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Vladimir e il suo Kairos
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«Putin, l’uomo che li fa ammattire tutti»: ben trovato il titolo su Marianne, periodico francese, del commento di un suo direttore, Jacq Dion. Si diverte a prendere in giro L’Express (il radicalchic «progressista» su cui è copiato il nostro Espresso), caduto nella sfortuna di una copertina su Putin, con il titolo: «I calcoli di Mister Niet», a ripetere il solito cliché di propaganda: Putin dice No e paralizza il Consiglio di Sicurezza dell’Onu...purtroppo, poche ore dopo che Putin si rivelava «Mister Da»: Damasco, su consiglio di Mosca, accetta di consegnare le sue armi chimiche sotto controllo internazionale.

Che colpo geniale, su tutti i fronti. L’armamento chimico di Assad, legittimo deterrente contro l’arsenale atomico sionista, urtava ed urta la nevrosi d’angoscia israeliana, ne disturba psichiatricamente il senso d’onnipotenza (la sua «sicurezza esistenziale» esige nemici disarmati totali): ben capendo chi comanda dietro Obama, Hollande e Cameron, Vladimir ha lanciato alla jena israeliana l’offerta che questa non poteva non azzannare. Che vuoi di più? La classica «offerta che non può essere rifiutata», e ringhiosamente la lobby deve, per il momento, abboccare.

Obama ci ha messo 72 ore a capire che, a lui, Vladimir lanciava una ciambella di salvataggio: il povero presidente aveva già rimandato il voto del Congresso prima dell’offerta di Putin, sapendo che sarebbe stato una sconfitta, anche se ora vuol far credere di averlo fatto «dopo» (a questo s’è ridotto). Quanto a John Kerry non l’ha capito nemmeno ora, diventando così la prima vittima della guerra alla Siria – Obama l’ha lasciato a Londra a piatire l’appoggio europeo sostenendo, pateticamente, che l’attacco sarebbe stato «incredibilmente limitato». Sic. Il potente partito bellicista nell’Amministrazione comincia a calcolare i danni dietro l’offerta che non si può rifiutare: comunicati come «Ma noi non cediamo sul principio che Assad deve essere rimosso dal potere», emanano dal Dipartimento di Stato. Eh sì, perché la consegna delle armi chimiche comporta, come effetto collaterale, la legittimazione del governo di Damasco. «Sarà difficilissima, impossibile, è un trucco», ringhiano i media più vicini alla lobby o da essa posseduta, come il Wall Street Journal. Già, ma intanto mica si può dire no.

In Francia, è un disastro storico, una Waterloo, una Maginot aggirata. Il partito socialista comincia appena adesso a misurare la disfatta cui l’ha portato Hollande: sinistra guerrafondaia, sinistra Bernard Henry Lévy, sinistra Grand Orient o B’nai B’rith. Una disfatta morale prima ancora che politica. Che Hollande ha subito provveduto a rendere ancor più grave ed evidente emettendo il diktat: «Assad consegni le armi entro 15 giorni», nella speranza di mantenere uno spiraglio per l’aggressione imponendo condizioni estreme, provocatorie e insultanti alla controparte già disposta a negoziare... una bassezza morale ridicola quanto ripugnante. Sulla stessa linea, Le Monde, il pensoso giornale massonico, pensosamente ha titolato: «La nuova tendenza diplomatica suscita inquietudini..». Ah sì, replica Dion, perché la vecchia linea, quella dei bombardamenti e l’avventurismo bellicista, suscitava speranze?

La bassa qualità, il livello di scarto umano delle personalità politiche che la «democrazia» seleziona e che ci fa mettere al comando nel mondo occidentale, si vede qui in modo esemplare. Costoro non hanno nemmeno la minima idea di quel che i greci chiamavano «Kairos» e consideravano la qualità suprema connaturata nei generali e la più necessaria allo statista: la capacità di cogliere il «momento opportuno», misto indefinibile di audacia, genio, di virilità e «fortuna». Quella fortuna che aiuta gli audaci, per secoli è stata compresa come l’arte essenziale del governo: fortunato si disse Silla, Augusto coniò monete con lo slogan di «Fortuna Augusta», qualità semidivina a garanzia che i sudditi potevano star tranquilli, perché erano sotto uno baciato dalla Fortuna Deorum, dal favore divino; a chi gli chiedeva come voleva i suoi generali, Napoleone rispose: «Fortunati».

