-arianesimo.

In questo riduzionismo teologico si può cogliere il frutto maturo, benché velenoso, della destrutturazione della Fede cristiana iniziata con Lutero (3). I sionisti cristiani fanno del Cristianesimo, che è l’adempimento della Rivelazione adamitica primordiale, una eresia del giudaismo in guisa che Cristo lungi dall’essere Prima di Abramo (Giovanni 8,58) diventa, in senso etnico-antropologico, figlio di Abramo. Cristo non è cristiano, come direbbero Augias e Pesce, in questo inconsapevoli compagni di strada del sionismo cristiano. In tale quadro esegetico, cristiano-sionista, la diaspora del popolo ebreo diventa l’evento necessario affinché, mediante l’aggancio ad essi offerto da Gesù, più uomo che Dio, alcuni gentili, i cristiani rinati, i soli puri ed i soli eletti secondo una visione tipicamente settaria, possano avere parte del futuro regno millenario di Israele. Questo spiega perché per il sionismo cristiano il Nuovo Testamento è un patto con la nazione ebraica, sicché il futuro degli eletti tra i noachici, ossia tra i figli di Noé, ovvero i non ebrei, è appeso alla sorte dello Stato di Israele, che è la luce del mondo.

Il sionismo cristiano è la prova evidente della pericolosità di un’esegesi dell’Antico Testamento, anzi dell’intera Scrittura, priva di autentica prospettiva cristologica. Senza la chiave ermeneutica cristologica, infatti, non è più la Chiesa cattolica a costituire il Nuovo Israele nella Nuova Alleanza aperta a tutte le genti, continuazione/adempimento, ed al tempo stesso superamento, del Vecchio Israele e della Vecchia Alleanza, ma altre realtà, del tutto immanenti, siano esse la nazione americana oppure il popolo ebraico.

La Tradizione apostolica e patristica, sulla scorta dell’insegnamento di Cristo in Persona (Matteo 23,37-39; Luca 13,34-35) e del magistero di San Paolo (Lettera ai Romani) guarda agli israeliti odierni come a rami (momentaneamente) recisi dall’Olivo di Israele, ossia dall’Albero della Vita, dalla Rivelazione. Per i Padri della Chiesa gli israeliti sono oggi un popolo la cui casa, ossia il tempio distrutto nell’anno 70, è stata, secondo le profezie, abbandonata dalla Sekinah (Presenza Gloriosa) di Dio allorquando il Vero Tempio, la Persona Divino-Umana di Cristo, dopo essere stato distrutto, ovvero immolato nel Sacrificio Perpetuo sulla Croce, è stato ricostruito, è risorto, in tre giorni (Giovanni 2,18-22). Il rifiuto di Cristo da parte dell’antico Israele è stato permesso, nel provvidenziale disegno salvifico di Dio, affinché i popoli pagani entrassero, in Cristo, non dunque in Israele, nell’Alleanza stipulata con Abramo e con Mosé.

L’Alleanza abramitico-mosaica, pur confermando da parte di Dio quelle universali con Adamo e Noé, poi venute meno da parte degli uomini, era, nell’economia veterotestamentaria, solo potenzialmente universale perché senza Cristo non poteva diventarlo anche in senso attuale. Quindi – insegna la Chiesa – l’abbandono degli israeliti, da parte di Dio, è solo momentaneo e non si tratta di un ripudio definitivo, né di una dimenticanza ossia di un oblio degli israeliti ai Suoi occhi, perché essi, come dice San Paolo sono amati per i meriti dei loro padri (e nostri padri nella fede). In tal modo, i Padri della Chiesa spiegano la sopravvivenza di Israele come popolo, un tempo teologale, in vista della loro futura riammissione nell’Alleanza, del loro reinnesto nell’Olivo Santo di Israele, che avverrà, però, solo quando essi riconosceranno la Divino-Umanità messianica di Cristo e, lungi dal tornare in massa in Palestina (‘ché, anzi, un tale evento era dai Padri pre-sentito come ambiguo, funesto, luciferino, foriero di apostasia), entreranno in massa nella Chiesa, il Nuovo e Vero Israele.

Come si vede la prospettiva della Chiesa, sin dai tempi apostolico-patristici, è del tutto differente e contraria a quella proclamata dai cristiano-sionisti per i quali, invece, il ritorno di Cristo coinciderà con l’avvento del Regno mondano di Israele, di cui Cristo sarà re ed al quale saranno ammessi soltanto alcuni gentili, ovvero i cristiano-sionisti stessi, come adepti noachici in posizione subordinata al primato israelita. Questa esegesi acristica (anticristica?) diventa infatti esplosiva proprio a proposito del discorso escatologico di Cristo, riportato nei Vangeli, e dell’ultimo libro della Bibbia. Essendo nel mondo protestante del tutto assente un’Autorità spirituale depositaria della Rivelazione e garante dell’autenticità esegetica della stessa, l’interpretazione soggettivista dei dati scritturali consente all’americano medio, in preda alle proprie pulsioni messianiche, di esibirsi in fantasiose auto-indagini circa l’identificazione dell’Anticristo o circa la data della grande battaglia apocalittica.

Confortati, nella loro esegesi, dalla nascita nel 1948 dello Stato di Israele e dall’occupazione israeliana nel 1967 di Gerusalemme, i sionisti cristiani cooperano alacremente nella raccolta dei mezzi necessari per la ricostruzione del tempio che segnerà il trionfo messianico del popolo ebreo, il ritorno di Cristo e l’inaugurazione del Regno di Israele apportatore di Pace Perpetua ed Universale.

