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L’incredibile insuccesso di Obama. Un altro.
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La minaccia di Obama di fornire «armi letali» al regime di Kiev ha ottenuto un risultato quasi miracoloso: certi maggiorenti europei che sembravano muti hanno ritrovato la voce, e gli stanno dicendo «no». Non è forse il caso di sopravvalutare queste voci, e tuttavia vale la pena di elencarle.

Nicolas Sarkozy, l’ex presidente, francese, durante il consiglio dell’UMP, il rassemblement gollista: «La Crimea ha scelto la Russia, non glielo si può rimproverare... Se il Kossovo ha avuto il diritto di farsi indipendente dalla Serbia, non vedo come si possa dire che la Crimea non ha lo stesso diritto in base allo stesso ragionamento».

Ha aggiunto: «Bisogna trovare i mezzi per una forza d’interposizione per proteggere i russofoni d’Ucraina». Dunque ha ammesso che sono loro gli aggrediti, e in pericolo dalle feroci ritorsione delle milizie neonazi. L’Ucraina? «Non ha la vocazione di entrare nell’Unione Europea, deve mantenere la sua posizione di ponte fra Europa e Russia».

Ed ha rincarato: «La separazione tra Europa e Russia è un dramma. Che gli Americani se la augurino, è loro diritto e loro problema.. Ma (noi) abbiamo una civiltà in comune con la Russia. Gli interessi degli americani coi russi, non sono gli interessi d’Europa con la Russia».

D’accordo, Sarkozy è un «ex»: ma quel che ha detto è il rovesciamento speculare della politica di Hollande verso la Russia. Quando si è precipitato a Mosca insieme alla Merkel per sventare l’escalation americana e l’arrivo delle armi letali a Kiev, Hollande (come la Cancelliera) ha pur sempre accusato Putin di essere responsabile della situazione, a causa della «illegittima» annessione della Crimea. Sarkozy dice il contrario.

Jacques Attali (j) è il banchiere-consigliere di Mitterrand, ed è stato il primo capo della Banca dei Regolamenti Internazionali: «È necessario dire ai nostri partner europei – ha detto – di parlare con la Russia come con un alleato potenziale, non come un nemico immaginario. Dobbiamo anche ripensare la nostra pianificazione militare, specie le nostre strategie di difesa», il che sembra una stoccata alla deriva della NATO dominata dal bellicismo polacco-baltico.

Stupirà meno il fatto che Jean Luc Melenchon, eurodeputato del Front de Gauche, abbia denunciato «i recitanti dei media (che) hanno traboccato in irresponsabilità nella predica dell’odio anti-Russia, nascondendo i crimini di guerra del Governo d’estrema destra ucraino, e demonizzando in modo irresponsabile la Russia e Vladimir Putin». Ma è lecito stupirsi un poco che, mentre Angela Merkel volava a Washington per farsi perdonare (ed attenuare) lo strappo rispetto alla «unità» del fronte NATO sotto obbedienza americana e ha ripetuto la condanna per «l’annessione», della Crimea da parte di Mosca, il suo ministro degli Esteri a Berlino usava tutt’altro tono:

Franz-Walter Steinmeier, il ministro, alla tv ARD, ha dichiarato che se il regime di Kiev non aderisce alla tregua, il Governo tedesco «si riserva di agire in modo decisivo contro la dirigenza ucraina, compresa l’applicazione di sanzioni»: riconoscendo implicitamente ciò che l’Europa nega nella versione ufficiale, ossia che è stata Kiev a violare ripetutamente il cessate il fuoco accettato a Minsk nel settembre 2014, sperando (su istigazione di Washington) di strappare con la forza la disfatta dei ribelli, e finendo sempre più gravemente disfatta. Sanzioni all’Ucraina!? La cosa ha tanto infuriato Kiev che il ministro degli esteri del regime, tale Oleforiv, «ha convocato l’ambasciatore germanico e gli ha fatto una scenata isterica».

Martin Schulz, il presidente del Parlamento europeo, a noi ben noto. Ha preso parte , sempre alla tv ARD, ad un dibattito con l’ex ambasciatore americano in Germania Kornblum (j). Costui ha intimato: in Ucraina, «niente si aggiusterà senza la partecipazione degli Stati Uniti» (traduco: non osate tagliarci fuori dai vostri colloqui con Putin) . Allora il pur esitante Schulz ha replicato: «Voglio insistere sul fatto che gli Usa non sono i vicini della Russia, e che questa guerra non avviene alle porte degli Usa». Quanto alla dichiarazione di Obama sul fatto che la Russia ha perso il suo status di grande potenza, Schulz ha detto che «ciò è semplicemente sbagliato, e mi domando: a che scopo una simile provocazione?».

