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Iraq: i curdi massacrano i cristiani
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«Noi cristiani non vogliamo essere parte di questo (Stato curdo). Vogliamo essere con il governo centrale. Vogliamo vivere con i nostri connazionali di tutto il Paese»: così il vescovo Shlemon Warduni, la seconda autorità  cattolica dell’Iraq. I vescovi iracheni hanno voluto un incontro con il primo ministro Nouri al-Maliki, dove hanno espresso tutti i loro timori sulla sopravvivenza dei cristiani nella città di Mossul e nella sua provincia, Ninive. E contemporaneamente, hanno invitato le loro piccole comunità cristiane, benchè terrorizzate, a rifiutare «l’annessione dei loro villaggi nella regione autonoma del Kurdistan».

Così è tutto più chiaro. Non sono non meglio identificati islamisti ad uccidere i cristiani in quella zona (anzi le autorità religiose islamiche hanno condannato quegli eccidi), e men che meno la fantomatica «al Qaeda» spesso chiamati in causa dai media italiani.

Sono i curdi collaborazionisti e separatisti, che hanno formato uno Stato autonomo di fatto, il KRG (Kurdish Regional Government) e - assistiti dal Mossad, che ha i suoi uffici aperti nel territorio - vogliono modificare la composizione etnica di Mossul - che vogliono come loro capitale, al centro della ricca zona petrolifera - e di Kirkuk, in vista di una votazione per decidere il destino della zona.

Nell’ultimo mese, come si sa (o forse non si sa, grazie ai media) almeno 13 cristiani assiri sono stati assassinati, in modo da indurre gli altri (15 mila almeno) a fuggire, abbandonando il terrotorio ai curdi; la stessa tecnica usata dagli israeliani a Deir Yasin nel 1948 per far fuggire i palestinesi dai campi che Sion voleva per sè.

Che siano stati i curdi non c’è dubbio: la zona è sotto il controllo della milizia curda del KRG, e il potere di Baghdad, e di Al-Maliki, è solo nominale. Nonostante tutto, il 17 ottobre scorso la polizia irachena ha arrestato sei uomini implicati negli omicidi mirati dei cristiani: su sei, quattro avevano un passato nella milizia curda del KRG (1).

Molti cristiani hanno trovato un precario rifugio in Giordania, altri sono riparati a Beirut. Lì il generale Michel Kaldano, aiutante del vescovato caldeo di Beirut, ha sollecitato un incontro con i membri della Commissione USA per la Libertà Religiosa, chiedendo un aiuto urgente.

«Da quando è stato assassinato il vescovo (caldeo) Faraj Rahho a febbraio, la situazione è molto peggiorata», ha detto il generale: «Fino a pochi mesi fa i cristiani attaccati a Baghdad e a Bassora fuggivano al nord (curdo), nella relativa sicurezza della piana di Ninive (dove i cristiani sono insediati da millenni), ospiti di parenti o degli antichi conventi. Ora scappano  anche da lì, anche i vecchi vogliono andar via».

Naturalmente, nessuna Commissione proteggerà i cristiani caldei e assiri in Iraq. Ai curdi, gli USA e Israele hanno promesso uno Stato autonomo, e si sta eseguendo il piano di smembramento dell’Iraq in tre ministati etnici religiosamente omogenei (sunniti, sciiti, curdi) preconizzato negli anni ’80 dalla rivista ebraica Kivunim; nel quadro non c’è mai stato un posto per la minoranza cristiana, a cui è riservata la pulizia etnica.

Tutto questo ricorda sinistramente un orribile precedente: il genocidio degli armeni compiuto dai Giovani Turchi nel 1915. I capi dei Giovani Turchi erano quasi tutti dunmeh, ossia cripto-giudei seguaci del seicentesco «messia» Sabbatai Zevi, che sull’esempio del loro capo s’erano falsamente convertiti all’Islam (2).

Nel 1909, con un colpo di Stato, detronizzarono il sultano, che un membro della loro giunta (Emmanuel Carasso, ebreo veneziano, capo della loggia turca «Macedonia Resurrecta») mise agli arresti domiciliari (3); subito la giunta golpista, il «Comitato Unione e Progresso», organizzò a freddo il massacro dei cristiani. Furono sterminati un milione e mezzo di armeni su 2,5 milioni che erano; ma anche - cosa meno nota - mezzo milione di greci e mezzo milione di Assiri.

L’odio attivo dei dunmeh era concentrato contro i cristiani.

Il Comitato Unione e Progresso creò una forza paramilitare per condurre il massacro, detta «Organizzazione Speciale», guidata da un direttorio di cui faceva parte Mustafa Kemal, che sarebbe passato alla storia come Ataturk; l’eccidio fu tuttavia compiuto sotto il comando di Taalat Pascià, ministro dell’Interno, un altro dunmeh.

Non ci furono lager nè camere a gas: centinaia di migliaia di armeni, donne, vecchi e bambini, furono obbligati a camminare a piedi nei deserti medio-orientali, a morire di fame, di sete e di percosse. Lungo il penoso percorso, i disgraziati erano per di più rapinati e angariati dagli abitanti dei villaggi, che estorcevano loro gli ultimi denari per un bicchiere d’acqua o un poco di cibo, o un passaggio su un carro.

Ma in quell’opera ripugnante e vile si distinsero i curdi. I gendarmi che controllavano le colonne dei disperati, correvano avanti ad avvertire i villaggi curdi che stavano arrivando le vittime; i curdi si precipitavano su quei poveretti e li sottoponevano a trattamenti orrendi.