L’escatologia cristiano-sionista è nient’altro che una riproposizione dell’antica eresia millenarista, che pone nell’immanenza storica la realizzazione del regno messianico. Alla ricostruzione del tempio da parte di Israele seguiranno o saranno contestuali tutta una serie di avvenimenti apocalittici: l’avvento dell’Anticristo, Armageddon ossia l’ultima apocalittica battaglia tra Bene e Male, la grande tribolazione cui tutta l’umanità sarà sottoposta a punizione dei suoi peccati e dalla quale solo i cristiani rinati, ovvero i sionisti cristiani, saranno risparmiati tramite la miracolosa rapture (il rapimento in Cielo) incontro a Cristo che ritorna.

Spesso si commette l’errore di ritenere che la convinzione cristiano-sionista per la quale, dopo tutti gli apocalittici avvenimenti sopra descritti, Cristo sarà riconosciuto dagli ebrei come Re messianico d’Israele sia fondata sul magistero paolino che insegna della finale conversione degli ebrei a Cristo. In realtà, San Paolo nella Lettera ai Romani, come già si è detto, spiega che il popolo ebreo, attualmente divelto dalla Radice Santa, ossia dalla Rivelazione abramitica continuata ed adempiuta dal Cristianesimo, perché Cristo essendo Dio precede Abramo, sarà reinnestato in quella Radice ossia, in altri termini, si convertirà alla fede cristiana ed in tal modo tornerà alla vera fede dei padri e dei profeti. Il sionismo cristiano, per il quale, come si è visto, ciò che conta non è tanto la divino-umanità ma la ebraicità in senso etnico-religioso di Cristo, afferma, al contrario, che al suo ritorno, dato per imminente, Cristo confermerà gli ebrei nella convinzione della loro essenziale diversità dai goijm e si farà da essi riconoscere come loro re. Per il sionismo cristiano ciò che è essenziale in Cristo è, appunto, l’ebraicità, intesa come elemento etnico-religioso tale da giustificare l’inaugurazione del dominio di Israele sulle nazioni.

Al contrario, nel Cattolicesimo l’ebraicità di Cristo è elemento storico certamente fondamentale, e fondante, ma in senso esclusivamente teologale, essendo essenziale, in Cristo, l’Umanità assunta dalla Divinità del Verbo/Logos. La conferma del primato di Israele da parte del Cristo parusico, secondo l’escatologia cristiano-sionista, permetterà finalmente agli ebrei di riconoscerlo come loro Re per governare, con scettro di ferro, alla loro testa, sul mondo intero, inaugurando il Millennio apocalittico al quale i cristiano-sionisti, i rinati, i ferventi delle nazioni, prenderanno parte accentando di sottoporsi al primato spirituale e politico di Israele come buoni sudditi noachici. La Nuova Era, annunciata alle masse americane dal fanatismo accesamente apocalittico dei telepredicatori cristiano-sionisti, che aprirà il millennio annunciato nel capitolo 20 dell’Apocalisse, sarà la teocrazia messianica di Israele sulla terra instaurata da Cristo insieme al risorto Davide. Gli ebrei, guidati da Davide e Cristo, domineranno il mondo con verghe di ferro, trionfando contro tutti i nemici di questa millenaria teocrazia messianica:

«Il Messia urla un telepredicatore cristiano sionista, Lewis David Allen regnerà dal trono ristabilito di Davide a Gerusalemme. Risorto, Re Davide sarà co-reggente assieme a Cristo. Israele occuperà una posizione di gloria e dominio sulle nazioni del mondo. I cristiani rinati si uniranno al Messia e ai dirigenti di Israele nellamministrare il regno di Dio sulla terra. Siamo in marcia verso Sion!» (4).

Due americani su cinque aderiscono all’escatologia cristiano-sionista per un totale di circa 70 milioni di protestanti fondamentalisti. Questo successo si spiega con fatto che il cristiano-sionismo fa leva sulle medesime radici della cultura statunitense: l’auto-identificazione americana, ereditata dai fondatori puritani, con il popolo eletto, al modo della prospettiva veterotestamentaria come intesa dal giudaismo post-biblico ossia a-cristicamente.

Sono questi milioni di americani a costituire la base di massa elettorale della destra repubblicana. Una massa che, come è stato con le amministrazioni Reagan e Bush, spinge l’America ad agire in politica secondo la delirante prospettiva apocalittica di una folle e spuria escatologia. Questa massa fondamentalista, infiammata dai telepredicatori ed organizzata da abili manager della religione mediatica, sostiene finanziariamente, con enormi raccolte di fondi, lo Stato di Israele e le organizzazioni sioniste, allo scopo di accelerare la fine dei tempi: quanto prima Israele debellerà l’Islam e quanto prima gli ebrei ricostruiranno il tempio, tanto prima si adempierà il ritorno di Cristo ed avrà inizio il millennio di pace e felicità universale.

I cristiani rinati costituiscono la massa dei fedeli delle chiese televisive gestite dai telepredicatori. Non appartengono ad alcuna denominazione storica della galassia protestante americana ma le attraversano tutte. Nell’aberrante escatologia del cristiano-sionismo, chi si oppone alla politica di Israele, chi denuncia ed accusa l’inumanità del sionismo, e rifiuta aiuto al popolo di Dio, ossia al messia collettivo, verrà escluso dal regno di Dio e condotto al castigo eterno.

