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Il generale George Patton fu ucciso in un attentato congiunto dell’OSS (futura CIA) e dei sovietici? Lo afferma lo storico militare Roberto Wilcox nel suo ultimo libro, «Target Patton», di prossima uscita (1). Wilcox ha intervistato l’uomo che ebbe l’ordine di liquidare il troppo popolare generale dal capo dell’OSS, «Wild Bill» Donovan.

Questo sicario, di nome Douglas Bazata, era un paracadutista del gruppo Jedburgh, l’unità di élite che fu lanciata nella Francia occupata per preparare la resistenza francese a organizzare azioni di disturbo nell’imminenza dello sbarco in Normandia. Superdecorato (anche con la Croix de Guerre francese), Bazata dopo la guerra divenne un noto artista, amico di Salvador Dalì. Esiste un quadro di Dalì che ritrae Bazata come don Chisciotte. E’ stato assistente di John Lehman, segretario alla Marina sotto Reagan, che poi - guarda caso - è stato membro della Commissione sull’11 settembre.

Bazata è morto nel 1999; Wilcox l’ha intervistato a lungo («Alla fine, i suoi omicidi gli rimordevano») e ne pubblica parte dei diari.

Ufficialmente, il generale Patton è morto per i postumi di un grave incidente d’auto avvenuto a Mannheim; Bazata ha raccontato a Wilcox come fosse stato lui a organizzare l’incidente, mandando un autocarro militare contro la Cadillac del generale, e poi sparandogli con un proiettile a bassa velocità che gli ruppe la spina dorsale (altri passeggeri nella Cadillac restarono illesi). Tuttavia, grazie alla sua forte fibra, Patton non morì; stava per essere rimandato in volo in USA, per continuare le cure.

A quel punto, secondo il testimone, intervennero gli agenti del NKVD (il futuro KGB) che finirono il lavoro, avvelenandolo, mentre «l’OSS guardava dall’altra parte».

Incredibile? Forse. Ma Wilcox, che è uno storico serio, ha cercato elementi di riscontro. Ha scoperto che nessuna autospia è mai stata fatta al corpo del generale. Che l’autista dell’autocarro responsabile dell’incidente fu spedito a Londra in fretta, prima che qualcuno potesse interrogarlo. E che almeno cinque documenti riguardanti l’incidente sono stati rimossi dagli archivi militari USA. Inoltre, con l’assistenza di un esperto della Cadillac, ritiene di aver appurato che la Cadillac esposta nel museo dedicato a Patton a Fort Knox  non è quella che Patton guidava nel giorno fatale.

Soprattutto, lo storico ha rintracciato un altro testimone - Stephen Skubik, che allora era ufficiale nel controspionaggio (US Army Counter-Intelligence Corps ) - il quale gli ha confermato quanto segue: Skubik aveva appurato che Stalin aveva messo Patton nella lista delle persone da eliminare; aveva ripetutamente avvertito il capo dell’OSS, il già citato generale Bill Donovan; come risultato della sua insistenza, si era trovato rimpatriato in America per ordine di Donovan.

Ma perchè l’OSS avrebbe voluto uccidere Patton? Secondo Bazata, quando Donovan gli diede l’ordine di eliminare il generale, gli disse: «Abbiamo una situazione difficile con questo grande patriota; è fuori controllo, e noi dobbiamo salvarlo da se stesso e impedirgli di rovinare tutto ciò che gli alleati hanno ottenuto».

Si sa che il generale Patton, che comandava la Terza Armata USA, che portò a penetrare profondamente in Francia dopo il D-Day, intendeva arrivare a Berlino prima dei sovietici, mossa che avrebbe impedito il dominio dell’URSS nell’Est Europeo.
Ma Dwight Eisenhower, il comandante supremo alleato, per favorire Stalin ordinò che la Terza Armata si arrestasse sulle sue posizioni, e per maggior sicurezza (Patton era noto come testa calda, e aveva espresso la volontà di continuare la guerra, stavolta contro l’Armata Rossa) ordinò che i rifornimenti di carburante destinati alla Terza Armata fossero invece dati alle truppe del britannico e cautissimo generale Montgomery. Lasciando che Mosca si incamerasse l’Est e metà della Germania.

