>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
repubblica_italiana.jpg
La Costituzione che ci corrompe
Stampa
  Text size
Francesco Cossiga ha parlato talvolta di una «costituzione materiale» sempre più divergente dalla costituzione scritta; la prima essendo la guida della vita pubblica italiana e dei suoi protagonisti, i quali continuano a proclamare la loro sacra fedeltà alla seconda – mentre la violano.

Cossiga ha ragione, anche se ha torto a gongolarne cinicamente come non secondario promotore della costituzione materiale. Perchè quella che indica è la tragedia italiana, la causa della nostra stessa corruzione come popolo. Vale qui un detto storico di Churchill: «Noi plasmiamo le nostre leggi, e poi le nostre leggi ci plasmano».

In un quadro di diritto ingiusto, prodotto di pura forza materiale, i cittadini non possono essere retti. Se siamo corrotti anche moralmente – senza carattere e persino senza intelligenza – è perchè la costituzione vigente è quella corrotta, non più quella scritta da padri fondatori della repubblica.

Per i lettori più giovani, che possono non essere coscienti del tragico problema (di cui sono vittime) si può tentare di descriveregli eventi così: la costituzione repubblicana è stata deformata da una serie di colpi di Stato mal riusciti o riusciti a metà (come tutto ciò che è pubblico in Italia) ma dopo i quali i gruppi golpisti hanno potuto mantenere a proprio vantaggio le quote di potere indebite che avevano afferrato, e vi si sono trincerati.

Provo a fare un rapido elenco dei colpi di Stato malriusciti e deformanti, avvertendo che può essere incompleto.

Il primo è sancito addirittura nella costituzione repubblicana, a cui tutti i cosiddetti responsabili tributano «culto con le labbra». Per reazione alla dittatura – che è radicalmente l’eccesso di potere dell’esecutivo (governo) su tutti gli altri – i padri antifascisti della neo-repubblica sancirono l’eccesso del potere al legislativo, ossia al parlamento. Nelle buone intenzioni di cui è lastricato l’inferno, un forte potere del parlamento servirebbe a controllare il governo esecutivo, a contrastarne gli eventuali arbitri.

Nella pratica italiota, è accaduto il contrario: i governi sono mere espressioni del parlamento e delle sue maggioranze. Il che è grave, perchè infrange un principio fondamentale del diritto pubblico: che i parlamenti devono essere «antagonisti» del governo. Era un principio chiarito fin dai tempi in cui il governo era il re (non eletto) e i parlamenti erano espressione del popolo contribuente, votati dal popolo; quando il sovrano cercava d’imporre nuove tasse, i parlamenti discutevano la congruità delle nuove tasse, e potevano respingerle. I parlamenti davano torto ai governi (motivo per cui venivano convocati il meno possibile; quando decidevano di sedere ad oltranza, senza sciogliersi era la rivoluzione, come in Francia nel 1789).

Oggi, il parlamento dove ha – in questo momento – la maggioranza il polo delle libertà, ha votato il governo del polo delle libertà; e ovviamente, approva per principio quello che il governo decide. Ma è avvenuto così in tutto il passato post-fascista: il parlamento, lungi dal controllare criticamente il governo, ne è il complice. Esecutivo e legislativo non sono due poteri distinti, ma una sola cosa.

Gli effetti deformanti ed eticamente patologici di questo «parlamentarismo» sono numerosissimi.

Per esempio, la trasformazione di fatto dell’IRI in un distributore di tangenti, che non era certo il suo scopo originario, quando il partito unico di governo la creò per salvare e risanare aziende ex-private, abbandonate dai capitalisti, ma giudicate strategiche per la nazione. E siccome nella repubblica antifascista i partiti sono numerosi e avidi di potere e denaro, le tangenti dell’IRI non andavano solo alla DC che aveva la maggioranza, ma ai suoi alleati e anche al grosso partito d’opposizione (PCI) secondo percentuali accuratamente misurate in accordi sottobanco.

