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La Nuland minaccia Orban. Regime change a Budapest?
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Nell’Europa orientale prolifera «un cancro». Questo cancro consiste nell’«apostatare la democrazia», delitto di cui si stanno macchiando «certi leader nella regione» che hanno dimenticato «i nostri valori». Vittoria Nuland (Nudelman, sposata Kagan) (1), la Vicesegretaria di Stato per gli affari europei ed eurasiatici ed autrice dei grandi successi democratici a Kiev, non ha fatto il nome di quei «certi leader» che ha attaccato con tanta minacciosa violenza. Ma tutti , nel suo discorso del 2 ottobre al Central Europe Strategy Forum di Washington, hanno identificato il suo bersaglio: Victor Orban, il premier ungherese. Costui, forte dei voti del suo popolo, ha avuto il coraggio di pronunciare eresie come «Non credo che la nostra appartenenza alla UE ci impedisca di costruire un nuovo Stato anti-liberale, su fondamenti nazionali»; e inoltre ha apertamente criticato le sanzioni euro-occidentali contro Mosca.

La fanatica neocon s’è dunque scagliata contro Orban senza nominarlo mai (il che è anche più minaccioso, Stalin faceva lo stesso): «Applicare le sanzioni non è facile e molti Stati stanno pagando un caro presso», ha detto; «ma quando dei leader fanno dichiarazioni che lacerano il tessuto della nostra fermezza, dico loro di ricordare la loro storia nazionale, e come avrebbero voluto che i loro vicini fossero al loro fianco».

Dopo questa oscura allusione storica (la rivoluzione ungherese del ’56, repressa dai sovietici senza che gli americani, che l’avevano incitata, alzassero un dito?) , la Nudelman ha inveito ancora: «Troviamo leader della regione che, anche mentre godono i benefici dell’appartenenza alla NATO e alla UE, hanno dimenticato i valori su cui queste istituzioni sono basate»?

Vediamo qui un tipico esercizio di chutzpah ebraica, consistendo i «benefici della NATO» nell’obbligatoria partecipazione delle nostre forze armate alle guerre e sovversioni permanenti per Israele, che hanno destabilizzato a nostro danno il Mediterraneo e il Medio Oriente; quanto ai «benefici raccolti per l’adesione alla UE», questa prigione dei popoli, tutti li proviamo sulla nostra pelle di schiavi del terzo millennio.

Ma no: la Nuland è veramente convinta che l’America e i suoi serventi eurocratici, espandendo la NATO e sovvertendo i Paesi dell’ex patto di Varsavia con le rivoluzioni colorate, hanno fatto «una Europa centrale democratica, prospera e sicura» (senza ridere: chutzpah), e che i cittadini di questa parte del mondo hanno «compiuto il duro lavoro di riformare le loro economie, stabilizzare le monete, privatizzare le industrie inefficienti, aprire i mercati del lavoro, e dare il benvenuto agli investimenti esteri. In breve, hanno riportato la democrazia liberale nel cuore del continente».

Anche il regime di Kiev – quello delle fosse comuni e del Pravi Sektor che picchia i parlamentari –, assicura, «sta lavorando sodo per promuovere la pace e cambiare per esaudire le aspettative della sua gente».

In questo Eden, c’è però una macchia. Un serpente nel paradiso terrestre neocon, anzi un cancro. La Nuland non fa i nomi, ma, minatoria, intima: «Oggi domando a questi leader: come potete dormire sotto la vostra protezione (sic) dell’articolo 5 NATO la notte, mentre di giorno promuovete la “democrazia illiberale”, eccitate il nazionalismo, restringete la libera stampa, o demonizzate la società civile?».

L’ultima frase, «demonizzazione della società civile», allude al trattamento che il Governo Orban riserva alle ONG straniere, pagate e inviata dalla CIA, Dipartimento di Stato e Soros per espandere la democrazia, e identificate tout court con la «società civile». Infatti, il 23 settembre, in un altro incontro a New York, l’ebrea s’è lamentata, schiumando: «Dalla Russia alla Cina al Venezuela assistiamo a continue repressioni, al vilipendio del legittimo dissenso come sovversivo. In posti come l’Azerbaijan, le leggi vigenti rendono incredibilmente difficile alla ONG anche solo di operare. Dall’Ungheria all’Egitto, pesantissime regolamentazioni e aperta intimidazione bersagliano la società civile».