Kornblum ha poi esibito un altro passo della narrativa ufficiale neocon , asserendo che «i Russi stanno combattendo questa guerra». A questo punto gli ha risposto Harald Kujiat, Generale a riposo tedesco, già presidente della commissione militare NATO: «Se forze regolari dell’armata russa partecipassero a questo conflitto, sarebbe finito in 48 ore». Per poi aggiungere: «Se entriamo stupidamente in questa guerra, non riusciremo a vincerla; la perderemo e questo sarà catastrofico».

Ma quello che ha definitivamente meravigliato è stato, ospite della 7 (la rubrica di Lilli Gruber) con Caracciolo (di Limes) e il Generale Mini è stato Mario Monti. Anzi, a trasecolare è stato il giornale torinese (campione di politicamente corretto e filo-americanismo) La Stampa, che ha segnalato «un Mario Monti, molto meno moderato del solito... Affermazioni fuori dai denti, controcorrente rispetto al flusso mainstream,dell’informazione, tanto che la stessa padrona di casa lì per lì appariva spaesata». Povera Gruber, che non sapeva più quali sono gli ordini.

Monti ha detto che armare ancor più gli ucraini è una cattiva idea («Sarebbe un avvicinarsi a un punto di intollerabilità per la Russia») ed ha aggiunto: «Credo che non sempre gli Stati Uniti si rendano conto che l’Europa ha i suoi problemi e non può essere vista solo come strumento degli interessi globali degli Stati Uniti. Dobbiamo scegliere: potrebbe essere più costoso per l’Occidente rompere con la Russia che potrebbe invece essere un alleato nel contenere il terrorismo». Monti approva quando Caracciolo chiama in causa «la Nuova Europa, vale a dire Polonia, Svezia e paesi baltici, con la protezione britannica e naturalmente americana», che spingono per la guerra (Mini: «La posta in gioco è fra coloro che non vorrebbero la guerra e quelli che sotto sotto la fanno»). Da tecnocrate europeista, l’ex commissario UE Monti si allarma per la spaccatura intra-europea: «Dobbiamo stare molto molto molto (lo ripete tre volte, ndr, e salta una parola) perché in Europa si sta creando un clima di conflitto, di incomprensione e di sfiducia".

Per l’ex impiegato di Goldman Sachs, il fatto che riconosca che gli USA manipolano i Paesi europei e strumentalizzano la NATO «per difendere i loro interessi internazionali», e che gli interessi americani non coincidono con gli europei, è un passo quasi clamoroso. E siccome Mario Monti non possiede di suo né coraggio né idee proprie, vuol dire che queste valutazioni sono quelle «accettate» e hanno corso nell’eurocrazia di Bruxelles e dei poteri forti europoidi.

Molto istruttivo è vedere come tutti questi personaggi, di colpo, smentiscono la «narrativa» guerrafondaia vigente sui media, che loro stessi hanno alimentato, e la dichiarano falsa. No, non è il demonio Vladimir Putin, assetato di espansionismo imperiale, che aggredisce la giovane democrazia di Kiev; no, il regime di Kiev merita le sanzioni almeno quanto la Russia perché ha violato gli accordi di Minsk; l’Ucraina in Europa? Se lo può sognare. Gli Stati europei del Nord, istigati dagli USA, ci stanno trascinando in una guerra demente contro uno che potrebbe essere alleato...e no, gli interessi americani su questa crisi sono opposti agli interessi europei.

E pensare che solo tre giorni fa il presidente Hollande La Pera ha minacciato apertamente di guerra la Russia. Adesso, come ha buon gioco a ritorcere Melenchon, il piano che Merkel e La Pera sono andati a imporre prima a Mosca ed adesso a Minsk, «è il piano proposto dai russi fin dall’inizio del conflitto: una Ucraina federale!».

Obama sarà commissariato


Sia chiaro, il cambiamento di questi europoidi non allontana affatto il pericolo di escalation bellica totale: nonostante i (secondi) accordi di Minsk dovuti all’iniziativa Merkel e che sembrano andati a buon fine, gli americani non possono accettare un altro scacco alla loro volontà guerrafondaia, Obama non può astenersi dal proseguire il suo disegno di destabilizzazione senza perdere la faccia; e non può permettersi un’ennesima vittoria diplomatica di Putin. La Camera dei Rappresentanti ha già stanziato 1 miliardo di dollari per armare il regime di Poroshenko e Yatseniuk, ed ha autorizzato il Pentagono a fornire «le attrezzature di addestramento, armi letali di natura difensiva, supporto logistico e sostentamento alle forze militari e di sicurezza nazionale dell’Ucraina, fino al 30 settembre 2017», allo scopo di « proteggere il territorio sovrano dell’Ucraina contro gli aggressori stranieri e difendere gli ucraini dagli attacchi dei separatisti sostenuti dalla Russia». Si inventerà un casus belli, un false flag, qualunque provocazione, e Fuck Europe.