Jerry Falwell
   Jerry Falwell
Uno tra i più famosi telepredicatori, Jerry Falwell, scomparso di recente, sostiene: «Mettersi contro Israele è mettersi contro Dio. Noi crediamo che la storia e la scrittura dimostrano che Dio tratta le nazioni secondo come esse trattano Israele» (5).

Ogni critica ad Israele è associata alle persecuzioni degli ebrei e implicitamente alla shoah. Appartengono al novero dei critici sospetti di antisemitismo anche coloro che pongono in dubbio l’estensione biblica delle frontiere dello Stato di Israele, che dovrebbero essere tali da comprendere un territorio che va dall’Egitto all’Iraq incluso. Una geografia politica basata sull’esegesi biblica di Israel Ariel, un rabbino molto citato dai telepredicatori cristiano-sionisti, fondatore dell’Istituto del Tempio, una fondazione che ha lo scopo di consentire la ricostruzione del Tempio.

Secondo uno studioso del fenomeno cristiano-sionista, per rabbi Ariel: «… le frontiere originarie della terra promessa ad Abramo si estendono da ovest ad est da un punto nei pressi dellattuale canale di Suez fino al Golfo Persico, e da nord a sud dal nord della Siria lungo il fiume Eufrate fino a una linea di frontiera che va da Eilat sul Mar Rosso fino al confine con la Persia. Entro queste frontiere ricadono oggi i Paesi dellEgitto, della Giordania, della Siria e porzioni dellIraq e dellArabia Saudita. Secondo Ariel, quando il Tempio sarà ricostruito e tutti coloro che si trovano fuori dalla terra di Israele faranno ritorno, queste terre forniranno lo spazio necessario per laumentata popolazione» (6).

Durante gli show religiosi televisivi, i telepredicatori fondamentalisti invitano immancabilmente gli evangelici americani a pregare per la difesa di Israele nelle frontiere bibliche stabilite da Dio. Lo Stato di Israele ha riconosciuto ufficialmente il sionismo cristiano consentendo l’apertura nel 1980, a Gerusalemme, di una Ambasciata cristiana internazionale, con il compito di conquistare l’appoggio delle chiese cristiane ad Israele nonché di raccogliere fondi per la ricostruzione del tempio e per l’insediamento, a scapito dei palestinesi, dei coloni ebrei in Cisgiordania.

Benyamin Netanyahu nel 1995 di fronte ad una assemblea di sionisti cristiani affermò: «(la creazione di Israele) semplicemente non avrebbe avuto luogo senza il sostegno e gli incessanti sforzi dei cristiano-sionisti durante lultimo secolo e questo. E stato questo sodalizio che ha reso possibile lo Stato di Israele e una Gerusalemme unificata»(7). Da notare il riferimento alla Gerusalemme unificata ossia alla pretesa israeliana di fare della Città Santa delle tre fedi della Rivelazione abramitica, che per questo dovrebbe essere, almeno nella sua parte storica (la città vecchia), internazionalizzata, la mera e triste capitale di uno Stato nazionale laico e democratico, benché fondato sulla convinzione ideologico-religiosa di essere destinatario di un ruolo salvifico per l’intera umanità.




Simon Peres durante un convegno con i leaders cristiani a Gerusalemme


Il regno millenario

Senza rendersene conto i sionisti cristiani, che si sentono gli epigoni dei crociati nella lotta contro il fascismo islamico, hanno fatto proprio il sogno nazista del Reich millenario. Il millenarismo è da sempre un elemento essenziale del fondamentalismo religioso statunitense. Nella religiosità americana riemerge, come un fiume carsico, il chiliasmo di Gioacchino da Fiore o degli anabattisti di Münster. Ma nel caso del sionismo cristiano questa prospettiva viene radicalizzata. Il sionismo cristiano, a differenza di altre sette fondamentaliste, ripudia perfino ogni identificazione escatologica, anche metaforica, dell’America con Israele, nella convinzione che solo quest’ultimo sia l’autentico soggetto collettivo messianico. In questa prospettiva le profezie bibliche diventano l’annuncio del regno di Israele e vengono lette allo stesso modo nel quale sono interpretate dal rabbinato post-biblico.

Negli accadimenti mediorientali i sionisti cristiani leggono, per l’appunto, la realizzazione di tali profezie che, secondo questa ambigua e spuria esegesi, preannunciano l’imminente avvento del Regno millenario di Israele, con il suo seguito di accoliti noachici costituito da quei goym, in sostanza dai soli cristiani rinati, che riconoscono il primato escatologico di Israele, inteso come soggetto messianico collettivo la cui sofferenza salverà il mondo dal satana islamico consentendo, finalmente, il raduno di tutti gli israeliti, ancora sparsi per il mondo, in un unico punto geografico, ovvero la Terra Santa, come conditio sine qua non del ritorno glorioso di Cristo ad inaugurare in gloria e potenza il millennio mediante l’instaurazione del Regno messianico di Israele sul mondo. E’, come si è detto, una riproposizione dell’eresia millenarista che interpreta il millennio di Apocalisse 20,4-6 come annuncio di un regno politico e temporale di mille anni durante i quali Cristo governerà con scettro di ferro tutte le nazioni sottomesse alla nazione santa degli eletti, ossia ad Israele.

