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I media sotto vincolo (parte II)
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Un testo agghiacciante, che andrebbe letto alla luce de Lebreo nel mistero della storia, di padre Meinvielle. L’ebraismo come malattia dello spirito prima, del corpo, che dovrebbe essere il tempio di Dio, poi.

Non esiste più la Francia dei crociati, di San Luigi IX, di Giovanna d’Arco, la Francia per secoli faro del cattolicesimo nel mondo, persino, per arrivare a tempi più vicini ai nostri, la Francia collaborazionista del Maresciallo Petain, persino la Francia di De Gaulle.
Oggi, in gran parte, la popolazione francese è minata spiritualmente e fisicamente, corrotta profondamente.

La Francia è del tutto sotto occupazione nemica e non possiede più niente.

EFFEDIEFFE


Parte 2/2

I media sotto vincolo di tutela /2
Traduzione dal francese di Luciano Garofoli

9. Per Matthieu Pigasse, Le Monde trampolino di lancio verso lEliseo?

«È dietro tutte le operazioni finanziarie industriali che fanno notizia. Dalla sua uscita dalla ENA, ha tenuto lezioni a Bercy con Dominique Strauss Kahn e Laurent Fabius*, prima di passare al settore privato come socio gerente della Banca Lazard. Cè lui dietro la vendita di PSG. È lui che tratta la rinegoziazione del debito iracheno. Sempre lui che per conto del presidente Evo Morales nazionalizzare il grasso boliviano. È ancora lui che cerca una via duscita dalla crisi per Libération. A 38 anni, Matthieu Pigasse è il banchiere dì affari più ricercato del momento. Quello che i proprietari di CAC 40 invitano al loro tavolo prima di lanciare una OPA. Il depositario dei piccoli e grandi segreti degli affari». Su Le Monde del 19 ottobre 2006 si poteva leggere questo giudizio; i giornalisti naturalmente ignoravano che, nemmeno cinque anni più tardi, il banchiere «rock and punk» sarebbe diventato uno dei tre proprietari del loro giornale: è senza dubbio anche il più determinato.

Dal gabinetto di DSK (8) e di Laurent Fabius alla Banca Lazard

Nato nel 1968 in una famiglia di intellettuali (suo padre era giornalista e suo figlio il creatore della collezione Le Masque, che prevalentemente edita Agata Christy) e carico di diplomi di laurea, il protestante Matthieu Pigasse ormai quasi trentenne, nel 1999, si ritrova a svolgere le mansioni di direttore aggiunto del gabinetto del ministro delle Finanze Laurent Fabius che quasi si prendeva una cotta per lui e lo incaricava di seguire le questioni industriali e finanziarie. Niente da dire, un eccellente trampolino di lancio verso la Banca Lazard la quale lo assume nel 2002 su consiglio dell’onnipresente Alain Minc* (9) suo mentore, e lo nominava subito socio amministratore, responsabile dal 2003 di una attività molto strategica per la banca, quella di consulente governativo nella quale riusciva ad eccellere. Nel 2005 diventava direttore del marketing, nel 2006 vicepresidente e poi, nel settembre 2009, condirettore generale delegato della Lazard France, conoscendo una vertiginosa ascesa carrieristica. Supervisore della rinegoziazione dei debiti argentini e iracheni, non ci si deve meravigliare di vederlo intervenire nel delicatissimo dossier riguardante la fusione della BPCE, a fianco, come abbiamo già visto prima, di quel François Pérol che proveniva dalla Banca Rothschild.

Gruppi bancari e creatori di re

Gli ingenui spesso contrappongono i Rothschild alla Lazard. È ben vero che i due istituti bancari sono rivali, ma tra i due esistono molte passerelle di congiunzione (Arielle Marie Malard, seconda moglie di Edouard de Rothschild, viene dalla Lazard) e Lazard si è ben presto specializzata nelle attività di consulenza su fusioni acquisizioni, attività nella quale essa, già dal 1997, risultava essere il numero uno in Francia. E ciò grazie anche a dei soci amministratori del calibro di Felix Rohatyn, ex ambasciatore degli USA in Francia dal 1997 al 2000, di André Meyer e soprattutto di Antoine Bernheim* «padrino del capitalismo francese» secondo l’opinione di Pierre de Gasquet, che gli ha dedicato un libro (Grasset 2011), imperatore della finanza e soprattutto creatore di re. Secondo Le Figaro, che nel numero dell’11 gennaio 2008 ricordava come lo splendente banchiere, ormai ultra ottuagenario, ma sempre ben alla testa delle Assicurazioni Generali e vice presidente del consiglio di amministrazione di LVMH, promotore di personaggi come Bernard Arnault, Vincent Baloré e François Pinault, cui aveva assicurato la fortuna senza mai pensare alla sua. Intimo, con Jean Daniel, del Nouvel Observateur, Antoine Barnheim è anche molto vicino a Jean Marie Colombani, che aveva ripescato per il consiglio di amministrazione delle Generali France, dopo che JMC era stato estromesso da Le Monde, non fu soltanto un creatore di re politici, fu sicuramente uno dei principali artefici della attuale evoluzione del campo dei Media, grazie ad una serie di fusioni ed acquisizioni di cui siamo a conoscenza. Lazard Frères restò una banca a carattere familiare fino alla esclusione dell’ultimo erede della dinastia, Michel David-Weill*, PDG dal 1977 al 2001 e la cui figlia Béatrice aveva sposato l’erede della dinastia bancaria, Edouard Stern*, il quale subì un triste destino finendo assassinato a Ginevra. Questo omicidio andò ad incrementare la leggenda nera di Lazard, il cui nuovo proprietario, l’americano Bruce Wasserstein, passa anch’egli per poco scrupoloso nei confronti dei mezzi da impiegare. È questo Bruce Wasserstein che fino alla sua morte, avvenuta nel 2009, favorì la carriera di Matthieu Pigasse. Pigasse, militante del PS, non aveva di certo da lamentarsi del nuovo proprietario, Kenneth Jacob, succeduto al defunto, il quale nell’aprile 2010 nominò lui, ex studente dell’ENA, alla carica di amministratore delegato della Lazard Fréres, a scapito di Erik Maris che fino ad allora era stato condirettore della banca. I rumors che già correvano sull’acquisizione di Le Monde spiegano senza dubbio, almeno in parte, il favoritismo di cui il banchiere che tutti si contendevano beneficiava in una banca spesso qualificata ministero bis dell’Industria, tanto essa è stata legata al cuore del capitalismo francese. Martin Orange nel suo libro Ces messieurs de Lazard, 2006, descriveva questa banca come: «Un mondo dove è necessario avere la corazza spessa, essere pronti a tutto e dove la qualità principale riconosciuta è lavidità», in quanto vi regnano dei sistemi da padrini del capitalismo.

Come Messier in peggio

Nel Figaro del 2 luglio 2010, la giornalista Anne Fulda abbozza un ritratto ambiguo di Matthieu Pigasse, questo «Dandy dinoccolato, che veste sempre Dior, che fa discorsi da punk disperato, da esistenzialista disilluso, che proclama la sua preferenza per complessi come Clash, i Sex Pistols, Sid Vicious, oltre che per autori come Rimbaud, Verlaine, Michaux o Flobert di cui cita con compiacenza questa frase, come una provocazione fatta sua: ‘Scrivo per far vomitare borghesi’. Pigasse ama destreggiarsi con i paradossi e le contraddizioni della sua personalità cupa e tormentata. Rivendica una austerità pastorale dando sempre appuntamento presso Costes, lhotel alla moda di Rue Saint-Honoré dove normalmente dimora. Dice di disprezzare il conformismo, oi piccoli marchesi pariginiche lo giudicano in maniera negativa perché vivrebbe in maniera sfarzosa grazie ai milioni da lui guadagnati presso la LazardA modo suo intende dire tutto ed il contrario di tutto, anche presso i suoi migliori nemici; ha una costante: il riconoscimento di unintelligenza fuori dal comune. Il migliore di questi giudizi: Ha una vivacità intellettuale impressionante e dà prova di una efficacia temibile, lho visto allopera su vari dossier, quali per esempio quello su PSG o quello riguardante il gruppo Barrière. Per di più è sempre presente quando si ha bisogno di lui e dà sempre una soluzione al problema proposto’; chi parla è Sébastien Bazin, presidente del Colony Capital. ‘Dopo Messier*, il suo è il successo più folgorante che si sia visto a Parigi’, aggiunge Jean Pierre Jouyet (10), che paragona la parabola di ascesa di Pigasse a quella dei magnati americani della stampa Hearst o Hughes, miliardari originali eccentrici’.

Antoine Bernheim
* vede anche lui in PigasseUn misto di Messier ed Alain Minc’ (nello stesso tempo egli qualifica Xavier Niel un tipo eccezionale). Anche il suo collega Edouard de Rothschild dà un giudizio smaccato descrivendo anche lui Pigasse comeuna sorta di modello americano trasportato nel sistema francese’, ma premurandosi di correggere: ‘Di lui la cosa più seducente è la sua simpatia e la sua intelligenza. La cosa più agghiacciante è il suo narcisismo’». Questo narcisismo, l’aveva parzialmente appagato acquistando nelle 2009 il settimanale del rock Les Inrockuptibles (dopo il 15 aprile 2011 diretto dal professore di filosofia e Consigliere di Stato David Kessler*, ex consigliere di Lionel Jospin, anche lui venuto dalle file del Trotskismo, più del sindaco di Parigi Bertrand Delanoë. Il tutto per fare di Inrockuptible un settimanale politico politicamente corretto. Il settimanale fu un trampolino di lancio ideale per impossessarsi di Le Monde. Pigasse era di una «doppiezza completa, di un cinismo senza eguali», secondo quanto dichiara uno dei suoi vecchi amici ed afferma alla giornalista Anne Fulda che il suo «fine ultimo è di fare politica. Diventare presidente della repubblica: ha voluto Le Monde, non per metterlo al servizio del signor X Y o Z, ma per farne un mezzo per la propria ambizione». E per ingraziarsi anche la comunità omosessuale in vista di un futuro «destino nazionale» nel 2004 finanziava la rete a pagamento Pink-TV la quale sopravviveva soltanto diffondendo la notte film pornografici. Certo è che Pigasse ha sempre sfondato la politica, sostenendo per esempio Bergé Ségolène Royal nella tornata elettorale per le presidenziali del 2007… In cambio della promessa di un grosso ministero, essendo stretto confidente della candidata socialista. Agli inizi del 2011, faceva proporre da Les Inrockuptibles una maglietta portafortuna di DSK con scritto «Yes we Kahn». Assolutamente ancorato alla sinistra, a dispetto o a causa delle decine di milioni di euro che egli è riuscito di guadagnare (8 milioni solo in stock option secondo quanto afferma il Nouvel Observateur del 18 giugno 2009), era stato con Bergé il promotore ed il finanziatore del megaconcerto organizzato alla Bastille il 10 maggio 2011 per commemorare la vittoria socialista del 1981, progetto destinato, secondo quanto scriveva Le Point, a farlo conoscere al grande pubblico e per fare ciò la collaborazione di Le Monde era stata naturalmente assicurata.