Quali, l’ha raccontato l’ambasciatore degli Stati Uniti dell’epoca, Henry Morgenthau:

«Durante circa sei mesi, dall'aprile all'ottobre del 1915, quasi tutte le grandi vie dell'Asia Minore erano intasate da queste orde di esiliati. Si poteva vederle affollare le valli, o scalare i fianchi di quasi tutte le montagne, marciando e marciando sempre senza sapere dove, se non che ogni sentiero conduceva alla morte. Villaggi dopo villaggi, città dopo città, furono spogliati della loro popolazione armena, in condizioni simili. Durante questi sei mesi, da quanto si può sapere, circa 1.200.000 persone furono indirizzate verso il deserto della Siria. “Pregate per noi”, dicevano, abbandonando i focolari che 2.500 anni prima avevano fondato i loro avi. “Non torneremo mai piú su queste terre, ma noi ci ritroveremo un giorno. Pregate per noi!”. Avevano appena abbandonato il suolo natale che i supplizi cominciavano; le strade che dovevano seguire non erano che dei sentieri per muli dove procedeva la processione, trasformata in una ressa informe e confusa. Le donne erano separate dai bambini, i mariti dalle mogli. I vecchi restavano indietro esausti, i piedi doloranti. I conduttori dei carri trainati dai buoi, dopo avere estorto ai loro clienti gli ultimi quattrini, li gettavano a terra, loro e i loro beni, facevano dietro front e se ne tornavano ai villaggi, alla ricerca di nuove vittime. Cosí, in breve tempo, tutti, giovani e vecchi, si ritrovavano costretti a marciare a piedi; e i gendarmi che erano stati inviati, per cosí dire, per proteggere gli esiliati, si trasformavano in veri carnefici. Li seguivano, baionetta in canna, pungolando chiunque facesse cenno di rallentare l'andatura. Coloro i quali cercavano di arrestarsi per riprendere fiato, o che cadevano sulla strada morti di fatica, erano brutalizzati e costretti a raggiungere al piú presto la massa ondeggiante. Maltrattavano anche le donne incinte e se qualcuna, e ciò avveniva spesso, si accovacciava ai lati della strada per partorire, l'obbligavano ad alzarsi immediatamente e a raggiungere la carovana. Inoltre, durante tutto il viaggio, bisognava incessantemente difendersi dagli attacchi dei musulmani. Distaccamenti di gendarmi in testa alle carovane partivano per annunciare alle tribú curde che le loro vittime si avvicinavano e ai paesani turchi che il loro desiderio finalmente si realizzava. Lo stesso governo aveva aperto le prigioni e rilasciato i criminali, a condizione che si comportassero da buoni maomettani all'arrivo degli armeni. (...) A qualche ora di marcia dal punto di partenza, i curdi accorrevano dall'alto delle loro montagne, si precipitavano sulle ragazze giovani e, spogliandole, stupravano le piú belle, come pure i bambini che piacevano loro, e rapinavano senza pietà tutta la carovana, rubando il denaro e le provvigioni, abbandonando cosí gli sfortunati alla fame e allo sgomento» ( Morgenthau H., Ambassador Morghentau's Story, Sterndale Classics, London, 2003).

La storia si ripete, il che non è strano. I curdi sono sempre gli stessi. Stesso spirito. E stessi alleati.




1) Kenneth Timmerman, «Assyians: martyrs in Iraq?»,  Globalresearch, 27 ottobre 2008.
2) Fra I giornali che si pubblicarono in Turchia sotto la giunta Unione e Progresso, uno aveva come testata (in francese) «Le Jeune Turc». Lo dirigeva Vladimir Jabotinski, l’ebreo sionista di Odessa, fondatore del partito israeliano oggi chiamato Likud. Il motivo per cui l’odio dei dunmeh si concentrò in modo speciale sugli armeni è chiarito dalla Voce «Armenia» della Universal Jewish Encyclopedia (New York, 1939, pagina 482): «Gli armeni sono ritenuti (dagli ebrei) discendenti degli Amaleciti, e sono perciò chiamati dagli ebrei orientali anche Timheh («Tu sarai cancellato», Deuteronomio 25: 19, in riferimento agli amaleciti)». Gli amaleciti sono, originariamente, un popolo citato nella Bibbia, di cui YHWH ordina la totale distruzione. La discendenza degli armeni dagli antichi amaleciti è ovviamente del tutto fantastica; nella pratica, l’odio dev’essere nato dal fatto che, nell’impero ottomano, gli armeni erano concorrenti dei mercanti e degli affaristi ebrei, spesso più intraprendenti.
3) L’ambasciatore britannico Gerard Lowter scrisse al Foreign Office, il 29 maggio 1910, un interessante rapporto dove informava che Emmanuel Carasso «è uno di quelli che hanno arrestato Abdul Hamid» (il sultano), tenendolo «confinato in casa dei banchieri ebrei italiani del Comitato unione e Progresso». L’allusione è alla Banca Commerciale Italiana, fondata dagli ebrei Otto Joel e Federico Weil, che finanziò i Giovani Turchi (il loro inviato nella zona era il futuro conte Volpi di Misurata). L’ambasciatore Lowter segnala anche che Carasso «è appoggiato da Nathan» (Ernesto Nathan, il sindaco massone di Roma, ebreo, figlio dell’amante di Mazzini, Sarah Nathan) nonchè «da Luzzatto e Sonnino, i due premier italiani»; segnala che l’Italia ha mandato come console a Salonicco (città di 140 mila abitanti di cui 80 mila ebrei e 20 mila dunmeh) un tal «Primo Levi, che non appartiene alla carriera diplomatica». Segnala inoltre Talat Pascià, il ministro dell’Interno della giunta giovane-turca, come «cripto-giudeo». Decisamente, non era ancora arrivata l’epoca del politicamente corretto; e la Massoneria italiana ebbe una parte da protagonista nel colpo di stato dei Giovani Turchi.


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