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Chi ha ucciso il presidente?
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Abraham Lincoln fu ucciso la sera del 14 aprile 1865, al teatro Ford, da un uomo che poi si tolse la vita: John Wilkes Booth. L’assassinio del presidente scatenò sei settimane di linciaggio: poco mancò che venisse impiccato come mandante il generale Lee, l’eroico comandante dei confederati sudisti, sconfitto nella guerra di secessione. Tuttavia, l’affannosa inchiesta e il terrore giudiziario instaurati non bastarono a identificare una congiura.

Risultò che Booth, poche ore prima di sparare a Lincoln, aveva fatto visita a Washington a tale Simon Wolf. Costui testimoniò che Booth era disperato perché una donna aveva appena respinto la sua domanda di matrimonio e aveva bevuto parecchio. Ciò bastò a far rientrare John Wilkes Booth nella categoria degli «squilibrati», attentatori presidenziali «senza movente», di cui la storia americana doveva poi dare tanti numerosi esemplari, da Lee Oswald, l’omicida di John F. Kennedy, a quel John W. Hinckley che il 30 marzo 1981 sparò e ferì Ronald Reagan, per attirare su di sé, così si giustificò, l’attenzione dell’attrice cinematografica Jodie Foster, di cui era innamorato (1).

In tutti i casi, la versione dello «squilibrato solitario» è servita a scoprire strane lacune nelle indagini.

  Una compagnia filodrammatica

Nel caso dell’assassinio di Lincoln le lacune sono ancora più inspiegabili. Simon Wolf, l’ultimo uomo a parlare con l’attentatore John W. Booth, non era affatto ignoto alla polizia: nel 1861, all’inizio della Guerra Civile, era stato arrestato dal controspionaggio militare (US Army Counter Intelligence) perché sospettato di spionaggio a favore dei Sudisti.

Wolf era appena giunto a Washington da Cleveland, in cui era stato galoppino elettorale di August Belmont, caporione del Partito Democratico, rappresentante in USA della banca Rotschild, e già ambasciatore americano in Olanda.

A Cleveland Simon Wolf guidava inoltre, con il suo amico e collega Benjamin Peixotto, una compagnia filodrammatica ebraica, nella quale aveva recitato l’assassino di Lincoln, John W. Booth. E Peixotto aveva diretto il Cleveland Plain Dealer, un giornale cosi violentemente pro-schiavista che fu chiuso a furor di popolo durante la Guerra di Secessione. Tuttavia, i due non furono perseguiti come mandanti dell’attentato.

Perché?

Forse può rispondere in parte alla domanda un fatto preciso. Simon Wolf era allora il rappresentante a Washington, e Benjamin Peixotto il presidente internazionale, del B’nai B’rith.

Si tratta della Massoneria «riservata» agli ebrei, che era stata creata pochi decenni prima a New York, il 13 ottobre 1843: ciò che ne fa una delle più antiche organizzazioni americane ancora viventi.

Nascita del B’nai B’rith

Quel giorno del 1843, quando i fondatori si riunirono nel Café Sinsheimer di Wall Street, chiamarono la neonata organizzazione «Bundes Breudet» (Lega dei Fratelli): in tedesco, perché molti di loro parlavano solo tedesco o yiddish. Solo più tardi, quando ormai la Loggia ebraica era insediata nel tempio massonico tra Oliver e Henry Street, ne cambiarono il nome nell’ebraico B’nai B’rith, e assunsero come simbolo il candelabro a sette braccia.

Gli scopi della Loggia, come si leggono nell’atto di fondazione, sono caratteristici: unire i principi religiosi dell’ebraismo con quelli filantropici della Massoneria, onde rischiarare «come un faro il mondo intero»; esercitare il mutuo soccorso tra gli adepti, e ovviamente difendere la causa degli ebrei in USA.

A questo scopo, all’inizio del ’900, il B’naiB’rith ha fondato la «Anti-Defamation League» (ADL), la temibile lobby che denuncia e persegue «ogni discriminazione anti-giudaica» (2). Simon Wolf, il confidente dell’omicida di Lincoln, figura appunto tra i fondatori della ADL.

Durante la Guerra di Secessione, un numero stranamente alto di membri del B’nai B’rith - in contrasto coi sentimenti dominanti fra gli ebrei americani, per lo più socialisti emigrati dalla Germania, e perciò democratici antischiavisti - fu accusato o sospettato di spionaggio per i Confederati del Sud.

Oltre a Wolf, l’US Army Counter Intelligence arrestò nel 1862, nella città di Memphis (Tennessee) appena occupata dall’esercito nordista, Abraham E. Frankland, inglese di nascita: costui - che confessò - risultò un agente di Isaac Wise, capo del B’nai B’rith a Cincinnati, di cui riparleremo.

In carcere, Frankland rimase poco: fu rilasciato perché qualcuno pagò per lui la cauzione, allora colossale, di 20 mila dollari.