Per di più, Patton accusava Eisenhower (che reputava, giustamente, un mediocre) di avergli impedito di chiudere la cosiddetta Sacca di Falaise nell’autunno del 1944, una falla attraverso cui esfiltrarono centinaia di migliaia di soldati tedeschi; quegli stessi che poi scatenarono la controffensiva invernale bloccando le forze USA nell’area di Bastogne, e costò decine di migliaia di vite di soldati americani, anche per assideramento. A quel punto, Patton - popolarissimo tra le truppe e l’opinione pubblica - annunciò le sue dimissioni.

«E non credo che Eisenhower sarebbe mai stato eletto presidente, se Patton avesse potuto dire le cose che sapeva» dell’offensiva in Europa, conclude Wilcox.

Chissà, forse tra sessant’anni simili rivelazioni di persone nel frattempo defunte intaccheranno la versione ufficiale dell’11 settembre; e come oggi, sarà sempre  possibile agli scettici liquidare il tutto come invenzioni senza prove. Ma chi esclude di principio che la democrazia americana possa fare «certe cose», farà bene a dare una scorsa al manuale operativo FM 3-05.130, emanato nel settembre 2008 dall’Army Special Operation Forces con il titolo «Unconventional Warfare» (2).

Questo manuale della guerra non-convenzionale di 248 pagine, di diffusione «ristretta» (a chi lo riceve è consigliato, se occorre, di «distruggerlo con qualunque metodo che valga a impedire la rivelazione o la ricostruzione del contenuto») è stato però reso noto da anonime fonti.

La lettura è difficile per via dell’orgia di sigle che lo punteggiano (una mania del Pentagono): UW (Unconventional warfare), IW (irregular warfare), CT (counterterrorism), CMO (Civil military operations), ARSOF, DOS (Dipartmento di Stato), COIN (contro-insurrezione), SSTR (attività di ricostruzione per guadagnare le menti e i cuori) eccetera. Ma dietro le sigle, si scopre una quantità di indicazioni su come usare attività delittuose internazionali come il traffico di droga, transazioni finanziarie illegali, utilizzo della «legalità» contro i nemici, e come alimentare di menzogne i media (IO, PSYOP).

Il manuale esordisce: «UW (la guerra non-convenzionale) deve essere condotta da, con, attraverso ‘surrogati’; e tali surrogati hanno da essere forze irregolari».

Insomma, gli USA hanno messo a punto sistemi di sovversione, con l’uso e il finanziamento di interposti gruppi locali. Non è un mistero, visto che in  Kossovo hanno dato più di una mano al KLA (armata di liberazione kossovara), composta di delinquenti comuni, attraverso una nota organizzazione islamica detta Al Qaeda, finanziata dai sauditi.

Il manuale (pagine 1-3) specifica: «Irregolari, o forze irregolari, sono detti individui o gruppi che non sono membri di una forza armata regolare, di polizia o di altre forze di sicurezza interna.  Sono in genere non sostenuti da uno Stato e di conseguenza non inceppate dalle legalità e dai confini di Stati sovrani. Queste forze includono, ma non sono limitate a, forze paramilitari, contractors, individui, uomini d’affari, organizzazioni politiche straniere, organizzazioni di resistenza o insorte, espatriati, avversari del terrorismo transnazionale, membri distaccatisi dal terrorismo internazionale, borsaneristi, e altri ‘indesiderabili’ sociali o politici».

Come esempio, il manuale cita «i Contras del Nicaragua negli anni ‘80» e «i mujaheddin nell’Afghanistan anni ‘80». Poteva citare il KLA, le organizzazioni tipo Gladio, i narcos sudamericani e quelli afghani. O gli attivisti delle rivoluzioni colorate in Ucraina, Georgia e Asia russa.

Lo «scopo strategico» della UW come della IW è «guadagnare e mantenere il controllo o l’influenza sulla popolazione, e sostenere la popolazione con metodi politici, psicologici, economici». La guerra non convenzionale richiede «di comprendere di dinamiche sociali quali le politiche tribali, le reti sociali, le influenze religiose, e i costumi culturali... Per aver successo, la IW deve stabilire relazioni e partnership a livello locale. Benchè la IW sia una lotta violenta, non tutti gli irregolari o le forze irregolari sono necessariamente armate».

Naturalmente questi irregolari o surrogati, avverte il manuale, «possono vivere di attività criminali, come il narcotraffico e il traffico di esseri umani nella UWOA (ossia nell’area operativa soggetta a guerra non-convenzionale)». A volte, «i metodi e le reti di gruppi realmente - o percepiti come - criminali possono essere utili a supporto di uno sforzo bellico non-convenzionale USA» (pagine 2-7). Possono essere la base su cui i commandos delle Forze Speciali  (SF) possono lavorare formare forze «sotterranee» (underground) o «ausiliarie» nel territorio da sovvertire con la UW.