Per i sionisti cristiani, la politica mediorientale degli Stati Uniti deve essere guidata dal convincimento che sia nel disegno di Dio che l’America cristiana si schieri senza indugio dalla parte dello Stato di Israele. L’esegesi cristiano-sionista, che attualizza decontestualizzando le profezie veterotestamentarie, è in sostanza una sorta di decalco pseudo-cristiano dell’esegesi rabbinico post-biblica, in chiave ideologicamente sionista (non tutti i rabbini guardano con simpatia al sionismo) dell’Antico Testamento. I sionisti cristiani – sostiene il biblista Paolo Sacchi – usano i brani biblici assolutamente fuori contesto e fanno delle profezie veterotestamentarie, che l’esegesi dei Padri della Chiesa hanno sempre interpretato in riferimento all’Incarnazione del Verbo Divino in Gesù Cristo, eventi attuali o in atto e prossimi a realizzarsi nel trionfo messianico di Israele (8). Questa esegesi decontestualizzata del Vecchio Testamento è stata usata, ad esempio, dai cristiano-sionisti per giustificare l’aggressione americana all’Iraq, nel 2003. Alcuni telepredicatori hanno all’epoca infuocato le folle del pentecostalismo mediatico citando, a sostegno della politica di Bush, Geremia 59,45: «Ascoltate il disegno che lEterno ha concepito contro Babilonia e le decisioni che ha preso contro il Paese dei Caldei». Babilonia ossia l’Iraq baathista, secondo i telepredicatori cristiano-sionisti, doveva essere ridotta ad una «desolazione senza abitanti» (Geremia 51,29) perché era colpevole di aver attaccato i figli di Israele riguardo ai quali, in Zaccaria 2,8, sta scritto che «chi vi tocca, tocca la pupilla del mio occhio».

La maggioranza degli americani, secondo recenti sondaggi, indipendentemente dalla loro appartenenza a qualche setta fondamentalista, ritiene che la nascita dello Stato d’Israele abbia segnato l’inizio della realizzazione delle profezie bibliche (9). In questo clima di folle eccitazione millenaristica non è strano che un presidente degli Stati Uniti abbia potuto affermare: «Dio mi ha detto di colpire al Qaeda, e io li ho colpiti, poi mi ha ordinato di colpire Saddam, e lho fatto, e adesso sono deciso a risolvere il problema mediorientale» (10).

Questa inquietante esegesi biblica porta i sionisti cristiani ad esaltare l’America quale spada di Dio che sradicherà il male, ossia chiunque, uomo o donna, bambino o vecchio, singolo o popolo, si opponga o possa opporsi all’adempimento del Regno messianico.

Jerry Falwell, il telepredicatore apocalittico recentemente scomparso, gran consigliere di Reagan e grande elettore di G.W. Bush, accendeva il sacro fuoco infervorando le sue messianiche folle mediatiche con frasi di tal fatta: «Ad Armageddon ci saranno circa quattrocento milioni di uomini che faranno corona allolocausto finale dellumanità! Proprio per questo non dobbiamo mai dimenticare comè bello essere cristiani! Noi abbiamo un futuro meraviglioso davanti a noi!» (11).




Jerry Fallwell e moglie con Ronald Reagan nel 1980


Il carattere inquietante dell’esegesi cristiano-sionista è confermata dalle affermazioni spiritual-razziste, di evidente sapore gnostico (monismo dualistico carne-spirito), di Ramon Bennett, uno dei più noti sionisti cristiani, il quale identifica i nephilim biblici con gli arabi:

«I nephilim - egli afferma - erano i sottoprodotti fisici dellunione tra carne e spirito. E come una prova che gli spiriti di questi esseri continuano a vivere sulla terra, vorrei dire che io, personalmente, conosco un arabo musulmano che è nato con sei dita su ciascuna mano. Anche suo figlio è nato con sei dita, e così suo padre e i padri di suo padre prima di lui. Ora considerate quanto segue: ‘Ci fu di nuovo guerra a Gath, dove cera un uomo di alta statura, che aveva sei dita su ciascuna mano e sei dita su ciascun piede, ventiquattro di numero; ed anche egli era figlio di un gigante (2 Samuele 21,20)’…, il conflitto è spirituale, e gli spiriti che si oppongono sono potenti e malvagi» (12).

Gli ha fatto eco il predicatore David Allen Lewis il quale sostiene che: «Se il sionismo è razzismo, allora Dio è razzista perché Egli è lautore del sionismo» (13).

Sionismo cristiano e destra religiosa americana

L’ossessione del dispensazionalismo, la matrice ottocentesca dell’odierno sionismo cristiano, per la nascita di uno Stato ebraico in Terra Santa è precedente la comparsa ufficiale dello stesso sionismo. A metà del XIX secolo, Nelson Darby, dispensazionalista inglese, scriveva: «La prima cosa, quindi, che farà il Signore sarà di purificare la Sua terra (la terra che appartiene agli ebrei) dai Tiri, dai Filistei, dai Sidoni - in breve da tutti i malvagi - dal Nilo allEufrate» (14).

