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Alla fine, governerà Napolitano
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L’Italia sta per diventare una repubblica presidenziale, cosa lungamente auspicata da Gianfranco Fini, e platealmente desiderata da Berlusconi, che sognava di coronare la sua carriera con bunga-bunga al Quirinale. Ma non avverrà come i due sognavano; la loro callosità morale, stupidità intellettuale e nullità politica sta dando al presidente Napolitano il pretesto per compiere quello che la costituzione gli vieta: atti di governo.

Da noi, il presidente della repubblica regna ma non governa. Ciò in tempi normali. Ma oggi, il capo del governo – Berlusconi – non governa, ma pensa solo a salvare quello che chiama il suo stile di vita dalle inchieste e dai magistrati; mai come ora usa il potere ottenuto dal voto per i suoi fatti privati, spingendo l’intero governo alla sua indifendibile difesa, fino alla spaccatura e alla crisi. Il governo governerebbe meglio se Berlusconi si dimettesse o fosse dimesso; ma non esistono metodi istituzionali per far dimettere il premier in piena crisi lussuriosa, se lui non vuole. Come ho già fatto notare, non esiste un Gran Consiglio del Fascismo capace di detronizzare il duce con voto di maggioranza. Come fare, senza violare la sostanza delle norme costituzionali?

Stesso discorso va fatto per Gianfranco Fini. Anche lui, fattosi capo-partito, ha perso ogni credibilità (legittimità) come presidente della Camera. Dovrebbe dimettersi – come del resto ha promesso di fare pochi mesi fa, se si fosse scoperto che la villa di Montecarlo era effettivamente dell’avido cognatino – ma non si dimette: resta lì, evidentemente per mantenere i privilegi legati alla carica, far fare la bella vita alla sua donna, combattere una lotta tutta personale per il suo futuro; ma è evidentemente un ostacolo al funzionamento delle istituzioni. Glielo ha scritto chiaro l’ambasciatore Sergio Romano qualche giorno fa sul Corriere: «Mai come ora lItalia ha avuto bisogno di persone che non siano protagoniste di un duro scontro politico e reggano con forza il timone delle regole e delle procedure (...). Fini dovrebbe chiedersi se le circostanze gli consentano di esercitare questa funzione nel migliore modo possibile».

Si noterà come Fini e Berlusconi si somigliono sempre più: entrambi sono succubi e condizionati da donne opportuniste, sfruttatrici del sesso in cambio di soldi, il Salame da tante, il primo da una sola ma dotata di avida e vorace famiglia numerosa, che ormai sono al centro della loro politica. I due sono  l’epitome, anzi l’incarnazione stessa, di una classe dirigente che non sa autogovernarsi; anzi di più, di un Paese che storicamente non si è mai saputo governare da sè, che con le sue lotte stupide di palazzo e sedizioni ha provocato il vuoto di potere, che storicamente ha chiamato in Italia lo straniero (spesso chiamato da italiani contro altri italiani). E’ destino dei popoli incapaci di autogoverno, di essere governati da altri, venuti da fuori, che spazzano via la classe incapace e corrotta che non sa governare.

Oggi questa soluzione è (purtroppo) impossibile, non ci si può aspettare una invasione caritatevole da Vienna o da Parigi. L’incapacità italiana di autogoverno può dunque marcire su se stessa fino a formare il fungo mostruoso che abbiamo sotto gli occhi, proliferare come un cancro maleodorante e divoratore; e non riguarda solo Berlusconi o Fini, i Tulliani e i Bunga-Bunga. Anche l’opposizione, che in questa crisi terminale del berlusconismo dovrebbe avere il suo trionfo, si mostra divisa, intesa a lacerarsi all’interno, insomma incapace di quella coesione minima che è la condizione necessaria dell’autogoverno; per non parlare della magistratura, che ha gettato felicemente nel fango la sua autorevolezza pur di togliersi la soddisfazione di parteggiare, di ingerirsi nel potere esecutivo. Non c’è nessun ordine che si sappia autogovernare, e dunque, a maggior ragione, che sia capece di governare il Paese.

Il vuoto di potere diventa un abisso sotto i nostri occhi, e richiama l’intervento esterno. Da dove?

Data la situazione, dal Quirinale: da Napolitano, con un intervento straordinario ed extralegale. Il progetto gli viene attribuito da un ben informato articolo de Il Foglio (1). Che attribuisce a Emanuele Macaluso (definito «più che amico di Napolitano»), la seguente valutazione che si farebbe al Quirinale: «La situazione descrive unassoluta impossibilità per le istituzioni di funzionare. I due presidenti delle Camere, sia Fini sia Schifani, sono entrambi oggetto di delegittimazione, luno da parte del centrodestra laltro da parte del centrosinistra. Così non funziona e non può andare avanti».

E’ chiaro anche che occorre liberare il Paese dal re del Bunga-Bunga diventato il nostro Bokassa; e senza andare ad elezioni, altrimenti il popolo-Mediaset rivota il Bunga-Bunga, e siamo daccapo. La carica stessa dà a Napolitano il favore di un’opinine pubblica (troppo arretrata e ignorante) che si affeziona al capo dello Stato – chiunque sia – come al buon nonno di famiglia, e lo riempie di suppliche e richieste di fare qualcosa. Del resto, con una profonda parvenza di ragione, visto che «Si profila il rischio di una paralisi delle istituzioni».

Secondo il Foglio, « Lunico dubbio di Napolitano riguarda il metodo: come intervenire? Il presidente, che si sta consultando febbrilmente, sa di non avere a propria disposizione forti strumenti di manovra» (la costituzione non glieli dà); ma – sempre secondo il Foglio, «può contare sulla forza di Bossi», con il quale Napolitano ha «sviluppato una cordiale empatia».

Insomma il buon nonno si sta formando la maggioranza (l’opposizione è dalla sua parte da sempre) che gli consenta di fare un atto extra-costituzionale per superare la paralisi, provocata dai due Succubi delle Femmine; un atto di governo, o – per dirla ancora una volta come Il Foglio, «un clamorosobastache, contrariamente agli auspici berlusconiani, potrebbe imprimere una considerevole accelerazione verso il voto anticipato o verso scenari finora soltanto fantasticati».

Apparentemente, gli scenari fantasticati sono i più probabili. Difatti, dice il Foglio, « Napolitano, che certamente non lavora pergolpe istituzionalialla Scalfaro, non fa mistero di adorare Giulio Tremonti e ha sviluppato un rapporto di cordiale empatia anche con Umberto Bossi».

Insomma si profila una continuità di governo con l’espulsione del Salame Bunga-Bunga, in un modo o nell’altro. In un modo o nell’altro il capo dello Stato manderà via il capo del governo e (speriamo contestualmente, il Tulliano’s): e gli saremo tutti grati, anche se i metodi usati saranno comunque non contemplati dalla Costituzione.

E’ il solo equivalente possibile dell’intervento straniero. Secondo la definizione di Carl Schmitt, « Sovrano è chi decide lo stato deccezione», alla fine Napolitano si arroga – sotto giustificata necessità – lo stato di sovrano schmittiano, quello che esercita poteri supra legem per la salvezza della repubblica.

Ma si stabilirà un precedente anti-costituzionale – il presidente della repubblica che s’impanca di governo – che futuri presidenti useranno in modi imprevedibili, ma certamente arbitrari. Avremo una repubblica presidenziale di fatto, non dichiarata, esattamente come abbiamo già (diceva Cossiga) una «Costituzione materiale» al posto della Costituzione legale, che è la deformazione della costituzione operata dai partiti e dalle caste.

Un altro vulnus alle istituzioni, un’altra deformità del quadro di diritto pubblico; ma ciò non disturberà un popolo che, incapace com’è di autogoverno, non ha alcun rispetto – anzi, nemmeno coscienza – dell’importanza delle istituzioni di Stato, e della necessità di non violarle.





1) Ecco l’articolo de Il Foglio integrale:

Quirinale, iniziativa istituzionale straordinaria
Napolitano pensa di convocare martedì Schifani e Fini. ‘Così non si va avanti’. Il contatto con Bossi

Salvatore Merlo

© - FOGLIO QUOTIDIANO

Così non si può andare avanti’. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha in programma una straordinaria iniziativa istituzionale. Già martedì prossimo i presidenti dei due rami del Parlamento - la base del triangolo istituzionale - potrebbero essere convocati al Quirinale. A quel punto Napolitano porrebbe loro un quesito sostanziale: ‘Il Parlamento funziona ancora, o no?’. Si prepara così un clamoroso basta che, contrariamente agli auspici berlusconiani, potrebbe imprimere una considerevole accelerazione verso il voto anticipato o verso scenari finora soltanto fantasticati. Silvio Berlusconi è stato informato con qualche reticenza degli intendimenti presidenziali, eppure il Quirinale stesso ha già inviato agli ambasciatori del Cavaliere dei segnali inequivocabili.

Napolitano, che certamente non lavora per golpe istituzionali alla Scalfaro, non fa mistero di adorare Giulio Tremonti e ha sviluppato un rapporto di cordiale empatia anche con Umberto Bossi. Si dice che il leader della Lega in queste ore sia stato sondato dal Colle e che anche per questo - mentre si approssima la data del 2 febbraio, indicata da Roberto Maroni come possibile deadline per la legislatura - il capo padano ieri abbia frenato pubblicamente sulla richiesta di dimissioni scagliata dal centrodestra contro Gianfranco Fini. ‘Su questa storia di Montecarlo bisognerebbe fare meno casino’, ha detto Bossi indietreggiando vistosamente dal precedente ‘ora Fini deve dimettersi’.

Il presidente Napolitano ha consegnato a interlocutori amici alcune decise valutazioni sull’impasse istituzionale che vede Fini assediato dalla maggioranza, Renato Schifani contestato dall’opposizione, il ministro degli Esteri accusato d’abuso d’ufficio e il presidente del Consiglio nella bufera mediatico-giudiziaria. ‘Sappiate che prima o poi dovrò dire e fare qualcosa’, è stato il messaggio consegnato giovedì in modo esplicito al Pdl attraverso i soliti canali di comunicazione. ‘La situazione descrive unassoluta impossibilità per le istituzioni di funzionare. I due presidenti delle Camere, sia Fini sia Schifani, sono entrambi oggetto di delegittimazione, luno da parte del centrodestra, laltro da parte del centrosinistra. Così non funziona e non può andare avanti’, dice al Foglio Emanuele Macaluso, un più che amico di Napolitano.

D’altra parte, neanche l’editoriale dal tono autorevole di Sergio Romano, ieri sul Corriere della Sera, è un prodotto casuale. ‘Mai come ora lItalia ha avuto bisogno di persone che non siano protagoniste di un duro scontro politico e reggano con forza il timone delle regole e delle procedure’, ha scritto il professor Romano. Fuori di metafora: ‘Queste persone sono soprattutto il presidente della repubblica e i presidenti delle Camere. Un terzetto che deve poter richiamare i contendenti alle regole del gioco. Fini dovrebbe chiedersi se le circostanze gli consentano di esercitare questa funzione nel migliore modo possibile’. L’editorialista del Corriere della Sera, esponente di rilievo del terzismo borghese, individua nel presidente della Camera il ‘terzo incongruo’. Ma in uno scenario, in sé, complessivamente incongruo: dall’interpellanza al ministro Frattini sull’affare immobiliare di Montecarlo, sino alle anomale richieste di dimissioni piovute dal terzo polo sul presidente del Senato.

Si profila il rischio di una paralisi delle istituzioni’. L’unico dubbio di Napolitano riguarda il metodo: come intervenire? Il presidente, che si sta consultando febbrilmente, sa di non avere a propria disposizione forti strumenti di manovra, d’altra parte lo scioglimento delle Camere è un meccanismo complesso che prevede prima l’avvio di una crisi di governo. Per questo si sta orientando verso un clamoroso messaggio pubblico da veicolare attraverso una convocazione formale dei presidenti dei due rami del Parlamento. Un’operazione che può contare sulla forza di Bossi, un leader della maggioranza che non vuole imbrogliare né tradire il Cavaliere, ma pensa - e molto - alle elezioni.

E’ forse per questa ragione che la data favorita, nelle ipotesi che si fanno al Quirinale, è martedì primo febbraio. Il giorno successivo, il 2, la Bicamerale dovrà esprimersi sul federalismo municipale. ‘Sarà quello il momento della verità’, aveva scritto al Corriere Roberto Maroni; la verità sul gioco delle opposizioni, che a quel punto dovranno uscire allo scoperto e prendersi la responsabilità di riportare al voto gli italiani. Ma anche la verità, forse - ha sostenuto Maroni - sulla maggioranza. Preceduto dall’iniziativa del presidente della repubblica, il voto sul federalismo appare l’anticamera delle urne o di nuove formule parlamentari o, chissà, di una resa contrattata del Cavaliere».



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