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Rock: esperienze e considerazioni
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Ispirandomi all’articolo «Satana e Musica», recentemente pubblicato su questo sito, desidererei esporre il mio parere sull’argomento, al di fuori dei dibattiti - spesso tendenti a trasformarsi in bisticci - negli spazi dedicati al confronto tra lettori, nei quali solitamente non è neanche possibile un dilungamento più approfondito.

Per rendersi conto che il tema è tutt’altro che trascurabile, basta notare l’apparente anomalia della sezione «Lettere al Direttore», qui su EFFEDIEFFE: nonostante i temi classici maggiormente dibattuti dal sito riguardino la politica, la religione, l’ebraismo ed altro ancora, la più lunga serie di botta-e-risposta via mail che ho visto, da quando frequento il portale, è su un argomento che può apparire marginale: i Pink Floyd. Ovvero la musica, almeno quella a cui sono abituati - volenti o nolenti - la maggioranza dei lettori del giornale online. Fenomeno analogo lo sperimentai sul forum, in un lunghissimo e infiammatissimo post, dedicato proprio al dibattito sui lati oscuri del mondo musicale (1).

Questo è, secondo la mia opinione, un segno evidente di quanto le sette note siano in grado di influenzare e condizionare prepotentemente l’animo umano, e si prestino ad essere un’ottimo strumento per ispirare - sia in positivo che in negativo - le masse; e quando è il caso, a spingerle a difendere a spada tratta, acriticamente, la loro «musica del cuore». Non ritengo esista altra forma d’arte che catturi così nel profondo quasi chiunque: anche in ambito cattolico; basti pensare al famoso detto «chi canta prega due volte»; tramite le composizioni sacre - anche qui, quelle belle - si toccano le corde più intime del nostro animo, che permettono di esprimere con un’intensità particolare i propri sentimenti verso il divino.

Detto questo, vorrei dunque passare ad esporre la mia opinione sul rock, al contempo riportando la mia testimonianza di giovane «ammaliato» da tal genere, che ha sperimentato come esso possa spingere verso la parte peggiore di sé. Ritengo che più ci si fa condizionare in negativo dalla «mentalità» del rock’n’roll, più in un auspicabile futuro di rinnovata consapevolezza - per me, di conversione - si tende a distaccarsene e a riconoscerne i pericoli; perché senza essersi direttamente scottati, in quest’epoca di confusione terminale, bisogna avere il coraggio di un’opinione forte per mettere in discussione certi «miti intoccabili». Chi ascolta invece questa musica con superficialità, tanto per sentire qualche sonorità esaltante, tende a declassare il tutto a semplici «canzonette», e a volte a respingere in toto le critiche, considerandole «fanatismo»; un pregiudizio analogo a quest’ultimo si ha anche da chi lavora proprio in questo campo: egli tenderà a rifiutare, anche a livello inconscio, qualsiasi critica che possa far dubitare della propria scelta di vita, la quale può così continuare pure in seguito a una conversione al cattolicesimo in modo sincero. Qui entra in gioco l’associazione mentale profonda, che riconosce alla musica la «passione giovanile» alla quale ci si è sempre dedicati (quindi «buona»), oltre che il mezzo di sostentamento; farsi domande, in questa situazione, si trasforma in qualcosa di molto scomodo.

Per quanto riguarda me, come ho detto, rientro pienamente nella prima casistica; ho iniziato ad ascoltare il metal alle scuole superiori. Le prime volte che lo mettevo nello stereo, ricordo bene che mi sembrava di fare qualcosa di sbagliato (2): anche se in casa (purtroppo) non mi sono mai state fatte osservazioni a riguardo, dentro di me sentivo che c’era qualcosa in questi ascolti che cozzava (giustamente) con i miei valori più sani. Gruppi come i Metallica e Marylin Manson furono la mia iniziazione al rock pesante (3); i loro testi e le loro chitarre distorte, come succede di solito, rappresentavano tutte le mie frustrazioni, lo sfogo all’insicurezza che avevo accumulato dentro nell’infanzia e nella prima parte dell’adolescenza (ho avuto problemi con un padre troppo autoritario, e di inserimento con i compagni di classe; il classico «sfigato», anche se non per mia colpa). Tutti quelli che ho conosciuto, dediti a questa musica, avevano simili ferite interiori.

E già qui, si può notare come questo genere di atteggiamento verso la sofferenza sia totalmente diverso, rispetto all’ottica cristiana: da una parte, si ha l’invito a vincere il dolore con la speranza, con la fede, con l’unione alla Croce di Cristo; dall’altra, al contrario, i dolori devono portare all’irrazionalità della droga, dell’alcool, degli atti teppistici e del sesso compulsivo; in generale, al ribellismo e alla falsa libertà dell’irresponsabilità totale, dell’anomos di cui tanto di è parlato in questo sito (4).

Ma quel che c’è di peggio, come saggiamente ha notato Blondet nel suo ultimo articolo sulla musica, è l’invito alla disperazione, il prodromo del non serviam e dell’impenitenza finale. Chi ha avuto problemi con la vita, in famiglia, con i compagni, nel rock fa di questi mali un’identità: è segnato come «vittima», come reietto da questo mondo, dalle sue ipocrisie e dal nulla che offre. La risposta non è più la ricerca di una Verità che sia alternativa rispetto al vuoto di una società senza valori profondi, ma il perdersi nella dissoluzione e nel nichilismo, come ribellione estrema a tutto: una rinuncia alla lotta, al sacrificio, al costruire qualcosa che valga la pena realizzare. Sì, è vero, diverse persone superano questa fase con l’adolescenza; ma comunque questo «rumore» educa (si fa per dire), con i suoi modelli, i giovani nel periodo in cui sono più fragili. E i segni li lascia (anche a livello fisico, con le sbornie e delle assunzioni massive di droga),  preparando gli adulti di domani ad essere sempre più impulsivi e irrazionali: non sono i primi rockettari sessantottardi, pure cresciuti, che hanno spinto per la «libertà di costumi» che oggi ci distrugge?

Tornando al discorso dell’identità: è interessante notare come si sia voluta applicare una strategia illusoria e proficua nel business degli ascolti, ovvero l’apparente divisione tra i discotecari alla moda (i cosiddetti, in gergo giovanile, «truzzi») e i «metallari», generando un divide et impera al servizio del neo-impero della dissoluzione capitalistica. Due «identità» che si disprezzano a vicenda, spesso si odiano tra loro, ma che fanno entrambe il gioco del mercato, e delle lobby miranti alla disgregazione dei valori sociali; i primi si considerano «di tendenza», e spendono in discoteche, costose griffes e serate nei locali più in voga; per non parlare del consumo di droga e di alcool, del quale tutti ormai conosciamo gli aberranti livelli raggiunti, a vantaggio anche di un fiorente mercato criminale. Dall’altra parte, i «metallari» e rockettari vari, che si sentono tanto «alternativi al sistema», alimentano lo stesso identico mercato tramite l’acquisto di biglietti per i concerti, di album (se non piratati direttamente), di magliette e di indumenti di pelle, gadget et similia, e tramite la frequentazione di locali perfettamente speculari alle discoteche, in cui sfogarsi con un ballo tribale per nulla dissimile a quello della fazione «modaiola» avversa (il cosiddetto pogo, forse anche più troglodita), fornendo anche in questo caso un buon contributo al mercato degli stupefacenti. E aggiungendoci un tocco di «spiritualità», quando capita, con la seduta spiritica, che può portare alle peggiori conseguenze (5).

Ci sono certi fatti poi che risultano illuminanti, su quanto questa divisione tra «credo musicali» sia fittizia: mi viene in mente il gruppo dei Nirvana, simbolo del grunge degli anni ‘90; quanto di più «alternativo» ci potesse essere. Una delle loro più conosciute ed ascoltate esibizioni è il concerto acustico unplugged, promosso da... MTV, il canale televisivo simbolo di ogni conformismo musicale! I poveri rockettari come me, credendo di andare contro al «sistema», ne erano manipolati esattamente come i nemici «truzzi», trasformati ugualmente in servili consumatori di prodotti, inconsapevolmente alimentando gli stessi meccanismi dai quali si credevano liberati.

Quelli che hanno avuto la fortuna di esser stati sempre fuori da questi giri, o che ne sono usciti, si chiederanno quale cecità può portare a non accorgersi dell’inconsistenza delle promesse del rock, del suo conformismo fabbricato ad hoc per ragazzi che hanno avuto problemi sociali (o possessori di un particolare spirito idiota/ribellistico): per trovare la risposta, basta aprire la Bibbia, e cercarne il prototipo nell’Antico Testamento. In vari passi, infatti, si condanna quelli che si fanno gli idoli «con il legno», i quali «non sentono né vedono». Dopo millenni di progresso, la nuova idolatria venera band che «non sentono né vedono» i problemi e le difficoltà della propria vita; e come gli antichi credevano che un pezzo di legno potesse fargli da dio, nonostante l’evidente insignificanza, così i nostri poveri adolescenti si ostinano a credere che queste marionette delle multinazionali  possano dargli quel «diverso» cercato, che l’Occidente secolarizzato non riesce più ad offrire.
Questo nonostante i segni del profitto siano più che lampanti, come lo era la fragilità del legno di totem e statuette.

Non a caso, la musica moderna ha assunto anche i tratti di una religione idolatrica. Prima si usava la lingua latina, durante la liturgia cattolica, allo scopo di impiegare un linguaggio diverso da quello parlato tutti i giorni, che avesse la necessaria sacralità da rivolgere a Dio, e che si conformasse al carattere spiritualmente elevato della celebrazione. Adesso il latino non viene più utilizzato: da quando è sparito, è stato soppiantato per i giovani dall’altra «lingua sacra», l’inglese, che sembra ne abbia preso il posto in un’ottica «mistica» (6); il fascino dell’idioma sconosciuto, usato dai nuovi sacerdoti idolatrici, le rockstar americane, permette di entrare nello «spirito della musica» anche se si capisce poco o nulla di quello che viene detto; e pensare che il latino viene criticato proprio per la sua incomprensibilità!

E mentre lo Spirito nella Messa eleva l’animo, quello del rock, inevitabilmente, lo abbassa. E inoltre, il parlato straniero è probabilmente un modo furbo per trasmettere dei testi che altrimenti sarebbero ritenuti scandalosi da genitori e parenti.

rock.jpgPer mostrare l’atteggiamento «religioso» che questa corrente ha raggiunto, risultano sempre emblematici i Nirvana, e in particolare il loro leader, Kurt Cobain: biondo ribelle e «maledetto», ha rappresentato un’icona messianica per i giovani degli anni ‘90; il tipo si suicidò nel ‘94 per l’accumulo di problemi che si portava dietro, tra cui quelli con l’eroina. E’ giusto provare compassione e tristezza per una vita spezzata: ma vedendo le processioni di fan piangenti verso la sua abitazione, che venivano fatte dopo la notizia della sua morte, e leggendo sui forum gente che dice «quanto piansi quel giorno», «per me il mondo si fermò», e tonnellate di commenti simili, si capisce quanto il personaggio sia stato sacralizzato: al posto di Gesù Cristo, sempre vicino alle difficoltà degli uomini, un Kurt Cobain verso il quale provare empatia per il solo carisma sprigionato dalla sua musica, che va sentito come «uno di noi» pur essendo un tipo che sicuramente aveva già i suoi, di problemi, e che conoscendolo sarebbe stata una persona normalissima, magari persino antipatica, e certo non in grado di darci la pace interiore. Al posto di piangere per la morte redentrice di Cristo, dovuta ai nostri peccati, si versano lacrime in eccesso per quella del «bello e dannato» idolo dai capelli dorati, dovuta alla resa di fronte alla realtà. E alla disperazione finale.