Avverte il manuale: «Nello sviluppo e addestramento di elementi sotterranei c’è più partecipazione di SF di quanto comunemente si creda o si ammetta. Questa partecipazione è per lo più segreta ed è inappropriato includerla in questo manuale» (pagina 5-5).

Magari si scoprirebbe qualcosa sugli «attentatori suicidi» in Iraq? Chissà.

«L’organizzazione della popolazione indigena generale da cui le forze irregolari provengono - la base di massa - deve essere condotta primariamente dalla organizzazione irregolare stessa, sotto la guida indiretta dele SF (forze speciali USA). L’utilità primaria della base di massa nella UW non è tanto una questione di organizzazione formale, quanto di ‘portare’ gruppi di popolazione ad agire in modi specifici, che sono convenienti alla campagna di guerra non-convenzionale complessiva.  La popolazione generale o la società nel suo complesso, è concepita come uno sforzo operativo più che un dato strutturale per l’ARSOF (Army Special Operation Forces) nella UW. La base di massa  è divisa in tre gruppi distinti: ‘pro’, ‘contro’ e coloro che sono senza posizione, indecisi o ambivalenti. ARSOF, i clandestini (undergound) e gli ausiliari conducono le attività irregolari per influenzare o far leva su questi gruppi. Questi gruppi possono essere o no al corrente della natura UW delle operazioni in cui vengono utilizzati» (pagina 5-5).

Naturalmente non si trascura la manipolazione dei media:

«E’ importante per le agenzie ufficiali, comprese le forze armate, riconoscere il ruolo fondamentale dei media come condutture d’informazione. Il USG (governo USA) usa la SG (comunicazione strategica) per guidare dall’alto l’uso di strumenti informativi attraverso informazione, temi, messaggi coordinati e prodotti sincronizzati con gli altri strumenti della potenza nazionale. Le forze armate sostengono i temi della SG attraverso le IO (Operazioni d’informazione), i PA (affari pubblici) e il supporto della difesa alla diplomazia aperta (DSPD).  Le forze armate devono assicurare che l’accesso dei media sia coerente con le norme di segretezza, la sicurezza delle operazioni, le restrizioni legali e la privacy individuale (sic).  (...)  Il successo nelle operazioni militari dipende nell’acquisire e integrare informazioni essenziali e nel negarle all’avversario. Le forze armate sono responsabili della conduzione delle IO, di proteggere ciò che non deve essere reso noto e di attaccare aggressivamente i sistemi informativi dell’avversario. Le IO possono richiedere l’approvazione e la coordinazione al livello nazionale» (pagine 2-2).

A livello nazionale?

Infatti: «ARSOF (Army Special Operation Forces) possono collaborare con DOS (dipartimento di Stato, il ministero degli Esteri) per identificare e impegnare specifiche TAs (Target Audiences, pubblici-bersaglio) capaci di influire sui comportamenti di una UWOA (zona soggetta a guerra non-convenzionale), siano queste opinioni pubbliche interne alla UWOA o esterne, ma capaci di influenzarla. Il USG (governo) può quindi assoggettare queste Tas (settori di opinioni pubbliche) direttamente o indirettamente, a una campagna di diplomazia aperta del DOS coordinata in modo da sostenere lo sforzo di guerra non-convenzionale».

E questa attività verso opinioni pubbliche-bersaglio della propaganda (pardon, influenza informativa) va diretta anche all’interno, verso la popolazione americana.

Infatti: «Siccome la UW (guerra non-convenzionale) può essere uno sforzo di lunga durata o politicamente delicato, ARSOF, il DOS, l’Ufficio Affari Pubblici possono plasmare una campagna di PA (pubblica percezione) intesa a mantenere l’audience nazionale americana  informata della verità in modo da mantenerla favorevole ai fini dell’USG e della efficacia prosecuzione della UW» (pagine 2-3).

Lo spazio manca per più ampie citazioni. Ma una lettura di queste direttive spiega un preciso allarme dei Paesi arabi riguardo allo strano e nuovo fenomeno della pirateria al largo della Somalia.