Doppiezza e doppio gioco

Ma il banchiere Pigasse era troppo accorto per giocare soltanto su un banco. Nel 2007, nello stesso tempo in cui già aveva messo gli occhi su Le Monde, grazie al suo apripista Alain Minc, finanziava anche il sito di informazione Mediapart, creato da alcuni dissidenti di Le Monde! Ed allo stesso tempo, appena insediato nella redazione del «quotidiano di riferimento», già lavorava, secondo quanto riferisce nel numero del 14 marzo 2011 Aujourdhui en France, al lancio da parte della sua holding Nouvelles Edictiones Indipéndantes, con il giornalista radiotelevisivo Marc Olivier Fogiel a due quotidiani: «Il primo per le utenze computerizzate, il secondo per la carta stampata». Ovviamente quest’ultimo si trovava in diretta concorrenza con Le Monde.

10. Louis Schweitzer paladino dellantirazzismo e re degli accumuli (di cariche)

Nel suo libro Ma part du Monde, Éditions de Paris, 2003, il giornalista Alain Rollant accusava Jean Marie Colombani, presidente del direttorio della SA Le Monde, nonché direttore del giornale dal 1994 al 2007, di essere il principale responsabile, a causa dei suoi stretti legami con la Lazard, della crescente intromissione dei potentati economici in questo quotidiano. Ma allora che cosa dovremmo dire di Louis Schweitzer*, che dal febbraio 2008 al 15 dicembre 2010, ne presiedette il consiglio di sorveglianza, rimpiazzando in questa carica Alain Minc? Nello stesso periodo di tempo, questo «enarca» (allievo del corso Robespierre) ex Direttore di Gabinetto del Primo Ministro Laurent Fabius (cosa che lo vide implicato nello scandalo delle intercettazioni dell’Eliseo e del crimine di Stato del sangue contaminato) era stato autocratico Presidente dell’Alta Autorità per la Lotta contro le Discriminazioni e per l’Uguaglianza (HALDE)? Questa bazzecola, delle più confortevoli, gli era stata offerta nel 2005 dal presidente Jacques Chirac, con una retribuzione lorda di 6.700 euro al mese, più delle stravaganti spese di rappresentanza che la Corte dei Conti, nel 2010 finì per contestare.

«Un milionario di SMIC» (11)

Ma, in verità, aggiungeva ciò anche alla sua pensione di ex alto funzionario e di ex PDG della Renault, ma questo senza dubbio non poteva essere sufficiente al pensionato d’oro, che si autodefiniva «imbevuto di cultura protestante». Si era quindi dato da fare per accaparrarsi dei gettoni di presenza e c’era riuscito perfettamente:

- quello di presidente nel 2010 della già ricordata HALDE
- quello di presidente del consiglio di sorveglianza di Le Monde
-
quello di presidente del ramo internazionale di MEDEF (presieduto come vedremo più oltre al punto 18 da Laurence Parisot*)
- infine quello di presidente del consiglio d’amministrazione della Renault ed anche del gruppo farmaceutico anglo svedese Astra Zeneca.
Questo campione degli immigrati derelitti, che non perdeva occasione di biasimare il razzismo dei francesi, sedeva anche nei consigli d’amministrazione di
- Veolia
- BNP Paribas (il cui PDG era Boudouin Prot*)
- Oréal (con PDG prima Jean Paul Agon* poi Lindsay Owen Jones*)
- Volvo.

Inoltre, Louis Schweitzer, era anche membro del consiglio di sorveglianza della Philips, oltre che del consiglio consultivo delle assicurazioni Allianz (diretto da Christian Noyer*); era anche azionista della società Financière PIASA la quale insieme ad Artemis (Pinault) deteneva il controllo di PIASA, quarta casa francese di vendite all’asta.

Cosa c’èra di meglio? Ed a questo cumulo di cariche remunerate bisognava anche aggiungere un coacervo di posizioni onorifiche (le quali danno diritto ad tutta una serie di vantaggi remunerati) come:

- la presidenza della Società degli amici del museo di Quai Branly
- del comitato consultivo comune etico per la ricerca dell’agronomia, creato nell’ottobre 2007;
- un seggio alla fondazione nazionale di scienze politiche;
- un altro al museo del Louvre;
- un terzo al consiglio di amministrazione del mondialista istituto francese delle relazioni internazionali;
- una presenza temporanea alla presidenza del festival di Avignone.

Ed è proprio questo personaggio al centro di tutti gli intrecci mediatico finanziari, gran personaggio mondano e ricco sfondato (nel 2006 le entrate di Schweitzer erano evidentemente elevatissime, secondo l’Osservatorio delle ineguaglianze), pur osando dichiarare di «non aver mai avuto mire carrieristiche».

Un personaggio decisamente emblematico, non solo di Le Monde, ma anche dell’iperclasse governante della Francia.

11. La faccia nascosta di BHL (12)

Non si può parlare di Le Monde e di Libération senza parlare di Bernard Henri Lévy, che è uno dei maggiori creatori di opinioni di questi due quotidiani. Pertanto poiché era anche presidente del consiglio di sorveglianza della catena televisiva Arte, la quale fu successivamente diretta sia da Jérôme Clément* che poi da Véronique Cayla*, era anche membro del consiglio di sorveglianza di Le Monde e azionista di Libération. A quest’ultimo, al momento dell’aumento di capitale intervenuto nel giugno 2008, conferì, su richiesta espressa di Edouard de Rothschild, 1,2 milioni di euro; la stessa somma fu anche versata da Pierre Bergé, mentre il mitterandiano André Rousselet ex PDG di Canal+, conferì 5,8 milioni di euro. Questo spiega meglio perché Libération «vendeva» senza esitazioni ai propri lettori, in maggioranza pacifisti, l’operazione militare Aube d’Odyssée lanciata contro la Libia di Gheddafi. Una tale opzione era sostenuta già da parecchie settimane da BHL che da questo punto di vista aveva «assediato» l’Eliseo, non esitando a condurvi un comitato di «democratici» libici, a far loro pubblicità e ad annunciare dalla scalinata del palazzo presidenziale che il capo dello Stato era pronto a sostenere la loro giusta causa, se necessario anche con le armi. Cosa che fu regolarmente fatta; lo stratega con il collo della camicia slacciato affermava che il tiranno non avrebbe resistito una settimana. Ci vollero in conclusione sei mesi di bombardamenti intensivi e l’intervento di forze speciali di aiuti occidentali per arrivare al risultato…

Umanista o schiavista?

È inutile qui raccontare una volta di più l’interminabile lista di errori, approssimazione e vere e proprie menzogne tali da affibbiare all’ex «nouveau philosophe» il soprannome di «distortore dei fatti dal volto umano». A questo proposito Polémia gli ha dedicato parecchie attenzioni e molti articoli. Per contro, in quanto qui trattiamo la materia della sottomissione dei media al denaro, è anche necessario ricordare che BHL non è soltanto il pensatore e l’umanista per il quale è famoso, ma un capitalista dal dorso dorato, nella sua qualità di erede e azionista principale di Becob, attività creata da suo padre. Queste società di importazione di legni pregiati esiste e prospera da molto tempo (già nel 1986 aveva un giro d’affari di ben 3 miliardi di franchi francesi) ed opera principalmente in Costa d’Avorio, in Gabon (solo in questo Stato la società possiede ben 170 mila ettari coltivati) ed in Cameroun. BHL, negli anni ‘90 ne fu PDG (mentre Guy Carlier, la futura sentinella ultra progressista vedette di France Inter, né svolgeva le mansioni di direttore finanziario per una decina di anni, senza apparenti problemi di coscienza). Secondo quanto affermano Nicolas Beau e Olivier Toscer, in un loro libro intitolato Une imposture française, Les Arènes, 2006, senza essere mai smentiti, la Becob sottoponeva i suoi dipendenti indigeni a delle condizioni di semischiavitù, privandoli dell’acqua potabile e delle medicine, alloggiandoli in nicchie mal aerate e pagandoli molto male e con grande ritardo. Ma nel silenzio più assoluto! Nel marzo 1998 questi autori rivelavano che «il settimanale Entrevue decide di inviare una squadra di inchiesta sulla Becob…» L’articolo sull’intellettuale proprietario di foreste non apparve mai. Poco dopo Hervé Hauss, redattore capo della rivista, andava a trovare i suoi reporter: «Sono desolato ragazzi, ma non possiamo pubblicare questa inchiesta. BHL si è lamentato con Arnauld Lagardère. Ed Arnaud ha messo il suo veto. Ragazzi scordiamoci tutto!» Bisogna anche scordare che con la complicità dei potentati locali, la Becob ha gioiosamente devastato la foresta primaria africana malgrado le vibranti proteste di France Nature Environnement, del WWF o degli amici della terra. Queste associazioni, avendo portato il dibattito davanti al Parlamento Europeo, si attendevano miracoli dal Grenelle de l’environnement. Ma in quella sede prima il ministro Jean Louis Borloo*e poi il suo successore la signora Nathalie Kosciusko Morizet* avevano sempre accuratamente eluso la questione. Peggio: quando il 22 aprile 2009 la maggioranza dei loro colleghi approvava il primo progetto di regolamentazione vincolante sullo sfruttamento dei legni tropicali, i deputati francesi della UMP (gruppo aderente al Partito Popolare Europeo) si astenevano in blocco, dducendo come scusa che le procedure sarebbero state troppo onerose.

Frastuono sulla Libia e silenzio assoluto sulla Costa DAvorio

In ogni caso non c’è niente di particolare se colui che si erigeva come il vero capo della nostra diplomazia, a scapito di Alain Juppé*, fino ad allora presentato come vero e proprio «iperministro degli Affari Esteri», incitava la guerra contro la Libia, mentre osservava un silenzio prudente su ciò che avveniva in Costa d’Avorio dove si contava sicuramente un numero di vittime molto maggiore. Nessun problema per l’erede della Becob di alienarsi finanziamenti, o andare ad Abidjan! Giustamente; finché un credito concesso alla Costa d’Avorio dalla Becob veniva reso dagli ivoriani, BHL non aveva assolutamente esitato a fare intervenire nel 1986 il socialista Pierre Bérégovoy* e poi anche lo chiracchiano Edouard Balladour*. Il quale, quando la Becob sfiorò il fallimento, gli faceva ottenere un «provvidenziale prestito partecipativo di 40 milioni di franchi ottenuto attraverso il Crédit National, banca gestita dal Tesoro che allora era diretta da Jean Claude Trichet*», prestito che beneficiava di condizioni eccezionalmente favorevoli (tasso agevolato del 5,5%), come ben ci racconta Philippe Cohen nel suo libro BHL, Une biographie, edizioni Fayard, 2005, precisando anche che: «Da Venezia, dove partecipava ad un vertice del G7, François Mitterand, telefonò personalmente per verificare se la Becob avesse ottenuto il suo prestito»! Dopo il 1998, la Becob entrò a far parte del gruppo PPR di François Pinault; nonostante ciò il suo ex PDG restò comunque azionista della società, che fu acquistata «sulla sulla base di una valorizzazione di circa 800 milioni di franchi». «La consistenza patrimoniale di BHL è piuttosto rilevante ed oscilla tra i 150 ed i 180 milioni di euro», osservava sempre Philippe Cohen. Tra il 1998 ed il 2011 l’impero finanziario di François Pinault si era smisuratamente ingrandito, specialmente con l’acquisizione, nel settore media, di Le Point, diretto dal trilateralista Claude Imbert* e da Franz Olivier Giesbert*, che con il pretesto che suo padre era un GI americano, il 3 aprile 2011 dichiarava al Journal du dimanche: «Sono solidale con gli immigrati. Quando qualcuno di essi viene attaccato, ne prendo subito le difese»…

12. «Pure Players» o semplici disinformatori?

