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Chomsky attacca Israele ma fa l’amico dei dittatori
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“Nirenstein dixit”

Ok, sia che l’ordine provenisse dall’alto o che si sia dato troppo da fare uno di quei giovanotti che al confine di Israele stanno sempre spasmodicamente attenti a chi entra (magari questo era uno studente che aveva letto i libri del professore), sarebbe stato meglio che il professore del Mit (Massachusetts Institute of Technology) Noam Chomsky fosse andato a tenere la sua conferenza a Bir Zeit, Ramallah. Chi lo avesse ascoltato lo avrebbe pleonasticamente applaudito con frenesia quando avesse detto che Israele è uno stato di apartheid, una colonia americana, sostanzialmente nazista, e avrebbe battuto le mani ancora più forte quando avesse sostenuto che Hamas è un’organizzazione non solo legittima, ma anche indispensabile per la pace in Medio Oriente.

Chomsky lo dice, lo scrive, lo ripete senza sosta, e quindi impedirgli, domenica, di avviarsi attraverso Israele sulla strada per Ramallah (Netanyahu nega, per la cronaca, di averlo mai ordinato) gli ha solo consentito di ripetere al mondo che Israele è un Paese totalitario e razzista - anzi, stalinista - e di avere una grande eco in tutto il mondo. Non a caso si riporta purtroppo, che Chomsky è «uno degli autori viventi più citati», che rimbalza di sito estremista in sito estremista, che se lo bevono i professorini di sinistrissima e gli islamisti in galabya. Stavolta lo ha difeso tutta l’opinione pubblica mondiale. Non c’è telegiornale o quotidiano (il Teheran Times si è dato molto da fare, ma anche tutti i giornali israeliani o americani) che non abbia posto la grande questione della libertà di espressione. E hanno ragione: Chomsky aveva diritto di andare a raccontare ai palestinesi tutte le sue fumisterie.

Ma se per un attimo valesse un principio di verità, allora diremmo che quelle di Chomsky non sono mai state semplicemente opinioni, ma feroci, infiammatori proclami politici tesi a spingere gli animi alla violenza innanzitutto verso il suo proprio Paese, gli Stati Uniti, e in secondo luogo verso il suo popolo di origine, quello ebraico.

Se ne guardate la foto di colto ottantenne, così magro, ispirato, elegantemente casual anche quando abbraccia (il 26 agosto del 2009) Hugo Chavez che cita dottamente il suo libro di odio antiamericano «Hegemony or survival» e gli dice furbo: “Noi abbiamo optato per la sopravvivenza, come ci suggerisce qui uno dei più grande difensori della pace, uno dei più grandi pionieri di un mondo migliore”, dopo, per capire chi è il professore, dovete ascoltare le sue parole: «È facile scrivere... Ma è difficile creare un mondo migliore, ed è così eccitante visitare il Venezuela e poter testimoniare che un mondo migliore è stato creato».

Per lui il Venezuela è migliore perché si contrappone oggi in prima fila all’odiato, feroce imperialismo americano (Chomsky ce l’ha anche con Obama); ma è solo una delle sue ultime passioni, insieme all’Iran e a Hamas: prima ha tenuto per tutti quelli che l’America ha combattuto, per ogni totalitarismo e terrorista sul campo. Il regime comunista sovietico, la Cina di Mao, il regime Cubano, i vietcong, i terroristi islamici... Naturalmente oggi è un fan della corsa al nucleare dell’Iran, che ritiene legittima e doverosa («L’Iran è percepito come una minaccia perché non ha ubbidito agli ordini degli Usa... Militarmente la sua minaccia è irrilevante»).

Gli piacciono molto anche tutti quelli che ce l’hanno con gli ebrei. No, non ha dimenticato il padre William Chomsky, studioso di Torah che gli impediva di parlare l’yiddish, la lingua degli ebrei della diaspora, e gli impose l’ebraico, suo primo expertise nel campo della linguistica. Tutto quanto il suo cuore e le sue argomentazioni sono dalla parte dei palestinesi («...quelli che si denominano sostenitori di Israele sono di fatto sostenitori della sua degenerazione morale e quindi, alla fine, della sua prossima distruzione»), non ha dubbio che Israele sia uno stato illegittimo e di apartheid, e che non sia altro che la longa manus in Medio Oriente del male assoluto, gli Usa. Ma il suo disprezzo antiebraico non si ferma a Israele: in nome della libertà di opinione la sua difesa del negazionismo di Faurisson assunse toni così spasmodici da indurre gli analisti a indagare su un suo nesso col neonazismo.

Più di tutto resta stupefacente tuttavia la sua reazione, pur dopo decenni di battaglie antiamericane, all’attentato delle Twin Towers: purtroppo ebbe immensa diffusione la sua teoria che l’America se l’era voluta, che qualsiasi cosa Bin Laden avesse fatto, era una risposta alla ben peggiore criminalità americana. Chomsky spacciò la guerra terrorista per una risposta all’attacco di Clinton, nottetempo e a edificio vuoto, alla falsa fabbrica di farmaceutici in Sudan dopo che erano saltate per aria due ambasciate americane in Africa. Il suo accanimento teorico per cercare di impedire ogni reazione morale e pratica all’attacco dell’11 di settembre restano una pietra miliare sulla strada dell’estremismo mondiale, una fonte viva di continua menzogna che tuttora attecchisce fra i giovani. Sì, è uno scandalo che Chomsky non sia andato a ripeter tutte le sue teorie a Bir Zeit (cui però ha parlato in collegamento). Ma più ancora che si scambi la diffusione delle sue idee per libertà di opinione.

Fiamma Nirenstein

Fonte >
  Il Giornale


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