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L’Epicureismo in generale
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Prologo

In questo articolo inizio a trattare la filosofia epicurea in generale[1] a mo’ di introduzione ad una serie di altri articoli che cercheranno di approfondirne gli aspetti più interessanti.

Vita e opere

Epicuro nacque a Samo verso il 341 a. C. da genitori ateniesi. Nel 306 si trasferì ad Atene dove comprò una casa con un giardino (“il Giardino di Epicuro”) dove fissò la sua Scuola filosofica, che lasciò in eredità ai suoi discepoli verso i quali nutriva un grande affetto, che gli veniva ricambiato con una venerazione la quale col tempo divenne un vero e proprio culto religioso “laico”.

Epicuro scrisse moltissimo, secondo Diogene Laerzio circa 300 opere. Tuttavia di questo ampio materiale ben poco è sopravvissuto (Tre lettere, Sentenze capitali, Gnomologio Vaticano, Scritte murali in Enoanda). Tutti gli scritti, i frammenti e le testimonianze su Epicuro sono stati tradotti con ampia introduzione e note di commento da M. Isnardi Parente, Opere di Epicuro, (Torino, Utet, 1974).

Alla conservazione e diffusione dell’epicureismo contribuì molto Tito Lucrezio Caro col suo poema De rerum natura.

Epicuro morì ad Atene durante l’Olimpiade 127, ossia nel 270 a. C.

Caratteristiche dell’epicureismo

Epicuro (341 a. C. – 270 a. C.) volle dare ai suoi contemporanei, che vivevano in un’epoca di crisi filosofica e politica (crollo della polis greca dopo Alessandro Magno e spegnimento della metafisica di Platone ed Aristotele), una sorta di “farmaco” per guarire i mali che affliggono l’uomo, i quali secondo lui son causati soprattutto dalla superstizione e dai falsi timori.

Il vuoto metafisico e conseguentemente morale lasciato dalla crisi della filosofia platonica e aristotelica e quello politico lasciato dalla fine dell’impero alessandrino aprivano le porte a nuovi tipi di filosofia che rispondessero ai nuovi bisogni del tempo. Epicuro fu uno dei filosofi nuovi che riempì lo spazio lasciato vuoto dalla crisi platonico/aristotelica.

Il materialismo epicureo

Epicuro si fondava esclusivamente sulla materia e negava l’essenza del platonismo e dell’aristotelismo: la metafisica intesa come filosofia che fondandosi sul soprasensibile arriva al di là della materia sensibile e al trascendente. Nel medesimo tempo la crisi della polis rendeva Epicuro propenso a negare ogni valore alla filosofia politica e alla socievolezza dell’uomo[2]. Cosa restava all’uomo contemporaneo?

Secondo Epicuro la filosofia deve avere soprattutto un carattere pratico, ossia deve essere rivolta principalmente alla cura dell’anima, darle un rifugio e una consolazione facilmente accessibile. Questo asserto dell’epicureismo si può condensare in 4 tesi: 1°) l’esistenza umana è triste e dolorosa. Quindi la vera filosofia deve consolare e liberare dai 4 grandi mali della vita umana: il timore degli Dèi; il timore della morte; il timore dei mali imminenti; il timore che il bene sia difficile da conseguire; 2°) la filosofia speculativa non serve a guarire l’uomo dai suoi mali. La filosofia non deve essere una teoria per curare l’anima, ma una medicina pratica ed efficace, che produce la salvezza senza indicarla e discuterne; 3°) l’etica ha un primato assoluto su tutte le altre discipline filosofiche anche sulla metafisica; 4°) la filosofia è una salvezza per tutti e alla portata di tutti e non è un privilegio riservato a pochi eruditi.

Attenzione! per Epicuro non esiste una vita ultraterrena, l’unica vita è quella di questo mondo e l’unico scopo della filosofia è quello di alleviarne i mali, l’anima esiste ma è mortale. Egli rifiuta il mondo della trascendenza, è essenzialmente un immanentista.

Secondo Giovanni Reale la filosofia di Epicuro è “un vero e proprio materialismo, mercé la negazione chiara ed esplicita del sovrasensibile, dell’incorporeo, dell’immateriale. Epicuro è, in un certo senso, il primo materialista che abbia formulato in modo teoreticamente consapevole il proprio materialismo”[3]. Secondo lui, come per Democrito, tutte le cose derivano dalla materia (gli atomi) e dal vuoto e la causa della diversità e molteplicità delle cose è dovuta al modo diverso di combinarsi degli atomi.

La natura dell’anima umana secondo Epicuro

La concezione epicurea dell’anima è pienamente conforme alla sua filosofia materialista e sensista. La realtà è costituita da atomi materiali che si aggregano, quindi anche l’anima è un’aggregazione di atomi materiali ed è materiale essa stessa.

L’anima vive e agisce psichicamente solo sino a che si trova nel corpo. Morto il corpo, gli atomi che costituivano l'anima si disperdono. Quindi anche l’anima è mortale e non è eterna (Epicuro, Epistola a Erodoto, 46).