Il 2010 è stato un anno veramente pesante per la stampa quotidiana nazionale. Qualche dato: -2,6% per Le Monde, - 3,7% per Libération, - 5,3% per Le Figaro ed addirittura -12,9% per Les Echos secondo uno studio di EPIQ del marzo 2011. Queste difficoltà, che la rendono ancora più dipendente dal grande capitale, si spiegano largamente, oggi, con la gratuità e l’immediatezza dell’informazione su internet, il cui prodigioso sviluppo si basa anche sul fatto che questo mezzo salta completamente gli «editocrati», questa camarilla, che ogni giorno che Dio ha fatto, incombe sulle pagine dei giornali, le antenne televisive e i piccoli schermi in una ronda infernale. Effettivamente diventa inutile comperare un quotidiano quando: «Si possono sentire le notizie gratuitamente dai propri giornalisti preferiti alla radio prima di ritrovarle sugli schermi televisivi, a propinarci sempre lo stesso messaggio, praticamente con gli stessi termini, usando lo stesso piatto linguaggio… E con gli stessi tipi di ostracismo. Una standardizzazione informazione nella quale si intravede, in realtà, il trionfo della disinformazione» (Polèmia del 14 gennaio 2011: Les éditocrates, fourriers de la pensée unique) (13).

Slate: Attali si attacca alle radici

Ma internet è come la lingua del fuoco. Se grazie a questo incomparabile mezzo di voci che fino allora erano «clamantes in deserto» alla fine si è riusciti a rompere il muro del silenzio, la Rete non è soltanto questo «spazio di libertà» tanto vantato dai suoi difensori; ella può essere anche una scuola di pensiero unico. «A cosa serve di parlare diradicidi un Paese (…) Se non a dare, implicitamente o esplicitamente, a chi gli fa riferimento il diritto di proprietà su un paese, o almeno una priorità sugli altri cittadini? In particolare, parlare di radici cristiane vorrebbe dire che è necessario riconoscere ai cristiani la proprietà della Francia o almeno una priorità sugli altri aventi diritto di cittadinanza? (…) Fino a dove affondano in verità, le radici della Francia? (…) Infine, quali religioni si sono succedute (sic!) Sul suo territorio? Sarebbe necessario scrivere pagine numerose per la città le innumerevoli varietà di religioni: celti, galli, greci, romani o ebrei che si sono succedute o hanno coabitato sul nostro territorio prima dellarrivo delle molteplici versioni del cristianesimo (…) Anteporre leredità cristiana del Paese, è escludere coloro i quali non si riconoscono in questa fede (…) È una manovra meschina per escludere i musulmani, oltre che per minimizzare la formidabile eredità del secolo dei lumi, che cominciano in Francia fin dal XII secolo con larrivo della traduzione fatta da produttori ebrei, dei testi musulmani portatori del pensiero greco (14)… E di tutto questo che bisogna essere figli. È quello che fa la grandezza del nostro Paese». Se certi ingenui s’immagino dunque che i «pure players» o, per parlare francese, siti di informazione in linea, siano dei palati contro il pensiero unico, questa professione di fede fatta il 20 marzo 2011, da Jacques Attali uno dei più famosi «editocrati» francese, sul sito slate.fr dimostrerà che nella rete domina il peggior conformismo. E non per caso.

Attali fu nominato nel 1990 presidente della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERD) da François Mitterand. Era già stato, dal 1981, consigliere speciale e «sherpa» del presidente, nel 1998 fondava il PlaNet Finance, ma era anche uno degli azionisti di Slate, creata nel 2009 da Jean Marie Colombani, ex direttore di Le Monde, ricalcando il modello originale americano lanciato da Slate Group. Slate Group, presieduto da Jacob Weinstein, proprietario del 15% del capitale della rivista francese (contro il 35% detenuto da Viveris Management, dopo l’aumento del giugno 2009 durante il quale Viveris, controllata per il 60% dal gruppo Caisse d’Espargne ormai era in debito con il banchiere François Pérol per 1,5 milioni di euro, e Perol stesso era anche proprietario del Washington Post, nave ammiraglia di una potente gruppo editoriale appartenente a Katherine Graham, figlia del banchiere d’affari Eugene Meyer che, nel 1946 fu il primo presidente della Banca Mondiale)! Siamo proprio al centro del sistema mondialista. E possiamo tranquillamente aspettarci il peggio dalla enciclopedia in linea Wilkipol che, con l’aiuto degli allievi della Scuola di Giornalismo e di Science Pro Paris (il cui direttore era il multiculturalista militante Richard Descoigs*) Slate si appresta a lanciare in vista delle presidenziali francesi del 2012, come la più nobile ambizione ostentata da Jean Marie Colombani (Libération dell’11 marzo 2011) di essere «Una Bibbia (sic!) attualizzata, sviluppata in permanenza, un punto di riferimento per il periodo che sta per arrivare». Con il fine di manipolare l’opinione pubblica il più efficacemente possibile.

Mediapart veramente indipendente?

Cosa che è anche l’ambizione di Mediapart, sito rivale (ed anche sicuramente elegantemente
«cittadino») di Slate.fr. Creato nel 2008 da un altro ex direttore di Le Monde, l’ex (?) trotskista Edwy Plenel, Mediapart rivendica una totale indipendenza: «Abbiamo voluto un giornale di puro giornalismo, senza alcun tipo di legame di parte o finanziario», proclama Edwy Plenel, a cui si deve l’orchestrazione dello scandalo suscitato, nel maggio 2011, intorno alla pretesa di razzismo antiblacks di alcuni settori footbalistici. Egli dimentica che per fornire 3 milioni di capitale iniziale, artisti, politici o scrittori non furono i soli a rompere il loro salvadanaio. Xavier Niel, cofondatore di Iliad-Free, oggi azionista di riferimento di Le Monde, si dimostrò molto generoso con 100 mila euro, oltre a Maurice Levy*, PDG di Public, mentre 1 milione di euro erano stati divisi in parti uguali tra gli investitori Ecofinance (Jean Louis Bouchard) e Doxa Jean (Thierry Wilhelm). Tutti personaggi che in buona fede sono ben più attaccati al mondialismo che all’identità nazionale. È la stessa cosa dobbiamo anche dire del padrino di Rue89, «Sito di dibattito partecipativo» lanciato il 6 maggio 2007 come reazione all’elezione di Nicolas Sarkozy, questa volta da giornalisti di Libération che riuscirono a mettere insieme 740 mila euro nel 2008, poi 1,1 milioni di euro due anni più tardi. Tra i principali donatori c’era Matthieu Pigasse.

13. Grosse somme e corruzione di minori: la prova da Gulli e Skyrock

Altrettanto sbagliata e fantasiosa è la leggenda delle radio e televisioni «libere» per i giovani quali Gulli e Skyrock.

Gulli, attenzione pericolo

Il canale per giovani Gulli è stato più volte ripreso dal consiglio superiore dei mezzi audiovisivi (CSA presieduto, dal 2000 al 2007, prima da Dominique Baudis*e poi da Michel Boyon*); così come anche nel marzo 2011 per «contravvenzione alle regole di protezione dei minori», dopo aver diffuso dei videogiochi ultra violenti e delle clips musicali oscene. Ma i richiami non sono mai stati seguiti da sanzioni. E questo per una buona ragione: Gulli è di proprietà della Lagardère Active e fu uno dei primi canali televisivi a firmare la «Carta della diversità». Quando il 19 ottobre 2007 Emmanuelle Guilbart, presidente della rete televisiva Gulli, fu ascoltata dal gruppo di lavoro «diversità» del CSA, presieduto dall’ex giornalista di France 2 Rachid Ahrab, tenne effettivamente a sottolineare che la sua rete televisiva: «è conosciuta come la rete di giovanile che permette ai più di acquisire delle conoscenze e di aprirsi al mondo (…) Essa esalta i valori dellapertura e dellaccettazione delle diversità e, così continuò, il simbolo della volontà dei responsabili di Gulli di valorizzare la diversità delle origini è espressa dalla scelta della mascotte del canale televisivo, Gullia, che ha i tratti somatici di una piccola ragazza meticcia dellisola di Reunione. Grazie allintermediazione di questo personaggio, animato in 3D, che gioca un po il ruolo della grande sorella, i più giovani riceveono dei messaggi di sensibilizzazione sui temi delle periferie, delle famiglie allargate, del razzismo». Il testo di impegno proposto alla firma di tutte le imprese, indipendentemente dalla loro grandezza, condanna le discriminazioni e decide di operare in favore della diversità in modo tale da riflettere, nel migliore dei modi, la diversità della popolazione francese. La carta della diversità fu lanciata alla fine del 2004. I suoi sponsor erano l’uomo d’affari algerino Yazid Sabeg (che Nicolas Sarkozy, nel dicembre 2008, doveva nominare suo commissario per la diversità e le pari opportunità) ed il politico Claude Bébéar*, fondatore nel 1985 del gigante delle assicurazioni AXA, dalla quale, dal 2000, percepiva la sua pensione, presiedendone il Consiglio di Sorveglianza.

Skyrock, la balleria di Axa

Nel 2006 accadeva una cosa spettacolare: Axava lancia un’offerta per Skyrock, la radio giovane per eccellenza, con ben 3,8 milioni di ascoltatori nella fascia tra i 13 e i 24 anni. Tutta la stampa si meravigliava quando un comunicato del CSA annunciava di aver dato parere positivo, nel maggio 2006, alla: «Cessione del gruppo Orbus (Skyrock e Chante France) al gruppo assicurativo Axa Private Equity e ciò in conseguenza del completo disimpegno da parte della società Tamago, di proprietà della Morgan Grenfell Private Equity e della Goldmann SachsIn seguito alloperazione, aggiungeva il comunicato del CSA, il gruppo Orbus sarà interamente detenuto da una nuova holding, il cui capitale sarà ripartito tra Axa Private Equity per il 70% e per il 30% da Pierre Bellanger». «La radio degli adolescenti ha circa raddoppiato il suo valore grazie ai suoi investimenti su internet e sarebbe valutata, secondo LExpansion del marzo 2006 –, una cifra intorno al centinaio di milioni di euro mentre, nel 1999, aveva un valore medio intorno ai 50 milioni di euro. Effettivamente Skyrock aveva saputo sfruttare a fondo il lancio dei suoi progetti internet, a cominciare dalla sua piattaforma Skyblog, la sua interfaccia nel settore. Allinizio pensati dai suoi stessi ascoltatori, gli Skyblogs erano talmente cresciuti da raggiungere una larga frangia della gioventù di quegli anni. La notorietà del dispositivo proveniva, giustamente, dalla forza di penetrazione della comunità Sky. Secondo la classifica CybereStat, questi 4 milioni di piccoli siti, molti dei quali molto effimeri e con una limitata importanza, avevano attirato più di 115 milioni di visitatori. Il che significa 3 miliardi di pagine visitate. Con una questi dati Skyblog era allora leader in Europa nel suo segmento».