Durante il decennio bushista 1998-2008, Maurizio Blondet osservava:

«E la (cattiva) teologia che guida più di quanto si creda in Europa lattuale discutibile politica internazionale americana. Dove confluiscono tutti gli abusi conseguenti al luterano libero esame delle Scritture’, letture basse dellApocalisse come predizioni di cui si aspetta lavverarsi nella cronaca, ‘ispirazioni pentecostali e carismatiche, millenarismi impauriti e messianismi confusi. Questa pseudo-teologia affonda le radici nel dispensazionalismo del tardo 800, una interpretazione delle Scritture come predizioni della fine imminente’. Già in questo ambiente si sosteneva il diritto biblico degli ebrei alla Palestina. Non stupirà sapere che parteciparono al dispensazionalismo filosionista i più discutibili capitalisti americani: nel 1891 su tutti i giornali degli Stati Uniti fu pubblicato un grande annuncio a pagamento, che invitava il presidente di allora, Benjamin Harrison, a favorire gli insediamenti ebraici in Palestina; lo firmavano, fra altri finanzieri di fama, John D. Rockefeller e il banchiere J. P. Morgan» (15).

Ancora alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso, la presenza dispensazionalista, ormai nota nella nuova denominazione di sionismo cristiano, si faceva sentire sui media americani in occasione delle presidenziali che videro la sconfitta di Jimmy Carter e l’ascesa, pre-neoconservatrice, di Ronald Reagan, determinata, quest’ultima, dall’appoggio che diede all’Old Party, al partito repubblicano, l’elettorato protestante del vecchio sud, fino ad allora da sempre più vicino ai democratici. Questo elettorato, erede del sud rurale sconfitto durante la guerra civile del 1861-1865, e per questo sempre avverso al partito repubblicano visto come il rappresentante dei ceti finanziario-industriali del nord vincitore – da qui anche il populismo razzista di tale elettorato protestante – abbandonò il presidente uscente Carter, che aveva nelle precedenti elezioni contribuito a premiare perché molto vicino religiosamente ai millenaristi cristiani di sinistra, ossia progressisti ed umanitari. Carter si era reso colpevole, agli occhi della galassia cristiano-sionista ormai egemone nella cosiddetta cintura della Bibbia, di una politica troppo aperta verso i diritti dei palestinesi. In quell’occasione due teologi protestanti, Kenneth Kantzer e John Walvoord, firmarono un manifesto, pubblicato sui principali quotidiani statunitensi, per ammonire che: «Per i cristiani evangelici è venuto il tempo di affermare con i fatti la loro fede nella profezia biblica e nel diritto divino di Israele alla sua terra… Affermiamo che la nostra credenza nella terra promessa per gli ebrei è evangelica… Vediamo con grave allarme ogni sforzo di ricavare dalla patria ebraica unaltra nazione od entità politica» (16).

Quel manifesto fu la condanna elettorale di Carter. Sulla stessa linea teologica di questo appello, fu intensificata la catechizzazione delle masse per mezzo delle assembleari liturgie show messe in scena dai telepredicatori. Questi eventi segnarono una svolta epocale negli orientamenti elettorali delle masse millenariste americane.

Le trasformazioni della politica americana tuttavia non spiegano, da sole, le giravolte dei fondamentalisti americani. Ad affiancare lo sforzo di teologi e telepredicatori filo-sionisti scese in campo, con la promozione di una intensa campagna mediatica, l’AIPAC (American Israeli Publical Affairs Committe) una delle più potenti organizzazioni lobbistiche americane filo-israeliane. Nello stesso periodo dell’ascesa di Reagan, in Israele i laburisti erano stati rimpiazzati dal Likud guidato da Menachem Begin, alleato ai piccoli ma determinanti partiti rabbinici della destra religiosa israeliana. Con il Likud al potere iniziò immediatamente la politica governativa di sostegno alle illegittime occupazioni da parte dei coloni ebrei delle terre arabe, sul presupposto teologico di un presunto diritto, divinamente sancito, del popolo ebreo al possesso esclusivo della Palestina (che è in realtà, non dimentichiamolo mai, terra santa anche per cristiani ed islamici). Una delle prime iniziative strategiche di Begin fu quella di un viaggio negli USA per stringere un accordo politico-religioso con i telepredicatori millenaristi all’insegna delle ragioni bibliche di Israele e di ottenere, in tal modo, il sostegno della destra cristiana, contro il tergiversante Carter, in favore di quel sicuro amico della destra israeliana che era Reagan. In quella occasione Begin regalò un jet privato a Jerry Falwell, il più noto tra i telepredicatori. Il sionismo cristiano, di origine dispensazionalista, trovò così la strada spianata per la conquista politico-religiosa delle masse fondamentaliste protestanti statunitensi.

Ma, al di là di qualsiasi appoggio lobbistico e politico, il sionismo cristiano, in realtà, ha potuto conquistare le masse protestanti statunitensi perché ha rianimato le mai sopite pulsioni pseudo-messianiche presenti in America sin dai tempi puritani.

Una sorta di copione è ormai, da decenni, abilmente recitato dai leader cristiano-sionisti: a decorrere dagli anni ottanta del secolo scorso, ogni volta che lo Stato di Israele decide l’attuazione di una qualche politica che gli potrebbe alienare le simpatie della comunità internazionale, i telepredicatori chiamano in suo soccorso le vaste masse fondamentaliste americane, in modo da condizionare l’opinione pubblica e la Casa Bianca in senso favorevole alla politica israeliana.

