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L’incredulità dei giudei nel Vangelo di San Giovanni capitolo XII (42-50)
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Introduzione

San Giovanni scrive al versetto 42: “Nondimeno molti anche dei capi dei Giudei credettero in Lui, ma per paura dei farisei non lo confessavano pubblicamente per non essere cacciati dalla Sinagoga”.

Il Commento di padre Sales

Padre Marco Sales commenta: “Gesù aveva dei discepoli anche tra i capi e i prìncipi del popolo d’Israele, ma erano pieni di timore e non osavano mostrarsi pubblicamente come tali. Così erano per esempio Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea” (cit., p. 90, nota n. 42).

L’Evangelista ne dà anche il motivo: “Poiché essi amavano più la gloria degli uomini che la gloria di Dio” (v. 43).

Padre Sales scrive: “Ciò che impediva costoro dal professare pubblicamente la fede era il rispetto umano. Essi amarono più ricevere lode e approvazione dagli uomini che essere lodati e approvati da Dio” (cit., p. 90, nota n. 43).

San Giovanni prosegue: “Ma Gesù alzò la voce e disse: Chi crede in Me, non crede in Me, ma in Colui che mi ha mandato. E chi vede Me, vede Colui che mi ha mandato” (vv. 44-45), vale a dire che chi crede - infatti “vedere” non va inteso come percezione degli occhi, ma come conoscenza della verità che avviene mediante l’intelletto - in Gesù non crede in Lui come puro uomo. Ora Gesù è vero Dio e vero uomo, una Persona divina in cui sussistono due nature, una divina da tutta l’eternità e una umana dall’Incarnazione del Verbo. Inoltre il Verbo si è Incarnato nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo e l’Incarnazione è stata decretata dalla SS. Trinità per la salvezza degli uomini. Quindi chi crede in Cristo Gli crede anche in quanto inviato dal Padre su questa terra per la Redenzione del genere umano.

“Chi vede Me vede Colui che mi ha mandato” (v. 45) poiché Padre, Figlio e Spirito Santo sono un solo Dio in tre Persone eguali e distinte. Quindi se crediamo in Gesù crediamo anche nel Padre e nello Spirito Santo e se non crediamo in Lui non crediamo neppure in Dio Padre.

“Io son venuto luce al mondo, affinché chi crede in Me non resti nelle tenebre” (v. 46), ossia Gesù è venuto per illuminare con la sua luce divina e il suo insegnamento celestiale il mondo, liberandolo dalle tenebre dell’ignoranza, della superstizione e del peccato e chi crede in Lui sarà liberato da queste tenebre e oscurità.

Poi Gesù aggiunge: “Chiunque avrà udito le mie parole e non avrà creduto in Me, Io non lo giudico poiché non son venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo” (v. 47). Padre Sales commenta: “Nella sua prima venuta Gesù non venne per giudicare, ma per salvare e redimere il mondo. Adesso è tempo di misericordia, verrà poi, alla seconda venuta di Gesù, il tempo di giustizia” (cit., p. 90 nota n. 47). La seconda venuta di Cristo non è solo la Parusia, che precede la fine del mondo e  il Giudizio universale, ma anche la venuta di Gesù al cospetto di ogni uomo che è appena morto e che dovrà rispondere a Lui dei suoi atti, nel Giudizio particolare, per ottenere la sentenza che lo farà entrare in Cielo o lo precipiterà nell’inferno.

Infatti San Giovanni aggiunge: “Chi rigetta Me e non riceve le Mie parole, ha chi lo giudica: la parola annunziata da Me, questa sarà suo giudice nel giorno estremo” (v. 48). Il giorno estremo è quello della nostra morte seguìto dal Giudizio particolare e quello del Giudizio universale dopo la fine del mondo. Ora in quel giorno estremo sarà pronunziata la condanna contro gli increduli. Infatti la parola o il Vangelo annunziato da Gesù e disprezzato degli increduli sarà la norma secondo cui gli empi saranno giudicati e condannati da Cristo.

Il Vangelo di Giovanni ci dà ora il motivo per cui la parola di Gesù condannerà gli infedeli. Infatti la parola o l’insegnamento di Gesù non viene da un semplice uomo, ma da un Dio incarnato: “Poiché Io non ho parlato di Mia volontà, ma il Padre che Mi ha mandato Mi prescrisse quel che ha da dire e di che ho da parlare” (v. 49).

Infine il Vangelo che stiamo studiando riguardo al problema dell’incredulità ebraica termina col versetto 50: “Io so che il Suo comandamento è vita eterna. Quindi le cose che vi dico ve le dico in quel modo che il Padre le ha dette a Me”. Padre Sales commenta: “La dottrina che il Padre Mi ha comandato d’insegnare agli uomini per essi è principio e causa di vita eterna. Da ciò ne segue che chi rigetta questa dottrina si esclude da sé dalla vita eterna” (cit., p. 90, nota n. 50). Naturalmente il Giudizio sarà pronunciato da Cristo anche se il peccatore perseverando nel male si è separato da se stesso dalla grazia santificante, ossia dall’inizio della vita eterna, che in senso ultimo e perfetto è la gloria del Paradiso mediante la Visione Beatifica.

Il Commento dei Padri della Chiesa

Nella Catena Aurea San Tommaso d’Aquino ci fa conoscere i Commenti del Vangelo, versetto per versetto, fatti dai Padri ecclesiastici. Qui leggiamo la spiegazione datane da S. Agostino, che interpreta il versetto 43 (“Amarono l’onore degli uomini più che l’onore di Dio”) in questo modo: “Se costoro [i capi dei Giudei intimiditi dai farisei, ndr] avessero animato con la carità soprannaturale la loro fede in Gesù avrebbero superato ogni rispetto umano” e non si sarebbero lasciati intimidire dal timor mundanus.

Il versetto 44 (“Gesù alzò la voce e disse…”) viene spiegato da S. Giovanni Crisostomo nel seguente modo: “Gesù parla a voce alta a coloro che per non perdere il favore e la lode degli uomini si trattengono dal confessare pubblicamente Cristo”.

Poi della restante parte conclusiva del versetto 44 (“Chi crede in Me, non crede solo in Me, ma in Colui che Mi ha inviato”) S. Agostino spiega che “non si deve credere solo alla sua umanità come appare quaggiù agli occhi dei fedeli quale semplice uomo; dicendo ciò Cristo non nega che il fedele creda veramente in Lui, ma che crede non solo alla sua umanità bensì anche alla sua Divinità come pure nel Padre e nello Spirito Santo”. Infatti, come aggiunge San Giovanni Crisostomo: “La vostra fede, mediante Me come mediatore, ascende al Padre eterno” e S. Agostino chiosa: “Egli vuole che Lo riconoscano uguale a consustanziale al Padre. Chi credesse in Lui come figlio di Dio per grazia, come ogni altro uomo giustificato, e non Figlio coeterno per sua natura divina, non crederebbe in Dio veramente perché non crederebbe nel Verbo del Padre”.

Il versetto 47 (“Non son venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo”) viene spiegato da S. Agostino così: “Adesso è tempo di misericordia e di salvezza, ma verrà l’ora in cui ogni giudizio sarà dato dal Padre al Figlio” e il versetto 48: “Gesù giudicherà con quelle parole che Egli predicò agli uomini, ma che l’uomo empio rigettò” (S. Agostino). San Giovanni Crisostomo specifica: “Il Salvatore non è causa di dannazione per nessuno, ma l’uomo condanna sé stesso non ascoltando le parole di vita pronunciate da Gesù, nelle quali, se disprezzate l’uomo riconoscerà la sua condanna che sarà pronunciata da Cristo Giudice”.

Il Commento di S. Tommaso d’Aquino

L’Angelico spiega che se nel versetto 37 San Giovanni aveva denunziato la mancanza di coloro che non credevano affatto, ora al versetto 42 denuncia il peccato di “coloro che credevano, ma di nascosto perché pusillanimi” (cit., p. 352, Lezione VIII, n. 1706). Inoltre S. Tommaso spiega che “L’autorità di quelli che credevano di nascosto era grande: erano dei capi”.

“Il loro difetto è la pusillanimità” continua l’Aquinate. Infatti «I farisei avevano deliberato che se qualcuno Lo avesse riconosciuto come il Messia venisse espulso dalla Sinagoga. Dunque, sebbene, costoro credessero con il cuore, non Lo confessavano con la bocca. Ma la loro fede era insufficiente perché sta scritto (Rom., X, 10): “Con il cuore si crede per ottenere la giustificazione e con la bocca si fa professione di fede per avere la salvezza”» (cit., p. 353, Lezione VIII, n. 1708).

L’Angelico va più in profondità e ci spiega che «La radice del loro peccato è la vanagloria. Il Vangelo dice: “Amavano la gloria degli uomini più della gloria di Dio”. Infatti col confessarlo pubblicamente avrebbero perso la stima degli uomini, ma avrebbero conseguita la gloria di Dio. Essi però preferirono privarsi della gloria di Dio che rischiare la gloria degli uomini, desiderando la stima di questo mondo» (ivi, n. 1709).

Perciò Cristo rimprovera la loro incredulità “gridando a gran voce”, dimostrando una grande libertà d’animo, priva di ogni rispetto umano, nel redarguire i peccatori.

Quando al versetto 48 San Giovanni dice: “La parola che Io ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno” è “come se avesse detto: sarò Io a giudicare nell’ultimo giorno poiché Cristo nelle sue parole ha espresso Sé stesso. Dunque Egli è la parola o il Verbo che ha pronunziato, poiché ha parlato di Sé stesso” (cit., p. 358, n. 1719).

Conclusione

Per S. Tommaso l’incredulità “è un peccato che include tutti gli altri peccati e perciò è il più grave dei peccati” (S. Th., II-II, q. 10, a. 3).

I motivi dell’incredulità dei Giudei 1°) quanto a coloro che credevano col cuore in Cristo, ma non osavano professarlo con la bocca erano la pusillanimità e la vanagloria; 2°) quanto a coloro che non credevano affatto in Lui erano  l’odio verso la sua Persona mosso dalla gelosia e dall’invidia poiché si era proclamato Messia spirituale, venuto a portare la salvezza dell’anima a tutte le Genti e non solo il potere temporale a Israele.

Il Vangelo ci insegna che “La Luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla Luce perché le loro opere erano cattive” (Giov., III, 19).

Perciò la ragione ultima e profonda di questa scelta erronea va ricercata nelle opere cattive dei Giudei, ossia nella loro mala volontà e nella loro cattiva vita. Le opere cattive sono specialmente l’immoralità sottile, intellettuale, ancor più di quella grossolana e carnale, l’esaltazione dell’io, il vano onor del mondo, la ricerca della gloria e del potere umano.

L’Angelico spiega bene e dettagliatamente che le cause dell’errore sono imputabili alla precipitazione, la quale non consente di dedicare all’oggetto studiato tutta l’attenzione che gli sarebbe dovuta (S. Th., II-II, q. 53, a. 4), e al peso delle passioni, che inducono l’uomo ad emettere giudizi affrettati, impedendo all’intelletto di considerare le cose serenamente, oggettivamente e realisticamente (II Sent., d. 39, q. 3, a. 2, ad 5).

Gesù lo dice chiarissimamente: “Voi non volete venire a Me” (Giov., V, 40) e il motivo recondito del “non volere” erano le cattive disposizioni della volontà, che accecano l’intelletto e gli impediscono di cercare il vero. Quindi la ragione ultima della loro incredulità va cercata non nell’intelligenza, ma nella cattiva volontà.

Gesù nel Vangelo lo dice chiaramente: “Io vi conosco e so che in voi non avete l’amore di Dio” (Giov., V, 42). La ragione ultima e profonda della loro incredulità è in loro stessi e, come abbiamo visto, in maniera specifica nella loro volontà: “Voi non volete venire a Me” (Giov., V, 40). Perciò sono soprattutto l’orgoglio, l’invidia, la gelosia e l’odio le passioni che più tenacemente li tenevano lontani da Lui.

d. Curzio Nitoglia

(Fine)

 
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