Ecologistae poligamo

Un affare questo, a prima vista, veramente eccellente, ma che tuttavia poneva qualche problema sul piano etico per Axa, erede delle abili Mutuelles de Rouen, soprattutto riguardo alla personalità dell’altro azionista nella società, Pierre Bellanger: «Ecologista della primora e ora PDG di Skyrock, era stato riconosciuto colpevole in appello di aver corrotto una minorenne, Laetitia, con cui aveva avuto una relazione tra il 1999 il 2000. La corte lo aveva condannato a tre anni di reclusione con la condizionale e a 50 mila euro di ammenda, come veniva segnalato dalla agenzia di stampa AFP» la quale, il 5 febbraio 2010, precisava: «Pierre Bellanger si era incontratocon la minorenne, a fine 1999, grazie allintermediazione della sorella di Laetitia, Emmanuelle, che viveva con il fondatore di Skyrock e con altre due donne nello stesso appartamento di Parigi… Un gruppo con un modo di vivere molto particolare, con veglie spirituali, relazioni sessuali talvolta multiple e anche lobbligo di scrivere un diario intimo in codice controllato regolarmente dal maître, nella fattispecie lo stesso Pierre Belanger». A questo punto viene spontaneo chiedersi come faccia Claude Bébéar presidente onorario di Axa, lui cattolico dichiarato, che partecipa regolarmente alla Notte dei Testimoni organizzata ogni anno nella chiesa di Saint Sulpice «in memoria di quei religiosi e quei laici impegnati che sono morti di morte violenta mentre erano in missione al servizio della loro fede» ad agire fianco a fianco con il guru Bellanger. Non si sente per caso turbato dalla villania, dall’isteria anticristiana e anti francese dei gruppi di hip hop onnipresenti su Skyrock e che hanno fatto la fama e la fortuna presso gli adolescenti? Ma sicuramente, senza dubbio, il presidente onorario di Axa ritiene che gli arrabbiati del rap rientrino a pieno titolo in quella «diversità» che gli sta tanto a cuore. Nell’aprile 2011 veniva reso noto che Axa Private Equity aveva dato mandato di vendita della stazione radio ai banchieri d’affari Jean marie Messier (ex PDG della Vivendi) ed Erik Maris, ex della Banca Lazard, oltre che alla Banca Arjil. E sullo slancio Axa tentava anche di sbarazzarsi di Pierre Bellanger per rimpiazzarlo con Marc Laufer, precedentemente amministratore delegato del gruppo NextRadio TV (il cui stipendio annuo era, nel 2009, di circa 260 mila euro). Non c’è da sbagliarsi: se gli amici di Claude Bébéar non amavano più il loro giocattolino non era assolutamente per le sue trasmissioni dubbie nè in considerazione dei precedenti di Pierre Bellanger (che rinnovava il ricatto posto in essere a radio NRJ nel 1984, quando minacciò il governo di far scendere 500 mila giovani in piazza per una mega concerto) ma al contrario perché, dopo due anni i risultati ottenuti da Skyrock si stavano fortemente riducendo. Nel 2010, anno in cui, secondo Axa, il PDG incassava la bellezza di «soli» 620 mila euro di stipendio annuo per i suoi servizi, il giro d’affari non superava i 32,7 milioni di euro. Quindi, se Axa si voleva sottrarre dall’impegno, non era sicuramente né per interesse materiale, né in nome di quella famosa etica di cui Claude Bébéar si riempiva la bocca. D’altro canto, Marc Laufer l’aveva dichiarato a Le Point il 13 aprile: c’era il massimo rispetto per Bellanger: «Non è assolutamente in discussione il cambiamento di antenna di Sky che conserva il suo format che è buono».

La Banca Verde fan di Gangsta Rap

Il format dell’antenna di Sky è effettivamente così buono che i socialisti Jack Lang, François Hollande (ex Segretario di Stato), Rama Yade ed anche il ministro del Lavoro UMP Xavier Bertrand*, assistiti anche, secondo Le Point,del dalla cattolicissima Christine Boutin (consigliere del Pontificio Consiglio per la Famiglia) avevano manifestato il loro più fraterno sostegno a Pierre Bellanger, forse accelerando il colpo di scena del 13 aprile. «Il gruppo Crédit Agricole ha deciso di aiutare Pierre Bellanger, fondatore e presidente di Skyrock, riprendere il controllo del suo gruppo, e svilupparlo nel corso degli anni futuri salvaguardando tutto quello che è lo spirito e lesperienza di Skyrock»; così in quel giorno si espresse la Banca Verde annunciando il riacquisto del 30% di Skyrock da Axa Private Equity, in modo tale che il nuovo tandem Credit Agricole/Bellanger potessero creare una società comune, con il 51% delle azioni in mano al fondatore di Skyrock e il 49% in quelle della banca, in modo da essere largamente un gruppo di maggioranza. Chissà cosa avranno penseto gli agricoltori che si lamentavano dei trattamenti leonini applicati dalla Banca Verde nei loro confronti!

14. TF1 O come rendere disponibili i cervelli

Gli anni si susseguono e non si assomigliano assolutamente per quanto riguarda TF1, vittima nel 2011 del passaggio alla televisione digitale con tutti i suoi canali gratuiti, grandi erogatori di serie americane. Tuttavia, per i primi nove mesi del 2010, TF1 aveva potuto giovarsi di una cifra di affari consolidata di 1.826 miliardi di euro, con un incremento del 12% nei confronti dei primi nove mesi del 2009.

Giocare sulle tendenze

Meglio ancora: sul periodo considerato, l’ex «primo canale», privatizzato nel 1987 dal governo di Chirac e comprato dal gruppo Bouygues, aveva registrato «una crescita dell11% delle sue entrate pubblicitarie, la cui cifra ammontava a 1.071 miliardi di euro di fatturato. TF1 era coerente anche con l’ammissione, fissata dal suo ex proprietario Patrick Le Lay, che aveva fatto scandalo dichiarando in un libro intervista (Les Dirigeants français et le changement, EIM éditeur, luglio 2004): «Ci sono molti modi di parlare di televisione. Ma nella prospettiva del business, dobbiamo essere realisti: il fine di TF1, è quello di aiutare la Coca-Cola, per esempio, a vendere il proprio prodotto (…) Ora, affinché un messaggio pubblicitario sia recepito, è necessario che il cervello dei telespettatori sia disponibile. Le nostre trasmissioni hanno come missione ultima quella di rendere i cervelli disponibili: cioè, in ultima analisi, di divertirli, di distenderli per prepararli a ricevere messaggi tra uno spot e laltro. In sostanza quello che noi vendiamo alla Coca-Cola è soprattutto il tempo disponibile del cervello umano (…). Non cè niente di più difficile di ottenere tale disponibilità. È in questo che noi troviamo il cambiamento permanente. Bisogna quindi cercare in permanenza i programmi che siano graditi, seguire le mode, cavalcare londa delle tendenze…». Cavalcare l’onda delle tendenze significa sollecitare lo sporcacccione che dorme in ciascun homo sapiens, moltiplicando programmi di reality che fanno diventare un valore civile il voyeurismo e l’esibizionismo sempre più esacerbato, fino ad arrivare al punto di nauseare il pubblico (15) a furia di esaltare la promiscuità. E tutto questo per sacrificare un’identità nazionale in favore della promozione di una minoranza, pur rilevante. E l’obiettivo era stato raggiunto con la scelta dell’antillese Harry Roselmack come presentatrice dei telegiornali di fine settimana, della rubrica settimanale domenicale Sept à huit, di film americani e di una serie di serial polizieschi che pullulano di piccoli geni venuti dall’estero.

Il cosmopolitismo, obbligo morale e necessità commerciale

Niente di più logico: in un primo tempo la pubblicità promuove la diversità per un fine ideologico senza niente altro (United Colors of Benetton, per esempio), per poi, in un secondo tempo, interessarsi alle nicchie commerciali delle minoranze. Da alcuni studi, realizzati specialmente per il sito Marketing professionnel.fr e beauté.afrik.com, si sottolineavano le potenzialità di un mercato di quasi 3 milioni di persone di origini afro antillane che vivono nella Francia metropolitana; del resto era stato dimostrato che in Francia le donne di colore spendevano tre volte di più delle bianche per prodotti di bellezza e fino a 200 euro al mese in cure per capelli. La stessa cosa valeva anche per le coppie omosessuali, dal forte potere di acquisto per via di due stipendi e della mancanza di figli e dunque assolutamente interessanti da conquistarsi. Cio riguarda tutte le reti televisive (comprese anche quelle pubbliche, purtroppo; si veda a proposito il velenoso feuilleton di France 3 Plus Belle la vie, vero e proprio inno al meticciato e all’arte di sbarcare il lunario) che seguiva la stessa scia e si era impegnato in un folle rilancio di queste idee base. Tuttavia, nel caso di TF1, la ricerca della manna pubblicitaria non era il solo motore che spingeva ad agire. Il suo proprietario, il gigante delle costruzioni e dei lavori pubblici Bouygues, era effettivamente una multinazionale operante alle latitudini più diverse. Conseguentemente il suo canale televisivo doveva presentarsi con la faccia più cosmopolita possibile. Del resto, proprio in funzione di questi imperativi industriali, Francis, padre di Martin Bouygues, fondatore dell’impero del cemento che portava il suo nome, era anche un grande utilizzatore di operai e di manovali immigrati. Già dal 1970 si era pronunciato categoricamente, nella popolare trasmissione Les Dossiers de lécran, in favore del ricongiungimento dei gruppi familiari, oggetto di una pressoché univoca campagne di stampa. La speranza, o meglio sarebbe chiamarlo il diktat del patriarca Bouygues fu alla fine esaurito il 29 aprile 1976 dal presidente Giscard (decreto numero 76/383) e dall’allora Primo Ministro Chirac con tutte le conseguenze che conosciamo essendo questa legislazione divenuta la principale causa che favorisce i flussi migratori. Ufficialmente: «Dopo la privatizzazione, avvenuta nellaprile 1987, la società Télévision Française 1 (TF1) è una società anonima controllata al 100% dal gruppo TF1 SA, il suo capitale sociale ammonta a 42.682.098,40 euro così ripartito: 43,2% gruppo Bouygues SA, 1,4% Société Général, 2,6% dipendenti, 54,8% del pubblico, di cui lo 0,6 autocontrollato e autodeterminato». Questo secondo Wilkipedia. Nell’elenco sono stati dimenticati azionisti di grosso calibro, almeno fino alla crisi, come le banche americane Goldman Sachs e Morgan Stanley, la cui partecipazione ammontava a quasi il 5% quando alla presidenza c’era il PDG John Mack.

La realtà? Per Solly non ha nessuna importanza!