Non lasciano fare il loro lavoro alla Soros Foundation o al National Endowment for Democracy e a McCain, il fornitore di armi al Califfo, arrestano le Femen; Orban ha varato una Costituzione basata sulle radici cristiane del popolo magiaro, ha messo fuorilegge l’aborto, ha riportato la Banca nazionale sotto il controllo statale, riforme economiche e politiche incentrate sulla promozione della famiglia. Ciò, ci chiarisce definitivamente la giudea in Kagan, è contrario ai «nostri valori» e configura un’apostasia dalla democrazia. Invece i nazisti di Kiev che ammazzano civili, e pestano i deputati e scavano fosse comuni (2), rappresentano «i nostri valori» — tanto che la Nuland li paga coi fondi del Dipartimento di Stato.


Dalle fosse comuni di Kiev. La democrazia all’opera


Ma già che c’era, la signora s’è scagliata anche contro gli Stati UE che si preparano a costruite il gasdotto SouthStream che dovrebbe portare il gas russo ad Italia ed Austria, e a cui sono interessati Bulgaria e Croazia, Slovenia, Unghheria, Grecia e Romania. Quegli Stati «che fanno accordi sporchi che aumentano la loro dipendenza da una sola fonte di energia nonostante le loro dichiarate politiche di diversificazione».

Si noti il tono padronale: la Nuland considera la UE cosa sua, le impartisce le consegne ed ingiunge che obbedisca. Per lei e Washington (o gli ebrei che vi comandano) i «benefici» della «sicurezza» offerta della NATO comportano l’accettazione del servaggio più totale, «non solo militare ma politico e sociale» (così Dedefensa), la rinuncia assoluta ad ogni residua sovranità . Obbedite, noachidi (3). È il regno d’Israele che si instaura (così almeno credono loro) senza più infingimenti né cortesie formali; solo minacce e peggio: il loro Messia, dice la Bibbia, è un bastone di ferro che stritola le nazioni come vasi di coccio (Salmo 2).

«Gli USA sono lanciati in una corsa massimalista, cieca e senza ritorno» (secondo Dedefensa) verso una ostilità assoluta, anche bellica, a tutti i disobbedienti. Bellica e minacciosa è stata infatti la conclusione della neocon: «L’Europa Centrale è di nuovo il fronte della battaglia per proteggere la nostra sicurezza e i nostri valori. E questa battaglia – ha detto sinistramente – è insieme esterna ed interna».

«Esterna», ossia contro la Russia. «Interna», ossia contro i «sabotatori», le «spie», i traditori, le «quinte colonne» (per usare il linguaggio staliniano), e anzitutto, contro l’Ungheria. Victor Orban ha tutte le ragioni di prevedere una puntata sovversiva americanoide. Esclusa – dato il favore che il suo Governo gode fra i magiari – la rivoluzione colorata della «società civile» (dette anche ONG), il colpo potrebbe venire da regime criminale di Kiev, su istruzioni della Nuland.

Entro i confini odierni dell’Ucraina, in Transcarpazia, vive una forte minoranza ungherese, 200mila persone. Nel dicembre 1991, nella grande fine dell’URSS, un referendum nella regione (capitale Beregovo) diede il 78% dei voti al progetto di autonomia all’interno dello Stato ucraino. Infatti nel 2012 i magiari, rumeni e ruteni di Ucraina hanno ottenuto una legge che riconosce le loro parlate come seconde lingue ufficiali del Paese.

Ma questo era prima che i criminali di Maidan prendessero il potere: uno dei primi atti del regime nazista-euro-americano di Kiev è stata la cancellazione di quella legge. Peggio: Kiev ha precettato in massa i giovani maschi ungheresi e ruteni, arruolandoli per mandarli a combattere i russi del Donbass. Sono seguite manifestazioni di protesta, e richieste sempre più accese di autonomia quando non di secessione (la Novorussia fornisce un esempio alle altre minoranze), intinte di nazionalismo. E già la propaganda di Kiev instilla nella popolazione ucraina l’idea di un «complotto russo-magiaro» ai danni della bella democrazia vigente sotto protezione euro-americana e alla sua sovranità...

Viktor Orban
  Victor Orban
Il 29 settembre Orban ha visitato Beregovo in Transcarpazia. Ci si aspettava dichiarasse inaccettabile richiamare gli ungheri al servizio militare per far la guerra al Donbass, che ripetesse la richiesta di autonomia per la Transcarpazia, in base al referendum del ’91...; a dimostrazione della più alta caratura del personaggio rispetto a tanti altri attori dell’area, Orban non ha detto nulla di tutto questo. Le sue guardie del corpo hanno tenuto a distanza i giornalisti, ché non gli strappassero qualche dichiarazione accesa. In una riunione del consiglio distrettuale, Orban s’è limitato a raccomandare «dialogo» e «cooperazione» con gli ucraini. Estrema prudenza per non offrire il pretesto alla forsennata Nuland e ai forsennati caporioni di Kiev per un qualunque attacco.

Tuttavia un altro partito magiaro, il noto Jobbik di destra nazionalista, conduce manifestazioni pro-ungheresi in Transcarpazia. I suoi capi osano gridare che l’Ucraina è uno Stato artificiale fatto di minoranze, e che la Transcarpazia deve tornare a Budapest...

Le polveri possono accendersi da un momento all’altro, e la Nudelman scatenare la sovversione per «i nostri valori»; e dunque, «bomb – bomb – bomb Orban».




1) Robert Kagan, il marito della Nuland, è il principale teorico della guerra permanente neocon: membro influente di una mezza dozzina di importanti fondazioni «culturali» (dal Council on Foreign Relations alla Brookings Institution al Carnegie Endowment for Peace), opinionista del Washington Post, Wall Street Journal , New Republic e Commentary, soprattutto è stato membro-fondatore del think tank «Project for a New American Century», da cui nel 2000 uscì il progetto di riarmo totale americano, con l’auspicio di «una nuova Pearl Harbor» per convincere l’opinione pubblica della necessità delle enormi spese belliche. Dopo l’11 settembre (la nuova Pearl Harbor) Kagan ha premuto per la guerra all’Iraq di Saddam. Ora dice che «Russia e Cina «sono le più grandi sfide che il liberismo abbia di fronte oggi; né la Russia né la Cina accolgono volentieri gli sforzi dell’Occidente per promuovere la politica liberale in tutto il globo, ancor meno nelle aree dii importanza strategica per loro».
2) Le fosse comuni in cui gli ammazzatori del regime di Kiev (da noi europei sostenuto) sono almeno tre, scoperte dai ribelli russofoni in un villaggio di Nzynhnia Krynka, 35 chilometri a nord di Donetsk, in una zona che era stata sotto il controllo degli squadroni della morte di Kiev prima di essere liberata dai ribelli Gli osservatori dell’OSCE hanno confermato che si tratta di cadaveri di civili, con segni di tortura e poi liquidati col colpo alla nuca dagli assassini del regime. I media occidentali, unanimi, hanno evitato di farci sopra una tragedia, per lo più nemmeno dando la notizia. Se quelli li avessero uccisi i ribelli russofoni, sarebbe già stato allestito un tribunale internazionale per i crimini contro l’umanità. Ma hanno ammazzato e seppellito di nascosto dei russi del Donbass, che non aderiscono ai «nostri valori» occidentali...
3) Paul Craig Roberts sottolinea in questa narrativa neocon, come negli ultimi discorsi di Obama, non solo le «menzogne spudorate», ma il doppio standard di Washington, «la sua convinzione che, per il carattere eccezionale e indispensabile degli Stati Uniti, Washington dispone, da solo, del diritto di violare tutte le leggi... le invasioni e i bombardamenti di sette paesi in 13 anni fatti da Washington non costituiscono un’aggressione. C’è aggressione quando la Russia accetta il risultato di un referendum degli abitanti della Crimea che hanno votato al 97% a favore della riunificazione con la Russia, di cui la Crimea ha fatto parte da secoli». Ma questo «due peso-due misure» è, esattamente, il diritto talmudico: le leggi e la morale legano i goym, ma non gli ebrei.



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