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Anticristo e «Chiesa debole»
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Gnosticismo e rivelazione nelle teorie di Cacciari. Che giungono fino a Dossetti e ai «buonisti» di oggi

San Tomaso d’Aquino giustificò con parole chiarissime l’utilità spirituale delle leggi di Stato, e specie della repressione penale: il loro scopo, disse, è «abituare a evitare il male e a compiere il bene per timore della pena, in modo che poi esso sia compiuto spontaneamente» («Summa Theologica», I, II, quaestio 42, a.2). Ma in ogni tempo vi sono stati dei super-puri, dei «cathari», che hanno spregiato gli imperfetti codici penali in nome della perfetta carità: antica, ostinata illusione gnostica - che l’uomo debba vivere di purissimo Amore, «senza puntelli nella società» - che ha avuto la sua realizzazione più radicale nel comunismo.

Uno dei primi atti di Lenin salito al potere fu di cancellare la pena di morte: che nemmeno Stalin ripristinò. Mao Dsedong giunse ad abolire tutti i codici legali: sosteneva anche lui la convinzione che gli uomini dovessero ormai vivere di purissima e liberissima dedizione reciproca, senza bisogno di legge. Ne risultarono, come sappiamo, milioni di esecuzioni di massa, ma «per via amministrativa», ossia come atto di polizia, senza processi né garanzie legali.

Il che è in fondo logico: non solo perché senza il diritto, nessuno ha più diritti. Il motivo è più profondamente radicato nella malattia non-diagnosticata del mondo contemporaneo: il primato dell’azione e della volontà sulla ragione.

«Tutta la nostra politica», ha scritto Luciano Amerio, «è un sistema di negazione della ragione [...] che nega vi sia qualcosa di anteriore all’amore, alla volontà, alla forza dell’azione». Giù giù da Lutero fino a don Giuseppe Dossetti, il primato della fede «pura» (ossia cieca, anteriore alla ragione e alla comprensione), che equivale alla «pura» volontà, è stato affermato anche con accenti dichiaratamente religiosi.

Oggi, i residui di tutte le ideologie e di tutti i catharismi, «pii» o «laici», senza più pretendere di costruire ferrei totalitarismi dell’amore, erodono tuttavia efficacemente l'ordinamento civile fondato sul diritto naturale, per cosi dire dal basso, con la forza della «tolleranza», della «solidarietà», del «pensiero debole». Nasce da qui lo sfilacciarsi dell’ordine legale cristiano, con effetti che già vediamo bene: negli aborti di Stato, la vita torna a «non chiedere pietà»; l’innocente senza voce può essere ucciso.

E’ il katéchon che si indebolisce: e l’Anticristo comincia a coagularsi nella nostra vita.

Pietro, l’anticristo

Cosi è bene che sia, dice Cacciari: perché «Il katéchon opera per la sua fine, è per la morte nel senso più perfetto [...]; ogni sua ‘vittoria’ lo sconfigge [...]. Il suo contenere-indugiare-formare è un dramma che non può condurre ad alcuna catarsi (‘Dell’Inizio’, pagina 627)», «per il contrasto fondamentale tra l’opera del katéchon e il ‘mandatum’ evangelico (pagina 626)». La fede di chi vuol salvare il katéchon non è abbastanza «pura», perché non osa liberarsi di questo «puntello umano».

Questo contrasto fondamentale tra katéchon e «mandatum» di Cristo non è dovuto solo al fatto che «se il katéchon non fosse, saremmo già nel giorno del Signore». Per Cacciari, il punto è che «il katéchon custodisce in sé l’Anomos». La Chiesa custodisce l’Anticristo dentro di sé.

E’ un’affermazione diabolica, a cui Cacciari giunge con una interpretazione capziosa della Lettera di Paolo. Là dove Paolo dice: «Sapete ciò che trattiene (“katéchein”, trattenere) l’Anticristo», Cacciari chiosa: «E’ del tutto erroneo tradurre il ‘katéchein’ come se si trattasse di un semplice opporsi esteriore: [...] Il katéchon trattiene l’Anomos dal manifestarsi integralmente, dal compiere la sua apocalisse - ma proprio col tenerlo stretto in sé, col detenerlo. […] Contrastando [l’anomia], la custodisce […]; nel detenere in sé l’iniquità, la difende anche dall’annientamento» (pagina 624). Insomma, «trattenendo (in sé) il trionfo dell’anomia, il katéchon trattiene, però, anche la parousìa del Signore» (ivi).