Tale religione ha pure le sue preghiere, le sue litanie, i suoi sacramenti: ai tempi in cui ne fui partecipe, quasi ogni giorno c’era chi schitarrava, chi ascoltava la radiolina, chi rammentava questo o quel cantante. Dai rockers si prendeva esempio, dai loro comportamenti normalmente perversi e da episodi aberranti, veri o supposti (7). All’interno dei gruppi di cultori di questo stile di vita, il «battesimo» era il «sentirsi dentro», l’«essere accettati» nella compagine perché uniformati alla loro filosofia; la «confermazione» il sottoporsi a continue sfide idiote, per dimostrare di «essere qualcuno»; la «comunione» veniva sostituita dall’assunzione di droghe quotidiana o quasi (ho letto in un sito, in maniera molto azzeccata, che la droga è la «comunione del diavolo»). Che serviva a generare quel rimpiazzo dell’empatia, quella simpatia tra «strafatti» che faceva credere di essere un gruppo unito, «una famiglia». Fino a quando, nel mio caso (ma capita sempre così) l’entusiasmo e l’ebrezza hanno lasciato posto alla noia quotidiana, al solo «farsi» giorno per giorno, con il crollo della falsa amicizia che doveva renderci «fratelli».

Senza i grandi esempi di dissoluzione, i vari Ozzy Osbourne, Led Zeppelin, Guns’n’Roses e via di(sfa)cendo, sono sicuro che avremmo avuto molti meno stimoli a procedere per certe strade; il giovane ha bisogno dell’eroe, della figura mitica, esteticamente affascinante da ammirare ed imitare: chi più delle «libere e sfrontate» stelle del rock, può attirare la mente e lo spirito di un ragazzo verso strade alle quali altrimenti penserebbe più di una volta, prima di imboccarle?

Spero, alla fine di questo articolo, di aver esposto al meglio le ragioni che mi fanno diffidare dal mondo della musica moderna. Rimane però una legittima domanda, terminata l’analisi non si può comunque apprezzare la tecnica e l’abilità musicale degli artisti odierni? Bisogna per forza rinunciare ad ascoltare brani intriganti, che suscitano sentimenti intensi?

Per certi gruppi, la risposta è certamente sì: il cristianesimo, e più «laicamente» il percorso verso la verità, è fatto di rinunce e di discernimento, talvolta difficoltoso. Si può apprezzare qualche voce, qualche tecnica, alcune composizioni; del resto, se non fossero seducenti, non avrebbero compiuto la strage ormai nota. Ma non si può continuare ad usufruire beatamente di tutto, estrapolando caratteristiche, che a sé stanti sarebbero belle, dal contesto e dal messaggio globale trasmesso. Già solo il fatto che la gente vicino a noi sappia che ci piacciono certi generi, in un certo senso li rende maggiormente approvabili, specie se siamo credenti e «praticanti»: siamo responsabili di indicare agli altri quando una fonte è limpida o avvelenata.

C’è da chiedersi, in fin dei conti: cos’è in realtà quello che tanto ci piace? Vale veramente la pena mantenerlo tra i nostri gusti, per noi e per il prossimo? Se almeno un lettore si ponesse questa domanda, sarei già soddisfatto.

Un lettore



1) In realtà, il post era dedicato al rapporto tra musica ed esoterismo, riferendosi ad artisti come Paganini; poi la discussione si infiammò sul rock; segno, a mio avviso, che il problema sia tutt’altro che banale e di poco conto).
2) So che esiste materiale anche più forte rispetto al mio di allora, ma non dobbiamo dimenticarci degli effetti di questo, guardando a quello.
3) Ascoltavo già qualcosa prima, ma sempre di tipo leggero/commerciale e con più superficialità, senza nulla togliere comunque ai danni che fanno le varie popstar tanto trasmesse da MTV.
4) A tal proposito, di interessantissima lettura è la trilogia di Blondet «Il dio di Massimo Cacciari», e articoli seguenti.
5) Si leggano le testimonianze di famosi esorcisti come padre Gabriele Amorth: la maggior parte di chi ha problemi come vessazioni diaboliche, o vere e proprie possessioni, proviene dalle sedute spiritiche.
6) Qui ognuno è libero di avere qualsiasi convinzione sulla questione liturgica, sulla quale in questa sede non esprimo alcun giudizio. Fatto sta che il paragone latino/inglese mi pare azzeccato.
7) L’elenco è lungo: si vedano i giochini con lo squalo dei Led Zeppelin, o anche Ozzy Osbourne che stacca a morsi la testa del pipistrello. Ma più in generale, il continuo vivere depravato e l’incitamento a farlo di questi individui, fa di loro l’esempio che rovina.


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