Questi, sono il contrario: hanno perso il kairos, e cercano di recuperarlo comicamente, non sapendo che il momento «non torna più». Hollande cerca di far rientrare lo spirito del Kairos nella bottiglia da cui se l’è lasciato sfuggire, Kerry balbetta ancora che la sua pretesa – la Siria consegni le armi chimiche entro una settimana – «non andava intesa come una proposta»... miserabili pagliacci (tali sono da noi Bersani e Berlusconi, ma non cambiamo discorso).

E Putin invece? Ecco, il New York Times deve pubblicare una colonna a sua firma, dove Vladimir, in partibus infedelium, impartisce una maestosa lezione di politica e di umanità agli americani. La traduzione integrale è stata da noi da poco pubblicata. Basta qui citare i passi cruciali.

«Non stiamo proteggendo il governo siriano, bensì il diritto internazionale». L’America, con la «forza bruta», viola il diritto internazionale se va alla guerra senza il mandato Onu. E qual è la conseguenza? «Che il mondo reagisce così: se non puoi contare sul diritto internazionale, allora devi trovare altri mezzi per mantenere la tua sicurezza. Sempre più Paesi cercano di procurarsi armi di massa. È logico: se hai la Bomba, nessuno ti tocca».

Lezione di civiltà. Non vi manca nemmeno un delicato accenno alla minaccia che la proliferazione incontrollata farebbe pesare su «Israele».

Il secondo passo è una critica a quello che Obama stesso, nel suo discorso di guerra, aveva definito «eccezionalismo americano». È «estremamente pericoloso», dice Putin, «incoraggiare i popoli a vedersi come eccezionali». E conclude: «Siamo tutti diversi, ma quando chiediamo la benedizione del Signore, non dobbiamo dimenticare che Dio ci ha creato eguali».

Machiavelli si sarebbe sentito strappare un applauso. Per non parlare di Talleyrand.

Naturalmente, V. sa anche che il «momento» passa veloce, che la controparte si riavrà dal suo inebetimento, che il mostro non ha dismesso il piano generale e che sta cercando a tentoni il pretesto per il prossimo bombardamento. Francois Hollande s’è tradito di patriottismo, esclamando: «Se Obama non attacca, come si può credere che aiuterà Israele in caso di aggressione da parte di un Iran che abbia superato la linea rossa?». La Cia ha appena fatto sapere che sta mandando altri armamenti ai «ribelli»: non è una novità, lo fa da tre anni, la novità è che lo fa sapere.

Perciò rapidissimo Lavrov ha impegnato l’ancora intontito Kerry nelle trattative bilaterali Usa-Russia (cioè lasciando fuori della porta Londra e Parigi) per arrivare al controllo delle armi chimiche siriane: non sono proprio i vostri esperti a sottolineare che «il programma russo sembra attraente, ma i problemi operativi renderanno praticamente impossibile mettere le armi sotto controllo internazionale, ancor meno distruggerle»? È vero. Proprio per questo bisogna cominciare subito, senza indugio. La Siria ha già annunciato la sua volontà di aderire al Trattato di non-proliferazione delle armi chimiche: altro colpo da maestro, è il regime ad entrare nella legalità adesso, e va protetto dalla illegalità delle ingerenze straniere armate che hanno attizzato la guerra civile. C’è persino qualche gruppo di avvocati che vuol accusare per finanziamento dei terroristi Bandar Bin Sultan, il capo dei servizi sauditi: ha detto lui stesso, e proprio a Putin, che controlla i mercenari ceceni in Siria.

