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La Russia per forza nella NATO
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Naturalmente, spiegò il Lord, «La NATO non sarà più un’alleanza militare, ma  piuttosto si trasformerà in un raggruppamento politico, in una organizzazione di sicurezza di tipo nuovo. E la Russia sarà allora inevitabilmente coinvolta in questo processo comune a tutta l’Europa». (Otan: la Russie de plus en plus proche de l'adhésion)

Nessun giornale europeo ha rilevato la strana notizia. Che agli ignari può sembrare un progetto campato in aria. Ma attenzione: Lord Robertson, oltre che ministro della Difesa, è stato segretario generale della NATO. E oggi è un potente insider dietro le quinte del potere: attualmente presiede l’IPPR, Institute for Public Policy Research, che è una delle «fondazioni» più influenti nel definire la politica internazionale di Londra, nel senso della «Missione Anglo-sassone» definita da Cecil Rhodes e Lord Milner oltre un secolo fa.

Nel luglio 2009, nella veste di capo dello IPPR, Lord Robertson ha firmato un importante rapporto sul futuro della politica di sicurezza nazionale del Regno Unito. Nella sua intervista al Kommersant (pubblicazione gemella dell’Economist), l’accenno ad un progetto che dura da almeno dieci anni, e l’insistenza su aggettivi come «ineluttabile» e «inevitabile» adesione di Mosca al progetto anglo-sassone, di per sè indica un’attività segreta verso un nuovo, inedito ordine mondiale, attuata da circoli che possono quel che vogliono.



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Lord Robertson, ex segretario generale della NATO




E infatti il progetto – sempre nel silenzio dei liberi media occidentali – sta procedendo velocemente. E molto concretamente.

William Boykin
   Madeleine Albright
Il 9 febbraio scorso, il «gruppo dei saggi della NATO», guidato da Madeleine Albright – il segretario di Stato sotto Clinton – è sbarcato a Mosca per far avanzare il nuovo progetto. Il «gruppo dei saggi della NATO» (un comitato di 12 membri di cui pochi, credo, conoscono l’esistenza) elabora nientemento che le direttive strategiche dell’Alleanza, quindi ne è lo sconosciuto cervello politico: più precisamente, è la filiale del Bilderberg Group dentro l’Alleanza. Chi ne fa parte?

William Boykin
   Jeroen van del Veer
Oltre alla Albright, il solo che viene citato è l’olandese Jeroen van del Veer, che è stato l’amministratore delegato della Shell, l’anglo-olandese compagnia petrolifera (Royal Dutch Shell Oil Company) che è da sempre uno dei più potenti strumenti dell’impero britannico.

I «dodici saggi della NATO» sono stati accompagnati a Mosca da «diplomatici e scienziati di Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Turchia, Spagna, Polonia, Lettonia e Grecia».  Hanno avuto colloqui con il presidente Medvedev, il ministro degli Esteri Lavrov, elementi della Duma (il parlamento) e del Consiglio di Sicurezza della Federazione  Russa. Significativamente, non si fa menzione di colloquio alcuno con Vladimir Putin.

La visita è stata commentata con sarcasmo e malcelato allarme da Andrei Fediachin, giornalista della Novosti. Il titolo già è eloquente: «Far entrare a forza la Russia nella NATO?». Dice Fediachin: «Avviene di rado che la NATO si chieda come non offendere Mosca... adesso il gruppo dei 12 saggi NATO è arrivato per apprendere dalla Russia ciò che pensa dell’Alleanza oggi, come essa si rappresenta il domani, e quale Alleanza  non vuole alle sue frontiere (...). Basta che Mosca chieda ufficialmente la sua ammissione nell’Alleanza. Di colpo risolveremmo i problemi dell’adesione dell’Ucraina e della Georgia, delle basi russe a Sebastopoli (oggi in Ucraina, ndr), dei sistemi di difesa antimissile in Europa e delle ‘funzioni poliziesche del blocco nella lotta contro il terrorismo e la pirateria. Tutto sarà allora messo in comune».

E’ da notare: l’articolo di Fediachin viene pubblicato dalla Novosti con l’avvertenza che «il testo implica la responsabilità del solo autore». L’atteggiamento critico di Fediachin non è la posizione ufficiale dell’agenzia ufficiosa.

William Boykin
   Jorma Ollila
E un giorno prima della visita dei «12 saggi della NATO», il presidente Medvedev ha ricevuto i «12 saggi dell’Unione Europea»: un comitato parimenti sconosciuto ai cittadini europei, capeggiato a quanto risulta da Felipe Gonzalez, l’ex premier socialista spagnolo, affiancato e assistito da Jorma Ollila, che è l’amministratore delegato di Nokia. I due comitati si somigliano molto in questo: il politico capo è assistito (controllato) da un esponente del business multinazionale. Indizio tipico che l’azione è guidata dal Bilderberg. Ossia da Washington. (Le chef des "sages" de l'UE à Moscou: la sécurité européenne au menu)

Con Gonzalez, il presidente Medvedev ha spiegato quel che si attende dalla UE: assistenza nello sviluppo tecnologico, «scambio reciproco di tecnologie, l’armonizzazione delle norme tecniche in vigore in Russia e nella UE, l’adesione della Russia all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e soppressione dei visti nei viaggi reciproci».

Tutte ottime idee. Ma tutto sta a chi le guida: gli europei o gli anglo-americani?

Può aiutare meglio a capire, il fatto che è stato messo all’opera il nostro presidente Giorgio Napolitano, il  solo «comunista» con visto permanente per gli USA nei decenni della guerra fredda. Il 16 luglio, anche il nostro presidente è stato mandato a Mosca a parlare con Medvedev. A sondare il russo sulla convocazione di «un vertice pan-europeo che lanciasse l’elaborazione di un trattato giuridicamente cogente sulla sicurezza europea».

Insomma sul progetto di Lord Robertson di trasformare la NATO in una «organizzazione di sicurezza di tipo nuovo» con dentro la Russia, e con lo scopo di lottare «contro il terrorismo internazionale, il riscaldamento globale e il terrorismo internet». (Medvedev propose de nouveau la tenue d'un sommet paneuropéen)

E’ il progetto che l’ultimo Gorbaciov, quando ancora sperava di salvare il regime sovietico, chiamò «la casa comune europea», la nuova unione «dall’Atlantico agli Urali», preludio al «nuovo ordine mondiale» e al «governo planetario»: si notò allora che Gorbaciov adottava di punto in bianco (un po’ come Fini da noi) espressioni e gerghi di sapore massonico, elaborati dalla Commissione Trilaterale. E difatti cominciò a parlare quella lingua dopo aver ricevuto, nel gennaio 1989, la visita di tre importanti elementi della Trilateral: Henry Kissinger, l’ex premier nipponico Yashuiro Nakasone, e l’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing.

All’uscita dal colloquio, Giscard proclamò: l’Europa diventerà un organismo statale unitario, uno Stato federale comprendente gli Stati ex satelliti del’URSS, e l’URSS stessa. Come Lord Robertson, il francese della Trilaterale non emetteva un auspicio, ma una certezza: non disse «forse diventerà», ma disse che l’Europa avrebbe inglobato la Russia (allora sovietica) ineluttabilmente.

Era tutto già deciso. Pur di salvare il regime a Mosca, in forma attenuata, la Trilaterale aveva proposto a Gorbaciov la «finlandizzazione dell’Europa» (la frase è di Vladimir Bukovski) con  Mosca a farne il guardiano, in vista del nuovo ordine mondiale.

Erano gli anni in cui capitalisti dai grandi nomi (Ed Bronfman capo del colosso chimico DuPont e del Congresso Ebraico Mondiale, Lord James Goldsmith, miliardario speculatore imparentato ai Rotschild, Georges Soros, Bush padre) e i capi delle multinazionali USA si adoperavano per «aiutare Gorbaciov», ossia per scongiurare il crollo del sistema sovietico.