Ariel Sharon in persona si recò nel 1982 in America per spiegare ai millenaristi cristiani che l’invasione israeliana del Libano attuava una delle profezie della Scrittura (17). La cosa si è ripetuta durante la più recente aggressione israeliana al Libano nel 2006: anche in questo caso i millenaristi americani si sono schierati unanimemente con Israele giustificando teologicamente, sulla base delle profezie bibliche, l’aggressione israeliana contro un Paese, multiconfessionale (quindi anche cristiano), inerme ed indifeso. Non meraviglia, pertanto, che il citato Jerry Falwell abbia potuto affermare: «Il futuro dello Stato dIsraele è più importante di ogni altra questione politica» (18).

Nella versione classica, ossia puritana, del millenarismo missionario statunitense, l’America, con un’ambigua – perché, dopo Cristo, del tutto fuori tempo – imitazione delle gesta veterotestamentarie del popolo ebreo, prima ha conquistato la Nuova Terra Promessa, sterminando le tribù pellerossa (i nuovi cananei), e, successivamente, ossia oggi, va adempiendo il suo incomparabile e manifesto destino (la divina promessa) nell’espansione della propria egemonia purificatrice sul mondo intero.

A questa teologia della storia, chiaramente luciferina nel suo intento parodistico della storia della salvezza, il sionismo cristiano aggiunge un elemento decisivo: lo scopo finale della missione da Dio affidata all’America sarebbe quello di preparare il terreno per il trionfo globale della teocrazia millenaria di Israele. L’esegesi cristiano-sionista si differenzia dalle precedenti teologie della storia di matrice puritana, che già di per sé coltivavano ampiamente prospettive millenaristiche improponibili in ambito cristiano, per il fatto che l’America viene ora derubricata da nazione messianica a nazione profetica a servizio del Messia collettivo israeliano, essendole stato affidato da Dio un ruolo, per l’appunto, meramente preparatorio del trionfo messianico di Israele. Una parodia, a ben riflettere, del ruolo che ebbe a svolgere San Giovanni Battista nei confronti di Cristo.

Jerry Falwell
   James Inhofe
James Inhofe, senatore repubblicano, in un discorso del 2002 al Senato statunitense dichiarò che il vero e fondamentale motivo che legittima Israele all’occupazione di tutta la Palestina sta nel mandato biblico concesso, in tal senso, da Dio al popolo ebreo:

«La Bibbia così egli apostrofò l’assemblea afferma che Abramo ha spostato le sue tende, e si è stabilito nella pianura di Mamre, e cioè ad Hebron, e lì ha costruito un altare a Dio. Hebron è nella Cisgiordania. E un luogo nel quale Dio è apparso ad Abramo e gli ha detto: ‘Io ti do questa terra - la Cisgiordania, appunto’ (…).Quella del Medio Oriente non è una battaglia politica. E il contesto nel quale si chiarisce se la parola di Dio è vera o no» (19).

In altre parole, secondo Inhofe, Dio legittimerebbe gli espropri, le guerre, gli abusi, le stragi, le sopraffazioni di Israele contro i palestinesi e poco importa che una parte di essi sia cristiana.

Gary Bauer
   Gary Bauer
Ad Inhofe ha fatto eco Gary Bauer, politico repubblicano ed attuale presidente di una delle più influenti organizzazioni della destra religiosa americana, l’American Values, il quale, sul New York Times del 21 aprile 2002, ha affermato: «Come evangelico, io credo che la Bibbia sia assolutamente chiara riguardo al fatto che quella terra è la terra del patto che Dio ha fatto con gli ebrei per cui quella terra sarebbe stata la loro terra» (20).

Se si pensa che simili teologie sono propagandate nel Vicino Oriente come verità cristiane dalle radio e TV evangeliche, finanziate dalle lobby transoceaniche, si possono ben immaginare a quali terribili conseguenze esse stanno esponendo i cristiani vicino-orientali, cattolici, caldei, ortodossi, armeni, di origine apostolica. L’assurda devozione dei cristiano-sionisti per Israele ha spinto persino molti evangelici, gaudenti del loro noachico servilismo, ad offrirsi come volontari nelle retrovie dell’esercito israeliano per sollevare i soldati ebrei da tutte quelle mansioni che impedirebbero loro il massimo impegno contro arabi e palestinesi. Negli Stati Uniti migliaia di chiese evangeliche vengono coinvolte in entusiastici raduni di preghiera per Israele, raduni nei quali si raccolgono ingenti finanziamenti.

Va notato che questo entusiasmo messianico per Israele non coinvolge soltanto la destra repubblicana statunitense. La paranoia millenarista è così radicata nella religiosità americana che è presente ben al di là dell’area del fondamentalismo propriamente detto e della galassia cristiano-sionista.

Al Gore, vicepresidente democratico degli Stati Uniti, durante l’Amministrazione Clinton, dunque espressione di uno schieramento di centro-sinistra, ebbe modo, mentre celebrava davanti ai rappresentanti delle organizzazioni ebraiche americane il cinquantesimo anniversario dell'indipendenza di Israele, di affermare:

«Mentre stasera alzo gli occhi e vedo lintera casa di Israele, vi riconosco. Mi ricordo della profezia di Ezechiele, che Dio vi avrebbe innalzati, che ogni osso si sarebbe congiunto a ogni osso, ogni muscolo a ogni muscolo, e che Egli avrebbe soffiato vita nelle vostre carni e vi avrebbe restaurati alla vostra terra. Noi americani sentiamo che i nostri legami con Israele sono eterni» (21).

Questa dotta esegesi del vice di Clinton, è un esempio tipico del processo di decontestualizzazione del testo veterotestamentario (22).