Ma gli esempi potrebbero essere moltiplicati. Basterà dire che essi sono compresi nel fenomeno chiamato «consociativismo», dove quelli che sulla carta sono i partiti «d’opposione» sono invece cointeressati alla mala-gestione della cosa pubblica da parte della maggioranza, perchè ne cavano dei vantaggi anche loro.

Tutto ciò che rende insopportabile la vita politica italiota – il numero eccessivo di parlamentari, le loro paghe eccessive che si danno da sè, l’eccessivo numero di leggi inefficaci, la politica «come mestiere» lucroso da esercitare senza scrupoli – viene dall’annullamento di fatto della divisione dei due poteri, sancito dalla costituzione scritta: perchè se le camere non tengono più a freno il governo (sono loro stessi) anche il governo non tiene più a freno il parlamento, che può darsi tutti i privilegi, lussi e immunità un tempo propri della corte di Versailles.

Del resto, è prova del golpe il fatto stesso che il parlamento «siede in permanenza»: come una rivoluzione permanente, ma a vuoto. In Svizzera, vale la pena di ricordare, il parlamento si riunisce due mesi l’anno, essenzialmente per votare o correggere il bilancio presentato dal governo. Là, il deputato non è un mestiere, ma un servizio.

Il risultato peggiore dell’assenza di controllo reciproco fra esecutivo e legislativo è il mostruoso debito pubblico: per coprire il quale noi cittadini paghiamo 73 miliardi di euro di interessi l’anno.

Altro golpe riuscito a metà fu quello dei sindacati. Sulla carta, i sindacati sono libere associazioni private di fatto, senza sovranità perchè di rappresentatività dubbia, in quanto non sancita dal voto «universale» di tutti i cittadini; nella lunga stagione degli «autunni caldi», a forza di scioperi e dunque di atti di forza, essi pretesero di aver parte del «governo», dettargli le condizioni, e imposero politiche nazionali.

Fu allora che lo sciopero – prima sentito come misura estrema e quasi extra-legale, riprovata dal sentire comune, e giustificata dagli stessi scioperanti come triste necessità, esaurite tutte le altre vie di far valere le proprie ragioni – divenne un «diritto» alla maniera italiota, ossia un esercizio normale e regolare del potere. Come il potere del parlamento si esercita in votazioni, quello sindacale si esercita «normalmente» con scioperi e interruzioni di servizi essenziali.

Una delle conseguenze (oltre all’ulteriore crescita della spesa pubblica da malgoverno) fu il brigatismo rosso, forma estrema dell’operaismo. Se il sindacato «dei lavoratori» si imponeva sulle altre categorie e sulle istituzioni con atti di forza, perchè – ragionarono non pochi militanti della «avanguardia operaia» – non adottare la scorciatoia assoluta della violenza pura delle armi, quella delle «esecuzioni» di nemici del popolo, degli espropri proletari e dei sequestri di persona?

Il PCI, come sostenne il sindacato nei suoi arbitrii extra-costituzionali (era la sua cinghia di trasmissione) fu a lungo assai ambiguo di fronte alla Brigate Rosse: sapeva che avevano molti fautori nelle basi sindacali, e a lungo li chiamò «compagni che sbagliano». Solo quando le BR cominciarono ad ammazzare gente del potere, Moro, Casalegno direttore de La Stampa e sindacalisti, fu presa la decisione di debellarle. E furono debellate con mezzi extra-giuridici, come una legislazione che premiava i delatori (i «pentiti»).

Le BR sono finite o quasi, ma la deformazione extra-giuridica è rimasta. La magistratura – il terzo ordine – cominciò ad avere poteri arbitrari, di cui non si lasciò scappare l’occasione di approfittare.