Il senatore di destra Jesse Helms denunciò allora (era il 1989) il progetto con queste parole: «Le attività delle forze finanziarie internazionali stanno attuando un programma di unità mondiale, con la convergenza dei sistemi sovietico e americano come suo elemento centrale».

E’ questo il progetto che viene ripescato e realizzato a tappe forzate, dopo un decennio d’interruzione causato dal dominio dei neocon nella politica estera americana, che consideravano la Russia un nemico da isolare.

Più lungimiranti, i signori del Bilderberg e della Trilaterale hanno preso atto della forza degli eventi: l’integrazione economica dell’Europa con la Russia avviene, ancorchè confusamente, con iniziative bilaterali di governi europei. Gli accordi della Germania con Mosca (forniture energetiche contro rammodernamento tecnico delle infrastrutture russe) sono ormai troppo solidi per essere troncati. Il fatto che la Francia stia vendendo a Mosca quattro «Mistral» ( navi di intervento bellico-lampo, porta-elicotteri, porta-cingolati e porta-truppe, con cui la Russia avrebbe potuto vincere in Georgia in poche ore anzichè in giorni) dimostra che, presto o tardi, questo genere di collaborazione  sgretolerà la NATO, alleanza che non ha più ragione di esistere dopo la scomparsa dell’URSS.

Per gli «atlantici» trilateralisti, è divenuto imperativo prendere il controllo di un processo che non riescono ad impedire. L’entrata della Russia nella NATO garantisce che l’integrazione della Russia in Europa avverrà sotto il controllo della «Anglo-Saxon Mission» e dei loro strumenti (delle multinazionali USA e britanniche), visto che la NATO è radicalmente un’organizzazione americano-britannica e dei poteri forti economici. Si tratta di neutralizzare una confusa iniziativa europea, sottrarre il processo di avvicinamento alla Russia ai governi europei, e nello stesso tempo di neutralizzare la Russia come antagonista potenziale, o ostacolo di fatto, all’estensione del dominio anglo-americano nell’area ex sovietica. Ed evidentemente, il progetto ha molti potenti fautori nei «modernizzanti» filo-occidentali a Mosca, che probabilmente aspirano a marginalizzare Putin e i suoi siloviki, ex agenti del KGB che hanno puntato sulla rinascita della Russia nazionale, con un proprio destino diverso e distinto dal nuovo ordine mondiale.

La sorda lotta di potere in corso a Mosca è visibile nel ritardo della consegna all’Iran dei missili difensivi S-300: una fonte annuncia che non saranno consegnati, e il giorno dopo un’altra fonte assicura che la consegna avverrà secondo contratto.

Se Mosca chiedesse l’inaudita ammissione alla NATO, infatti, sparirebbe l’ostacolo che rallenta (per la resistenza degli europei, poco propensi a rovinarsi i rapporti col Cremlino) l’entrata immediata dell’Alleanza di Ucraina e Georgia. La necessità di standardizzare gli armamenti secondo i moduli NATO aprirà ovviamente un business colossale per il complesso militare industriale «atlantico», i cui capi si riuniscono nel Bilderberg, e marginalizzerà il rivale complesso sovietico, almeno come concorrente internazionale. La Russia sarebbe integrata nel fronte anti-iraniano, a cui oggi fornisce qualche armamento. All’Iran non resterebbe che fornirsi in Cina.

Ma il business non è tutto. Il piano strategico è più lungimirante.

Per esempio: i missili antimissile che gli USA hanno voluto installare in Polonia e in Romania,  proclamando che proteggono l’Europa dall’Iran, e che ovviamente Mosca invece considera iniziative ostili a ridosso dei suoi confini, non sarebbero smantellati. Inserita la Russia nella «organizzazione  di sicurezza di nuovo tipo», sarebbero spostati nel territorio del nuovo «alleato», ossia nell’estremo est siberiano. Stavolta, a ridosso e a minaccia immanente contro la Cina, il vero avversario ultimo.

Si fa dunque più vicino lo scenario di terza guerra mondiale che un insider ha evocato (come abbiamo riportato in un precedente articolo) come programma della «Anglo-Saxon Mission».



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