La conoscenza dell’anima umana è sensibile (Epicuro non parla di conoscenza universale e di libera volontà) e si divide in due generi di sentimenti: il piacere e il dolore. Il primo è conforme alla natura umana, l’altro è contrario ad essa, il primo è da scegliersi il secondo da fuggirsi (Epicuro, Epistola a Meneceo, 128 ss.). Si noti come il sentimento del piacere è preso da Epicuro come criterio per distinguere il bene dal male, il positivo dal negativo e in definitiva come regola principale dell’agire umano ed anche come criterio di verità. Infatti secondo Epicuro ciò che arreca piacere è vero e ciò che arreca dolore è falso.

Il Sommo Bene epicureo

Il bene sommo per Epicuro è puramente materiale perché la natura umana è materiale e la ricerca del piacere consiste nel fuggire i malanni della vita presente. Il piacere è il principio e il fine dell’agire umano e una volta posseduto rende felici; esso è il valore assoluto, il bene supremo e ultimo.

Il piacere epicureo non è la sensualità

Ma quale tipo di piacere è quello ricercato da Epicuro? Occorre distinguere bene perché si rischia di fraintendere la vera natura della filosofia epicurea. Secondo Epicuro vi sono piaceri buoni e cattivi, onesti e disonesti. Comunemente si tende a ritenere che l’epicureismo è sensualità pura fatta di stravizi, gozzoviglie, crapule e bagordi. Invece non è così. Infatti Epicuro scrive: “Quando dico che il piacere è un bene non alludo ai piaceri dei dissipati, che consistono in crapule, ma alludo all’assenza di dolore nel corpo e all’assenza di perturbamento nell’anima. Non dunque le libagioni e le feste ininterrotte, né il godersi donne e fanciulli, né il mangiare a sazietà è fonte di vita felice, ma quel sobrio ragionare che scaccia le false opinioni per via delle quali un grande turbamento si impadronisce dell’anima” (Epistola a Meneceo, 132).

In breve il piacere in cui secondo Epicuro consiste la felicità è l’assenza di qualsiasi preoccupazione (atarassia) e l’assenza di qualsiasi sofferenza o perturbazione. Quindi più che come soddisfacimento delle passioni il piacere è concepito da Epicuro come assenza di dolore.

Come raggiungere la felicità

Per raggiungere la piena atarassia, la pace dell’anima e la felicità bisogna liberarsi da tre ostacoli: gli Dèi, la morte e la vita politica.

Innanzitutto non bisogna aver timore degli Dèi perché essi, a differenza di come li rappresenta la religiosità popolare, non si occupano degli uomini e delle vicende di questo mondo; secondariamente non bisogna temere la morte perché quando ci raggiunge non esistiamo più e con essa tutto finisce; infine la vita politica è piena di preoccupazioni, comporta dolori e turbamenti e compromette irrimediabilmente l’atarassia (assenza di turbamenti nell’anima).

La virtù stessa è intesa come una ricerca di piaceri (non disonesti) e una fuga dai dispiaceri.

L’epicureismo ha attratto molti spiriti colti per la sua moderazione nel ricercare i piaceri ed ha allettato le masse per la ricerca dei piaceri sensibili, che spesso da qualcuno sono stati male interpretati come disonesti.

Il Cristianesimo dei Padri entrerà in polemica con esso, ma l’Umanesimo e il Rinascimento segneranno una sua resurrezione. Nell’attuale mondo paganizzato l’epicureismo è vissuto inconsciamente dalla maggioranza degli uomini, anche se non è conosciuto come sistema filosofico[4].

Conclusione

Se l’epicureismo non è mera sensualità, tuttavia resta viziato da molteplici gravi errori: l’egoismo edonistico e utilitaristico o la ricerca del proprio piacere personale, che porta a disinteressarsi del prossimo e del bene comune; il ritenere la religione una superstizione che riempie gli uomini di falsi timori (pur trattandosi di religiosità pagana); l’immanentismo materialista che nega l’aldilà, la metafisica, la Trascendenza.

Inoltre esso ha degli aspetti che lo rendono attuale. Infatti è nato in un’epoca di crisi di valori filosofico/metafisici e politici pari alla nostra ed ha cercato di sollevare dal turbamento apportato dalla suddetta crisi gli uomini allora viventi, così come oggi capita all’uomo contemporaneo di cercare il sollievo nel materialismo agnostico, nell’utilitarismo economico, nelle filosofie e pratiche orientali (yoga, zen, induismo, buddismo), che pretendono di dare l’atarassia all’uomo e di liberarlo da ogni apprensione, nella psicanalisi, che fa risiedere nella religione tutte la malattie dell’animo umano e pretende di liberarlo da esse mediante l’agnosticismo.

Come si vede “ogni errore nuovo è vecchio come il diavolo”.

d. Curzio Nitoglia

Fine della Prima Parte

Continua



[1] Cfr. B. Mondin, Storia dell’Antropologia filosofica, Bologna, ESD, 1° vol., L’epicureismo, pp. 110-122, 2001.

[2] Cfr. G. Reale, Storia della filosofia antica, Milano, Vita e Pensiero, 1995, vol. III, p. 163.

[3] G. Reale, cit., p. 166.

[4] Cfr. E. Bignone, L’Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro, Firenze, 1936, 2 voll., II ed., 1973; A. J. Festugière, Brescia, 1952; D. Pesce, Saggi su Epicuro, Bari, 1974; G. Reale, Storia della filosofia antica, Milano, 1996, III vol., pp. 161-300.

 
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