Non si deve arretrare davanti all’interna contraddizione: la Chiesa - e specificamente «Pietro», il Papa in quanto ordinatore, katéchon - è quel male che ritarda la parousia del Signore, e la piena liberazione dei figli dalla Legge, precisamente perché si sforza di arginare il dilagare del male nel mondo: è, in una parola, l’Anticristo proprio perché chiama male il male, e bene il bene.

Cacciari non arretra. Assegna la contraddizione all’interno della Chiesa. Il voler essere «Romana» la rende imperfetta, e in insanabile contraddizione col suo essere «Santa»: perché, invece di vivere di «pura» fede, confida nella forza del diritto.

La gnosi di Cacciari ce ne assicura, e vuol provarlo con il racconto della moltiplicazione dei pesci.

Gesù chiede agli apostoli di nutrire i parvuli seguaci, «perché non vengano meno»: «Perché questi parvuli stiano ‘ben connessi’ è necessario, in ogni senso, nutrirli. Ma - attenzione, questo è decisivo - non lo possono i discepoli [...]. E’ Cristo che nutre» (pagina 633).

Ciò equivale a configurare due Chiese opposte, e l’una esotericamente celata nell’altra. La più interiore, dei cathari: «Soltanto i ‘perfecti’, infatti, potranno vivere ogni istante come ‘eschaton’, e vuotarsi perfettamente nell’accoglierlo» (pagina 636), aspettando il loro cibo direttamente da Cristo; è questa la Chiesa «tutta rivolta a trasfigurare i parvuli in pieni eredi» (pagina 634).

«L’altra [Chiesa invece] costretta sempre nel vincolo che connette la legge al peccato, ‘Nomos’ del peccato, destinata ad esser tolta di mezzo dalla stessa apostasia, che essa invano tenta di
governare» (ivi).

E ancora ricalcando un vecchio motivo gnostico, Cacciari oppone la Chiesa «di Giovanni» - mistica, ascetica, composta di «puri» che possono fare a meno di ogni ordine sociale - alla Chiesa
«di Pietro», volta all’etica, alla società, intenta a governare i parvuli impuri e ancora servi,
a elaborare la «dottrina sociale cristiana».

E’ la Chiesa che «non può avere alcuna fede nella fede dell’uomo» (pagina 630), condannata: l’Anomos. nella sua «rivelazione», la disperderà.

In conclusione: «il senso di quest’azione (il «trattenere» l’Anticristo) non potrà mai essere condiviso da chi ha fede nella Verità» (pagina 626). Per i puri che hanno la Verità, l’apostasia dalla Chiesa di Pietro diventa necessaria, per accelerare la parousia del Signore. Del resto, in condizioni analoghe, «anche Paolo è accusato di apostasia dalla Legge mosaica» (pagina 622), ma proprio la sua apostasia gli ha lucrato la salvezza.

Paolo è il primo apostata dalla Legge, che ci ha indicato l’esempio: anche i cristiani devono secedere dalla Legge della Chiesa. Difatti alla fine dei tempi, «come potrà Pietro distinguere ciò che viene da Dio?» (pagina 660). Come potrà capire che è l’Anomos il Salvatore che la Croce indica? La Chiesa lo accuserà come Anticristo, invece di accoglierlo come Liberatore. Ma Cacciari sa che nell’apostasia è la salvezza, nell’anomia criminale l’ascesi purificatrice.

Suggeritore di cardinali

E’ l’apostasia che Cacciari consiglia obliquamente ai fedeli e ai cardinali che frequenta: disobbedire al katéchon, opporsi alle sue tradizioni.

«Le tradizioni staranno se starà questa Pietra - e questa Pietra resisterà alle ‘portae inferi’ se verrà riconosciuto il mandato di Pietro» (pagina 633). Ma «potrebbe la Chiesa (a differenza del katéchon) operare volontariamente-liberamente per la sua stessa fine? Soltanto se potessimo presupporre in essa la conoscenza del Fine» (pagina 636), che è l’inaudita identità del Filius Perditionis con il Liberatore.

Appunto questa gnosi, questa «vera conoscenza del Fine», Cacciari vuole instillare nei fedeli e nei prelati: per questo scrive i suoi libri, frequenta i convegni ecclesiali, si fa ascoltare da certi porporati.

Il fatto tragico è che nella Chiesa contemporanea fermenta un lievito, che predispone Adami ed Ève in abiti talari a prestare orecchio al tentatore Cacciari.

