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Pechino: basta minacce all’Iran
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E alla fine, la Cina ha perso la pazienza. Il primo ministro Wen Jiabao si è fatto intervistare dalla CNN per la prima volta in cinque anni, per dire: «Le grandi potenze devono perseguire colloqui pacifici con l’Iran anzichè ricorrere ostinatamente alla forza o all’intimidazione di usare la forza» (1).

E’ chiaro il messaggio a Israele e alle sue continue minacce di annichilire l’Iran a suon di bombe. Ancor più è chiaro il messaggio a Washington: Pechino è il maggior creditore degli Stati Uniti, l’America dipende dalla buona volontà cinese di continuare a comprare i suoi Buoni del Tesoro; dunque il mondo unipolare è finito. E quando Pechino ha qualcosa da dire, è bene che il più grande debitore mondiale ne tenga conto.

E’ il primo segnale di come l’implosione finanziaria dell’ex superpotenza stia cambiando il mondo.

L’uscita di Wen Jiabao suona come la pietra tombale agli ostinati sforzi giudaico-americani di imporre a Teheran nuove e più dure sanzioni internazionali. Le pressioni USA sul Consiglio di Sicurezza per indurire le sanzioni come punizione contro l’arricchimento dell’uranio in Iran, perdono ogni giorno efficacia.

Nell’ultima riunione, Mosca si è opposta all’adozione di altre sanzioni: «La Russia non intende punire alcuno», ha detto il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, accettando di riconfermare le sanzioni precedenti. La Cina si è silenziosamente accodata. Poi, ecco l’intervista del primo ministro alla CNN.

«E’ come fra due individui. Se uno minaccia un altro e lo mette con le spalle al muro, l’effetto è controproducente. La violenza non aiuta a risolvere il problema. E il nostro scopo è risolvere il problema, non aumentare la tensione».

La lobby ebraica non ha ancora tanto potere a Pechino. Dove ha suscitato irritazione un fatto preciso: la IAEA, l’ente dell’ONU addetto al controllo della non-proliferazione, ha anche nei giorni  scorsi affermato che non ha trovato nei programmi di arricchimento iraniani nessun «componente di arma nucleare» nè «studi relativi alla fisica dell’armamento nucleare»; e invece, USA, Israele e (ovvio) gli europei dicono il contrario. Con quali prove?

Washington ha detto che la sua intelligence ha «trovato» un laptop (sic) che ha nella memoria le prove del programma militare iraniano. Il diplomatico iraniano all’ONU, Soltanyeh, ha chiesto di vedere i documenti originali che si dicono contenuti nella memoria del presunto laptop. La IAEA ha dovuto rispondere che Washington non glieli aveva forniti.

Tutti ricordano, ohimè, quanto valeva la famosa «intelligence» americana a proposito delle armi di distruzione di massa di Saddam, dell’uranio del Niger che secondo «l’intelligence» Saddam s’era accaparrato, e della fabbrica semovente di gas nervini ripresa da satelliti-spia, e poi rivelatasi un camion per il lancio di palloni metereologici gonfiati ad elio.

Quattro anni fa, a questa «intelligence» il mondo diplomatico doveva far finta di credere; ora che l’America va con il cappello in mano a chiedere aiuti finanziari ai suoi creditori, non è più necessario.

Sì, perchè – come ha rivelato la TV Al-Akhbar – gli emirati del Golfo stanno ricevendo «rudi pressioni» dagli Stati Uniti perchè partecipino al piano di salvataggiio di Wall Street ideato da Paulson (2). Ma i fondi sovrani dei principati petroliferi hanno già fatto la loro parte nei mesi scorsi, hanno incassato gravi perdite, e nicchiano. Persino la Qatar Investment Authority, ha detto no alla pressione di investire nei mercati USA, preferendo quelli asiatici.

I tempi sono proprio cambiati; e molto presto. McCain («bom, bomb, bomb Iran») non oserebbe nemmenbo più canterellare «bomb, bomb, bomb Qatar». Anzi, persino nella stessa America si deve registrare una prima sconfitta dell’AIPAC, American Israeli Political committee (3).

La lobby aveva premuto da maggio per l’approvazione di una legge che impegnava gli USA ad un vero e proprio blocco aeronavale contro l’Iran, un atto di guerra secondo il diritto internazionale, che nel fraseggio autorizzava il presidente Bush a compiere atti di guerra «calda».

Ebbene: il progetto, HJ Res 362, fortemente appoggiato dall’AIPAC che ha lavorato alle costole ogni deputato e senatore, è stato bocciato e depennato. Anche per un’azione di contro-lobby di gruppi ebraici come «Americans for Peace Now», che vogliono invece che l’amminisrrazione si impegni in colloqui diretti con Teheran.

L’AIPAC non ha mai avuto una così esplicita smentita da deputati e senatori che, di solito, obbedivano timorosi ai suoi ordini. Ora si propone di ripresentare il progetto al prossimo Congresso, dopo le elezioni presidenziali di novembre. Ma i tempi e gli umori cambiano così rapidamente, in questi giorni di implosione.

Solo gli europei tardano a capire. Il ministro tedesco degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier, ha richiamato il suo ambasciatore dall’Iran perchè l’addetto militare germanico... ha presenziato alla parata militare avvenuta a Teheran, alla presenza di Ahmadinejad (4) e ciò naturalmente offende i kippà.

Forse sarà bene diventare coscienti di un fatto: il mondo è ridiventato multipolare, ciò significa che la posizione «umanitario-moralista», e la paralisi della «memoria dell’olocausto», a cui s’è relegata l’Europa all’ombra degli Stati Uniti, non sono più adeguate ai tempi.

Gli Stati Uniti sono, ogni ora di più, un immenso vuoto di potere. La storia non è finita nel 1945, anzi ricomincia. Bisogna reimparare a fare politica internazionale, da soli, sulle proprie gambe.




1) «China calls for end to «force» against Iran», Press TV, 29 settembre 2008.
2) «American pressures on the Gulf states to save Wall Street», Al Akhbar, 29 settembre 2008.
3) Jim Lobe, «Israel lobby loses on Iran resolution», Asia Times, 30 settembre 2008.
4) «Germany recalls Iran ambassador for questioning.», Reuters, 28 settembre 2008.


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