>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
Soros, Occupy Wall Street. E noi
Stampa
  Text size
Il movimento Occupy Wall Street, gli indignados che in USA dimostrano contro la Borsa di New York e che si espande velocemente in altre città, non è poi tanto spontaneo. Ad affermarlo sono due amici stimati e studiosi attenti dei poteri oligarchici americani: Wayne Madsen e Webster Tarpley.

Madsen è il più esplicito ad indicare in George Soros il manipolatore del movimento: Occupy The Wall Street

Il miliardario ebreo-ungherese, attraverso la sua fondazione culturale Open Society Institute, ha notoriamente promosso e finanziato innumerevoli rivoluzioni colorate nell’Est.

tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt ttttttttttttttttt ttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt ttttttttttttttttt ttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt
Se ne è vantato lui stesso:

«Le mie fondazioni hanno contribuito al cambio di regime in Slovacchia nel 1998, in Croazia nel 99, in Yugoslavia nel 2000, mobilitando la società civile per liberarsi di Meciar (lo slovacco), Tudjiman (il croato) e Milosevic».

George Soros
  George Soros
La sua mano s’è vista anche nella rivoluzione delle rose in Georgia nel 2003, quando stanziò 43 milioni di dollari per preparare la spontanea protesta contro l’ex dirigente sovietico Shevarnadze, tra l’altro portando in Georgia attivisti serbi già addestrati. Poi, è entrato nella rivoluzione arancione che in Ucraina ha fatto perdere il potere a Yanukovitch, il candidato preferito di Putin; e nella rivoluzione dei tulipani che in Kirghizistan ha portato alla caduta di Askar Akayev. Tutte operazioni in cui Soros ha agito in pieno accordo con il Dipartimento di Stato e le centrali di sovversione estera del governo americano (dette generalmente ONG, organizzazioni non-governative) perchè si trattava di detronizzare personaggi vicini a Putin, vecchi colleghi sovietici, che avrebbero assicurato anche nel nuovo clima la continuità politico-territoriale della defunta Unione Sovietica.

Oggi, il miliardario concentra dunque il suo temibile apparato di sovversione, col suo ben sperimentato know-how, contro Wall Street?

O per un regime change in America, ma ben controllato, dice Wayne Madsen:

«Gli ordini dati ai suoi infiltrati consistono nellimpadronirsi della leadership vacante nel movimento e farne una piattaforma di sostegno politico ad Obama... con i manifestanti inconsapevoli di rinforzare lo status quo. La strategia sta nellassicurare che nessun dirigente nuovo o sconosciuto, che non sia previamente calibrato’, sorga dallinterno del movimento».

Webster Tarpley giunge alle stesse conclusioni: Occupy Wall Street: Who Wants to Hijack the Movement?

Segnala «la ventina di individui anonimi e misteriosi» che sembrano costituire un occulto comitato-guida del movimento, che si vuole assembleare e senza capi; denuncia la «assoluta incapacità» dei capetti del movimento, intervistati alla TV, «di formulare una singola richiesta o uno straccio di programma che rispondano ai bisogni urgenti del pubblico americano», mentre «sprecano i minuti preziosi» concessi loro dai network «per esaltare le virtù dellimbecille modello orizzontale di consenso come base per una futura Utopia».

Questa inarticolatezza inconcludente sarebbe «ciò che va bene ad Obama», il super-promotore della vaghezza programmatica («Yes, we can...», ma cosa?), dietro cui s’è rivelato il presidente democratico (di sinistra, all’americana) forse più servile a Wall Street e agli interessi della finanza. Al punto da tenersi nel governo personalità che erano state scelte dal repubblicano Bush: Ben Bernanke per un altro mandato alla Federal Reserve, Timothy Geithner come segretario al Tesoro e ambasciatore degli interessi di Wall Street nel mondo (e in Europa), Robert Gates al Pentagono... e soprattutto, coprendo di enormi liquidità le banche speculative, senza esigere da loro la minima contropartita: nè la ristrutturazione dei mutui dei poveri americani che non riescono a pagarli, nè la risurrezione della Legge Glass-Steagall, che vietava alle banche di credito di speculare come banche d’affari. Senza un programma nè richieste precise, il movimento, dice Webster, non è che «una disperata accolita di braccianti per la campagna di rielezione di Obama».