Patrick Le Lay lasciava TF 1. Dopo essere stato il presidente del consiglio d’amministrazione dal 22 maggio 2007 fino al 31 luglio 2008, ormai presiedeva soltanto i fondi di investimento Serendipity, di cui i maggiori azionisti erano Artemis, la holding di François Pinault e… Bouygues tanto per cambiare! Da quel momento il PDG è Nonce Paolini (con uno stipendio annuo di 1,5 milioni di euro), assistito dall’enarca Laurent Solly campo della direzione generale del gruppo TF1, con incarichi gestionali operativi e funzionali. Un posto di alta responsabilità strategica. Pare fu proprio il capo dello Stato a suggerire nel 2007 il nome di Solly al suo intimo amico Martin Bouygues, suo testimone di nozze nel matrimonio con Cécilia Ciganer-Albeniz, poi successivamente anche padrino del loro figlio Louis? Questo ambizioso enarca (pupillo di Victor Schoelcher) fu effettivamente consigliere di Sarkozy a cominciare dal 2004 quando era ministro dell’Interno, poi ministro dell’Economia e delle Finanze, prima di diventare l’anno seguente il suo direttore di gabinetto alla presidenza della UMP (2004, 2005), poi nuovamente il suo collaboratore al ministero dell’Interno e della pianificazione del territorio. Direttore aggiunto e responsabile della campagna presidenziale del candidato Sarkozy nel 2007, ben ci ricorda Le Point, Laurent Solly allora ebbe a dichiarare: «La realtà non ha nessuna importanza, è soltanto la percezione quella che conta!». Siamo tutti d’accordo e conveniamo che questa persona è perfetta per dirigere la fabbrica dei sogni (multicolori) che sta diventando TF1.

15. La pubblicità al servizio della «diversità»

Solo due mastodontiche organizzazioni esercitano un oligopolio sulla pubblicità: Publicis ed Euro RSCG, quest’ultima erede dell’agenzia fondata, nel 1970, da Bernard Roux, Jacques Séguéla, Alain Cayzac e da Jean Michel Goudard, che inizialmente chiamarono con le iniziali rispettive dei loro nomi di battesimo, ma che oggi è diventata una branca della Havas Worldwide.

Il colore, un mercato in pieno sviluppo

Indubbiamente, a causa della crisi mondiale, «Il 2009 è stato il peggiore anno che lindustria della pubblicità abbia mai dovuto subìre da decenni», si può leggere sul sito di Havas Worldwide, ma nonostante tutto ciò le spese pubblicitarie di tutto il mercato mondiale sono state stimate per quell’anno in «444 miliardi di dollari americani». Nell’aprile 2011, Le Figaro annunciava un aumento del 2,1% del mercato pubblicitario per l’anno in corso; esso poteva approfittare principalmente di internet (9,3%) e della televisione (3,1%), ormai canali che vengono privilegiati dai più grossi clienti di annunci pubblicitari, a cominciare dalle compagnie di assicurazione, dalla grande distribuzione, dalle industrie del lusso, del settore farmaceutico, della profumeria, dei media o dei lavori pubblici che si sono allontanati dalla pubblicità sulla carta stampata. Grazie a questi nuovi mezzi, veri e propri regali, i differenti media si disputano aspramente questa manna piovuta dal cielo; sono disposti a tutto, ivi compresa la possibilità di sacrificare gli interessi nazionali all’ideologia dominante, per cavarsela in modo egregio. Nel febbraio 2011, il canale televisivo commerciale britannico ITV non esitava a sbarazzarsi di Brian True May, produttore della serie Ispettore Barnaby, con il pretesto che le «minoranze visibili» brillavano per la loro assenza in questa popolare serie di trasmissioni, appunto popolare proprio perché i telespettatori britannici, ma anche forse quelli stranieri, vedevano in questa trasmissione l’ultimo bastione di una Englishness in via di estinzione. Nei mesi seguenti, Le Point annunciava il licenziamento di Robert Ménard da RTL (gruppo Bertelsmann, il cui PDG Christopher Baldelli* è un ex membro del gabinetto di Sarkozy e di Philippe Douste Blazy; passato dal Gruppo Lagardère, succedeva, nel 2009, ad Axel Duroux*, strappato da TF1). Motivo: l’ex presidente di Reporter sans frontières, aveva osato dire che «sotto alcuni punti di vista comprendeva gli elettori del Front National» ed anche che li approvava. Ciò che aveva spinto subito Marianne, il settimanale di Jean François Kahn che si picca di essere anticonformista, a lanciare il grido di guerra contro questo «sottomarino del FN». Dagli ai devianti. Dagli contro chi dissente! Un dissidente, del resto ben presto cacciato da RTL. Tutto è utile per far avanzare il pensiero unico, specialmente nella grande distribuzione. Nel numero di maggio 2011 di Brands Monoprix, rivista distribuita ai clienti da questa catena di grande distribuzione oggi controllata da Casino (PDG Jean Charles Naouri*, ex di Harvard, della Scuola Normale Superiore, dell’ENA, ex capo di gabinetto del ministro socialista Bérégovoy e successivamente anche consigliere di Dominique Staruss Kahn), il cantante attore Patrick Bruel, compiacentemente intervistato da Philippe Gildas, dichiarava che votare per le estreme era aberrante e che nel 1992 accettava l’invito rivolto da Anne Sinclair* a Sept sur sept con il solo scopo di dissuadere i suoi fan dal dare i loro voti al Front National. Sempre sulla stessa rivista, proprio facendo finta di dare dei consigli sotto la copertura della scelta dei consumi, l’ecologista Yann Arthus Bertrand dichiarava di essere «sempre alla ricerca di uomini come Gandhi, Mandela, grandi leader, grandi trascinatori». Che cosa dovremmo pensare di questo martellamento, sempre a senso unico, diretto a colpire sempre gli innocenti consumatori di yogurt? Soprattutto dopo le campagne pubblicitarie condotte dalla United Colors of Benetton, i creativi pubblicitari hanno ricevuto l’ordine di moltiplicare nelle pubblicità (per i profumi, i pannolini per bambini, i vestiti … o EDF) i gay e le minoranze visibili, oltre naturalmente le famiglie allargate e di valorizzare dei dinamici quadri di colori con lo scopo di imporli come modelli. Un articolo apparso sull’inesauribile Brands Monoprix riguardante il cioccolato Kinder (gruppo Ferrero) dolciumi molto apprezzati dai bambini, sottolineava che erano state scelte «Le stelle del pallone e della racchetta come Tony Parker, Boeris Diaw, Didier Drogba e Jo Wilfried Tsonga per pubblicizzare la barretta di cioccolato sul piccolo schermo»: due africani e due meticci. Non c’era a disposizione alcune star bianca cominciando dai nostri campioni della nazionale, con la quale i bambini francesi potessero identificarsi?

Insieme a Maurice Lèvy ed il «mondialismo felice»

All’avanguardia di questa incessante propaganda per la «diversità» c’è Publicis. Fondata da Marcel Bleustein Blanchet, la cui figlia Elisabeth* (cinquantaseiesima nella graduatoria dei più ricchi di Francia) è proprietaria dell’agenzia pubblicitaria insieme a suo marito Robert Badinter* ex ministro socialista della Giustizia, poi presidente del Consiglio Costituzionale; Publicis è dirett,a dopo il 1981, da Maurice Lévy.

Lévy in una sua dichiarazione apparsa su Libération dell’11 settembre 2010, si definiva come un ebreo «praticante, rispettoso delle festività, attivo anche in molte operazioni riguardanti la comunità e sollecito nel trasmettere ai suoi figli i valori ebraici», secondo quanto scrive Emmanuel Ratier sulla rivista Faits & Documents numero 301, Maurice Lévy è: «Membro dellAssociazione di Cooperazione Economica Franco Israeliana, della Camera di Commercio Franco israeliana, ex-presidente dei Bonds dIsraël (cioè del sistema di finanziamento d’Israele operato dalla diaspora), ex presidente di By my Sprit, organizzazione che raggruppa i sefarditi del mondo interoQuando fu nominato Commendatore della Legion dOnneur, scelse Ady Steg, presidente dellAlleanza Israelita Universale, per farsi insignire del nuovo grado ricevuto» Con la benedizione di Elisabeth Badinter, nel giugno 2010 sceglieva, per succedergli alla testa di Publicis Jean Yves Naouri*: Costui, ex consigliere di Dominique Stauss Kahn quando era ministro dell’Industria e del Commercio Estero, è il fratello di Jean Charles Naouri*, PDG di Casino, gruppo della grande distribuzione. Tale attaccamento alle sue origini e allo Stato ebraico non impedisce al PDG di Publicis (di cui è anche azionista attraverso la società Maurice Lévy Management et Salariés, che lo pone al 211° posto tra i più ricchi di Francia, con un patrimonio stimato intorno ai 153 milioni di euro) di far parte anche di cenacoli mondialisti di prim’ordine, come la Trilateral Commission ed il Forum di Davos e di vantare ogniqualvolta si presenti l’occasione le virtù del cosmopolitismo. «È prima di tutto non tanto un pubblicitario quanto un lobbista convinto, i cui interessi relazionali coincidono quasi sempre con quelli del suo portafoglio pubblicitario. Una specie di comunicatore, portavoce del capitalismo moderno che guida i suoi clienti sulla via di un mondialismo felice», scrive ancora Emmanuel Ratier. E tutto questo serve da insegnamento a quelli che credono ancora che la pubblicità serva ad informare, quando invece è il principale ingranaggio della gigantesca macchina creata per annullare la ragione, per favorire il fenomeno della crescita zero della popolazione e per rafforzare il mondialismo.

16. Pubblicità e politica, la caduta di DSK (16), una catastrofe industriale

Succede anche che la «diversità» si ritorca contro i suoi seguaci, come imparava a sue spese Stéphane Fouks, copresidente insieme a Mercedes Erra (che rivendicava le sue origini «rosse» spagnole) di Euro RSCG Worldwide, agenzia concorrente di Publicis e, dopo il marzo 2011, anche vicepresidente del gruppo Havas, in piena riorganizzazione. Ma chi è questo cinquantenne, assolutamente devoto al ruolo di guida nazionale di Dominique Stauss Kahn prima della sua caduta?

Fouks alla scuola Sos Racisme

«Uninfanzia passata in periferia, a Chareton. Una storia familiare che si dipana tra la Polonia e lUnione Sovietica. Le immagini della resistenza come eredità, i segni del militarismo comunista di un padre, vicedirettore alla direzione centrale della sicurezza sociale diventato poi socialdemocratico. La madre, figlia di deportati, con un lavoro contabile presso unimpresa di marocchinerie …». Questo è quanto possiamo leggere in un ritratto pubblicato nel giugno del 2005 dal Nouvel Economiste che, con un certo lirismo, descrive Stéphane Fouks come: «Essenziale, imprevedibile ed inclassificabile; il giornale esalta i suoi occhi di velluto che riscaldano latmosfera e il suo calore raffinato» prima di rievocare con simpatia il suo curriculum: «A 16 anni, si iscrive alla sezione del Partito Socialista di Chareton-le-Point. A ventanni partecipa alla creazione dellUnef-ID. A 24 anni, il suo amico Yves Colmou* gli propone di raggiungerlo presso il gabinetto di Michel Rocard*, a quei tempi ministro dellAgricoltura. Egli si era prefisso tre obiettivi di vita: la politica, la giustizia e la comunicazione. Finalmente, tutto questo sarà un po realizzato».