Perchè il colpo di Stato meno mal riuscito d’Italia l’ha messo a segno la magistratura, con Mani Pulite. Poichè molti ancora applaudono a questo golpe, ne condividono l’ideologia («giustizialismo») e ne vogliono la prosecuzione, converrà citare qui Togliatti. Una sua frase, pronunciata alla Camera nel ’63  per bloccare una invasione di campo dei giudici, che testimonia come allora persino al capo del PCI avesse una visione limpida e chiara dei principi fondamentali del diritto pubblico, basati sulla divisione dei poteri:
«La magistratura è un ordine indipendente; essa non è, però, un ordine sovrano. La sovranità appartiene al popolo e per esso al Parlamento. La critica all’operato della magistratura è, pertanto, sempre legittima, ed esercitarla costituisce anche una garanzia contro atti, come quello venuto recentemente alla luce, di aperta e scandalosa violazione dell’immunità parlamentare» (1).
E’ una frase che andrebbe scolpita nel marmo e insegnata a memoria agli scolari. La magistratura è un «ordine», ma non un «potere»; è indipendente, ma non «sovrano», per il fatto che i suoi membri non sono eletti dal popolo sovrano, ma di carriera automatica, proprio per esentarli dalla ricerca degli applausi pubblici, e garantire la loro oggettività super partes. Non essendo sovrani, non devono influire sul governo, come possono fare sbattendo in galera o azzoppando con accuse pretestuose  i politici («Sovrani» per delega popolare). Costoro, aggiunge Togliatti, hanno il diritto legittimo di criticare l’operato della magistratura, quando paia loro arbitrario.

Confrontate questa frase con quelle infinitamente ripetute dagli ex-comunisti pronipoti di Togliatti: «Le sentenze della magistratura non si discutono, si rispettano», eccetera.

Negli anni ’90 fu facile ai procuratori colpire la corruzione dei politici; la corruzione e le mazzette erano, come abbiamo visto, una conseguenza «normale» del consociativismo e del mancato controllo reciproco dei due poteri. Una volta azzerati, con incarcerazioni preventive e avvisi di garanzia spifferati ai giornali (e di colpo diventati sentenze nel sentire comune) tutti i partiti tranne uno – quello che li sosteneva politicamente (il PCI) – avvenne però l’imprevisto: Berlusconi «scese in campo» e con orrore di tutti i politici di mestiere, anche di quelli sotto inchiesta, guadagnò una serqua di voti popolari – ossia la sovranità delegata.

La risposta è una raffica di indagini sul colpevole. Proprio il tipo di atti giudiziari censurato da Togliatti nel ’63. Il capo della procura milanese, Francesco Saverio Borrelli, arrivò a proporsi apertamente come capo di un «governo dei giudici», del tutto ignorato dalla costituzione vigente (in teoria).

Il primo maggio 1994 disse:
«Dovrebbe accadere un cataclisma per cui resta solo in piedi il presidente della repubblica che, come supremo tutore, chiama a raccolta gli uomini della legge; e soltanto in questo caso noi potremmo rispondere. Non basterebbe certo... una folla oceanica raccolta sotto i nostri balconi. Ma a un appello del capo dello Stato, si potrebbe rispondere con un servizio di complemento, questo sì».
Spero che i giovani lettori colgano l’inquivocabile senso golpista di questa frase, meritevole, in un Paese civile, di arresto immediato. Un funzionario, vincitore di pubblico concorso, aspira esplicitamente a governare. E sollecita il capo dello Stato a chiamarlo al Quirinale, come nel 1922 il re chiamò «il cavalier Benito Mussolini», che stava marciando su Roma con decine di migliaia di fascisti, e lo nominò capo del governo.

Borrelli fa presente che anche lui, anche la procura di Mani Pulite allora osannata dalle masse, potrebbe, se volesse, arraffare il potere sulle spalle «di una folla oceanica raccolta sotto i nostri balconi» come il duce a capo dei fascisti armati e marcianti nel ‘22; ma legalitario di mestiere – dopotutto è un magistrato – preferisce la chiamata formale dal capo dello Stato come «tutore della costituzione», onde dare al golpe una parvenza di legalità esteriore.

