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Destrutturazione ateologica
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L’attività di «destrutturazione» del pensiero cristiano (ed ancor di più nello specifico cattolico) è uno dei fini che si è prefissa la Massoneria (su istigazione del nemico del genere umano) sin dagli albori della sua apparizione. Comprendiamo meglio quanto sia grave la perversione del pensiero e quali effetti possa produrre nel cuore dell’uomo, leggendo le pagine del santo Vangelo.

Leggiamo San Luca 11, 34-36: «La lucerna del tuo corpo è l’occhio. Se il tuo occhio è sano, anche il tuo corpo è tutto nella luce; ma se è malato, anche il tuo corpo è nelle tenebre. Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra.  Se il tuo corpo è tutto luminoso senza avere alcuna parte nelle tenebre, tutto sarà luminoso, come quando la lucerna ti illumina con il suo bagliore».

La luce che sorge dalla Rivelazione inonda lo spirito dell’uomo e conferisce luminosità a tutto il suo essere. Lo splendore della Parola di Dio è la luce dell’occhio, ossia l’illuminazione della coscienza umana, la chiaroveggenza sui segreti della vita e sul Mistero infinito ed imperscrutabile di Dio. Questa necessaria dipendenza dell’uomo creatura dal Creatore determina l’incapacità del primo di comprendere al di là del proprio naso, ove si sottragga alla Luce del suo splendore. Allontanamento dalla Luce significa tenebre ed oscurità, freddo e paralisi eterna, in una parola, perdizione. La Parola di Dio è, quindi, veramente efficace in grado di operare quel che dice, trasformare con la sua energia ogni cosa ed ogni realtà.

Non dobbiamo limitare il Verbo Divino alla sola Sacra Scrittura; la Rivelazione è definita e definitiva nella Bibbia, ma resta vivente e vivificante nella santa Chiesa, attraverso il suo Magistero (infallibilmente nel suo Magistero perenne) e nella santa Tradizione, negli scritti di Santi innamorati di Cristo ed in coloro che vivono il loro essere Chiesa come unico palpitare del cuore di Gesù ed in ultimo, ma non meno efficacemente nella celebrazione liturgica dei misteri sacramentali. La divina Rivelazione è Gesù vivo e vivente, che in forza della sua resurrezione si rende presente all’uomo di oggi e di sempre, attraverso il mistero della Chiesa.

 «Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato» (Giovanni 15,3).

La Parola di Dio, quando penetra all’interno del cuore umano è capace di purificare l’anima; questo accade quando l’assenso al Dono ricevuto è apertura dell’udito spirituale. La purificazione avviene perché il confronto con la Verità rende l’uomo umile, debitore e bisognoso di riscatto verso gli errori ed i peccati commessi. La bontà di Dio, ineffabile e misericordiosa, lo invita ad una trasformazione interiore (conversione, metanoia) utile all’azzeramento del male commesso, se diviene radicale guarigione dal passato.

E’ Dio stesso che attesta tale Verità; è Lui che si rivela, che si rende accessibile alla conoscenza della mente umana (pur restando comunque inconoscibile in essenza). Tale apertura del «terzo occhio» è ingresso nella dimensione altra, nuova; in cui solo entra chi rinasce dall’alto e dallo Spirito. La rinascita della quale parla Gesù a Nicodemo è proprio uno slancio dell’essere, tutto, in Dio; tutte le potenze della persone, non soppresse né mutilate, ma sublimate ed esaltate, in Dio trovano piena realizzazione ed appagamento, nonché l’evidenza palese, oggettiva e soggettiva, di Dio stesso nella vita di ognuno e nella storia.

La destrutturazione ateologica (1) (di cui l’idiota e puerile iniziativa pubblicitaria sugli autobus è solo la punta dell’iceberg) mira invece ad amputare questa dimensione dello spirito. Le argomentazioni filosofiche addotte a sostegno, di quella che pretende di essere una sorta di Summa Teologica al contrario, sono prive di reale fondamento.

Provare l’inesistenza di Dio, per esempio, assumendo come esaustivo l’assioma di Parmenide, è quantomeno lacunoso. Il fatto che l’infinità di Dio pretenda di esaurirne la vitalità entro i confini del suo essere, supponendo, pertanto, che se è vero che «l’Essere è, il non essere non è», sarebbe impensabile ipotizzare alcuna «produzione supplementare di essere» (il creato) - in questa eternità senza origine, infatti, nessuna creazione sarebbe possibile, a meno di pensare ad un Dio bisognoso della creazione, quindi imperfetto - è un punto di vista meramente umano, viziato da un altro inconfessato paradigma, dato assolutamente per certo (ma tutto da dimostrare!), ossia quello della perfetta coincidenza ontologica tra l’Essere Divino e l’essere creato; perché se è vero - e lo è! - che a Dio nulla si può aggiungere né togliere e che l’essere di Dio esaurisce in Sé tutta la potenza infinita, è pur vero che tutto quel che è creato costituisce un minus accidentale rispetto all’essere stesso di Dio; questo significa, da un lato, che Dio comprende in sé tutto quel che crea (ogni cosa che «esce» da Lui, senza poter uscire in nessun modo, trova in Dio la sua radice, la sua sostanza, il suo archetipo) e dall’altro, che è capace di creare con capacità infinita, altro da Sé, che però non abbia nulla a che vedere con la Sua sostanza infinita; anzi il poter creare è una capacità infinita che appartiene soltanto all’Increato, unico vero Dio.

Non esiste identità ontologica tra creato ed increato, quindi quel che è creato non è in grado non soltanto di mutare l’essenza divina, ma neppure di tangerla in nessun modo. Ancora più infantile, e per nulla nuova, l’analisi dell’origine del sentimento religioso: la motivazione prima ed inconscia sarebbe la paura della morte; credere in Dio è salvarsi dal timore di estinguersi per sempre.

Per nobilitare ed edulcorare questa verità, l’uomo si sarebbe industriato di colmare di senso e significato questa fobia, esorcizzandola con la ritualità sacramentale. Eppure l’ateo non vive senza timori, ma la paura di non esistere più non lo spinge alla Fede.

L’ateismo è sempre una scelta di campo irrazionale, dettata da una prometeica ambizione di autosufficienza: l’uomo vorrebbe poter non cercare risposte alle domande che lo incalzano irrimediabilmente, vista la sua capacità di trascendere il reale.

Ma l’ateo, questo salto di qualità (nella trascendenza), lo rifiuta a priori, giudicandolo come impossibile - senza alcuna prova evidente della sua asserzione (il fatto che l’uomo abbia paura di morire nulla toglie alla razionale e ragionevole possibilità dell’esistenza di un Essere superiore o di una vita ultraterrena!) - relegandolo al mondo dell’inverosimile, senza neppure voler esaminare la verosimiglianza di quel mondo.

L’evidenza razionale di cui l’ateo afferma l’assenza e che egli stesso porrebbe a fondamento della supposta conversione costituisce una petizione di principio vuota di contenuto: l’oggetto della Fede è Dio stesso, chiederne l’evidenza razionale (ne esistono, ma sono presenti solo per chi vuole vederne l’ampiezza e la profondità; del resto Gesù ricorda che anche se uno risuscitasse dai morti, se non credono alla Scrittura, Mosè e i profeti, non resterebbero persuasi; e così è stato effettivamente!) - al di là del fatto di escludere arbitrariamente tutti gli argomenti posti, per esempio, da san Tommaso - significa, in primo luogo, ridurre Dio ai limiti della nostra ragione, ed in secondo momento, esigere l’evento folgorante e terrificante che azzerasse ogni possibilità di scelta e di libero arbitrio, facendo precipitare l’atto d’amore di adesione a Dio e alla sua vita in un mero ossequio di terrore, determinato dallo spavento che obbliga all’obbedienza.

Quello che muove l’ateo non è la mancanza di prove, ma la volontà di non essere assoggettato ad alcuno, se non ai propri capricci e desideri. Il prurito di ascoltare cose che siano secondo le proprie voglie non tollera Magistero né Vangelo (per fare un esempio, non a caso nell’anticlericale pellicola «La Bussola d’oro», l’autorità che odia l’uomo e mira solo al potere, viene definita, appunto, Magisterium!).

La destrutturazione ateologica mira proprio alla distruzione sistematica non soltanto dell’idea di Dio, ma anche dei principi cristiani fondanti la nostra civiltà (carità, perdono, giustizia, misericordia e via dicendo).

Il capovolgimento della vita morale è il fine ultimo dell’ateismo; liberare l’uomo da ogni etica (quando anche il gioco, attiva libera per eccellenza, ha delle regole senza cui è nulla, senza le quali non ha senso!) è perversione del cuore, ottenebramento dell’intelletto, infelicità estrema e disperata.

Le stesse religioni primitive hanno compreso la logicità e la necessarietà della trascendenza con il solo osservare la volta celeste. Questo è confermato dalla figure divine primordiali, che descrivono un Essere Supremo, creatore, onnipotente, dominatore e legislatore cosmico e  morale. L’intuizione di un solo Essere assoluto, al di là dell’umano comprendere, sovrastante la pochezza e la miopia della creatura trova riscontro con la forte avversione all’idea di irreligione, considerata unanimemente non soltanto un reato, ma perfino un peccato (peccato di irreligione era quello dei cristiani che rifiutavano il culto imperiale).

Per l’uomo primitivo (ma il discorso può essere facilmente esteso fino a metà del secolo sedicesimo) che vive la sacralità (lo spazio, il tempo ed il luogo sacro) come momento eterno di un transeunte effimero, l’opzione atea è semplicemente una follia, un atto di tracotanza estrema, contrario alle evidenze razionali ed alle esperienze individuali, oltre che (in campo cristiano) alla testimonianza personale, oculare, scritta e orale di persone vere e storicamente esistite di un fatto certo e facilmente accertabile, del quale si vorrebbe contestare la veridicità, ma senza esito… su questo, a Dio piacendo.

Stefano Maria Chiari



1) L’opera principale scritta in materia è quella dell’ateo Michel Onfray, «Trattato di ateologia».



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