Hillary Clinton, moglie dell’ex presidente Bill Clinton ed attuale segretario di Stato dell’Amministrazione democratica di Obama, dal canto suo, sul proprio sito web, ha rassicurato il suo elettorato sulla sua visione della questione mediorientale:

«Nel nostro primo viaggio in Israele nel 1982, - ha scritto - siamo andati con il pastore di Bill. Mio marito mi ha spesso raccontato di ciò che gli disse il suo pastore: non doveva mai tradire Israele, altrimenti Dio non lo avrebbe mai perdonato. Io mi sono sempre ricordata di queste parole e ho cercato di applicarle» (23).

Luigi Copertino

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1) Citato da M. Valcarenghi - I. Porta, Operazione Socrate, Firenze, 1995, pagine 101-102; ora anche in G. Cosco Le radici …, opera citata, pagina 89. In realtà nel trentesimo capitolo di Ezechiele, come in altre parti di tale libro della Bibbia, si parla dei conflitti tra le potenze mediorientali - Babilonia ed Egitto - del VI secolo avanti Cristo. Di un ritorno degli israeliti in Palestina si fa menzione piuttosto nel capitolo 28, 24-26 dello stesso libro di Ezechiele, ma con chiaro riferimento alla promessa del ritorno del popolo ebreo dalla cattività babilonese. Ezechiele, infatti, esercitò il suo ministero profetico proprio tra gli israeliti deportati a Babilonia, sostenendone la fede nella promessa divina di liberazione e ritorno alla terra dei padri: quello dell’uso decontestualizzato dell’Antico Testamento è - come vedremo - una caratteristica tipica dell’esegesi cristiano-sionista. In verità, gli israeliti, a causa del rifiuto di Cristo, per la durezza del loro cuore, sono attualmente rami recisi - come dice San Paolo nel capitolo XI della Lettera ai Romani - dall’Olivo Santo ossia dalla Fede di Abramo intesa come Cristianesimo ante litteram e perciò dall’Albero della Vita che è la Croce di Cristo. Ed in tale equivoca situazione essi rimarranno fino alla fine dei tempi allorché saranno, ma solo allora, reinnestati nell’Olivo Santo della Rivelazione divina. Fino a quel reinnesto, pertanto, essi svolgeranno un ruolo ambiguo ed equivoco, nel piano della salvezza, preparando, come ritenevano diversi Padri della Chiesa, la strada all’Impostore, al falso messia anticristico. Solo dopo averlo servito, sostengono quei Padri, essi, in quanto ancora amati per la fede genuina dei loro padri e non certamente per la loro attuale fede post-biblica, saranno graziati dalla Misericordia di Dio che finalmente aprirà loro gli occhi permettendo ad essi di smascherare l’Impostore e di riconoscere la Divino-Umanità messianica di Gesù Cristo.
2) Confronta Kenneth Wuest, Gli Ebrei nel Nuovo Testamento, Greco, 1947, pagina 14.
3) Va, purtroppo, notato che questa ambigua esegesi, in una versione che postula un doppio soggetto messianico e due vie parallele di salvezza, Cristo per i gentili ed Israele per gli ebrei, si è fatta strada anche all’interno della Chiesa cattolica subentrando, nella prima metà del XX secolo silenziosamente e dopo il Vaticano II ormai apertamente, alla tradizionale teologia impropriamente detta della sostituzione, facendo leva su una inattendibile interpretazione della Lettera ai Romani di San Paolo. In realtà, come si diceva alla nota che precede, in essa, l’Apostolo delle genti, pur ribadendo a proposito dei suoi ex-correligionari che «lelezione e le promesse di Dio sono irrevocabili», afferma chiaramente che gli ebrei sono, al momento, sradicati dall’Olivo Santo, ossia dalla Fede di Abramo e dunque dall’Alleanza da Dio conclusa con l’antico Patriarca ed adempiutasi in Cristo. San Paolo fa chiaramente intendere che il popolo ebreo, per l’indurimento del cuore, si è collocato fuori dall’Alleanza la quale è sì unica, benché in due Testamenti, e pertanto non revocata, ma trova, per l’appunto, adempimento e continuità soltanto in Cristo e nell’adesione a Lui. Avendo respinto Cristo, il popolo ebreo ha respinto anche l’Alleanza abramitica. Benché, aggiunge poi l’Apostolo, per la Misericordia di Dio, che non ha dimenticato le promesse fatte al suo antico popolo, anche gli ebrei, ma solo alla fine dei tempi, saranno riammessi nell’Alleanza con il riconoscimento da parte loro della Divino-Umanità Messianica di Cristo. Solo in questo senso paolino è possibile, a nostro giudizio, interpretare, senza incorrere in contraddizione con la Tradizione ed il Magistero dei suoi predecessori, la definizione che Giovanni Paolo II ha dato del popolo ebreo come «popolo dellAlleanza non revocata»: l’Antica Alleanza è non revocata in quanto adempiuta e continuata, quindi anche superata, dalla Nuova, e però il popolo ebreo, che fu un tempo il popolo di quell’antica «Alleanza (oggi) non revocata» ma adempiuta in Cristo, non è più attualmente all’interno di questa Alleanza sostanzialmente unitaria nei suoi due Testamenti.
4) Confronta Lewis David Allen, Can Israel Survive in a Hostile World?, New Leaf Press, Green Forest, AR, USA, 1994, pagina 150; ora anche in M. Martinez, Il cristianosionismo, in Movimenti Religiosi Alternativi numero 29, reperibile su www.kelebekler.com/christianzionism-it.html.
5) Citato dal sito www.kelebek.it.
6) Confronta M. Martinez, Il cristianosionismo, opera citata, che cita da Thornas Ice e Randal Price, Ready to Rebuild, Harvest House Publishers, Eugene, OR, USA, 1992, pagine 105-106.
7) Citato in M. Martinez, Il cristianosionismo, opera citata.
8) Argomentando sulla scorta di un vecchio libro del 1989, Israele tra profezia e storia, di Marco Quarantini, allievo di Giorgio La Pira, ma sostanzialmente tradendo la visione cusaniana ma sicuramente cristocentrica di La Pira stesso, Antonio Socci, ex ciellino oggi editorialista di Libero, in un articolo su Il Giornale del 27 luglio 2005, Israele e la Chiesa, utilizza anch’egli, nascondendosi dietro il documento della Pontificia Commissione Biblica Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia Cristiana che non afferma in realtà ciò che lui ritiene (basta anche solo leggere bene tra le righe della interlocutoria prefazione dell’allora cardinal Ratzinger) la decontestualizzazione delle profezie veterotestamentarie per affermare, da posizioni cattoliche, l’adempimento in atto di quelle profezie, che in verità si riferivano a fatti precedenti Cristo. Socci, ponendosi così in consonanza con l’esegesi del rabbinato post-biblico, evidenzia, a causa di una islamofobia viscerale e ben poco cattolica, tutta l’ingenuità del noachita ignaro del suo inconsapevole cristiano-sionismo. Proprio lui, di cui comunque ammiriamo e condividiamo la sincera devozione mariana, che, da ciellino, ha scritto libri sulla dittatura liberale risorgimentale anti-cattolica ed è stato in prima fila in campagne giornalistiche anti-protestanti ed anti-massoniche. Il fatto è che l’antico strabismo anti-comunista, che prima del 1989 faceva cadere molti cattolici nell’errore di ritenere il comunismo l’unico o il principale male, per cui il liberalismo e l’America erano considerati un male minore e pertanto accettabile, è stato sostituito da un altrettanto strabico anti-islamismo filo-occidentale.
9) Così secondo Lawrence Wright, Letter from Jerusalem: Forcing the End, in The New Yorker del 20 luglio 1998; ora anche in M. Martinez, Il cristianosionismo, opera citata.
10) George W. Bush ha fatto queste affermazioni durante l’incontro di Sharm al-Shaykh con le autorità palestinesi nell’estate del 2003. La fonte è il quotidiano israeliano Ha’aretz (Arnon Regular Road map is a life saver for us); ora anche in M. Martinez, Il cristianosionismo, opera citata.
11) Confronta Jerry Falwell, Old-Time Gospel Hour, 2 dicembre 1984; ora anche in M. Martinez, Il Il cristianosionismo, opera citata.
12) Confronta Ramon Bennett Philistine: The Great Deception, Arm of Salvation, Jerusalem, 1995, pagina 270; ora anche in M. Martinez, Il cristianosionismo, opera citata.
13) Confronta D. A. Lewis, Can Israel Survive …, opera citata, pagina 151; ora anche in M. Martinez, Il cristianosionismo, opera citata.
14) Confronta Nelson Darby «Hopes of the Church», citato in Paul Boyer «When Time Shall Be No More: Prophecy Belief in Modern American Culture», Cambridge, MS, Harvard University Press, 1992, p. 200; ora anche in www.kelebek.it.
15) Confronta M. Blondet, E il messianismo fondamentalista che detta la linea, in Alfa e Omega, numero 3, marzo/aprile 2005, pagine 32-33.
16) Confronta M. Blondet, «Eil messianismo fondamentalista …», opera citata, pagine 32-33.
17) Antonio Socci, visto quel che pensa sul significato teologico della nascita dello Stato di Israele (vedi precedente nota numero 42) sarebbe stato, probabilmente, tra gli entusiasti seguaci della dotta esegesi sharoniana.
18) Citato da M. Blondet in Eil messianismo fondamentalista…», opera citata, pagine 31-32.
19) Confronta J. Inhofe, intervento al Senato USA del 4 luglio 2002, citato da Paolo Naso in «I crociati dellApocalisse. Geopolitica dei fondamentalisti evangelici americani, in Avallon - l’uomo e il sacro, numero 54, Rimini, anno 2005, pagina 91.
20) Citato da Paolo Naso in I crociati dell’Apocalisse..., opera citata, pagine 91-92.
21) Confronta Thomas W. Lippman in Washington Post del 2 maggio 1998; ora anche in M. Martinez, Il cristianosionismo, opera citata.
22) Al contrario, l’esegesi cattolica, da sempre attenta a non tradire l’unità di Vecchio e Nuovo Testamento nonché l’unità dello svelarsi, pur graduale, della Rivelazione di Dio agli uomini, legge nella profezia di Ezechiele (Ezechiele 37, 1-14) citata da Al Gore, che segue altre profezie, e ne precede altrettante, dello stesso genere, contenute, sin dal Genesi, nella Scrittura, un’anticipazione della definitiva Promessa neotestamentaria della resurrezione della carne: Promessa fatta non ai soli ebrei ma a tutta l’umanità.
23) Citato da M. Martinez in www.kelebek.it.


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