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Tutto si fa per la libertà d’espressione in Occidente
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L’ultima: Jim Clancy, anchorman della CNN per 34 anni, grande inviato, una notorietà mondiale, è stato licenziato in tronco. Motivo: in vari tweet aveva perso la pazienza con altri twittatori ebrei, e s’era lasciato andare a commenti anti-israeliani, sulla «hasbara» (l’azione concertata dei volontari ebrei – sayanim – di spargere immagini positive di Israele con lettere ai giornali), sul rischio che i dirigenti israeliani possano finire davanti al Tribunale internazionale per crimini di guerra, e sui coloni occupanti dei territori palestinesi. Qualche parola di troppo. Chissà quante volte Clancy, che è stato inviato in Medio Oriente, ha dovuto subire l’ostilità dei sayanim che vigilano sulla buona stampa per Israele. I suoi commenti sono stati definiti «spaventosi» da un ente ebraico chiamato Ruderman Family Foundation, che cura i disabili (ma solo ebrei).

Risultato: «Jim Clancy is no longer with CNN. We thank him for more than three decades of distinguished service, and wish him nothing but the best», come si legge nel laconico comunicato della CNN. La biografia di Clancy è stata immediatamente cancellata dal sito della CNN. Il commento di Russia Today: «Clancy ha superato i limiti della libertà d’espressione concessi ai vignettisti di Charlie Hebdo».

Tim Willcox è un giornalista della BBC. Inviato a Parigi per coprire l’eccidio a Charlie Hebdo e le manifestazioni seguenti, stava intervistando una donna ebrea a Parigi, la quale inveiva contro gli arabi che uccidono gli ebrei, eterne vittime. «Anche i palestinesi hanno molto sofferto per mano degli ebrei», è scappato detto all’intervistatore. Non l’avesse mai fatto. Haaretz e la rivista Slate l’hanno attaccato con violenza, perché metteva sullo stesso piano le inenarrabili sofferenze degli innocenti eletti, e quelle dei terroristi... Willcox s’è affrettato a scusarsi pubblicamente per «la frase male espressa durante l’intervista, totalmente senza intenzione».

In Francia, è tutta una tempesta di personalità che dai talk-shows scendono in lotta a difesa della libertà d’espressione, da vincere tramite censura e codice penale per chiudere la bocca ai critici. Poliziotti della libertà, si può dire.

Christian Jacob, ex Ministro: «Restringiamo le libertà pubbliche ed individuali di alcuni». Claude Gueant, grand commis, Ministro dell’Interno di Sarko: «Ci sono libertà che possono essere facilmente abbandonate». Jean-Jacques Urvoas, deputato socialista: «Vogliamo l’accesso ai computers dei sospetti, perché le intercettazioni telefoniche sono generalmente sterili (sic)». La giornalista Nathalie Saint Cricq, nipote di Jean Mounier, resistente e Ministro, su France Télevision: «Bisogna identificare e ‘trattare’ i francesi che non sono Charlie», ossia i 61 milioni che non sono andati alla manifestazione dei 3 milioni voluta dal regime Hollande-Merkel-Bruxelles.



Resta un dubbio sul «trattamento» auspicato dalla valorosa giornalista pronta a tutto per proteggere la libertà d’espressione: colpo alla nuca, o semplice ricovero psichiatrico?

Deputati e politici dell’IMP fanno a nobile gara per esigere il Patriot Act francese, che controllerà i pensieri e in nome della maggior libertà occidentale, quella di bestemmiare. A cominciare da Sarkozy, per finire a Sarkozy figlio, Louis (1), che ha postato questa liberalissima, sobria immagine su Facebook:



È notizia già data da noi il fatto che il comico Dieudonné (quello della quenelle, ossia del gesto dell’ombrello, per cui è già bollato di antisemita) sia stato arrestato. Nel giorno in cui la Francia ufficiale e il vasto gregge ripetevano «Je suis Charlie», lui ha scritto su Facebook : «Je me sens Coulibaly». Incriminato per apologia del terrorismo, per accanita volontà del Primo Ministro Manuel Vals (che ha subito varie quenelles). Da quel momento, tutti gli spettacoli che Dieudonné ha cercato di dare in varie città sono stati vietati: a Nantes, da 140 poliziotti, a Metz dalla direzione del teatro che ha annullato la performance, e così via. Il comico ha dovuto ogni volta far ricorso legale, ed ha ottenuto il permesso dai giudici.

Il foto-giornalista Jean-Claude Elfassi (J) ha esplicitamente invitato via tweet all’assassinio di Dieudonné e – non bastando – del suo amico Alain Soral, l’intellettuale ex-comunista oggi fondatore del movimento «sinistra sociale e destra dei valori». Colpevoli, i due, di non aver partecipato con il dovuto entusiasmo alla lotta per la libertà d’espressione.

Anche Philippe Tesson, giornalista di Europe 1, ha auspicato pubblicamente che Dieudonné venga fucilato da un plotone di esecuzione («Ciò mi darebbe una gioia profonda»); ma questo già un anno fa, prima dell’eccidio di Charlie. Oggi, Tesson ha fatto uso della libertà d’espressione che tutti difendiamo, urlando su Europe 1: «Sono i musulmani a mettere in causa la laicità! Non sono i musulmani che portano la merda in Francia, oggi?! Bisogna dirlo!». Stavolta è stato prontamente querelato per incitazione all’odio verso una comunità religiosa: perché, sia chiaro, l’Europa è in guerra contro il terrorismo, non contro l’Islam. La libertà di religione è sacrosanta. Ci limitiamo a bruciare il Corano (come hanno fatto le Femen):

 Possiamo fare caricature oscene di Maometto, ma non cadiamo, prego, nella «islamofobia». Restiamo fermamente aderenti al politicamente corretto.

Sembra proprio che la guerra per la libertà d’espressione abbia dato la stura, in Francia, alla più libera espressione dell’odio proprio contro Dieudonné e contro Soral, che non sono islamisti, ma il primo fa ridere prendendo in giro i poteri forti francesi (fra cui la nota lobby), e l’altro denuncia, fra l’altro, lo strapotere della detta lobby sulla Francia. Quello che viene espresso è un odio, mi pregio di precisare, di tipo omicida.

Per dare un’idea del clima, ecco il caso Marc-Edouard Nabe. È un autore, scrittore, giornalista francese, che su ogni media raggiungibile esprime la sua teoria: evviva il jihadismo sanguinario del Califfato, visto che l’Occidente è decadente ed imbelle, merita di sparire nel sangue. Sembra la tesi di un fanatico filo-islamico. Può essere invece la posizione dei neocon ebrei, molto malcontenti dell’Europa molle (fino ad ieri) nella guerra al Terrorismo, ossia all’Islam. Come decidere?

Ecco la copertina della rivista Patience, che Nabe ha appena mandato in edicola:

 

È un montaggio delle foto delle esecuzioni di giornalisti tanto pubblicizzate con video dal Califfato: Nabe ha messo la propria faccia sopra il corpo del boia vestito di nero, e quella di Dieudonné sopra quello della vittima in arancione. Nel tondo, è la testa di Soral che viene alzata dalla mano del carnefice, già decapitato. Tutto il numero della rivista di Nabe è pieno di immagini di decapitati dall’IS, associate però a persone viventi: per la precisione, Dieudonné e Soral. Sarà anche questo un invito all’omicidio?

«A che gioco gioca Nabe?», si chiede Alain Soral. Sottolineando che è un po’ strano che Dieudonné sia incriminato per «apologia del terrorismo» per aver fatto qualche ironia sui «Je suis Charlie», mentre Nabe può fare apologia delle decapitazioni dell’IS e appellare alla più sanguinaria jihad, senza suscitare inquietudine al Ministero dell’Interno.

Ma a che gioco gioca Nabe, Soral lo sa fin troppo bene, visto che è amico di Gilad Atzmon e ne ha letto il libro The Wandering Who. Lì, Atzmon ricorda che tali inviti pubblici all’uccisione di nemici non tacitabili altrimenti, sono una costante del sionismo. Nel 1995 Josep Lapid, celebre giornalista israeliano (e dopo uomo politico), incitò «qualche decente ebreo canadese» ad uccidere Victor Ostrovski, il transfuga del Mossad che s’era appunto rifugiato in Canada per sfuggire alla vendetta. Il Canada non estradava Ostrovski. Alla tv canadese, Lapid disse: «Ostrovski è l’ebreo più traditore della storia moderna. Non ha diritto di vivere. Purtroppo il Mossad non può ucciderlo per non danneggiare le relazioni col Canada. Spero però che ci sia un degno ebreo che lo faccia per noi». Era un appello ai sayanim (2), agli ebrei abitanti in Canada vogliosi di «aiutare Sion».

Dunque siamo avvisati: quando un giorno Dieudonné sarà assassinato, e Soral decapitato, sarà un atto di libera espressione. Loro non partecipavano alla difesa delle nostre libertà, loro esprimevano la molle Europa che non scende in guerra per i nostri altissimi, amati valori.

Che cosa non si fa per la libertà dì espressione.





1) Questo è il figlio di Sarko che fu preso in giro da Siné, un vignettista di Charlie Hebdo. Nel 2008, Siné fece dello spirito sul fatto che Sarkozy junior si vuole convertire all’ebraismo prima di sposare la sua fidanzata, di religione ebraica ed erede dei fondatori di Darty, una catena di elettronica francese. «Si farà strada nella vita, il ragazzo», concludeva Siné. È stato licenziato in tronco per antisemitismo dal giornale più libero di smerdare ogni religione, etnia, persona e popolo, tranne quello.
2) «La parola ebraica sayan, al plurale sayanim, designa un ebreo abitante all’estero e che, per «patriottismo verso Israele», tradisce il proprio Paese e collabora con il Mossad in due settori : o il settore dello spionaggio o in attività di disinformazione, manipolazione, propaganda. I sayanim sono persone ripartite a tutti i livelli e classi sociali della società, presenti nel Governo, in Parlamento, nel settore dell’economia e dei media e in effetti, in tutti i diversi tipi di mestiere. Se un agente del Mossad operante all’estero ha bisogno di un nascondiglio sicuro, di un’auto a noleggio senza mostrare documenti, di un medico che gli curi una ferita nel cuore della notte, di denaro contante, si rivolge a un sayan che il Mossad conosce e di cui sa la fidatezza o l’omertà. In Francia, secondo Ostrovski, ce ne sono 3 mila. In Italia molti di più.



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