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Deposto in una mangiatoia
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E' ormai prossimo il santo Natale, giorno solenne nel quale la Chiesa celebra l’evento della nascita del Figlio di Dio. La data del 25 dicembre potrebbe, come non potrebbe, corrispondere all’effettiva data di nascita di Gesù. Poco importa. La Liturgia ha il potere di attualizzare il Mistero, rendendolo presente nel momento in cui lo vive la Chiesa. Sappiamo infatti che la Chiesa ha celebrato da sempre il miracolo più grande della storia umana: l’Incarnazione del Figlio di Dio. Sin dagli albori questa realtà mistica ed incomprensibile è al centro del rituale e della celebrazione.

Tuttavia l’istituzionalizzazione della festa in prossimità del solstizio d’inverno (a partire dall’Egitto per poi diffondersi nel Medio Oriente e passare solo più tardi a Roma e a Costantinopoli; abbiamo le prime testimonianze di Clemente e Cirillo d’Alessandria) fu molto probabilmente legata alla necessità di far fronte alle commemorazioni pagane del sol invictus (di cui molti moderni pensatori atei accusano il cristianesimo stesso di essere una subdola prosecuzione), per chiarire la portata ed il significato dell’adorazione dovuta all’unico Dio, Gesù Cristo, sole che non tramonta e che viene ad irradiare la vera vita.

«In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini».

Chiaramente i detrattori della fede cattolica accusano la Chiesa di opportunismo e di falsità, di scarsa conformità al dettame storico; Gesù, sostengono, semmai esistito, non è altro che il frutto di un processo di mitizzazione successiva. I più cercano di convincere che Gesù non sia un personaggio storico; alcuni addirittura lo identificano con tale Giovanni di Gamala. Inutile dire che tale Giovanni sia personaggio assolutamente inventato, storicamente mai esistito, ma la voglia di screditare Cristo e la Chiesa è tale da mutare la favola in realtà e la verità in menzogna.

Le prove portate da questi signori? Inconsistenti riferimenti storici e soprattutto erronee, fino al ridicolo, esegesi dei sacri testi, molto spesso travisati, chissà (?!?!?!) volutamente. Al contrario, sappiamo benissimo che esistono prove certe dell’esistenza di Gesù; il Gesù storico è il Gesù dei Santi Vangeli; non c’è alcuna differenza tra Cristo della fede e Gesù storico, come invece piace molto ai teologi (anche cattolici, ahimè!).

L’archeologia conferma la storicità dei testi evangelici. Il ritrovamento dei resti delle abitazioni site presso la città di Betlemme trova piena corrispondenza con quanto attestato dai Santi Vangeli. Dalla narrazione della nascita di Gesù, evinciamo la presenza di Giuseppe e di Maria Santissima nei pressi della città, in un tempo presumibilmente superiore a qualche giorno o a qualche mese addirittura. È verosimile infatti che la Vergine, in procinto di partorire proprio in quei giorni, sia stata risparmiata di un lungo viaggio da parte dell’accorto e saggio San Giuseppe. I Vangeli non ne parlano, indicano soltanto l’assenza di un alloggio.

«Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non cera posto per loro nellalbergo» (Luca 2,7).





Il termine greco utilizzato da San Luca nella descrizione è Katalyma (katalumati), il quale si rende meglio proprio con stanza o alloggio, piuttosto che con albergo. Come del resto è possibile leggere in Luca 22,11:

«E direte al padrone di casa: Il Maestro ti dice: Dovè la stanza (katalyma) in cui posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli ?».





al contrario di quel che si legge invece in Luca 10,34, dove il termine utilizzato per significare albergo o locanda è «pandocheion».





Del resto, la presenza della Vergine non era necessaria ai fini del censimento. Il capo famiglia doveva e poteva provvedere solo alla registrazione richiesta per il censimento. Ora, San Giuseppe è presumibile avesse parenti in zona. Facile supporlo proprio perché originario del posto. Possiamo quindi pensare verosimilmente che la Sacra Famiglia avesse trovato alloggio presso i parenti di San Giuseppe, i quali avevano loro riservato un posto nella saletta posta sul retro dell’abitazione. Questa era solitamente costituita da un monolocale, adibito per tutte le necessità della famiglia, al quale poteva aggiungersi una stanza per ospiti e quindi la relativa stalla; proprio lì (in quest’ultima) saranno alloggiati Giuseppe e Maria, a causa delle prescrizioni ebraiche relative all’impurità della donna puerpera (40 giorni dalla nascita per un maschio; 80 per una femmina; impurità che rendeva impossibile alloggiare la Vergine santissima in procinto del parto in prossimità di altre persone).

Del resto proprio San Luca ci ricorda il necessario decorso di questo termine, oltrepassato il quale portarono il Bambino al Tempio (Luca 2, 22-23: «Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore».

Per contro ed a conferma di quanto stiamo sostenendo, San Matteo ci dice che la loro sistemazione era in casa. «Entrati nella casa (oikian), videro il bambino con Maria sua madre» (Matteo 2,11), meglio nella stalla, che era sempre parte connessa alla casa:





La riflessione sopra esposta, solo per trovare ennesima conferma della precisione del dato storico della Sacra Scrittura. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che quanto scritto è sempre e comunque per l’edificazione del credente ed oltre al significato letterale, è possibile ricavare anche diversi e profondi insegnamenti spirituali.

Tra gli altri, per esempio, la verità spirituale del rifiuto di Cristo e di coloro che Gli appartengono: la sacra Famiglia, Cristo e Maria santissima, ma anche San Giuseppe ed aggiungiamo tutti coloro che abbracciano la fede aderendo a Cristo, non troveranno mai posto in questo mondo. Gesù è l’eterno abbandonato nelle stalle dei cuori di coloro che invece dovrebbero rendergli il posto migliore. La frase di San Luca fa il paio con il prologo di San Giovanni: «Venne tra i suoi, ma i suoi non lo hanno accolto». È un po’ il mistero della fede che trascende il momento circostanziale per inabissarsi nell’immensità estrema dell’anima di Cristo.

L’uomo rappresenta da sempre la croce che il Salvatore ha deliberatamente accettato per salvarci. Questa croce accompagna da sempre il cammino dell’uomo-Dio, fin dai primi momenti della sua esistenza. Sofferenza estrema, vicaria, offerta per amore; il castigo che meritiamo si è abbattuto su di Lui; per le sue piaghe siamo stati guariti. Nella dolcezza della notte santa di Natale, un pensiero al Cuore di Gesù, che tanto ama l’uomo da non lasciare mai nulla del suo amore, che non sia donato. Cuore di Cristo che, in cambio della sua ricchezza e felicità, vuole soltanto la consegna fiduciosa della debolezza delle nostre miserie.

Stefano Maria Chiari



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