L’Expansion aveva già delineato questo profilo nel settembre 2004, ricordando anche che, ancora molto giovane, era già apostolo della lotta alla discriminazione e favorevole al meticciato, Stéphane Fouks aveva organizzato con successo il primo concerto di SOS Racisme il 19 giugno 1986 in piazza della Concordia:

«Il patron di Euro RSCG France arriva allincrocio tra i tre grandi poteri: politico, economico e mediatico. Il suo talento è riuscito a regolare la gestione di tutti e tre, gestendone le suscettibilitàEgli riesce a cesellare limmagine dei più grandi personaggi del PaeseCon la comunicazione deve convincere lopinione pubblica che le operazioni condotte per conto dei suoi clienti sono giudiziose e nello stesso tempo coltivare le migliori relazioni con i potentati della stampa i cui titoli talvolta sono piuttosto critici. Lui non chiama queste cose le contraddizioni. Io lo vedo come un interprete tra questi tre importanti ambienti che non si capiscono più molto bene» dichiara candidamente.

Tradotto liberamente tutto ciò significa: ricorrere spesso al ricatto della pubblicità, in quanto le grandi agenzie decidono molto autonomamente gli acquisti di spazi pubblicitari, Stéphane Fouks, che è sotto contratto con 14 delle 40 imprese del CAC 40, senza poi contare quelle che non fanno parte del cartello, come per esempio la Banca Lazard, Mc Donald’s France o Orange (a questo proposito confronta LExpress del 16 febbraio 2011), ottiene il silenzio complice dei media su tutto ciò che è pregiudizievole ai grandi potentati economici che hanno il potere di decidere (17) sia nel campo dell’economia che in quello della politica, ambienti nei quali Fouks ha tanti amici.

Come salvare il soldato Strauss Kahn?

Tra questi importanti amici ritroviamo anche un grande banchiere, Matthieu Pigasse, che Kahn dice candidamente di ammirare e di invidiare perché egli stesso avrebbe desiderato gestire le fusioni e le acquisizioni con un’impronta ebraica. Tra queste importanti persone ritroviamo anche ormai l’ex capo del Fondo Monetario Internazionale Dominique Strauss Kahn che coltivava appassionatamente l’ambizione di potersi proiettare alla testa dello Stato francese appoggiandosi sulle Nouvelles Elites alle quali aveva dedicato un libro, Plon, 2007, valutandone il dinamismo, la tolleranza e la loro meravigliosa apertura al mondo. Un tale ritornello era continuamente ripetuto in tutti gli interventi che teneva oltre Atlantico in prestigiose riunioni di associazioni come la French American Foundation, o la Princeton University o alle convention dei Young Leader a New York, oppure esaltando il villaggio globale, post razziale e senza frontiere. Ed era sempre Fouks che, dopo alcuni soggiorni a Marrakech, posto dove Dominique Strauss Kahn e sua moglie Anne Sinclair posseggono una sontuosa villa moresca, aveva preparato nei minimi dettagli il ritorno politico di Dominique (onnipresente sui più importanti canali televisivi e sulla stampa, con una una trasmissione speciale a lui dedicata su Canal l+) in occasione del vertice di Parigi del FMI. Ed era sempre lui che aveva creato su internet la «Boutique DSK» dove per 20 euro si potevano acquistare T-shirt con scritto «Yes we Kahn» lanciate da Pigasse. Ed era anche dietro i «simpatizzanti anonimi» che da fine marzo 2011 animavano il sito DSKvraifaux.fr con l’obiettivo «di ricostruire i dettagli della sua azione e delle sue di dichiarazioni passate e presenti». Il modo di agire si ispira a quello del sito Fight The Smears.com («Lottare contro le diffamazioni»), lanciato nel 2008 dall’équipe di Barack Obama, anche se la missione era ormai urgente ma quasi impossibile: il nostro Superman non si era soltanto accontentato, primo e colossale errore, di girare su una Porsche Panamera S, ma si era fatto anche arrestare dalla Polizia di New York e subito accusare di reato di aggressione sessuale, tentativo di stupro e sequestro ai danni di una cameriera del Sofitel di Manhattan. Ed era proprio Stéphane Fouks che, nell’ottobre 2008, aveva dovuto gestire l’imbarazzante storia di DSK con una sua dipendente, un’ungherese di nome Piroska Nagy, a causa di una normale fattura compresa tra i 3.000 e i 5.000 euro al giorno e a persona, come in seguito scriverà Le Point, senza indicare chi abbia poi saldato l’enorme spesa, cioè se essa fosse stata a carico di Strauss Kahn o del FMI (di cui Euro RSCG si vide offrire… la gestione del budget di immagine e di comunicazione per l’Europa e l’Africa). Ed ecco comparire un’altra macchia, una macchia sicuramente enorme.

Quando il «fratello» di Nicolas puntò tutto su Dominique

Nella sua promozione frenetica in favore di DSK, Stéphane Fouks era aiutato da altri due dirigenti di Euro RSCG che lui stesso aveva ingaggiato: Gilles Finchelstein, ex membro del gabinetto di Jospin e delegato generale della fondazione Jean Jaurès (di cui Pigasse era membro) e Ramzi Khiroun, che una volta era stato l’autista di DSK. Ramzi Khiroun, diventato nel frattempo membro del comitato esecutivo e portavoce del Groupe Lagardère, continuava a conservare le sue attività di consulente in seno ad Euro RSCG… e, quindi, era un supporter dell’aspirante presidente francese Strauss Kahn. Così facendo, Lagardère, riteneva cosa normale procacciarsi il favore di quello che i sondaggi unanimemente davano per vincente alle elezioni del 2012. Ma saggiamente Lagardère, che sarà così presentato come suo fratello, non manteneva eccellenti rapporti anche con Stéphane Fouks che, secondo LExpansion, vedeva regolarmente ogni mercoledì. Ma nonostante le attenzioni e i gesti d’amicizia che rischiavano di rivelarsi vani, l’avvenire politico di Strauss Kahn, sul quale tanti grandi potentati avevano puntato tutto, sembrava irrimediabilmente compromesso. Una catastrofe industriale (e finanziaria) per loro, un cocente smacco per Stéphan Fouks, che aveva giurato di vendere DSK ai francesi come responsabile delle loro comunicazioni, era riuscito a vendere Ehoud Barak come Primo Ministro agli israeliani ed Aleksander Kwasniewski come presidente ai polacchi (18).

17. Lopinione pubblica manipolata dai sondaggi

Altrettanto essenziale nel processo di cancellazione dell’identità e rinnegamento delle proprie radici nazionali francesi, è il ruolo giocato dalla cosiddetta «fabbrica delle opinioni», oppure, in altre parole, i vari istituti di sondaggio che sono così numerosi nel nostro Paese (TNS Sofres, Ifop, Ipsos, BVA, CSA, Louis Harris, ViaVoice). Lo sviluppo ha avuto gli ultimi anni del ventesimo secolo da questi istituti è veramente esplosivo, il volume di affari totali è passato da 70 milioni di franchi nel 1970 a 548 milioni di franchi nel 1984, cifra quest’ultima che, nel 1994, è stata realizzata soltanto dai tre più grandi gruppi operanti nel settore. Nel 2002 eleves.ens,fr il sito della Scuola Normale Superiore rilevava che «fatta eccezione per IPSOS e per CSA, la cui maggioranza azionaria è ancora in mano dei loro fondatori, i grandi istituti di sondaggi appartengono ai grossi gruppi finanziari e industriali. Così il gruppo Sofres, che è il proprietario di Louis Harris France è detenuto per il 51% da Fimalac (Financière Marc Ladreit de Lacharrière*), BVA da Michel Pébereau* (19) e lIfop, che per il 52% appartiene a Laurence Parisot (che è il secondo costruttore mondiale di mobili). Si formava quindi unintegrazione tematica tra gli istituti e i media che possiedono anche questi gruppi finanziari suscettibili di orientare il dibattito intorno ai loro interessi. Escluse le elezioni nessun elemento esterno a questi gruppi veniva a perturbare la scena degli scambi pubblici fondati spesso sullanalisi dei sondaggi, dati grezzi scientifici dei quali si alimentano numerosi analisti, editorialisti e giornalisti».

Far parlare la gente o far parlare le cifre?

Trascorsi una decina d’anni il mondo dei sondaggi è un po’ cambiato: dopo aver acquisito il 75% del capitale di Ifop, l’istituto di settore più vecchio, creato nel 1938, ed esserne divenuto il PDG, Laurance Parisot, dopo poco non ricopriva più questa carica, restando solo ufficialmente vicepresidente avendo ceduto il suo posto a Stéphane Truchi nel 2005, dopo che aveva assunto la carica di responsabile del Mouvement des Entreprises de France (Medef). Il capitale di BVA è nella sua maggioranza ormai detenuto dalla banca IXEN, filiale di Natixis, banca di finanziamento e di investimento del gruppo BPCE, nato dalla fusione dei gruppi Caisse d’Espargne et Banque Populaire e presieduto da François Pérol, come abbiamo già avuto occasione di vedere prima; nell’ottobre 2008 la società inglese Sir Martin Sorrell (gruppo WPP) ha acquistato la Sofres per la cifra di 1,5 miliardi di euro in titoli e contanti e da apolide localizzava la sua sede nel paradiso fiscale di Jersey; e nello stesso anno 2008, la CSA era acquisita dal gruppo Balloré che, dopo aver affidato la gestione a un direttorio composto da Etienne Giros presidente, Henri Boulan, Elisabeth Martine Cosnefroy e Stéphane Rozès, nel dicembre 2010 nominava Bernard Sananes. Costui, dopo aver passato un breve periodo nel settore comunicazione di EDF su richiesta del PDG Henri Proglio, e dopo aver ricoperto la carica di direttore generale di Euro RSCG C&O, gioiello dell’impero finanziario di Vincent Balloré, approdava finalmente alla carica di PDG di CSA! Il mondo è piccolo!

«Sotto i ripetuti colpi della globalizzazione e di internet, il mondo intero non ha mai cambiato così rapidamente. Tali sconvolgimenti, lungi dallessere semplicemente macroeconomici, fanno nascere una nuova situazione societaria caratterizzata, per esempio, dalla domanda di trasparenza e dalla volontà non comprimibile di essere attore dei propri cambiamenti… Come inquadrare prospetticamente questi nuovi comportamenti? Come poter incrociare le differenze di vedute a proposito dellindividuo? Come riuscire a decriptare tendenze forti e segnali deboli? Sono queste le sfide alle quali (sic!) la nuova CSA vuol rispondere. Per arrivarci, listituto forte della sua storia, della sua credibilità, della sua professionalità, inizia una profonda trasformazione: approcci più trasversali per rendere più ricche le visioni settoriali, una organizzazione di alto profilo per rassicurare i clienti, una grande efficacia della loro politica di studio, innovazione nei metodi e nelle soluzioni proposte, sempre più centrato intorno allanalisi per meglio far parlare le cifre… Perché in un mondo che non è mai cambiato così velocemente, non cè stato mai tanto bisogno di studi per decodificare segnali e per decidere».