Come ha mostrato Piero Vassallo (1), il cattolicesimo neo-solidarista («buonista») italiano è intimamente succubo della visione di Lutero, «secondo la quale tutto ciò che non è fede è peccato», tutto ciò che non è immediatamente Dio è anti-dio. E’ in questa prospettiva che don Giuseppe Dossetti, l’ideologo politico-religioso dei «buonisti», giunge a rifiutare la ragione umana come anti-dio rispetto alla «pura» fede.

Don Dossetti, ad esempio, è ben conscio che il principio posto da Aristotele, «nihil volitum nisi precognitum» (non si può volere senza prima sapere ciò che si vuole), è posto da San Tomaso a fondamento della fede cattolica come fede ragionevole («è impossibile che ciò che ci è stato consegnato per fede da Dio sia contrario a ciò che per natura ci è insito»); conscio che questo principio sta alla base di tutta la civiltà occidentale cristiana, persino delle leggi degli Stati, della scienza, della concezione della natura.

Tuttavia, don Dossetti sostiene che la pura fede deve «ribaltare tutta l’impostazione occidentale, rimandando all’impostazione ebraica originale» (2). L’impostazione ebraica «originale», per lui, sarebbe un «credere e volere» anteriore al «conoscere», cieco irrazionalismo: «Essi [gli ebrei] scelsero un’adesione al bene precedente alla scelta tra bene e male». La accettarono per «pura» fede: «L’atto con la quale essi accettarono la torah precede la conoscenza». Difatti, posti di fronte alle tavole della Legge da Mosé, non hanno detto gli ebrei «faremo e udiremo»?

Il «fare» prima di «ascoltare»: il primato marxiano della prassi tradotto nel «buonistico» primato della Fede sulla legge.

Come si può capire, ciò già dispone Dossetti alla tentazione di Cacciari. La sua è già la «Chiesa di Giovanni», la comunità di coloro che vivono di «pura fede» e presumono di poter fare a meno del katéchon, di istituzioni giuste nella società.

Come dice precisamente don Dossetti: i cristiani «vivranno di fede nuda e pura [...] senza puntelli, senza presidi di sorta umanamente parlando». E’ una Chiesa che già sta allontanandosi da Pietro, dal Papa che non si stanca di chiedere che le leggi dello Stato incarnino la legge naturale.

Quella di Dossetti è infatti una Chiesa «invisibile». Una «famiglia di figli di Dio», precisa l’ideologo buonista, «legati ad un vincolo sempre più sottile e invisibile [...] posto nella nostra interiorità» (3).

Una Chiesa che rinuncia ad ordinare; che si suicida, come chiede Cacciari, per non fare ostacolo all’Anticristo che irrompe. O anzi, per mettersi al suo servizio.

Difatti, l’asserzione che il cristiano deve vivere «senza puntelli, senza presidi di sorta», non può non condurre alla convinzione che il cristiano debba desiderare - per vivere la sua fede più perfettamente - di vivere in uno Stato tanto più anticristiano.

E’ proprio questo uno degli esiti «politici» del dossettismo: l’adesione, nell’intimismo, alle leggi di fatto di uno Stato ingiusto, dettate da «poteri forti» e da egemonie culturali anticristici.

Dice lo stesso il cardinal Carlo Maria Martini, di cui Cacciari è confidente, quando raccomanda ai cattolici di evitare la «tentazione» d’imporre «valori anche preminenti», ove tale impostazione «fosse tale da provocare una deflagrazione della convivenza»: ossia - nella pratica politicante - una rottura dei cattolici buonisti con i post-comunisti e i laicisti massonici nell’alleanza di sinistra.

Occorrerà precisare che anche per il cardinal Martini, «la nostra religione non è ancorata nel Verbo, è fondata sull’Amore», dunque non sulla Verità ma sulla Volontà? La volontà separata dall’intelligenza, l’Amore senza il Conoscere, lo Spirito opposto a Cristo-Verbo: la cacciariana Chiesa di Giovanni, nemica della Chiesa di Pietro, ha forse già il suo antipapa.

Ciò che le parole di Martini e Dossetti prefigurano è l’altro esito politico, quello che aspetta il dossettismo quando va al potere: l’instaurazione di una «dittatura morale» dove il cittadino è sempre colpevole perché può essere accusato di non sforzarsi mai abbastanza di vivere di «pura fede», di «solidarietà», di «impegno»: la repubblica degli Incorruttibili, l’avanguardia iniziatico-politica che vive austeramente perché trova le sue soddisfazioni nell’esercizio di una Volontà d’Amore che, mai controllata dalla ragionevolezza, si rivela presto per una cosa già nota: la Volontà di Potenza nietzscheana, anche se alquanto degradata in ambizione di potere personale tinta di moralismo.

Ma più gravi di quelli politici sono gli esiti spirituali.

Chi dice: «la nostra legge non è ancorata nel Verbo, ma nell’Amore», aderisce più di quanto sappia a una Chiesa che è in realtà la gnosi di Cacciari, alla sua sapienza nichilistica. Stabilisce un’opposizione fra Verbo e Amore che Paolo avrebbe aborrito: San Paolo, in cui Cacciari saluta il precursore degli apostati venturi, in realtà seppe sicuramente «vivere ogni istante come eschaton». Eppure non rinunciò ad appellarsi al diritto, come «civis romanus»: dunque, lui, non opponeva la Chiesa dei puri al katéchon, alle istituzioni ordinatrici.

Il Cristo che ride

Contro ai banditori ecclesiastici dell’Amore superatore del Verbo, occorrerà ricordare che quello a cui Cacciari li tenta è precisamente il «peccato che non sarà perdonato». Che altro è annunciare lo Spirito come «polo opposto della Croce», e l’Anticristo, l’Anomos, il «rovesciatore di tutti i valori», l’«omicida fin dall’inizio», come il Liberatore che ci rende figli, la Terza Persona?

Altro non può essere che il peccato contro lo Spirito.

Ciò che Cacciari bandisce non è suo pensiero. Egli non fa che accogliere e concentrare con chiara coscienza un pensiero che corre nei secoli sempre uguale, e che annuncia Satana come Liberatore.

E’ la corrente che da secoli prepara lo stato d’animo collettivo per cui - quando apparirà il Filius Perditionis, chiunque sia - il mondo accoglierà questa creatura come Dio.

Senza questi precursori, l’impostore resterebbe un impostore: non potrebbe «sedersi nel tempio di Dio dichiarando dio se stesso».

Ora, per la prima volta, questa mentalità infetta la Chiesa al suo interno. Il segno è dei più sinistri.

Ma Cacciari fida nell’ottenebramento che il sentimentalismo ha indotto nei religiosi. La perdita della capacità di rabbrividire.

Infatti, per aderire alla fede di Cacciari, piccolo anticristo, bisogna non rabbrividire davanti al nuovo Cristo che egli annuncia: il Cristo che ride. Ilare, «hilaròs» è infatti il Liberatore annunciato da Cacciari dalla pagina 666 del suo libro: Cristo «il giullare».

Ilare come fu detto «Hilaria [...] il giorno culminante delle feste romane in onore di Cibele: l’esplosione di giubilo che annuncia la resurrezione di Attis, il dies sanguinis» (pagina 668). Perché - dice Cacciari interpretando Francesco d’Assisi, si da farne il dionisiaco annunciatore dell’Anomos, «una nostalgia di ‘alta nichilitate’ promana dallo stesso culmine dell’‘altissima povertà’ e sposa i suoi accenti con quelli dell’hilaritas: uno struggente anelito di morte percorre il laetum carmen del giullare della Croce» (pagina 673).

Qui, l’alta nichilitate francescana è travisata in nichilismo, l’altissima povertà in svuotamento, kénosis: e la hilaritas, la «letizia» francescana, si tramuta nel riso di Zarathustra che danza come un giullare sull’orlo dell’abisso, del seguace evoliano di Dioniso che «vuole la sua caduta sino in fondo, senza terrore e senza sofferenza».

E’ il caso di ricordare che anche il Cristo ridens è un’immagine promanata da un pensiero antico, ricorrente?

Un testo gnostico, citato come «Trattato VII,2» in «The Nag Hammadi Library in English» (4), afferma che Cristo rise dall’alto della croce: particolare in cui Samek Lodovici ha visto «l’esempio più macroscopico dell’impossibilità gnostica ad accettare una sofferenza significativa» (5).

(3. Fine)


Articoli correlati:

Il dio di Massimo Cacciari /1

Il dio di Massimo Cacciari /2





1) Piero Vassallo, «L’Ideologia del Regresso», M. D’Auria Editore, Napoli, 1996, pagina 53.
2) «Impossibile est quod ea quae per fidem nobis traduntur divinitus sint contraria his quae per natura nobis sunt indita»: è la risposta che San Tommaso dà a chi oppone fede e ragione, grazie e natura.
3) Giuseppe Dossetti, «Sentinella, quanto resta della notte?», Lavoro, Roma, 1966.
4) Leiden 1977, pagina 332, a cura di James M. Robinson.
5) Emanuele Samek Lodovici, «Metamorfosi della Gnosi», citato, pagina 11 n.


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