Posso dire che nulla di ciò mi stupisce? La voluta orizzontalità, l’utopico assemblearismo e il rifiuto di capi e gerarchie è una costante dei movimenti detti di sinistra anche in Italia, ormai più anarcoidi che comunisti: girotondini, arcobaleni, e le infinite assemblee del movimento che si vide nel G8 a Genova (con i relativi disordini e manipolazioni) dovrebbero averci insegnato qualcosa, compresa l’inconcludenza complessiva.

Naomi Klein ha del resto avvertito i protestatari: «Essere orizzontali e profondamente democratici è meraviglioso», ha detto arringandoli, ma li ha avvisati che quelle che sfidano «sono le forze economicamente e politicamente più forti del mondo». Quell’1% contro cui i manifestanti gridano di rappresentare il 99%, «amano la crisi... per loro, è il momento ideale per far avanzare le loro politiche: privatizzare listruzione e la sicurezza sociale, tagliare i servizi pubblici, togliersi di torno gli ultimi lacci al potere delle corporation».

Ancor meno stupefacente è che, nel mondo e ancor più in USA, quando nasce un movimento di protesta dal basso, poteri forti intervengano a guidarlo e infiltrarlo, perchè non esca dai limiti voluti, o venga sviato verso obbiettivi falsi e innocui. La strategia è perfettamente riuscita con il movimento Tea Party, libertario, populista e anti-tasse all’inizio, oggi – adottato dagli stipendiati dei due misteriosi miliardari fratelli Koch, ebrei – su posizioni neocon, di cui costituisce l’ala fondamentalista più estrema, tanto da mettere in imbarazzo persino le vecchie volpi del Partito Repubblicano di governo, impedendogli di arrivare ad una qualunque forma di accordo o compromesso con il debole Obama.

Ancor meno strano è che a influire su Occupy Wall Street sia George Soros, che rappresenta a sinistra quel che i fratelli Koch sono per la destra di base.

Soros ha più volte spiegato che egli agisce per un mondialismo «dal volto umano», dentro cui sia contemplata l’eutanasia per i malati terminali (e a questo scopo il suo Open Society Institute ha finanziato con 45 milioni di dollari un think-tank chiamato Project on Death in America, Progetto Morte in America); la legalizzazione delle droghe (finanzia la Drug Policy Alliance, e nel 2010 ha contribuito, con un milione di dollari, al referendum che in California ha cercato di liberalizzare la marijuana); e naturalmente l’aborto libero, al cui scopo finanzia gruppi spontanei come la Pro-Choice America, la National Abortion Federation, il Planned Parenthood (dei Rockefeller); gode dei suoi finanziamenti persino un gruppo chiamato Catholics pro-choice, nominalmente cattolici ma abortisti, che nel complesso hanno ricevuto 15 milioni di dollari da cinque benefattori, che mai avevano contribuito ad alcuna organizzazione cattolica di base: fra cui la Warren Buffett Foundation, dell’omonimo miliardario.

Sono incredibilmente molteplici le entità che Soros finanzia e che portano in USA l’esperienza delle rivoluzioni colorate, per cambiare il sistema dal basso con movimenti sponeanei. Ne possiamo citare solo alcune:

Il Center for Community Change, che nel proprio sito sito si dichiara dedito a «scoprire le stelle progressiste del domani per prepararle a comandare» (www.communitychange.org).

La Gamaliel Foundation (sic), che insegna «tecniche e metodologie del cambiamento sociale» (www.gamaliel.org/)

La Ruckus Society, che promuove «azioni dirette non violente contro istituzioni e politiche ingiuste».

