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Decapitazioni. Una co-produzione Rita Katz
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Nel video della più recente decapitazione, appare a sinistra il logo dell’Islamic State, la nera spaventosa bandiera sventolante del Califfo. Ma a destra, ecco il logo di una ditta che i nostri lettori di memoria lunga ben conoscono: SITE.

Guarda chi si rivede. SITE è l’acronimo di Search for International Terrorist Entities, l’avviata ditta della signora Rita Katz. Quella che per anni ha fornito ai media – dietro lauto compenso – le rivendicazioni autentiche di attentati da parte di Al Qaeda, autenticissimi messaggi registrati di Osama Bin Laden, prediche di Al Zawahiri con marchio d’origine controllata. Come facesse a scoprire questi messaggi prima e meglio della CIA e dell’FBI, la Katz non lo ha mai chiarito. Nella voce di Wikipedia che la riguarda e che s’è scritta da sé, asserisce di «passare ore a monitorare chat room jihadiste protette da password, in cui terroristi islamici discutono di politica, si scambiano suggerimenti, annunciano i loro piani e le loro imprese». Come le chat room dove gli appassionati di cucina si scambiano ricette; solo che quelle dei jihadisti chattanti sono protette da password. Impenetrabili, per la CIA. Invece Rita Katz le penetra, e ascolta e intercetta – anzi talvolta interviene fingendosi una jihadista, perché parla arabo, dice. E per questo viene pagata profumatamente per i video e gli audio che trova.

Rita Katz
  Rita Katz
Ne racconta di belle, Rita Katz: dice di essere nata in Iraq e che suo padre è stato impiccato da Saddam Hussein per spionaggio a favore di Israele, nel 1968. Papà – racconta – fu impiccato nella piazza centrale di Baghdad, davanti a mezzo milione di persone plaudenti: Saddam aveva pagato il viaggio dalle provincie agli iracheni perché presenziassero allo spettacolo, e aveva perfino ingaggiato danzatrici del ventre che si esibirono sotto il patibolo. Insomma, già da questo si capisce quali sono le virtù di Rita: una geniale disposizione alla «narrativa» ebraica con la relativa amplificazione fantastica del vittimismo — come le innumerevoli vittime dell’Olocausto (sopravvissute e narranti con sempre nuovi orribili particolari), e come Elie Wiesel gli possono a buon diritto invidiare.

Come Elie Wiesel, oltre ad una esplosiva immaginazione Rita ha un solido senso degli affari e un vero genio dell’auto-promozione. Ha raccontato in un libro di successo, da lei definito «una semi-autobiografia» (Terrorist Hunter: The Extraordinary Story of a Woman Who Went Undercover to Infiltrate the Radical Islamic Groups Operating in America) come lei, «cacciatrice di terroristi», si sia infiltrata in gruppi di musulmani americani «mascherata da donna islamica, coperta dal burka e con apparecchi di registrazione», e partecipando a «raccolte di fondi e conferenze islamiche, frequentando moschee e prendendo parse a raduni a favore dei palestinesi» onde scoprire e smascherare i «terroristi» – preferibilmente di Al Qaeda – che si intruppavano in quei gruppi e in quelle moschee. Alcuni li ha denunciati e fatti condannare dai giudici americani, ben contenti di avere una tale ausiliaria. In molti casi ha deposto come teste d’accusa di musulmani accusati di terrorismo, confermandone i legami; anche se poi, a cose fatte, quasi tutti risultavano innocenti e hanno cercato di querelarla per diffamazione, per lo più senza cavare un ragno dal buco dato che la Katz è una testimone stimatissima dal FBI. Tanto stimata che, come ammise lei stessa, ricevette 130 mila dollari dai federali per testimoniare contro un tale Sami al-Hussayn, che stava seguendo un corso di post-laurea nell’Idaho nel 2004, (la sua colpa, alla fine, risultò di aver aiutato ad allestire il sito web della Islamic Assembly of North America, un’organizzazione per niente clandestina).

Il successo del suo libro semi-autobiografico (ossia semi-inventato), peraltro, non è venuto da sé. Rita ha brigato per farsi intervistare sulla sua «semi-autobiografia» di cacciatrice di terroristi islamici, dalla nota trasmissione televisiva della CBS «60 Minutes» – dove apparve nel 2003, perché i terroristi non la riconoscessero, «con una parrucca ed un naso finto». Superando con ciò in modo definitivo la comicità dello Zelig di Woody Allen .



Rita Katz è diventata giustamente famosa anche per aver scoperto nel 2007 (nei siti jihadisti con password) un video di Osama di Bin Laden di cui ciascuno può constatare ad occhio nudo l’autenticità, semplicemente confrontandolo con il Bin Laden “vero” come appariva nel 2004.

Con la morte di Bin Laden (quello che le forze armate USA hanno ammazzato mentre guardava la tv in Pakistan per poi sùbito affondarne il cadavere nell’Oceano Indiano, secondo il tradizionale rito islamico praticato dai beduini nel Sahara), sembrava che la stessa fama di Rita Katz e del suo SITE si fosse appannata.

Invece no! Ella è tornata tra noi! E da trionfatrice!

Ecco che il Califfato intende mandare un messaggio all’America, decapitando Steve Sotloff come ha già decapitato in diretta il povero Foley. È evidente la volontà del Califfato di dare all’orribile esecuzione tutta la pubblicità possibile. Non è difficile: basta postare il video del tagliagole con l’accento inglese su YouTube, e di sicuro diventa immediatamente virale. Milioni di persone lo vedrebbero, no?

Invece no. Troppo semplice. Il SITE di Rita Katz scopre il video (nelle solite chat room jihadiste protette da password) PRIMA che il Califfo lo dirami. Quindi può stampigliarci sopra il suo logo, e metterlo in vendita. Come fosse cosa sua, e non del Califfo. I media l’hanno pure pagato. Anzi, si apprende, per avere il genere di incredibili autentiche documentazioni che il SITE emana e produce e scopre, i media americani accettano di pagare 2700 dollari l’anno. Un abbonamento. Ma ne vale la pena, è tutta roba tosta.



Quindi adesso lo sappiamo: le tremende decapitazioni dell’IS sono una co-produzione Rita Katz. Ciò spiega molte cose: come mai il tagliagole in nero sia un disk jockey britannico; come mai il decapitato Steven Sotloff sia un americano con doppia cittadinanza israeliana (una produzione tutta in economia). Come mai il US National Security Council abbia dichiarato che il video è autentico.

E, infine, ciò spiega come mai, in un altro videoclip, l’IS minaccia Vladimir Putin con parole come «porteremo la jihad nei Caucaso». Che coincidenza: IS ed USA hanno lo stesso nemico. Una co-produzione Rita Katz, sempre sull’attualità.



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