Ancora una volta, come fece Vittorio Emanuele: «scelse» come capo del governo quello che, comunque, stava per conquistarlo di forza.

La forza delle masse giustizialiste, dietro i Borrelli, Di Pietro e Davigo, c’era sul serio. I giornali autorevoli (mai in Italia i giornali hanno ostacolato una dittatura o un golpe) scrivevano cose come: «In questo momento di rinnovamento vorremmo vedere presidente della repubblica Borrelli e Di Pietro presidente del consiglio; questo sarebbe l’organigramma di una repubblica veramente nuova».

Il presunto tutore della costituzione era Oscar Luigi Scalfaro. E i magistrati milanesi lo tenevano in pugno, per via di 100 milioni di lire in nero che il presidente intascava ogni mese dai servizi segreti, per motivi mai spiegati; Borrelli gli faceva sapere che l’avrebbero «tenuto in piedi», lui solo, a condizione che li «chiamasse a raccolta» a governare.

La vecchia volpe democristiana, terrorizzata di finire nelle galere dove erano finiti quasi tutti i suoi pari, trovò il coraggio del vile, pronunciò a reti unificate il suo «Non ci sto», e tramò un governo alternativo: acquietando nello stesso tempo Borrelli con il regalo della testa di Berlusconi; avrebbe creato un primo governo di «tecnici», banchieri centrali, del tutto extra-legale e non contemplato dalla costituzione scritta. Ma ormai, la costituzione materiale l’aveva abbastanza deformata da consentire questo ed altro.

Remigio Cavedon, direttore del «Popolo», organo della DC, rievocò una conversazione avuta con Scalfaro in quel maggio 1994:

Scalfaro, disse, «era convinto che il centrodestra non poteva rappresentare degnamente il Paese. Per questo, insisteva, bisognava pensare subito ad una soluzione diversa... .un governo di tecnici. Scalfaro (…) mi spiegò che un esecutivo-ponte serviva a preparare il passaggio ad una nuova maggioranza di governo... Berlusconi, mi fece capire, doveva essere eliminato (sic) perchè aveva rotto il vecchio equilibrio politico e non era manovrabile dal Quirinale. Contro di lui convergevano le azioni delle varie procure e gli interessi di lobby nazionali e internazionali. Scalfaro puntava su Bossi come possibile strumento di destabilizzazione della maggioranza». Ciò che infatti avvenne.

E quali furono i sentimenti di Cavedon, direttore del Popolo, davanti a questi propositi?

«Io pensai che stava preparando un golpe... Un golpe è un golpe, anche se verniciato di democrazia. La sostanza era che Scalfaro stava lavorando per sovvertire la situazione politica».

La costituzione infatti non dà al capo dello Stato il diritto di sindacare se un partito «rappresenta degnamente il Paese»; il giudizio spetta al popolo, che lo esprime col voto.

Scalfaro violò la costituzione di cui era il presunto tutore, infrangendo un principio basilare del diritto pubblico: la sovranità spetta al popolo, che la delega a maggioranza a chi vuole.

Si fece dittatore, ancorchè dittatore-coniglio, per conto di poteri anticostituzionali («procure e lobby nazionali e internazionali»).

Scalfaro reagì al golpe in corso da Borrelli con un altro golpe. Entrambi, si capisce, riusciti male, o solo a metà, come ogni azione pubblica italiota. I magistrati d’accusa, dopotutto, non sono andati al governo; Berlusconi, nonostante tutto, ci è tornato per ostinato voto popolare. Ma un’ulteriore deformazione era stata aggiunta alla costituzione scritta, cui Scalfaro eleva ad ogni occasione, senza vergogna, i suoi maleodoranti turiboli d’incenso. E questa costituzione materiale, sempre più gobba e deforme, sempre meno basata sui principi del diritto e sempre più sugli atti di forza e gli arbitrii, continua a governarci di fatto.