Così scriveva nel suo primo editoriale Sananes, che nel suo blog ,si rallegrava di essere un cittadino del mondo avendo parenti un po’ dappertutto: «negli Stati Uniti come in Israele». «Far parlare le cifre» in materia elettorale per manipolare l’opinione pubblica o certe idee rischiose, che ad esempio fanno sì che il verdetto delle urne risulti difforme da quello espresso dagli analisti dei sondaggi. I sondaggisti si mostrano prudenti, per lo meno relativamente (20), su questo terreno, anche se insieme ai loro complici di «Mediaklatura» sono sempre pronti a preparare il terreno in favore del candidato X o Y… o come abbiamo visto, nella primavera 2011, nei confronti di DSK. In effetti, come constatava il ricercatore Sébastien Bolher nel suo libro 150 piccoli espedienti di psicologia dei media per meglio comprendere come ci stanno manipolando, Edizioni Dunod, 2008, la sovraesposizione mediatica può creare squilibri alla personalità «al di fuori di qualsiasi tipo di qualità intrinseca delloggetto posto sotto valutazione» ed incitare a compiere la scelta (21). D’altro canto in presenza di mancanza di regolamentazione in materia societaria non ci si espone ad alcuna sanzione di carattere giuridico. Dobbiamo comunque registrare l’aumento del numero dei francesi favorevoli:

- all’eutanasia
- ai matrimoni misti
- ai matrimoni omosessuali e al diritto di adozione
- alla pillola del giorno dopo ed al «pass» contraccettivo rilasciato alle collegiali senza informare i loro genitori
- alla depenalizzazione delle droghe leggere
- al mantenimento del divieto di esercizio della pena di morte, mentre cadrebbe quello dei fautori del ritorno alla pena capitale
- al rimpatrio nei Paesi di origine degli immigrati delinquenti e/o disoccupati da lunga data.

La signora Parisot, anche al nome del Medef che voleva assolutamente disporre di una manodopera a basso costo, si era pronunciata, nell’aprile 2011, contro qualsiasi restrizione ed imposizione di limiti all’immigrazione, come del resto aveva fatto prima di lei anche Francis Bouygues. La vicepresidente della Ifop si era spinta fino al mettere in guardia il governo contro il pericolo, sotto il profilo economico, «di un blocco del Paese». Antifona ripresa anche nello stesso mese di aprile da Les Echos, il quotidiano di proprietà del miliardario Bernard Arnault, che affermava, basandosi sui dati di un’inchiesta che lui definiva realistica, mentre era semplicemente ideologica, contrariamente a certe idee preconcette, che l’immigrazione non esplodeva assolutamente in Francia. E sempre sulla base di tali tipi di «studi», le risposte date spesso in modo indiretto dagli stessi sondaggi (sempre la dittatura del politicamente corretto), la Sofres, fondata da Pierre Weill nel 1963, pubblicava ogni anno il rapporto Lo stato dellopinione, sotto la direzione del socialista Olivier Duhamel (professore universitario presso Scienze Politiche ed ex deputato europeo socialista) e di Brice Teinturier, direttore generale aggiunto della TNS Sofres. L’edizione del 2009 beneficiava anche del contributo di Marc Lazar, anche lui professore presso Scienze Politiche, di Pascal Perrineau*, direttore del Cevipof, dell’ex Segretario di Stato Jean Pierre Jouyet e del giornalista Michel Field. Quest’opera veniva definita di riferimento. Non sarebbe più corretto forse parlare di strumento di influenza dell’opinione pubblica? In ogni caso è giusto ben considerare un elemento: in certi Paesi (per esempio la Svizzera o alcuni Stati degli Stati Uniti) dove si pratica la democrazia diretta, gli elettori sconfessano in maniera regolare il politicamente corretto e depositano nelle urne verdetti ben diversi da quelli che erano stati prima dati per scontati.

Il «casting» delle «vere persone»

Sempre di più le radio e le televisioni sono portate a dare voce a singoli individui interrogandoli o per strada o facendoli intervenire in diretta durante le trasmissioni. Sud Radio, dandosi la veste di politicamente scorretto, ha sviluppato molto questa metodologia, soprattutto nell’arco del 2011. E per questo è stato richiamato all’ordine dal Consiglio Superiore di controllo dei mezzi audiovisivi (CSA) in seguito a quello che fu ritenuto come uno sbandamento da parte degli ascoltatori, che ritenevano che Dominique Strauss Kahn si fosse giovato di «un robusto sostegno fornitogli dalla lobby ebraica». Il fondatore presidente del gruppo NextRadio (RMC, BFM TV) Alain Weill era intervenuto in maniera diretta nell’agosto 2011 su Canal Plus (La Nouvelle Edition) riguardo la polemica sorta intorno a Sud Radio: «Quello che è importante non è certamente quello che noi chiamiamo in maniera chiara il cast I degli ascoltatori. È soltanto un cast I, bisogna invece trovare dei buoni ascoltatori di fondo evidentemente. Nel mondo dell’ antenna libera bisogna fare molta attenzione a non avere dei soggetti che provochino gli ascoltatori, delle categorie di uditori che possano nascondere dei propositi inaccettabili da parte dellantenna emittente;ci sono dei dibattiti che non vanno assolutamente organizzati per creare lavvenimento costi quello che costi, in quanto londata di ritorno mette in moto un effetto leva fortissimo e violento» (Eric Martin in Médias tics del 13 agosto 2011). Al di là dello scoppio dlla polemica, ciò che è interessante è di vedere chi i media presentano come «persone veramente comuni», le quali invece sono selezionate secondo una griglia politico-ideologica. La confessione di Alain Weill è assolutamente molto interessante!

18. Gli uomini del Club du Siècle sono saldamente piazzati nei gangli vitali del potere

I lettori avranno sicuramente notato, tra le righe delle pagine, il ripresentarsi lancinante e costante dei patronimici contrassegnati con un asterisco.

Come avevamo già ammonito nella prefazione, queste sono tutte persone appartenenti al Club du Siècle. Ad oggi il club esclusivo è presieduto da Nicole Notat*, ex fluttuante segretario generale della CFDT, coadiuvato da un consiglio di amministrazione dove troviamo nomi di vecchie conoscenze tra cui l’onnipresente Louis Schweitzer. Emmanuel Ratier, creatore della lettera confidenziale Faits & Documents (22), già nel 1996 aveva dedicato a questo argomento un voluminoso studio intitolato Au coeur du pouvoir. Già dal 1994 la notizia della pubblicazione di questa opera aveva fatto entrare in fibrillazione la direzione del Siècle che, per bocca del segretario generale Etienne Lacour, era ricorsa alla intimidazione mettendo le mani avanti e dichiarando che «La realizzazione di un simile progetto metteva immediatamente in moto una serie di azioni e reazioni per la tutela dei nostri diritti e di quelli di tutti i nostri membri». Che cosa dunque aveva da nascondere o ad avere interesse a non divulgare questo gruppo potente portatori di interessi di influenze?

Nomelklatura alla francese

Al di là delle posizioni e dei partiti presi, degli scontri e delle varie divergenze tattiche, profonde e molteplici connivenze legano i membri di questa organizzazione privata (attualmente formata da 350 persone, ma la cui lista di attesa, per entrare, è lunghissima) tutti alti funzionari, banchieri di nome, dirigenti politici, editori (sia del settore editoriale librario che della stampa); costoro esercitano uno straordinario potere. Ma soprattutto, come rivela Emmanuel Ratier, nella prima edizione del suo libro, tre personaggi tra questi e cioè: «Jean Dromer* (della BIAO), Jacques Lallement* (Caisse National du Crédit Agricole) e Pierre Moussa (della Paribas)»; già nel 1978 erano ritenuti «detentori» di una cifra stimabile intorno ai 600 miliardi di vecchi franchi, il che significava una volta e mezzo il bilancio dello Stato francese. «Se unicona della finanza come la banca Lazard ha potuto permettersi di soprannominare questo esclusivo clubil ministero bis dellindustria’, vuol dire evidentemente che Le Siècle era una vera e propriasuper amministrazione’», dando a questa parola il senso americano del termine, e allo stesso tempo essere una vera e propria piovra che stende i suoi tentacoli in tutti i campi del potere. Lungi dall’essersi attenuata, la sua influenza ed il suo impatto non hanno assolutamente cessato di crescere sotto la V Repubblica, come si può chiaramente evincere dalla lettura della seconda edizione del 2011 di Au coeur du puvoir (23) Le siècle può cambiare i destini individuali. Lo stesso Jacques Rigaud è convinto che senza il suo incontro avvenuto nell’ambito de Le Siècle, con Pierre Moussa, non avrebbe mai lasciato il settore pubblico, non sarebbe mai divenuto presidente di RTL. «Ed anche lacquisto di Libération da parte di Edouard de Rothschild non avrebbe mai potuto aver luogo senza i legami che furono stretti grazie a Le Siècle tra il figlio del barone Guy ed il banchiere Pigasse». E forse non è cosa notoria che, dopo il fallimento di Jean Marie Messier, fu proprio su un consiglio di Gérard Longuet*, ex ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, poi ministro della Difesa, che fu reclutato il suo commensale Jean Bernard Lévy*, ex della Matra Lagardère, per salvare il salvabile della Vivendi, che possiede, tra le altre partecipazioni, anche l’80% del capitale della rete televisiva Canal+ ed intendeva, alla fine del 2011, lanciare una nuova rete gratuita, cosa davvero imbarazzante per il governo?

19. Chi dirige linformazione? Loligarchia mondiale e i suoi mercenari francesi

Mai l’informazione subiva una cappa di piombo così pesante. In un’appassionante studio, apparso nell’ottobre 2000, e intitolato Un exemple de tyrannie médiatique: la normalisation du Figaro Magazine (24), il compianto Jean Claude Valla, che faceva parte dell’équipe di giornalisti promotrice del settimanale lanciato da Robert Hersant e da Louis Pauwels nel 1978, racconta come la rivista, giudicato troppo vicina alla Nuova Destra di GRECE e quindi fuori dall’alveo dell’ideologia dominante, era diventata sùbito bersaglio di un incredibile delirio giornalistico (più di 500 articoli ostili, pubblicati su Le Monde, ma anche su Le Figaro, quotidiano che, grazie ad un nuovo supplemento settimanale, aveva potuto aumentare le vendite, «di sabato di oltre 100 mila copie». Maurice Lévy, di Publicis, « non aveva mai dissimulato le sue antipatie viscerali per Le Figaro Magazine, minacciando di cancellarlo dai loro piani mediatici» se il settimanale non si fosse separato da certi suoi collaboratori. Cosa che fu finalmente fatta nel 1980, dopo l’isteria suscitata dall’attentato palestinese di rue Copernic, subito attribuito all’estrema destra. Avendo rinunciato a qualsiasi tipo di originalità e qualsiasi tipo di spirito di libertà, le Fig-Mag fu ridotto al rango di catalogo pubblicitario. Il totalitarismo ideologico aveva vinto. Le cose sono per caso cambiate trent’anni dopo? Sì, in peggio; Robert Menard a buon diritto poteva scrivere, insieme a sua moglie Emmanuelle Duverger, nel loro pamphlet Vive Le Pen!, edizioni Mordicius, 2011, che «Oggi la censura ha per nome lantirazzismo, lantifascismo, la lotta contro lantisemitismo, la difesa delle minoranze sessuali, il dovere della memoria». E il suo predecessore tra i giornalisti senza frontiere aggiungeva: «Il mediaticamente corretto prospera grazie alla nostra assenza in quelle battaglie che non si conducono, in quelle scomuniche che in tempi di ortodossia mediatica voi sicuramente brandite in maniera molto più efficace delle forbici e dei bavagli della vecchia censura». Contemporaneamente nella copertina del suo numero 28 della primavera 2011, la rivista Médias, diretta dallo stesso Robert Ménard, si chiedeva: «Chi è il vero padrone dei media? Chi tira i fili delle marionette?».

Ed è a tale questione cruciale che noi siamo costretti a rispondere, almeno in parte, in questo lavoro che non avrà la pretesa di essere esaustivo. Così riassumeva Jean Yves Le Gallou, presidente di Polémia, oltre che direttore dei bollettini di informazione di radio Courtoisie, aprendo il cinque aprile 2011 la festosa cerimonia dei «Bobards dOr» (Le Frottole d’oro):

«Dunque chi controlla i media? La risposta è semplice: le banche, le oligarchie della Superclasse mondialista e dei mercenari intellettuali che le servono. Cè quindi una verticalizzazione del potere in quelle che continuiamo a chiamare le democrazie occidentali: dove le grandi potenze finanziarie controllano lopinione attraverso lintermediazione dei media, delle campagne di comunicazione e della pubblicità. Infatti, contrariamente a ciò che si racconta, il potere non proviene assolutamente dal basso nelle democrazie liberali occidentali. Tranne rare eccezioni il potere non appartiene sicuramente più al popolo ma alle grandi oligarchie. Sono queste che controllano la fabbricazione dellopinione e indirizzano le offerte elettorali verso un preciso scopo. I grandi media non guadagnano assolutamente denaro. Al contrario ne perdono. Chi quindi investe nei media non si attende assolutamente una retribuzione di carattere finanziario immediato; gli interessa conquistare potere ed influenza. Ecco perché, contrariamente a quello che pretendono i grandi media, essi non sono assolutamente mezzi di informazione ma mezzi di influenza delle conoscenze e dellinformazione. Sono coloro che tracciano il solco prescritto per lopinione: essi non cercano assolutamente di aiutare a capire, ma vogliono far capireIl mondo dei media dominanti è costruito come un racconto per bambini con dei buoni e dei cattivi: per cullare soltanto illusioni nei consumatori, ai quali le oligarchie mondialiste vogliono vendere dei ninnoli; questo per meglio rendere più infantili i cittadini cui la superclasse mondialista vuole imporre il disordine cosmopolita per tenerla sempre più sottomessa al nuovo ordine mondiale. I media non sono solamente il messaggio, i media sono la falsità e la menzogna. I media non sono lo specchio della realtà, i media fanno da specchio alla realtà» (25).

È quello che Laurent Solly, nunero due di TF1, la rete televisiva più seguita dai francesi, riconosce in modo esplicito quanto dichiara con raro cinismo: «La realtà non ha nessuna importanza, è soltanto la percezione quello che conta».

Cari francesi se voi sapeste…

(fine)

Polémia, con la collaborazione di Claude Lorne

Traduzione dal francese a cura di Luciano Garofoli
Revisione testo ed editing a cura di Fabio de Fina


Parte I




8) DSK: I francesi amano molto chiamare con le iniziali i personaggi, o le società famose. DSK sta per Dominique Stauss Khan, ex presidente del FMI, coinvolto in vari scandali a sfondo sessuale, candidato in pectore per il PSF per le presidenziali del 2012, ma clamorosamente messo fuori gioco dagli scandali.
9) Ecco un nome che forse qualcuno in Italia potrebbe ricordare! Forse pochissimi, ah la memoria! Era il referente, factotum, PDG della CIR di De Benedetti quando sembrava che la sua marcia di conquista sui mercati europei ed italiani fosse inarrestabile, nei mitici anni Ottanta! Dopo l’acquisto di vari assets in Francia Minc era il trait d’union con le grandi banche d’affari francesi ed internazionali. Ma nel 1988 l’Ingegnere fece forse il passo più lungo della gamba: assistito dalla Banca Lazard Freres scala con successo uno dei mostri sacri dell’economia franco belga, la prestigiosa Société Génerale de la Belgique, una potenza finanziaria che tra le altre cose ha in portafoglio una grossa parte delle azioni della prestigiosa Suez. Il visconte Étienne d’Avignon, ex commissari europeo fu il paladino di una vera e propria crociata contro l’invasore De Benedetti ed il suo aiutante Minc. Giocando sporco anche grazie alla potenza della Suez ed all’appoggio che essa può manovrare nel parlamento francese, toglieva alla maggioranza delle azioni SGB, possedute dalla CIR, il diritto di voto, in pratica inibendo la gestione della finanziaria all’Ingegnere! Una brutta storia questa! Ma Minc, nonostante tutto resta, come potete vedere, immarcescibile.
10) Jean Pierre Jouyet, ispettore delle Finanze e anche lui come Pigasse aderente al Partito Socialista; tra le altre sue attività è direttore del gabinetto di Jacques Delors, allora presidente della Commissione Europea, passato poi dal Tesoro alla presidenza della banca Barclays France. Dopo l’elezione alla presidenza di Nicolas Sarkozy fu una delle «vedette des ouverture»; infatti era stato nominato il 18 maggio 2007 Segretario di Stato incaricato degli Affari Europei con «des ouverture»; infatti era stato nominato il 18 maggio 2007 Segretario di Stato incaricato degli Affari Europei con Bernard Kouchner*, all’epoca ministro degli Esteri del governo presieduto da Fillon. Il 14 novembre 2008 Sarkozy lo pone alla testa dell’Autorità per i mercati finanziari (AMF).
11) La sigla definisce il Salaire Minimum Interprofessionnel de Croissance cioè il salario minimo contrattuale garantito a tutti i lavoratori. Con la riforma del 1969, lo SMIC sostituiva il vecchio SMIG (sigla di Salaire Minimum Interprofessionel Garanti). Nei rapporti di lavoro segnava un evidente progresso, poiché vincolava il salario minimo al costo della vita, accertato ogni anno alla scadenza del 1° luglio, garantendone l’aumento in caso di crescita.
12) BHL: come spesso succede in Francia i personaggi famosi e di primo piano, vengono chiamati con le iniziali. In questo caso si tratta di Bernard Henri Lévy: finanziere, filosofo e mâitre à penser dell’intellighentia goscista d’oltralpe.
13) http//www.polemia.com/article.php?id=3400; questo il riferimento internet per approfondire.
14) Affermazione la cui inanità è stata dimostrata da Sylvain Gouguenheim nel suo libro Aristote au Mont Saint Michel/Les racines grecques de lEurope chrétiene, edizioni Du Seuil, 2008.
15) Lanciato nel marzo 2011, per il diciannovesimo anniversario dei reality show, Carré Viiip è l’ultimo e ripugnante prodotto della Endemol; è stato quasi subito stoppato da TF1. Non tanto per decenza ma perché l’audience si era abbassata: meno di 2 milioni di telespettatori di media. E ciò aveva naturalmente provocato la dissoluzione degli annunci pubblicitari. Inoltre bisogna dire che la Endemol si era dotata di un comitato di deontologia comprendente, tra le altre personalità, gli immancabili Louis Schweitzer e Elisabeth Badinter; il giornalista Michèle Cotta* fu il solo membro di questo comitato a denunciare pubblicamente la mediocrità adescatrice, al limite della pornografia, di Carré Viiip.
16) DSK: Dominique Strauss Kahn.
17) Possiamo ricordare che nel febbraio 2011 avvenne un servile allineamento della stampa sulle linee di comunicazione passate dalla maison Dior, che inondava i media con i suoi spazi pubblicitari su questo o quell’altro profumo, a proposito del caso Galliano, il grande nome della moda, idolo brutalmente demolito per aver fatto, in stato di ebbrezza, dei discorsi antisemiti ed immediatamente cacciato via… Un’occasione irripetibile per la LVMH del suo proprietario miliardario Bernard Arnault, che nel dicembre 2010 (confronta Le Parisien del 13 maggio 2011) si augurava di potersi sbarazzare di John Galliano, ormai troppo sostenuto e troppo costoso per i loro gusti.
18) Su raccomandazione di Dominique Strauss Kahn, Stéphane Fouks era riuscito anche a vendere Laurent Gbagbo agli ivoriani. Ma su questo argomento, che in parte spiega il silenzio imbarazzato del Partito Socialista sulla situazione ad Abidjan, tutti preferiscono far calare l’oblio.
[1]9) Allievo dell’ENA e del Politecnico, ex consigliere al ministero delle Finanze ai tempi di Giscard D’Estaing e banchiere (è infatti presidente del Consiglio di Amministrazione di BNP Paribas), Michel Pérebeau, che nel dicembre 2011 cedeva la sua carica al suo stretto collaboratore Baudoin Prot., è fratello di quel Georges Pébereau, anche lui ex allievo dell’ENA ed ex dirigente della Marceau Investissement che, nel 1988 fu autore di un raid sulla Société Générale e che, chiamato in giudizio nel 2002, fu ritenuto colpevole di Insider trading. Gli altri accusati erano il finanziere americano di origini ungheresi Georges Soros, il banchiere Jean Pierre Peyraud, il finanziere libanese Samir Traboulsi, Jean Charles Naouri e l’ex capo di gabinetto di Pierre Bérégovoy, diventato poi anche PDG della società Euris, proprietaria del gruppo Casino. I due ultimi personaggi citati furono anche implicati nello scandalo Péchiney Triangle American Can, che fece tremare, tra il 1988 ed il 1989, il presidente Mitterand ed il suo ex compagno, durante la Resistenza, Roger Patrice Pelat, essendo stati loro stessi sospettati di Insider trading (vedi La Piège de Wall Street ou laffaire Pechiney Triangle, di G. Senges e F. Labrouillère, edizioni Albin Michel).
20) In un’analisi di Ifop sulle prospettive riguardanti il FN relative alle elezioni amministrative del 2011, Guillaume Peltie, redattore capo di La Lettre de lopinion e Jérôme Fourquet, direttore aggiunto del Dipartimento Opinioni e strategie d’impresa di Ifop, stimavano a meno di 200 il numero massimo di enti locali nei quali il partito di Marine Le Pen «poteva essere in grado di partecipare al secondo turno elettorale. In realtà queste località risultarono essere, all’atto finale, 303.
21) Vedi anche La manipolazione dellopinione pubblica attraverso i sondaggi. Sistema per evitarla! www.polemia.com/article.php?id=2511.
22) BP 254-09, 75424 Paris Cedeux 09 oppure faitsetdocuments.com.
23) 736 pagine con annessi e più di mille informazioni e notizie, 34 euro il costo del volume. È ordinabile presso la Librairie Facta, 4 rue de Clichy, 75009 Paris (telefono 01 48 74 59 14) oppure faitsetdocuments.com.
24) Polemia.com/article.php?id=1345.
25) Confronta polémia.com/article.php?id=1345. Leggere anche J Y Gallou, Dix sept Thèses sur le système médiatique francais, polémia.com/rubrique.php?id=2.


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