L’Institute for Americas Future, che «raduna ed istruisce con regolarità leader progressisti, organizzazioni, candidati, opinion makers ed attivisti».

La fondazione Democracy For America, che opera come una quasi-università, ed ha addestrato oltre 120 mila reclute sul come «identificare, collegare e addestrare attivisti di base sulle tecniche e strategie per riprenderci il Paese».

Il Sundance Institute, diretto da Robert Redford, ha incorporato un precedente Soros Documentary Fund, che ha prodotto e produce ancora filmati e documentari intesi ad «aumentare la consapevolezza sociale, lazione e il cambiamento sociale» in ordine alla «giustizia sociale». Soros e la sua Open Society hanno contribuito alla Sundance con almeno 10 milioni di dollari.

Dunque, l’anarchismo liberal americano è molto ben allattato e accudito.

Detto questo però, aggiungo che non ritengo la cosa più significativa di quanto non sia. Qualunque movimento allo stato nascente riceve soldi e viene infiltrato da qualche potere. La Germania guglielmina prelevò Lenin dall’esilio a Zurigo per mandarlo ad accendere la rivoluzione bolscevicain Russia. L’oro britannico pagò un giornalista socialista italiano, di nome Mussolini, per far uscire l’Italia dal neutralismo e farla entrare nella grande guerra. Hitler e il suo partitino ebbero finanziamenti da grandi industriali, in funzione anticomunista. Quel che conta è sapere se il movimento in stato nascente resterà al soldo dei progetti dei suoi finanziatori, oppure se ne libererà,realizzando una sua agenda, autonoma o contraria a quegli interessi.

Questa è la domanda che ci si pone a proposito del movimento Occupy Wall Street:

È pericoloso per il Sistema? Può diventarlo?

Può essere indicativa la censura che hanno esercitato sul movimento i grandi media ufficiosi: stupefatti che qualcosa di simile agli indignati non accadesse solo in Spagna, non avendo ricevuto ancora i loro ordini, il New York Times e la CNN si sono attenuti alla ben oliata tattica della informazione pro-oligarchica, ipnotizzata da decenni dal successo della grande finanza: la politica seria di cui si dà conto è solo quella del Congresso, dell’Ammininistrazione, della campagna elettorale presidenziale. Per i grandi media, «le manifestazioni popolari sono senza importanza, per definizione».

La frase è del grande opinionista William Pfaff, che si pone la domanda: manipolato o no, infiltrato o no, un movimento di base, in USA, può cambiare la situazione?

La sua risposta è piuttosto scettica. I soli movimenti popolari che abbiano prodotto qualche cambiamento in USA sono stati, negli anni ‘60, il movimento per i diritti civili (dei negri) e le manifestazioni contro la guerra del Vietnam: queste ultime, però, dopo che 50 mila americani, cittadini di leva, erano morti in Vietnam. Ma non hanno mai avuto un sostegno di massa, dice Pfaff.

È questo il punto. L’indifferenza, la passività del grosso della società americana di fronte alle iniquità e alle miserie inferte dal capitalismo sulla sua pelle. Anche durante la Grande Depressione anni ‘30 non provocò mai vaste proteste popolari: i disoccupati chiedevano l’elemosina, imploranti più che arrabbiati («Brother, can you spare a dime?», fratello,puoi darmi un decino?, suonava una canzone dell’epoca), chiudevano in massa le piccole attività e le fattorie. Nulla: le famiglie caricavano la roba sulla loro Ford e andavano in California, o dovunque le voci dicessero che c’era lavoro. La gente non accennò ad impiccare i politici, nè sparò ai banchieri (anche se guardò con qualche soddisfazione alle rapine in banca di Dillinger e di Bonnie and Clyde).

William Jennings Bryan
  William Jennings Bryan
Per trovare una vasta azione di base con un qualche esito, bisogna risalire agli anni attorno al 1890: una delle tante depressioni che colpì gli Stati agricoli, produttori di cotone e di grani, vide gli agricoltori (costretti a buttare le granaglie invendute) promuovere sommosse (con lo slogan: «Produci meno granturco e più casino!»), una convention di manifestanti in Omaha, e la formazione di un embrionale partito, su un programma anti-oligarchico, ostile ai banchieri, ai padroni delle ferrovie e ai ricconi in generale: il Partito del Popolo, da cui il termine populista che in USA significa, più o meno, fascista. Il partito s’ingrossò, o parve ingrossarsi, al punto che i democratici scelsero uno dei loro capi più vicini al populismo, William Jennings Bryan, a candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti. Oratore trascinante, Bryan proponeva la libera coniazione dell’argento (scavato in vari Stati) contro il Gold Standard che allora vigeva, e che favoriva le elites finanziarie, come antidoto alla depressione-deflazione della maldistribuzione della ricchezza nazionale.

Ma Bryan, nel 1896, perse le elezioni: il movimento populista non era poi così grosso, e inoltre, in alcune sue componenti si divise, diffidando di Bryan che dopo tutto era un democratico, appartenente cioè ad uno dei due partiti storici su cui si appuntavano le ostilità anti-sistema della base. Bryan divenne poi segretario di Stato di Woodrow Wilson – ma solo per dimettersi nel 1916, per limpida e onesta protesta contro l’entrata dell’America nella Grande Guerra. Ma Woodrow Wilson l’aveva promessa al suo manovratore, finanziatore e forse ricattatore (aveva comprato lettere infuocate che il futuro presidente aveva scritto a un’amante) il giudice della Corte Suprema – ed ebreo frankista – Louis Brandeis. Un vero e serio movimento evaporò senza conseguenze per i poteri elitari.

In conclusione, dice Pfaff, «gli americani non sono tanto bravi a montare proteste popolari di successo». In parte, è in causa la civic religion, la credenza religiosa instillata dalla propaganda che l’America è la biblica Città Luminosa sulla Collina, e se le cose vanno male lì, certo vanno peggio in ogni altra parte del mondo. Le rivoluzioni? Sono cose che fanno in Europa, specie i francesi... in America, pensa massicciamente il popolo, «il sistema funziona». Lo credettero anche nel ‘29, perchè Franklin Delano Roosevelt diede l’impressione – parlava tanto bene alla radio – di star facendo qualcosa. E fece, anche: la Work Progress Administration e il Civilian Conservation Corps (per impiegare disoccupati, anche nella riforestazione) l’elettrificazione delle campagne, la Tennessee Valley Authority per risollevare quest’area depressa. Nulla servì veramente: la Depressione durò, e solo l’entrata nella Seconda Guerra Mondiale la fece finire.

Oggi, Obama non dà nemmeno l’impressione di far qualcosa per la crisi. Anzi, il sistema politico è più solidamente che mai controllato dagli interessi finanziari. Pfaff punta il dito anche sulla Corte Suprema, che ha dichiarato protetto dalla libertà di parola «il sistema di pubblicità politica pagata» sui media, sicchè «i milionari hanno cento milioni di volte più libertà di parola del cittadino comune», e che ha riconosciuto alle grandi aziende e corporation lo status di cittadini, il quale dunque può – come un privato – «spendere quanto vuole per far eleggere un candidato politico che, dunque, di fatto è sul libro paga della corporation».

Insomma, il movimento Occupy Wall Street – manipolato che sia e finanziato da Soros – non riuscirà a «ispirare una sollevazione popolare nazionale capace di cacciar fuori i mascalzoni». Non l’ha mai fatto, non è mai riuscito nella storia americana. (Why Americans' Indifference to Street Protests?)

Ed ora godiamoci lo spettacolo, dalla giusta distanza emotiva.





L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.   


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità