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Pirati somali: per chi lavorano?
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La memoria corta collettiva è la migliore alleata dei poteri occulti, e dei loro servi mediatici. Ora che i pirati somali tornano d’attualità, perchè tengono in ostaggio l’equipaggio italiano di un nostro rimorchiatore – e i servi mediatici parlano della «impotenza» delle forze armate occidentali a stroncare il fenomeno – sarà bene ricordare una o due cose.

La prima: la Somalia figurava nella lunga lista di Paesi da aggredire o destabilizzare, che il generale Wesley Clark si sentì elencare nel 2001, dal Pentagono, poche settimane dopo l’11 settembre. Wesley Clark non è un complottista anti-americano, è stato il comandante della guerra del Kossovo, nella sua veste di comandante supremo alleato della NATO in Europa, carica che ha coperto dal 1997 al 2000.

Il 20 settembre 2001, ha raccontato Clark (1), egli andò al Pentagono dove vide Rumsfeld e Wolfowitz. Poi andò a salutare dei vecchi amici, uno dei quali gli confidò: «Abbiamo preso la decisione di fare la guerra all’Iraq».

Ciò, solo dieci giorni dopo l’11 settembre. Invece, con sua sorpresa, pochi giorni dopo cominciò l’invasione in Afghanistan. Sicchè, tornato al Pentagono «qualche settimana dopo», chiese a quel suo vecchio amico: «Andiamo sempre in guerra con l’Iraq?».

Ecco di seguito il racconto di Clark:

Quello rispose: «Oh, c’è di peggio», e mi mostrò un foglio; «L’ho appena avuto dal piano di sopra», intendendo l’ufficio del segretario alla Difesa. «E' un memorandum che descrive come andremo a prendere sette Paesi in cinque anni; cominciamo con l’Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan, e per finire, l’Iran».

Io chiesi: «E' segreto?». «Sì signore», rispose quello. «Allora non farmelo vedere», dissi io.

Sette Paesi da conquistare in cinque anni: questo piano megalomane, tipico dello stile Rumsfeld-Wolfowitz, non s’è potuto attuare, ma solo perchè le forze armate USA sono tutt’ora incagliate nei primi due Paesi «conquistati», l’operazione si è mostrata mostruosamente costosa e tanto prolungata, da aver superato il termine della presidenza Bush.

Adesso, con un presidente democratico e una crisi economica di misure titaniche, proseguirlo è certamente più difficile. Ma la destabilizzazione della Somalia è in corso da anni, per mano americana.

Chi dice, come Guido Olimpio del Corriere (2), che «i gruppi islamisti hanno da tempo una base consolidata in Somalia», aggiungendo che sono gruppi «qaedisti» (una evocazione di Al Qaeda non può mai mancare), dimentica un semplice fatto: che nel 2006, quando l’Unione delle Corti Islamiche – un governo islamista di saggi capi tribù locali – è riuscito a riprendere in mano la Somalia, che affondava da anni in una inestricabile, enigmatica, guerra civile fomentata da fuori, questo aveva rapidamente sradicato la pirateria, coi suoi covi nei 4 mila chilometri di coste somale, minacciando e, al bisogno, applicando, le leggi della Sharia. Questo fatto era stato riconosciuto dal Merchant International Group, una società indipendente che fa consulenza ad imprese private e compagnie di navigazione costrette ad operare in posti pericolosi del mondo. L’aeroporto di Mogadiscio e i porti somali sono riaperti al traffico per la prima volta dal '95. Sta tornando la normalità.

Ma a Washington le Corti Islamiche non piacciono. Fin dal 2001, evidentemente in esecuzione del piano Rumsfeld-Wolfowitz di cui ha parlato Wesley Clark, ha pagato e armato signori della guerra locali, appoggiati dall’Etiopia, di suo maggior gradimento. Nel dicembre 2006 il dittatore dell’Etiopia, Meles, armato e pagato dagli USA, invade la Somalia con lo scopo di mettere al potere un «governo di transizione» di signori della guerra filo-americani, nonostante la condanna della Unione Africana e della Lega Araba, e una prima dichiarazione del Consiglio di Sicurezza ONU che intima agli «Stati confinanti» di non aggredire il Paese.

Le forze etiopiche e somale del «governo» americano prendono facilmente Mogadiscio, e nel gennaio 2007 le ultime resistenze delle Corti Islamiche sono stroncate nella loro ultima piazzaforte, il porto di Kisimayo. Gli USA forniscono un «aiutino» bombardando dall’area zone della Somalia meridionale dove si celano – dicono loro, e con loro Guido Olimpio – «elementi di Al Qaeda». Uccidono centinaia di civili (danni collaterali) e provocano una tragedia umanitaria – una delle tante in Somalia – con 320 mila somali costretti a fuggire in Kenia o in Sudan, i più fortunati, o altrimenti ridotti allo stato di profughi in una terra piagata dalla carestia permanente. Il «governo di transizione» messo al potere dai carri armati etiopici dichiara tre mesi di legge marziale – segno di quanto sia amato dalla popolazione.

Immediatamente, ricompaiono i pirati somali, che hanno il gioco facile a catturare navi da carico coi loro equipaggi e carichi, e chiedere riscatti (da 500 mila a 2 milioni di dollari): davanti alla Somalia e nel golfo di Aden convergono i navigli che hanno l’intenzione di passare per il canale di Suez. Il nuovo «governo» non controlla i 4 mila chilometri di costa, e le forze USA e internazionali sono «impotenti», dicono i media.

Ma un comunicato del governo dell’Eritrea, ministero degli Esteri, diffuso il 20 novembre 2008, dice alcune altre cose. Ovviamente nessun Guido Olimpio prende per buono un comunicato dell’Eritrea, Paese ostile all’Etiopia, musulmano per giunta. Ma le cose che dice sono di buon senso, unite a informazioni interessanti. Eccone alcune (3):

«Il bottino dei riscatti non arriva che in parte in Somalia. Benchè i media siano pieni di immagini di “pirati” neri ornati di catene d’oro, è poco probabile che somme di milioni di dollari finiscano ad Haraardere, il (principale) “covo dei pirati” sulla costa somala. E' molto più probabile che gli istigatori vivano in un ambiente protetto, forse a Londra, New York, Amburgo o Tokio, e da lì organizzino le loro razzie».

«I “pirati” dispongono di sostegni che forniscono loro importanti informazioni. Non è un caso che sia stato catturato dai “pirati” proprio un cargo che portava 33 carri armati russi T72».

Nostra nota: Qui, il riferimento è alla cattura del cargo ucraino «Faina», preso dai pirati il 26 settembre 2008. Ufficialmente, il carico di armamenti (che comprendeva «una buona quantità di munizioni», secondo fonti ufficiali ucraine) era destinato alle forze armate del Kenia, e ciò risulta dalla documentazione. Secondo voci mediatiche, definite ufficialmente dal regime keniota «propaganda e speculazione», queste armi erano invece destinate ai ribelli del Sud-Sudan. Una settimana dopo, il primo ottobre 2008, l’agenzia russa Novosti rivelerà che «il vero proprietario della nave da carico Faina è un cittadino israeliano di nome Vadim Alperin», che l’aveva acquistata in un’asta ai tempi di Boris Eltsin. Questo Alperin «possiede altre navi, che risultano operare come casinò galleggianti, di cui una basata nel Golfo (Persico) per intrattenere ricchi clienti arabi. Vadim Alperin, che si è definito una volta "un fratello del Mossad", gestisce una certa quantità di operazioni di facciata, fra cui una Kenyan Meat Export Co., usata per raccogliere informazioni su Paesi come l’Egitto, Giordania e Arabia Saudita. Vicenda poco leggibile.

Ma riprendiamo a leggere le riflessioni del ministero eritreo:

«La pirateria è di rado un’impresa criminale isolata» (...)

«I pirati sono tollerati. Con l’utilizzo della tecnologie di guerra moderna disponibili, i “pirati” non potrebbero tenersi nascosti a lungo (localizzazione satellitare, sorveglianza delle telecomunicazioni, sonar, registrazioni a infrarosso, eccetera).

«Nel quadro dell’operazione Enduring Freedom il corridoio marittimo che passa davanti alla Somalia è sorvegliato sistematicamente, dal dicembre 2001, da una forza operativa (Task Force 150): ufficialmente per non offrire ai terroristi di Al Qaeda un rifugio; delle due l’una: o questa misura non ha efficacia reale, altrimenti potrebbe essere usata contro i “pirati”, oppure la misura non ha mai miraro alla lotta contro il terrorismo, ma ad altri obbiettivi».

«La  pirateria davanti alla costa somala serve a legittimare l’uso rinforzato di naviglio militare. Attualmente si trovano nella regione, oltre alla flotta di Enduring Freedom, navi da guerra russe e indiane. Il 23 ottobre il parlamento europeo ha legittimato l’utilizzo di una flotta da guerra della UE contro i pirati che abbordano dalla costa somala. L’operazione “Atlanta” avviene nel quadro della politica europea di sicurezza e difesa. Qui, la UE si fa forte della risoluzione 1.816 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che permette a tutti gli Stati volontari di dare la caccia ai pirati anche all’interno della zona (di mare costiero) delle 12 miglia. Tutto indica che si vuole imporre il controllo strategico al nord e all’oriente dell’Africa, comprese le rotte marittime. Il ruolo del consiglio di sicurezza quando legittima le operazioni militari resta ambiguo».

Le stesse preoccupazioni e gli stessi sospetti sono stati espressi ufficiosamente dall’Arabia Saudita. «Questi atti di pirateria sollevano domande sulla capacità di semplici fuorileggi alla ricerca di denaro dai riscatti», ha scritto, il 25 novembre il giornalista Nawaf Al-Meshal Sabhan sul quotidiano saudita  Al-Iqtissadia. Questi atti hanno portato a richieste di internazionalizzazione del Mar Rosso in cui lo Stato ostile di Israele sarebbe un elemento-chiave.

Chi ha interesse a tale internazionalizzazione? Chi ha interesse di danneggiare economicamente l’Egitto, deviando le navi da carico dal canale di Suez, ciò che fa perdere all’Egitto, nel solo caso della Maersk (una grossa impresa di navigazione che ha deciso di mandare le sue navi a circumnavigare l’Africa) una perdita giornaliera di 15 milioni di dollari?

Il segretario generale del movimento salafita, sceicco Hamed Al Ali, ha scritto sul suo sito: «Le mire del nemico sionista sul Mar Rosso non sono mai venute meno», citando un ex comandante della flotta israeliana, secondo cui esiste un piano per «trasformare il Mar Rosso in un lago ebraico», nonchè gli aiuti militari israeliani all’Etiopia, fra cui «sofisticati radar per aerei e 60 consiglieri militari sionisti». Lo sceicco concludeva con un appello ai mujaheddin di Somalia di «eliminare i pirati i cui atti irresponsabili saranno strumentalizzati dagli occidentali a beneficio del diabolico piano sionista», e definiva la pirateria «una offesa all’Islam».

Effettivamente, la presunta «impotenza» delle numerose forze navali presenti è difficile da credere, dato che i militari dispongono di precise immagini satellitari dei minuscoli villaggi dei pirati sulla costa somala (si vedono persino con Google Heart...), e i militari USA hanno una intera panoplia di missili a guida laser e droni per colpi «chirurgici». Che temano eccessivi «danni collaterali» di civili somali?

Sarebbe un timore inedito: in Pakistan, in 60 operazioni con droni «Predator», fra il gennaio 2006 e l’aprile 2009, gli americani hanno dichiarato di aver ucciso 14 capi di Al Qaeda e 687 civili pakistani.

Temono di violare il territorio di uno Stato estero, ancorchè senza un vero governo e incapace di controllare le sue coste? Strano, visto che non si fanno scrupolo di violare ripetutamente il territorio del Pakistan.

E giusto per rinfrescare la memoria, nel gennaio scorso Israele ha bombardato un convoglio di autocarri nel lontano Sudan perchè, a suo dire, portava armi per gli assediati di Gaza. Almeno due caccia di David hanno preso parte all’incursione, presso la frontiera tra Sudan ed Egitto, sicuramente con l’appoggio satellitare e forse il rifornimento in volo fornito dal Pentagono.

Infine, la storia della «impotenza» occidentale contro i pirati somali è stata polverizzata dall’operazione che ha liberato il capitano Richard Phillips, della nave «Alabama» sequestrata dai pirati. Una lancia con pochi commandos Navy Seals, fra cui due franchi tiratori che hanno centrato due pirati, è bastata a completare il lavoro. Evidentemente quando c’è la volontà politica, operazioni del genere possono essere intraprese, con localizzazioni satellitari, senza nemmeno bisogno di flotte di incrociatori e motovedette quali ne affollano invano la zona da mesi.

Perchè questa volontà politica è comparsa questa volta, sarà chiaro nei prossimi giorni, o forse mai. Frattanto sarà bene ricordare che la «Alabama» appartiene alla Maersk, compagnia di navigazione che da 30 anni ha fra i suoi maggiori clienti il Pentagono, che ha servito fedelmente in pace e in guerra da 30 anni. La sua flotta, di una cinquantina di navi, ne ha alcune che dispongono della «clearance» per operazioni top secret. La Maersk ha sede a Norfolk in Virginia; a poca distanza dalla compagnia israeliana ZIM, quella che aveva sede in una delle Twin Towers e ne sloggiò una settimana prima dell'11 settembre, benchè avesse pagato l’affitto fino a dicembre.




1) Wesley Clark fece la rivelazione il 2 marzo 2007 nella trasmissione di Amy Goodman; si può leggere ed ascoltare al sito http://www.democracynow.org/2007/3/2/gen_wesley_clark_weighs_presidential_bid
2) Guido Olimpio, «Il patto che ha saldato gli elementi locali con le cellule dell’Islam radicale», Corriere, 12 aprile 2009.
3) Il comunicato è stato ripreso da Réseau Voltaire l’8 dicembre 2008, «Quelques réflexions sur la « piraterie » moderne».


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