Sul New York Times

Nei giorni della sua permanenza in prigione, Frankland ricevette cibo e vestiario da Julius Ochs: e la moglie di Ochs, Bertha, era stata a sua volta arrestata perché scoperta a contrabbandare medicinali per i Sudisti nella carrozzina del suo bambino. E anche quel bambino, divenuto adulto, occuperà una parte nella storia americana: si tratta di Adolph Ochs, che sposerà la figlia di Isaac Wise, e diverrà capostipite della famiglia proprietaria del New York Times.

La figlia di Adolph Ochs sposerà Arthur Sulzberger, influente figura di commentatore politico «liberal», interessante - ma in America non unico - miscuglio di sinistrismo e di sentimenti oligarchici.

Diversi fili di questa storia uniscono dunque le spie ebraiche sudiste, e l’assassino di Lincoln, a Isaac Wise, il capo del B’nai B’rith nel Midwest.

Di lui si sa che nel 1863, avendo osato candidarsi a senatore per lo Stato dell’Ohio;fu costretto a rinunciarvi per la sollevazione della comunità ebraica locale, che lo accusava di essere un razzista.

Di fatto, pare che tra il 1845 e il 1860, Wise avesse diffuso una società segreta molto simile al Ku Klux Klan, che caldeggiava la secessione schiavista: i «Cavalieri del Cerchio d’Oro», sparsisi in pochi anni dal Mississippi alla Louisiana al Texas: la stessa via di diffusione seguita dalle logge del B’nai B’rith, come ha sostenuto il giornalista americano Anton Chaitkin (3).

In quest’opera di agitazione clandestina, Wise era affiancato da un cittadino britannico: Killian H. van Rensselaer, capo della Massoneria di Rito Scozzese, (giurisdizione nord) degli Stati Uniti.

Il Rito Scozzese, va notato, è leale alla corona d’Inghilterra e ad essa intimamente legato (il suo Gran Maestro è invariabilmente il duca di Kent, fratello minore del sovrano regnante a Londra): questa mano invisibile della politica britannica riappare qua e là nella complessa trama che stiamo narrando, e per noi il fatto è della più alta importanza.

La mano britannica

Negli anni in cui Wise cospirava per la secessione in Ohio, faceva lo stesso in Louisiana il senatore Judah Benjamin, membro influente del B’nai B’rith, in stretto collegamento con Albert Pike, il capo del Rito Scozzese giurisdizione sud.

Nella Massoneria, Albert Pike è una figura assai rispettata: autore di un celebre testo di regole massoniche (Morals and Dogmas, pubblicato nel 1871), corrispondente di Mazzini (4), il suo monumento orna un parco a Washington, dov’è onorato come giurista e apostolo della libertà dei popoli; anche se si crede - ma l’accusa è contestata nella Massoneria - che proprio Pike sia stato il fondatore del Ku Klux Klan.

Certissimi invece i legami di Pike con la cerchia dove maturò l’assassinio di Lincoln: finita la Guerra di Secessione, Pike nominò Abraham Frankland - l’inglese confesso di spionaggio sudista - a capo del Rito Scozzese per il Tennessee, mentre Isaac Wise nominava lo stesso Frankland presidente del B’nai B’rith per il Tennessee, il Mississippi, l’Alabama e l’Arkansas.

Quanto al collaboratore intimo di Pike, Judah Benjamin, nel suo ufficio fu trovato - dopo l’attentato al presidente Lincoln - un apparecchio codificatore per lettere cifrate, che pare si adattasse al foglietto in cifra trovato addosso a John W. Booth, l’assassino di Lincoln.

Entrambi i reperti sono esposti, l’uno accanto all’altro, al museo che commemora l’attentato presso il Teatro Ford di Washington.

Il «liberismo» imperiale

Resterebbero da capire i motivi del coinvolgimento del B’nai B ’rith a fianco della Secessione schiavista, in cosi stridente contrasto con i sentimenti della comunità ebraica americana. Forse, proprio i legami con l’Inghilterra possono offrire il bandolo.

La Secessione degli Stati del Sud era sicuramente nei voti dell’Inghilterra, non solo per indebolire l’antica colonia americana resasi indipendente, ma in base alla sua ideologia liberista.

L’impero britannico infatti prevedeva, in un ordine economico mondiale basato sul Wise libero mercato», che ciascun Paese si specializzasse (secondo le teorie di Adam Smith e di David Ricardo) nelle sole produzioni in cui godesse di un «vantaggio competitivo»: all’America, l’ordine britannico riservava il ruolo di grande Paese agricolo cotoniero (com’era appunto il sud schiavista).

Londra perciò ostacolò in ogni modo lo sviluppo degli Stati Uniti come potenza industriale avanzata.

Ora, proprio per volontà di Lincoln, e grazie a misura protezioniste, l’America aveva imboccato la via della creazione di una propria industria nazionale: non era difficile prevedere che presto il grande Paese atlantico non avrebbe più avuto bisogno di importare macchinari e locomotive da Birmingham e da Londra, ma anzi sarebbe diventato il più temibile concorrente del Regno Unito in questi settori.