In Paesi più civili e civilmente intelligenti, il gruppo di potere che tenta un golpe e lo fa a metà, paga un prezzo, con l’espulsione dal potere residuo e dalla società civile.

Gerardo D’Ambrosio, il magistrato del pool di Borrelli, lo paventò. Dopo il famoso invito a comparire inviato a Berlusconi capo del governo non già attraverso ufficiale giudiziario, ma  attraverso il Corriere della Sera perchè tutti sapessero, disse: «Se abbiamo preso una cantonata, finiremo tutti a chiedere l’elemosina».

Così infatti dovrebbe essere. Gli sconfitti vengono messi fuori, privati di ogni voce in capitolo, e le forze politiche e quelle istituzionali procedono a ristabilire il quadro normale, quello descritto dalla costituzione scritta. Ossia a sottrarre ai gruppi golpisti le zone di potere in cui hanno indebitamente sconfinato.

Invece, in Italia, tutti gli autori dei golpe a metà riescono a mantenere accanitamente le posizioni che hanno arraffato nel tentativo; come su terre conquistate, le circondano di mura, e si abbarbicano a difesa, da nessun altro potere veramente contrastati.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, da organo di autogoverno dei magistrati, è stato trasformato – come una fortezza assediata – in organo di autodifesa bellica della categoria contro tutti tentativi di riformarla; è il loro sindacato corporativo.

La magistratura continua a consentirsi tutte le forzature che erano funzionali, al tempo di Mani Pulite, alla presa di potere, e che ora sono puro privilegio arbitrario; ha mantenuto ai suoi ordini la polizia, che non può più condurre un’indagine autonoma senza istruzioni passo-passo della procura; l’immunità parlamentare così limpidamente difesa da Togliatti non è stata restaurata (e purtroppo a ragione, data la corruzione dei due poteri);  l’ampliamento della sfera d’azione della magistratura continua imperterrito, in coincidenza con il degrado della qualità professionale dei magistrati (l’una cosa conduce all’altra: la magistratura proclamandosi esente da ogni controllo, anche di qualtià).

La casta giudiziaria resiste vittoriosamente ad ogni messa in regola, sia separazione delle carriere o controllo di efficienza.

D’Ambrosio non è sul marciapiede a chiedere l’elemosina, ma al parlamento; Di Pietro è capo di un partito che ha certo un buon avvenire. I giornalisti che hanno tenuto bordone ai semi-putsch sono diventati direttori.

Scalfaro non ha più dovuto rispondere di quei misteriosi 100 milioni di lire mensili; non è in galera ma in senato a vita, e può fare il santimonioso, assurto al rango deplorevolmente affollato di padri della patria strapagati come Ciampi, Napolitano, Cossiga, tutti contributori di primo piano alla devastazione della costituzione di cui erano tutori.

I banchieri centrali – orribile a dirsi – sono sempre considerati «riserve della repubblica», da far diventare capi di governi non-eletti quando paia opportuno al tutore della costituzione in carica. I giornali li circondano di rispetto sacrale.

La categoria dei giornalisti ha capito che per far carriera non si devono dare informazioni al pubblico, ma nascondergliele, e intanto leccare i sederi potenti.

I sindacati da lungo tempo non rispondono più ai lavoratori; ma sopravvivono alla propria utilità sociale, grazie al formidabile fortilizio di 1,8 miliardi di euro che entrano nelle loro casse con un’esazione illegittima su paghe e pensioni, e continuano a nutrire una pletora di «sindacalisti»; si invitano a partecipare alle decisioni di governo. Il fatto che abbiano abbandonato la difesa dei lavoratori del settore privato per la difesa del «lavoro» nel settore pubblico ha sancito una loro immortalità da mummia: restano interlocutori privilegiati del governo, che è il datore di lavoro di quei «lavoratori» a posto fisso garantito, al sicuro in eterno da ogni competizione globale, esentato da ogni durezza di fabbrica e da ogni rovescio del mercato: dunque lavoratori facili da «difendere» e a cui ottenere aumenti, tanto più che il governo – la sedicente controparte – è prontissimo a concederli; perchè il datore di lavoro non è lui, ma i contribuenti e i percettori dei servizi pubblici mancati.

Già da qui si può intuire la verità di Churchill: la costituzione che abbiamo deformato, ci ha «plasmato» tutti come cittadini deformi.

L’indebita vastità del potere sindacale è la causa del nascere di pullulanti sindacati corporitivi per interessi di gruppi minimi (vedi Alitalia) contro l’interesse generale. Il tristo successo della CGIL-CISL-UIL nel non lasciar controllare la propria rappresentatività (quanti lavoratori li votano?) è la falla che ha reso possibile lo strapotere di sindacati «di categoria» con tre o quattro membri, capacità di bloccare ogni «concertazione».

Ancor peggio ci ha resi lo sconfinamento continuato della magistratura fuori dei suoi confini. Come già scriveva il giurista Vassalli nel 1984:

«La giustizia penale non offre alcuna garanzia al cittadino innocente o ingiustamente accusato... Lasciato all’arbitrio più incontrollato del giudice che l’abbia preso di mira sulla base di semplici sospetti, di denunce anonime, perfino di antipatia personale, di prevenzioni politiche e simili... Non c’è nessuno a cui rivolgersi contro il giudice che manifestamente abusa delle proprie funzioni... I vari procedimenti disciplinari finiscono in burla. I magistrati sanno di potersi ridere sia dell’assenza di sanzioni civili che di sanzioni disciplinari».

Il cittadino sotto l’imperio di una costituzione materiale ormai lontana dalla costituzione scritta, è un cittadino che non può fidare – per la protezione dei suoi diritti legittimi – nel quadro giuridico vigente.

La costituzione scritta, fondativa, assicura un «pacifico» uso dei propri diritti, ossia presuppone che il cittadino comune non debba lottare con le unghie o con l’astuzia per mantenerli. Nella costituzione «materiale», invece, solo la forza di fatto dà diritti; e non solo diritti, ma anche privilegi. A spese di chi, pacificamente, non lotta; ossia non fa parte di un gruppo, casta o cosca capace di intimidire le altre, confidando che il sistema lo salvaguardi.

Se non stai all’erta, il comune da te votato, ti truffa taroccando i semafori per darti multe indebite; lo statale ti manda cartelle pazze in cui pretende somme incredibili, che tu e non lui devi dimostrare sbagliate; la FIAT pretende «aiuti di Stato», negati alle piccole imprese; la banca ti strafotte sugli interessi e ti rifila prodotti d’investimento tossici – impunita, esattamente come lo spacciatore che ti rifila la dose di coca nel sottoscala. Il magistrato può tenerti in galera per mesi se sei innocente, e metterti ai domiciliari se sei un omicida recidivo. La scuola serve a mantenere le insegnanti sottopagate, ma anche sotto-qualificate. La TV, invece di venderti dei programmi decenti e responsabilmente educativi, che ti migliorino, vende te – te cittadino – ai pubblicitari, fornendo loro programmi-spazzatura, perchè la spazzatura fa audience. Le Poste non eseguono più il loro compito istituzionale, l’hanno appaltato  a inaccertabili «privati», e provano a venderti prodotti finanziari e libri e oggetti varii, da cui contano di ricavare profitto. La Telecom non si occupa pià delle linee telefoniche e dei servizi avanzati da dare; l’ENI ti fa pagare l’energia più che in ogni altro Paese del mondo, semplicemente perchè mantiene il suo monopolio indebito e dunque «ha la forza» di farlo. I politici si sottraggono al tuo giudizio di elettore, da tempo sono garantiti dalla perpetuità del «mestiere» più lucroso e meno responsabile, rispondendo ad altri padroni.

La costituzione materiale consente e anzi premia tutto questo. Sicchè il cittadino, da italiano, deve farsi italiota. Deve aggregarsi a una casta, cosca o ceto abbastanza minaccioso da intimidire le altre, perchè in quanto solitario cittadino non avrà alcuna forza, e perciò nessun «diritto».

Da qui il pullulare di particolarismi irriducibili, ciascuno dei quali si sforza ferocemente di ampliare la propria zona di potere contro gli altri, con tutti i mezzi: coi concorsi truccati, con i pagamenti in nero e in contanti, con la minaccia di eversioni e interruzioni di pubblici servizi, o con le svariate, inesauribili furbizie italiote. Da qui l’irresponsabilità dilagante, corpuscolare, indecente, che comincia dall’alto – l’esempio negativo costituzionale – e scende in basso.

E chi dovrebbe occuparsi del bene comune? Siamo tutti occupati del nostro presunto bene particolare o di gruppo, che è messo sempre in peircolo. E chi ha l’agio intellettuale di progettare una vita pubblica basata sui principi fondamentali, sulla divisione dei poteri, sui contrappesi e sui controlli di interessi in conflitto? Chi ha tempo per la filosofia?

Qui dobbiamo arrabattarci, imparare a farci furbi... furbizia e intelligenza sono due contrari, come dimostra Napoli. Tre secoli fa diede i natali al maggior filosofo italiano, Giambattista Vico; ora ha consegnato Pompei e il suo immane giacimento culturale alla camorra, alla Regione-camorra, alla spazzatura della camorra.

Ormai, in Italia, accade persino questo: che una torma di immigrati, appena arrivati da due giorni a Lampedusa, abbiano capito al volo come la costituzione materiale li protegga in quanto furbi: evadono in massa e si «uniscono alla popolazione» festante che non li vuole lì, difesi dal sindaco cui non par vero di mettersi a capo di una rivolta, e dai politici che li hanno aizzati ed istruiti all’eversione (assicurandoli che qui, grazie alla costituzione di fatto, nessuno viene mai punito) per far dispetto al governo in vigore.

Ovviamente non tutti riescono a fare i furbi, almeno non a tempo pieno. Resta una vasta parte di popolazione che presuppone di vivere in un quadro di legittimità, per lavorare serenamente, o che vuole dedicarsi, anzichè al malfare o al brigare, alla poesia e alla cultura o alla scienza, o alla tecnica; o che non è capace (anche solo per disgusto) di aggregarsi a qualche cosca o casta per la propria protezione.

Tutto il sistema della costituzione materiale è volto, per forza di cose, a sfruttare, a togliere diritti acquisiti, a questa parte – la sola produttiva – a favore delle altre.

E’ lei che paga le tasse, è lei che paga il debito pubblico e la coca al senatore a vita o le puttane al deputato lontano da casa, è a lei – se occorre – che viene decurtato il salario o la pensione (diritti acquisiti) o minacciato il lavoro e tolta la dignità.

Il fatto che questa parte si assottigli è probabilmente la vera causa del declino italiano.





1) Tutte le citazioni sono tratte dal saggio di Giancarlo Lehner, «Storia di un progetto politico», Mondadori 2003.



Home  >  Politica interna                                                                                 Back to top


La casa editrice EFFEDIEFFE ed il direttore Maurizio Blondet, proprietari
dei contenuti del giornale on-line, diffidano dal riportare su altri siti, blog,
forum, o in qualsiasi altra forma (cartacea, audio, etc.) e attraverso attività di spamming e mailing i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright ed i diritti d’autore. Con l’accesso al giornale on-line riservato ai soli abbonati ogni abuso in questo senso, prima tollerato, sarà perseguito legalmente anche a nome dei nostri abbonati. Invitiamo inoltre i detentori,a togliere dai rispettivi archivi i nostri articoli.
 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità