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Piano USA per smembrare il Pakistan
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L’attuale impasse politica in Pakistan, fra partiti che litigano dopo la deposizione del generale Musharraf, è un atto «deliberato»: esso prelude a ad un progetto di smembramento del Paese, pianificato dagli Stati Uniti.

Già dal 2005 la CIA aveva previsto «un destino ‘jugoslavo’ per il Pakistan alla fine di un decennio di guerra civile, spargimenti di sangue e rivalità provinciali come quelle viste in Baluchistan».

Oggi, il piano è tornato di piena attualità. Per gli americani, «il dominio indiretto sul Paese per mezzo dei militari va sostituito da qualche forma di più diretta interferenza USA, che comprenderà una maggiore presenza militare dentro il Pakistan».

L’accusa è stata elevata davanti al senato pakistano dall’onorevole Nisar Memon, senatore della Lega Musulmana -Q (un piccolo partito centrista nonostante il nome, nato da una scissione dalla Lega Musulmana-N,  ritenuto vicino a Musharraf), sotto forma di interrogazione parlamentare (1). Il senatore Memon ha chiesto al governo di prendere conoscenza di uno studio del benemerito professor Michael Chossudovsky, il docente universitario canadese che gestisce il sito GlobalResearch.

Questo studio («The destabilization of Pakistan») risale al dicembre 2007, e letto oggi appare come una impressionante «profezia» di quel che è accaduto nel grande Paese (il solo Paese musulmano con armi atomiche) dall’assassinio di Benazir Bhutto alla deposizione di Musharraf (2).

«L’assassinio della Bhutto», scriveva Chossudovsky, «ha creato le condizioni per la destabilizzazione e frantumazione del Pakistan come nazione». Il consueto processo di «cambio di regime sponsorizzato dagli USA», che consiste di solito nel sostituire un generale con un altro, non è più al centro della strategia americana.

Oggi ci si può aspettare «che Washington appoggerà una leadership politica ‘pieghevole’, non impegnata all’interesse nazionale», che meglio serve «agli interessi imperiali USA, e che intanto contribuirà alla destabilizzaizone del governo centrale pakistano sotto forma di decentralizzazione».

Ora, a vincere le elezioni è stato il discusso, corrotto e corruttibile vedovo di Benazir Bhutto. Viva lei, il progetto avrebbe incontrato forti ostacoli. «Ma ci sono indicazioni che l’assassinio della Bhutto era stato previsto da ambienti USA. Ci sono state persino ‘chiacchierate’ sul possibile omicidio di Musharraf o della Bhutto, molto prima che l’attentato avesse luogo».

Accadde lo stesso in Afghanistan nel 2001. Allora, era solida la figura del generale Massud, un tagiko che, per la sua fama guerriera di resistente anti-sovietico poi anti-talebano, e il suo prestigio, era il solo in grado di unificare le etnie afghane in un progetto nazionale. Una troupe televisiva - in realtà composta da elementi di Al Qaeda - lo uccise fingendo di intervistarlo. Il Figaro di Parigi scrisse allora che l’assassinio era stato commissionato ad Osama bin Laden dalla CIA: un mese prima dell’11 settembre.

Il 13 febbraio 2005, intervistato dal Times of India, Wajid Shamsul Hasan, già alto commissario del Pakistan in Gran Bretagna (il Pakistan è tutt’ora parte del Commonwealth britannico) citava un rapporto della CIA e del NIC (Us National Intelligence Council) che prevedeva «un destino jugoslavo» per il suo Paese: a forza di «guerra civile, talibanizzazione, e lotta per il controllo delle testate nucleari», il Pakistan - assicuravano i profeti della CIA - diverrà «uno Stato fallito entro il 2015».

E «le riforme democratiche cambieranno poco, di fronte ad una elite politica che si aggrappa al potere e a partiti radicali islamici. In un clima di continuo disordine interno, il  controllo del governo centrale sarà probabilmente ridotto al territorio dell’etnia punjabi e al centro economico di Karachi».

In realtà, alle recenti elezioni, i fondamentalisti islamici hanno mostrato di non aver alcuna forza elettorale. Ma ad avverare le profezie americane ci pensano enigmatici attentati-strage, da tipica strategia della tensione, che si sono moltiplicati in questi mesi.

«La strategia degli USA», aveva avvertito Chossudovsky nel dicembre 2007, «consiste nel fomentare divisioni sociali, etniche e settarie e la frammentazione politica... Il corso di tale azione è dettato dai piani bellici in relazione ad Afghanistan e Iran. L’agenda USA per il Pakistan è simile a quella applicata in tutto il Medio Oriente e Asia centrale... onde ridisegnare i confini di Iraq, Iran, Siria, Afghanistan e Pakistan».

Il ventre molle pakistano, insisteva Chossudovsky, è stato identificato nel Beluchistan. Questa provincia di recente annessione, che include il 40% del territorio pakistano, abitata da un’etnia diversa da quella punjabi dominante, comprende i giacimenti petroliferi più importanti del Pakistan.

Un progettato oleodotto che dovrebbe portare il greggio iraniano all’India dovrebbe passare per il Beluchistan; lì si trova anche il porto di Gwadar, da poco ampliato e attrezzato dalla Cina. La compagnia petrolifera pakistana PPL, che sfrutta i giacimenti insieme a multinazionali petrolifere estere (dalla BP all’ENI), è in via di privatizzazione per ordine del Fondo Monetario.

Non è stupefacente che in Belucistan sia sorto un movimento secessionista. «Nel giugno 2006, la Commissione senatoriale della Difesa del Pakistan ha accusato lo spionaggio britannico di favoreggiamento dell’insorgenza nella provincia che confina con l’Iran (il Beluchistan, appunto). Al vecchio movimento di resistenza si è aggiunto, nel 1999, una «Baluchi Liberation Army» (BLA) che somiglia come una goccia d’acqua al KLA, il Kosovo Liberation Army, finanziato dai sauditi e dalla CIA, e addestrato dalla cosiddetta Al Qaeda. «Un’aura di mistero circonda la leadership del BLA»: in chiaro, non si sa chi siano i capi.

Si sa invece che nel 2006, in una riunione ad alto livello della NATO, gli americani presentarono una mappa che provocò le vibrate proteste dei generali turchi presenti: in questa mappa, che delineava una futura sistemazione del Medio Oriente allargato, appariva un «Free Kurdistan» (un grande Kurdistan) ottenuto ritagliando territorio allla Turchia, oltre che all’Iran, all’Iraq e alla Siria. Gli americani medicarono la faccenda sostenendo che la carta non rifletteva la politica del Pentagono, ma era una speculazione teorica del colonnello Ralph Peters, un reputatissimo analista militare che scrive sull’Armed Forces Journal.

Fatto sta che, oltre al «Free Kurdistan», la fantasiosa mappa presentava anche un «Great Balochistan» creato a spese del 40% del territorio pakistano; e anche la North Western Frontier Province pakistana appariva nella mappa assegnata all’Afghanistan, secondo il colonnello Peters a causa «delle affinità linguistiche ed etniche».

Interessante il lato fiscale del progetto. Il Pakistan è una federazione, e la struttura federale è basata su trasferimenti degli introiti fiscali dal governo centrale alle provincie. Nel 1990, nota Chossudovsky, la Jugoslavia, indebitatissima con l’estero, dovette - su ingiunzione del Fondo Monetario - sospendere i trasferimenti agli Stati federali per destinare gli introiti fiscali al «servizio» del debito. Ciò pose le basi per il secessionismo balcanico (3).

La stessa cosa è stata imposta dal 1999  al Pakistan, e sempre dal Fondo Monetario, insieme alle consuete misure di austerità (battezzate «risanamenti strutturali») e privatizzazioni forzate con vendite degli enti di Stato più prosperi ai creditori, fra cui appunto la petrolifera nazionale.

Il Paese ha un debito estero pari a 40 miliardi di dollari; non eccessivo, per una nazione che dispone di riserve petrolifere di almeno 300 milioni di barili,e molto di più se si considerano i giacimenti off-shore. Ma il FMI ritiene di dover imporre misure draconiane a questo fragile debitore.

Il gioco è reso più facile dal fatto che gli USA dispongono in Pakistan di varie basi militari; che controllano lo spazio aereo del Paese; e che, con la motivazione della «guerra al terrorismo», «le forze speciali USA hanno molto espanso la loro presenza in Pakistan, con parte di uno sforzo di addestramento e sostegno di forze locali di contro-guerriglia e la creazione di unità clandestine di anti-terrorismo»: così scrisse sul Washington Post, nel dicembre 2007, il giornalista William Arkin.

Fra i gruppi addestrati ci sarà il BLA? Proviamo a indovinare (4).

Si aggiunga che più di recente, gli USA hanno fatto sapere che, in caso di disfacimento o disordini acuti, le loro truppe si riservano di compiere azioni-lampo in Pakistan per impadronirsi delle testate atomiche, onde metterle in sicurezza.

Certe operazioni coperte, nota Chossudovskyy, «sono state spesso sincronizzate con l’imposizione delle riforme macro-economiche del Fondo Monetario e della Banca Mondiale»: la «povertà di massa» che producono «aumenta le tensioni sociali ed etniche».




1) «America’s plan to breaking  up Pakistan cited in Senate», Pakistan Daily, 30 agosto 2008.
2) Michael Chossudovsky, «The destabilization of Pakistan», Global Research, 30 dicembre 2007.
3) Ciò potrebbe gettare qualche luce inquietante sul progetto federalista della Lega Nord, che viene imposto praticamente senza discussione?
4) «Il 27 luglio i servizi di intelligence pakistani hanno accusato il Reasearch and Analysis Wind indiano (lo spionaggio di Delhi) e il Mossad di lavorare insieme ad eccitare disordini nei pressi del confine afghano, e di pianificare attività terroristiche dentro il Pakistan in complicità col il Khad, il servizio segreto afghano», così Debka File, («Islamabad: Israel’s Mossad and Indian intelligence stir up trouble against Pakistan», 27 lulio 2008).


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