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Il TurkStream, dopotutto, forse si farà...
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Comunque ve la raccontino i media in seguito, non c’è dubbio: l’incontro con Putin di Merkel ed Hollande a Mosca è stato una brutta sorpresa per i forsennati di Washington, assetati di guerra. Per capirlo, bastava constatare il mutismo dei media anglo-americani. Non una parola sul New York Times e il Washington Post, non parliamo degli inglesi. Bastava leggere il Kiyv Post, l’organo della giunta di Kiev: «La missione Merkel Hollande a Mosca è sbagliata», «Kerry ci consegna aria calda di parole mentre Putin consegna carri, missili e truppe». Il segretario di Stato ha portato «la simpatia del popolo americano», ma non l’armamento. Tutto un trasudare di rabbiosa delusione.

Nelle prossime ore vi diranno che la mossa Merkel-Hollande è stata appoggiata dagli americani, già il duo europeo ha fatto sapere di essersi coordinato con Kerry. Già, come no: un colloquio tanto rigorosamente a tre, da non aver avuto nemmeno la presenza delle rispettive delegazioni, interpreti, diplomatici, il tipo di persone che poi «spifferano» ai giornalisti, e i giornalisti americani sono stati tenuti all’oscuro.

In qualunque modo ve la medicheranno, è stata la prima volta che s’è rivelata una spaccatura politica e profonda all’interno della NATO fra il padrone e i vassalli: la paura di avere una Libia spaccata, piena di milizie neonazi e super-armate di missili anticarro USA ai confini della Germania, o peggio una guerra occidentale contro la Russia, ha dato alla Merkel il coraggio che non aveva. Hollande ha seguito (forse senza capire, quei due si sono parlati in tedesco). Per la prima volta, s’è mostrato che gli interessi europei divergono da quelli americani in modo fondamentale. E Kerry ha dovuto dire che era d’accordo a soprassedere, per non rendere più evidente la divaricazione dell’alleanza.

Cinque ore di colloquio, senza orecchie indiscrete, che – per giunta – ha preso come base l’accordo di tregua di Minsk, concepito da Putin a settembre e continuamente violato dalla giunta disperata ed avventurista di Kiev, nella speranza di trascinare nella sua guerra civile la Russia e dunque – al suo fianco – la superpotenza USA: questo piano concepito a tre è poi stato presentato a Poroshenko perché lo accetti. Se questo non è uno scacco diplomatico americano, non so cosa lo sia.

Certo, la nuova tregua è fragile, i forsennati attueranno qualunque trucco e false flag per mandarla all’aria. Ma intanto riconosce i 1500 chilometri quadrati che i ribelli del Donbass si sono conquistati in più nel contrattacco all’avventuristica spallata di Kiev, propone un’interposizione di Caschi Blu... e in ogni caso ha guadagnato tempo. E il tempo non è a favore della giunta di Kiev: in piena bancarotta, e divorata dalla corruzione, minacciata dalle stesse milizie neonazi che ha alimentato, potrebbe essere costretta alla fuga coi suoi oligarchi e il suo bottino, prima del previsto.

Accordo fatto tra Gazprom e Turchia



Il progetto di costruire un secondo gasdotto – oltre a quello già esistente che passa sotto il Mar Nero e affiora sulle coste turche – va avanti, anzi viene precisato, nonostante i bassi prezzi del petrolio. Gazprom e la Botas Petroleum Pipeline Corporation hanno firmato l’accordo relativo. Nel comunicato finale, si dice addirittura che la prima fornitura (15,7 miliardi di metri cubi, interamente destinatial mercato turco) sarà pompata in questo nuovo gasdotto nel dicembre 2016. «Data l’esistenza in funzione della stazione di compressione Russkaya (che serviva per il cancellato SouthStream, ndr) e della maggior parte della rotta offshore della tubatura, si tratta di un termine realistico». Ci sono ancora da determinare di comune accordo «il punto di emersione dal mare, il punto da cui il gas sarà fornito ai consumatori in Turchia, e il punto dove il gas traverserà il confine turco-greco»: dunque è chiara l’intenzione di Gazprom di far arrivare, attraverso la Grecia, il gas ai clienti del Sud Europa : l’Italia che è il più vorace consumatore e la più danneggiata dalla cancellazione del SouthStream, ma ovviamente Serbia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Grecia... Dove la delusione europeista sta formando una nuova zona d’influenza moscovita.

Il prezzo attuale del greggio non rende conveniente questa seconda linea, ma ben si sa che il Cremlino ha una visione ampia, in senso temporale e politico. Quasi certamente il petrolio rincarerà fra un anno o poco più, fornendo di nuovo a Mosca i mezzi per la sua politica estera. Soprattutto, come commenta il sito del Minsitro Lavrov, «entro il 2019 la Russia sarà in grado di consegnare le forniture di gas all’Europa non passando per l’Ucraina». Il potere di ricatto di Kiev consistente nel chiudere i rubinetti o rubare il gas russo, chiunque sia al potere allora, sarà neutralizzato; e la «carta ucraina» in mano agli americani, polacchi, baltici e neocon vari, per minacciare ed aggredire Mosca, diventa una scartina.

Il vecchio gasdotto e il cancellato SouthStream. Il nuovo ne ricalcherà in parte il tracciato



Non stupirà apprendere che l’accordo in via di perfezionamento fra Mosca ed Ankara per il secondo gasdotto è stato furiosamente criticato dalle «capitali occidentali». Washington ha urlato che il gasdotto ha«solo uno scopo politico» (eh già). Il commissario europoide Maros Sefcovic ha lamentato: «La decisione russa di fornire l’intero ammontare del gas attraverso la Turchia invece che attraverso l’Ucraina è un colpo all’immagine di Gazprom come fornitore affidabile».

Si vede che Sefcovic non ha trovato una scusa migliore. Una simile dichiarazione, comica o da ospedale psichiatrico, merita la definizione che Yanos Varoufakis, il ministro greco, ha dato dell’Unione Europea:



«Un personale politico inetto, in stato di denegazione della natura sistemica della crisi, persegue politiche che si configurano come bombardamenti a tappeto dell’economia di fiere nazioni europee, allo scopo di salvarle».

Maurizio Blondet



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