Per di più, durante la Guerra Civile, Lincoln aveva stampato moneta di Stato: ossia non biglietti di banca, ma dollari (popolarmente chiamati greenbacks) che non comportavano l’indebitamento della nazione coi banchieri internazionali.

Il «modello» di finanza monetaria rappresentato dalla Banca d’Inghilterra - «indipendente» dallo Stato, e prestatrice alla nazione della moneta nazionale - veniva messo in pericolo da questo esempio.

Sarà il caso di ricordare che nessuno degli statisti che hanno osato emettere moneta di Stato (negando all’alta finanza quel suo profitto primario) è mai morto di morte naturale.

Ma come l’Inghilterra riusci a coinvolgere gli ebrei americani nelle sue manovre contro gli Stati Uniti?

Forse, bisognerebbe guardare alla situazione creatasi nell’impero ottomano nel 1840, giusto negli anni in cui a Wall Street nasceva il B’nai B’rith.

L’impero del sultano era «il grande malato»; le potenze europee si ritagliavano zone d’influenza nel vuoto di potere creato dalla sua crisi irreversibile. I francesi, per ingerirsi dei fatti interni dell’impero turco, si erano dichiarati tutori dei cattolici che vivevano entro i confini ottomani, in Libano e in Siria; lo Zar si era dichiarato protettore degli ortodossi. Gli inglesi si proclamarono «i protettori naturali degli ebrei».

In questa «protezione», era già contenuta implicita la promessa - come disse in quegli anni il cognato di Lord Palmerston, il Conte di Shaftesbury - «del reinsediamento (degli ebrei) sul suolo della Palestina».

Certo da allora cominciò la discreta collaborazione tra il governo di sua maestà e gli ambienti finanziari israeliti, che sarebbe sboccata nella «Dichiarazione Balfour»: la lettera, indirizzata a Lord Rotschild dal ministro degli Esteri britannico Sir Arthur Balfour in cui, il 18 luglio 1917, il governo di Londra appoggiava «la creazione di una sede nazionale ebraica in Palestina», allora territorio ottomano.

In cambio di un simile dono, lo Stato d’Israele, non stupirebbe che certi ambienti ebraici avessero appoggiato le più oscure trame inglesi in America (5).





1) Di fatto il 31 marzo 1981, il giorno seguente l’attentato a Reagan, l’agenzia Associated Press lanciava il seguente dispaccio: «La famiglia dell’uomo accusato del tentato omicidio del presidente Reagan è in rapporti amichevoli con la famiglia del vicepresidente George Bush, che ha contribuito finanziariamente alla campagna elettorale di questo (...) John W. Hinckley, lo sparatore, avrebbe dovuto cenare stasera a Denver a casa di Neil Bush, figlio del vicepresidente. È stato impossibile mettersi in contatto con il padre, Scott Hinckley, vicepresidente della ditta Vanderbilt Energy Corp.». Nessun grande giornale americano riportò questa notizia; né le indagini imboccarono la direzione che essa indicava. Anche se è ovvio che, se Reagan fosse morto, George Bush - ex direttore della CIA - ne avrebbe preso il posto.
2) La ADL è stata accusata nei primi anni ’90 di schedatura di veri o presunti «antisemiti»; ossia d’intellettuali, docenti, gruppi politici e associazioni religiose catalogati, in un modo o nell’altro, come ostili agli interessi d’Israele. L’FBI ha per questo perquisito le sedi dell’ADL a San Francisco e a Los Angeles il 10 dicembre 1992 e l’8 aprile 1993, sequestrando
materiale che pare essere (come ha scritto il San Francisco Chronicle) «la punta dell’iceberg di una rete di spionaggio nazionale»; molte schede e informazioni su «antisemiti» in possesso dell’ADL erano palesemente sottratte ad organi di polizia locali.
3) Anton Chaitkin, America’s «Young America» movement: slaveholders and the B’nai B’rith, in Executive Intelligence Rewiew, Aprii 15,1994, pagina 28.
4) I rapporti di Mazzini con precisi ambienti ebraico-britannici sono noti. La sua ultima amante, Sarah Nathan, era inglese: e il figlio di Sarah, Emesto Nathan, resterà cittadino britannico anche quando diverrà Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia e, dopo Porta Pia, sindaco laico (anzi, biliosamente anticlericale) di Roma.
5) Sarebbe interessante esplorare il lato «mazziniano» di queste trame. Certo è che, come i britannici furono generosi di appoggi al fondatore della «Giovine Italia», cosi lo furono con i «Giovani Turchi», ossia con gli ufficiali ottomani (per lo più dunmeh, ebrei convertiti all’Islam) che a Costantinopoli e Salonicco tramavano contro il sultano e per la repubblica. E uno dei fondatori del B’nai B’rith, Edwind De Leon - mercante di schiavi in South Carolina e più tardi capo dei servizi segreti confederati - nel 1845 cercò di fondare senza successo una «Giovane America» filo-schiavista e secessionista.



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