Troppo ben armati, troppo forniti di armi sofisticate (si parla di missili a guida satellitare e contraerea) e di sofisticati apparecchi di comunicazione (e posizionatori computerizzati) ha scritto il 25 novembre il quotidiano saudita Al-Iqtissadia: «Ciò che avviene nel Corno d’Africa non è un caso banale di pirateria... Questi atti hanno sollevato dichiarazioni sull’internazionalizzazione del Mar Rosso, in seno al quale lo Stato ostile, Israele, occuperebbe un posto cruciale. Chi ha interesse a una tale internazionalizzazione?» (3).

E il quotidiano Al-Riyadh: «Questi atti di pirateria sono premeditati. Sono sponsorizzati da uno Stato o da una organizzazione che cerca di provocare tensione e instabilità nel Mar Rosso avendo in vista obbiettivi strategici».

«Questa organizzazione mira a convincere la comunità internazionale a sorvegliare il mare col pretesto di  garantire la sicurezza di navigazione e impedire la consegna di armamenti agli agitatori nella regione».

Effettivamente, le azioni di pirati somali islamici danneggiano soprattutto altri Paesi islamici: dall’Egitto (che perde diritti di passaggio delle navi dal Canale di Suez) all’Arabia Saudita (che inoltra per il Mar Rosso il 30% del suo export petrolifero) allo Yemen, il cui traffico passa per quel mare. I pirati hanno ancora in loro possesso una superpetroliera saudita, la Star Syrius. I giornali sauditi allarmatissimi parlano del Mar Rosso come «il polmone arabo», il «solo mare su cui si affacciano esclusivamente Paesi arabi», adesso in pericolo.

In ottobre il presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, ha visitato le capitali vicine per convincere i Paesi arabi rivieraschi ad assumersi in proprio la difesa del mare, per scongiurare ogni pretesto di internazionalizzazione del Mar Rosso. Il segretario del movimento salafita del Kuweit, sceicco Hamed Al Ali, ha fatto appello ai «mujaheddin della Somalia» di «eliminare i pirati i cui atti irresponsabili sono sfruttati dagli occidentali a beneficio del piano sionista e per far fallire il progetto islamico in Somalia».

Il «piano sionista» non è un segreto nei Paesi petroliferi: verte sull’oleodotto Ceyhan -Tbilisi - Baku, che dovrebbe portare il greggio del Caspio a Ceyhan in Turchia attraverso «l’amica» Georgia. E da quel porto ad Israele su petroliere, precisamente ad Ashkelon.

Ma Israele non vuole il petrolio del Caspio solo per il suo consumo interno. Il grande business - per cui esiste un preciso progetto - è di scaricare il petrolio nell’oleodotto che va da Ashkelon ad Eilat, attraversando esclusivamente il territorio israeliano; e poi reimbarcato ad Eilat per fornire, con petroliere, l’Asia e la Cina; e non solo con l’invio di greggio, ma di prodotti raffinati nella raffineria israeliana di Ashdod.

Ciò non solo escluderebbe dal traffico il Canale di Suez ossia l’Egitto, ma in qualche modo ridurrebbe l’importanza strategica del golfo Persico come centro e snodo dei rifornimenti petroliferi verso l’estremo Oriente. Israele invece diverrebbe lo snodo strategico e il fornitore petrolifero primario di India, Cina e Corea del Sud; con profitti di miliardi di dollari.

Il progetto è così politicamente lucroso, che forse giustifica - per dirla nel gergo del Pentagono -  l’innesco di una UW (guerra non-convenzionale) condotta non direttamente ma «attraverso surrogati», ossia «irregolari», criminali comuni e «indesiderabili sociali»; che basta fornire di armi sofisticate abbastanza da tenere in scacco le poche navi militari impegnate a combattere la pirateria.

Da pochi giorni Washington ha ottenuto dall’ONU il mandato legale per perseguire i pirati somali, anche inseguendoli sul territorio della Somalia. La richiesta è stata avanzata dall’Army Special Operation Forces, l’ARSOF che ha emanato la direttiva del Pentagono sulla guerra non-convenzionale.




1) Tim Shipman, «General George S. Patton was assassinated to silence his criticism of allied war leaders claims new book «, Telegraph, 20 dicembre 2008.
2) Il documeno è stato pubblicato su Internet: http://www.wikileaks.org/leak/us-fm3-05-130.pdf
3) «La presse saoudienne accuse srael de sponsoriser la piraterie au large des cotes somaliennes»,  Planète non-violence, 11 dicembre 2008.


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