Ma l’esagerazione bellicista, le pressioni plateali, e le provocazioni dell’amministrazione Obama (più precisamente, della sua sottosegretaria di stato Barbra Nuland) hanno provocato una vistosa frattura fra gli «alleati» e europei e fatto apparire alla luce del sole un disaccordo strategico sotto la facciata unitaria dell’Alleanza Atlantica; è una grave scossa alle fondamenta stesse del Sistema occidentalista, che si aggiunge alle molte falle evidenti (1) che vengono rimproverate da altissimi ambienti – che potremmo chiamare «i savi anziani di Washington» – all’attuale inquilino della Casa Bianca, di cui vedono il miscuglio di autorismo arbitrario, inettitudine e viltà; è un vero disastro in politica estera, che non sa tenere a freno i più folli ed avventuristi suoi sottoposti , anzi li copre, e ha provocato l’enorme pasticcio dell’ISIS, insieme armato contro Assad e che si deve far finta adesso di bombardare...

Il risultato probabile sarà accelerare la decisione di mettere sotto commissariamento Barak Hussein Obama. Come ha messo in rilievo Thierry Meyssan, contro Obama s’è levata una voce decisiva, anche se ignota al pubblico: Leslie Gelb (J ovviamente), il presidente onorario del Council on Foreign Relations, lo storico think tank dei Rockefeller che detta gli alti destini della politica estera americana dai tempi della Grande Guerra.

Leslie Gelb
  Leslie Gelb
Questo Savio Anziano (77 anni) ha scritto nero su bianco che «il team di Obama non ha gli istinti di base e il giudizio necessario per guidare la politica nazionale» nei due anni che restano al primo (e ultimo) presidente nero della storia. Dunque, ha proseguito Gelb, «il presidente Obama deve sostituire la sua equipe con personalità forti e strateghi sperimentati. Deve mettere persone nuove come consiglieri principali dei segretari alla Difesa e di Stato. E deve infine stabilire consultazioni regolari con Bob Corker, il presidente della Commissione Esteri, e John McCain, presidente della Commissione delle Forze Armate».

Non sono consigli, come si vede. Sono ordini.

Già l’ordine di accettare suggerimenti da John McCain vi farà sospettare che il cambiamento auspicato dai Savi Anziani del Council non va nel senso di moderare l’aggressività sovversiva della politica estera americana. A confermare il vostro eventuale sospetto, ecco la persona che Gelb suggerire al povero Obama di tirarsi dentro il suo gruppo come sotto-segretario alla Difesa per ridurre i costi del Pentagono: il rabbino Dov Zakheim. Vecchia conoscenza: Zakheim era uno dei tre viceministri ebrei (gli altri: Paul Wolfowitz e Douglas Feith) in carica sotto Rumsfeld (o sopra) nei giorni in cui fu organizzato il mega-attentato «di al Qaeda» alle Twin Towers e al Pentagono, 11 Settembre, che giustificò la guerra globale al terrorismo fino ad oggi. Rabbi Zakheim, all’epoca, era – ed è tuttora – anche il padrone della System Planning Corporation, una ditta che produce elettronica militare ed è specializzata nella teleguida dal suolo di aerei (una specializzazione che forse ha qualcosa a che fare con i quattro aerei che furono lanciati nel mega-attentato dell’11 Settembre). Quanto alla capacità di Zakheim di limare i conti del Pentagono, già allora aveva questo incarico, e vi adempì in modo tale che durante la sua tenuta sparirono 2,3 miliardi di dollari in «transazioni non contabilizzate».

Dov Zakheim
  Dov Zakheim
Altre vecchie conoscenze che Gelb consiglia ad Obama di assumere sono Robert Zoellick (l’uomo che Bush jr. mise a capo della Banca Mondiale dopo che Wolfowitz aveva perso quella poltrona per uno scandaletto sessuale; Zoellick non è ebreo, in compenso è senior advisor di Goldman Sachs), Richard Armitage (braccio destro di Colin Powell nel governo di Bush figlio), l’ammiraglio Michael Mullen.

Ma più importanti sono i nomi che Gelb ad Obama per concertarsi con loro nell’elaborare la strategia di sicurezza nazionale: «Henry Kissinger, Brent Scowcroft, Zbigniew Brzezinski, e James Baker. Scowcroft, oggi novantenne, è un Generale intimo di Bush padre. James Baker, 84, è un altro fidatissimo amico di Bush-padre e suo capo di gabinetto.

Questi nomi fanno pensare che nel Council on Foreign Relations si sia raggiunta una qualche forma di associazione o intesa fra due gruppi prima apparentemente opposti: le vecchia guardia realista (Kissinger, Baker, Brzezinski.) e i neocon sfegatati e messianici (Zakheim). L’evocazione dei vecchissimi saggi come tutori, poi, ricorda da vicino il cosiddetto Iraq Study Group, un consesso di autorevoli maggiorenti dei due partiti che nel 2006 Bush-padre mise a fianco di Bush-figlio, l’indimenticabile Dubya, per aiutarlo, rimediarne ai disastri e ridurne i danni. James Baker era appunto uno dei membri di questo gruppo che, di fatto, provò a mettere sotto tutela Dubya, con scarsi risultati però.

Anche l’ordine impartito da Gelb sembra una messa sotto tutela di Obama da parte di storici geronti. Interessante notare che fra le persone che Gelb «consiglia» vivamente di licenziare sono Susan Rice (consigliera di sicurezza nazionale), Dennis McDonough (capo del gabinetto della Casa Bianca), Benjamin Rhodes (incaricato delle comunicazioni) e Valérie Jarrett (consigliera di politica estera): non solo due sono donne e per giunta negre, ma tutt’e quattro sono «molto vicine intellettualmente ed affettivamente» al presidente. Privato di esse, Obama resterebbe solo e circondato da un muro spesso ed autorevolmente pesante di controllori «affettivamente lontani». Ai quattro, Gelb rimprovera di non far mai proposte originali al presidente e di non contraddirlo mai, anzi di rafforzarlo nei suoi pregiudizi.

Come sottolinea Meyssan, «è la prima volta dalla sua creazione nel 1921 il Council on Foreign Relations prende una simile posizione». Obama è giudicato un pericolo dall’Establishment, e questo ha deciso di «assisterlo» in questi ultimi due anni sollevandolo dallo sforzo di fare il presidente vero.

Se questo sia di miglior auspicio per la crisi Ucraina, è da vedere, senza sperare troppo.





1) Ecco un passo interessante: ««Mi assicurano che personalmente il presidente Barack Obama riconosce come temerario questo atteggiamento (di Barbra Nuland); ma il punto è che lui non ha fatto alcun passo significativo per scongiurare la mattana e , anzi , ha tollerato azioni provocatorie da parte dei suoi subalterni , come gli intrighi della neocon vice-Segretario di Stato Victoria Nuland con golpisti per rovesciare Viktor Yanukovitch, l’ucraino eletto presidente, lo scorso febbraio . Obama ha anche nascosto all’opinione pubblica americana informazioni di intelligence che minano certe delle affermazioni più estreme che la sua amministrazione ha fatto . Ad esempio , mi è stato detto che ha ricevuto particolareggiate informazioni dall’intelligence sulla misteriosa sparatoria di cecchini che ha preceduto il putch (a Kiev, piazza Maidan, ndr) un anno fa, e sull’abbattimento del Malaysia Airlines 17 che ha aggravata la crisi la scorsa estate . Ma non diffonderà le risultanze» (..) Più in generale nel corso dell'ultimo anno , il comportamento di Obama - che va dalla sua sottovalutazione iniziale della questione dell'Ucraina , mentre si produceva il colpo di stato (a Kiev, ndr) tramato dalla Nuland, fino al suo partecipare all’aggressione verbale contro Putin, come ad esempio quando nel suo discorso sullo Stato dell'Unione , s’è vantato di aver contribuito a «mettere a brandelli» l'economia russa - si configura come uno spettacolo dei più irresponsabili da parte di un presidente degli Stati Uniti . Dati i rischi potenziali di una guerra nucleare , nessuno dei presidenti del secondo dopoguerra s’è comportato incautamente come Obama; irresponsabilità che adesso si a aggrava in quanto permette ai suoi sottoposti nell’amministrazione di parlare a ruota libera dell'invio di aiuti militari a un regime instabile come quello di Kiev che, comprende nel suo seno neonazisti che hanno intrapreso operazioni da squadroni della morte contro i russi in Ucraina orientale». Così l’analista Robert Parry, che riecheggia giudizi delle agenzie d’intelligence americane, molto scontente di Obama. Come si vede, l’intelligence ha un’idea dei fatti che si oppone totalmente alla «narrativa» rigurgitante sui media.



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