Magari finirà che per andare a prendere l’arsenale e metterlo sotto controllo, l’Onu dovrà mandare Caschi Blu; sarà necessario stabilire un cessate-il-fuoco tra Damasco e ribelli vari, occorrerà una protezione armata degli esperti... contro i ribelli perfino. Infatti i ribelli, attraverso un loro portavoce, han fatto sapere di essere contrarissimi, di non credere alla sincerità del regime, eccetera (La Cia, imperturbabile, ha anche un piano per colpire i ribelli con droni; Washington ha posto Al-Nusra, che là combatte con le sue armi, nella lista delle organizzazioni terroriste. Basta che la Casa Bianca dia l’ordine, e gli alleati diventano bersagli: hanno fatto lo stesso con Bin Laden e la sua Al Qaeda)

• CIA begins sizing up Islamic extremists in Syria for drone strikes
• U.S. Places Militant Syrian Rebel Group on List of Terrorist Organizations

Ci sono addirittura alcuni ribelli che, memori della fine fatta da Al Qaeda, temono che alla fine i missili possano essere lanciati contro di loro...

• Al-Qaeda’s Proxies Among Syria’s Rebels Scared by Threat of U.S. Strikes

Nel frattempo Putin incontra venerdì il premier iraniano Hassan Rouhani a margine della riunione della Shanghai Cooperation Organisation a Biskek in Kyrgyzstan. Secondo la rivista Kommersant, Putin offrirà a Teheran il sistema missilistico S-300. Strano, questi S-300 che Teheran ha comprato ben nel 2007 e che mai Mosca ha consegnato, tanto che si è andati persino per vie legali; a fine agosto la Almaz-Antey, la fabbrica costruttrice, aveva addirittura annunciato che gli S-300 destinati all’Iran erano stati smantellati.

Israele era riuscita a far annullare il contratto quando era presidente al Cremlino, Medvedev; poteva star tranquilla. E adesso rieccoli in ballo i temutissimi sistemi anti-aerei. Forse non è vero che Mosca adempirà alla consegna, ma fa sapere che lo farà ed è questo che conta. Dmitri Peskov, il portavoce di Putin, ha detto che il suo capo intende parlare con Rouhani anche di «lavorare insieme nel campo dell’energia nucleare» e di «questioni di cooperazione tecnica militare».

Questo per ogni evenienza. Anche se – come accade e i nostri politici occidentali non lo sanno più – una guerra annunciata e poi rientrata, colpisce chi la voleva sferrare. I contraccolpi nelle capitali occidentali non sono ancora terminati. Nei prossimi mesi, assisteremo allo sgretolamento di Hollande e della sua fazione. Londra è per sempre sminuita nella sua dimensione di alleato privilegiato. In Usa, il partito Democratico è fratturato (fra pro e contro la guerra), confuso, frastornato e rabbioso contro il presidente; la spaccatura tra fazioni s’è manifestata – ed è quasi un sacrilegio – durante la commemorazione dell’11 Settembre, il rituale di unità nazionale è fallito, i repubblicani hanno accusato Obama di non aver detto la verità sull’attacco all’ambasciata di Bengasi, l’altro 11 Settembre... Le forze armate Usa hanno manifestato il loro dissenso alla nuova avventura; il ministro Chuck Hagel (Pentagono) e il generale Dempsey (Stati Maggiori uniti) non hanno nascosto il loro disprezzo per la classe politica cui devono lealtà, e la loro ostilità a quest’altra sortita bellica. Soprattutto, «il sollievo della opinione pubblica, il contrario dello sbandieramento patriottico emotivo consueto, fa pensare che il Paese sia entrato in una nuova era, post-guerra fredda e post-Undici Settembre, riluttante se non apertamente ostile ad interventi armati in terre remote», leggo in un commento del McClatchy Washington Bureau, un sito addentro alla politica del Campidoglio.

Secondo Dedefensa, non è nemmeno improbabile che l’America entri in quella fase storica sinistra che la Russia conobbe tra il ‘500 e il ‘600: il «Tempo dei Torbidi», la Smutnoye Vremya. Questo è il rischio quando una classe politica è cieca al Kairos, e lo sfida troppo (imparino anche Berlusconi, Bersani e compari. Ma il discorso ci porterebbe lontano).



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