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Il golpe Englaro
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Diversi lettori vogliono assolutamente che dica qualcosa sul «caso Englaro»; alcuni si stupiscono e scandalizzano che non esprima una «opinione» su un tema così «cattolico».

Il fatto è che devo ripetere cose già dette. Il caso Englaro è l’esempio lampante del livello a cui abbiamo - tutti noi - lasciato marcire le istituzioni. Ci lasciamo governare da una «costituzione materiale» così deformata da successivi arbitrii di potere, martellati col maglio da figure «istituzionali», che anche solo per tentare di correggere gli arbitrii occorre commettere altri arbitrii.

Il primo arbitrio - mi ripeto - l’ha commesso ovviamente la magistratura. Essa ha «presunto» la volontà di morire di Eluana Englaro, sulla testimonianza di suo padre che ha riferito una presunta confidenza di sua figlia. Di cui non ci sono prove.

Questa è una violazione gravissima di un principio fondamentale del diritto, un atto arbitrario, credo, senza precedenti. Non penso sia mai accaduto che la volontà di una persona incapace o defunta sia mai stata «presunta», senza prove documentali - un testamento, una lettera autografa di significato inequivocabile, autentica e di data certa - che la corroborassero. Provate ad andare in giudizio a sostenere che, anni fa, il Caracciolo testè morto vi aveva espresso, a voce, la volontà di lasciarvi i suoi beni, e vedrete come vi trattano i giudici.

Ma sulla pelle di Eluana, hanno accettato per buona l’asserzione - sostitutiva della volontà di Eluana - fatta dalla persona più palesemente interessata a liquidare Eluana: il caro papà (umanamente lo capisco, non lo giudico).

Ovviamente la magistratura può compiere un simile arbitrio, perchè - con il mezzo golpe chiamato «Mani Pulite», con cui voleva prendere il potere esecutivo, cosa non riuscita - ha tuttavia conquistato una assoluta insindacabilità e impunità, il potere di «interpretare» più vasto e incontrollato, fino al punto di poter violare non solo la giustizia, ma la stessa logica. Si è ritagliata un potere d’arbitrio che difende all’unisono, come casta arroccata e trincerata, rovesciando la prassi più consolidata e annullando le libertà delle persone quando vuole, le fa comodo, o lo ritiene per motivi ideologici.

La magistratura che manda a casa stupratori perchè in attesa di giudizio la libertà personale è sacra, ha regolarmente tenuto in galera per mesi ed anni in attesa di giudizio accusati di corruzione amministrativa, poi risultati innocenti: qualche volta la libertà personale è sacra, qualche volta è uno straccio da gettare nella spazzatura. Il tutto è ovviamente aggravato da una concezione «positivista» del diritto ridotta a caricatura da idioti: per cui i giudici deliberatamente sono contro ad ogni parvenza di «diritto naturale», e pretendono che la «giustizia» sia quella che viene decisa dalle loro sentenze, quali che siano; che non ce n’è altra, se non quella formale attuata da loro.

La casta giudiziaria ha perso persino la nozione che i cittadini sono liberi, e che tutto quel che la magistratura deve fare è accertare - se può - la loro volontà (l’esercizio della volontà è nient’altro che la libertà) non sostituirsi ad essa, tanto peggio arbitrariamente.

Ancora una volta, il loro movente è il potere assoluto: e i principi fondamentali del diritto, o persino l’obbligo di razionalità, sono vissuti come fastidiosi legami alla sovranità dell’ordine giudiziario.

C’è «una sentenza passata in giudicato», e quindi Eluana deve essere fatta morire per sete. Punto e basta.

Berlusconi, provando ad emanare un decreto - un atto del potere esecutivo, di cui è detentore come governante - contro la sentenza, atto del potere giudiziario, ha ovviamente sfiorato un arbitrio, nel tentativo di correggere l’arbitrio primario. Sul perchè l’abbia fatto si sono scatenate le ipotesi, invariabilmente le peggiori: pressioni del Vaticano, zia suora, cesarismo, voglia di scontro con il venerato Napolitano, eccetera.

Non mi interessano. Il decreto-legge intende semplicemente affermare che non è lecito, nelle strutture sanitarie pubbliche, interrompere ai malati l’idratazione e l’alimentazione. E’ un divieto che non avrebbe nemmeno bisogno di essere reso esplicito, se fossimo civili. Il decreto non ha nulla di «cattolico», è solo una conseguenza dell’etica medica elementare (primum non nocere) consacrata nei secoli; e tutela qualunque cittadino, anche me - e a proposito, voglio qui dichiarare che non firmerò mai alcun testamento biologico, e diffido chiunque fin d’ora dal «presumere» una  mia volontà in tema di cure, persino sulla base di mie asserzioni e confidenze fatte oggi; la mia volontà di oggi, in stato di sanità e autonomia, viene da una coscienza che non sa come si comporterebbe in stato di grave inabilità.

Si tenga conto, infatti, che la sentenza «passata in giudicato» costituisce ciò che si chiama un «precedente» giuridico: d’ora in poi, a ciascuno di noi potrà capitare che, mentre è in stato di incoscienza, nell’ospedale gli tolgano la cannuccia dell’acqua e del nutrimento.

Per correggere la correzione arbitraria, è intervenuto il presidente Napolitano. E come l’ha fatto?  Annunciando in anticipo che non avrebbe firmato un decreto che non aveva nemmeno ancora letto. Napolitano, con la pretesa di riaffermare la «legalità» dell’arbitrio giudiziario contro l’arbitrio del governo, ha commesso un atto arbitrario senza precedenti. Poteva almeno aspettare che il testo gli arrivasse sulla scrivania, fingere di consultare i suoi legulei e costituzionalisti del piffero (interpreti della costituzione materiale); macchè. Ha voluto intervenire nel corso di un consiglio dei ministri, onde bloccarne preventivamente le decisioni.

Se Napolitano ha potuto compiere questo atto, è sempre per il solito motivo: il golpe di Mani Pulite. Durante quel golpe, e in parte per sventarlo, un presidente della repubblica di nome Scalfaro si arrogò poteri che la costituzione scritta non gli riconosce; e lo fece senza essere contrastato nè dai media nè dagli altri organi istituzionali. Formò un suo governo contro ogni legittimità (il governo Dini, di cui scelse personalmente i ministri); creò il precedente secondo cui il capo dello Stato, quando a governare è un signore di nome Berlusconi, ha il dovere supremo di tenere sotto tutela il governo, come il tutore di un interdetto. L’interdetto non può firmare cambiali, nè spendere il suo patrimonio; in Italia, il governo eletto dal popolo è sotto interdizione presidenziale, quando si chiama Berlusconi. L’ha fatto Scalfaro, l’ha fatto Ciampi. L’ha fatto, adesso apertamente, Napolitano.

Naturalmente tutta la «clase discutidora», i politici, i giornalisti, gli editorialisti e i giuristi,  chiunque abbia una opinione, applaudono l’uno o l’altro di questi arbitrii, secondo le loro preferenze ideologiche e le loro faziosità specifiche. Ovviamente, la «sinistra», i progressisti di Repubblica e i radicali appoggiano l’arbitrio di Napolitano; il Giornale difende l’arbitrio di Berlusconi.

Sono tutti arbitrii, però: a parità di demerito, se possiamo dirlo. Nessuno di questi atti è legittimo. E tutti dipendono dal fatto che la costituzione scritta è stata deformata in modo grave e permanente dalla costituzione materiale, scolpita a colpi di atti di forza, arbitrari in sè, in cui ciascun ordine s’è «scavato» un suo spazio di potere, il più arbitrariamente vasto che la sua forza di fatto - e l’esercizio senza scrupoli di tale forza - poteva ottenere.

Come decidere qual è l’arbitrio «giusto»? In mancanza di un criterio giuridico certo, bisogna vedere a cosa mira ciascun arbitrio. Quando la giustizia formale è così gravemente deformata, occorre por mente al «fatto» sostanziale. E il fatto sostanziale è che la «sentenza passata in giudicato» della Cassazione autorizza alla morte di Eluana per sete, come l’arbitrio di Napolitano riconferma. Il decreto di Berlusconi punta - puntava - a mantenere in vita Eluana, idratata e alimentata.

I primi due vogliono commettere un atto irreparabile, a danno di una cittadina bisognosa di aiuto, e senza difesa (1); Berlusconi mira almeno a sospendere quell’atto irreparabile. Sul piano del diritto sostanziale - del diritto di ciascuno di noi ad essere curato anzichè ammazzato - è Berlusconi che ha ragione, e che ci difende tutti.

Adesso attendo a piè fermo le proteste di tutti quelli che odiano Berlusconi, e per i quali Berlusconi, qualunque cosa faccia, ha sempre torto, va messo sotto interdizione, perchè ha «il conflitto d’interessi», perchè è poco pulito, mafioso, eccetera.

Rispondo in anticipo: è precisamente per questo atteggiamento che ci lasciamo governare da una costituzione deformata, dove tutti i furbi con un po’ di potere possono ritagliarsi uno spazio indebito a nostro danno comune. Certo, Berlusconi è un personaggio discutibile, non ho bisogno che i lettori mi informino: sono già informato. Ma essi dovrebbero trovare agghiacciante che fra la vita di Eluana e la volontà corale di ucciderla «legalmente», ci sia a difenderla solo questa fragile trincea del governo Berlusconi, la più debole fra le «istituzioni», la meno riconosciuta e quella con meno poteri reali, proprio perchè risulta da un voto del popolo.

Certo, tutti preferiremmo che la riaffermazione di un principio fondamentale del diritto fosse assunta da un essere indiscutibile, purissimo, senza scheletri nel famoso armadio. Ma sono quasi convinto che se scendesse in campo a difesa di Eluana l’arcangelo Michele, ci direbbero che anche Lui ha un conflitto d’interessi: è «cattolico», obbedisce al Vaticano...

A me fa paura soprattutto l’insensibilità verso la vita umana - della cittadina Eluana, e quindi anche di noialtri cittadini - che le «istituzioni» dimostrano in quel loro rimestare con la «legalità» formale. In quel loro aderire alle «leggi», alle «sentenze», alla «prassi istituzionale», alla preoccupazione di non creare «uno scontro fra i poteri», mentre qui si tratta di togliere l’acqua ad una donna che respira da sè, che ha persino le mestruazioni.

Un lettore mi ha fatto notare che Napolitano è stato insensibile alla rivolta d’Ungheria, che è insensibile al massacro di Gaza, e dunque non può che essere insensibile al fatto, palpitante e insondabile, di una vita umana che non può fidare, per esser difesa, sulle istituzioni.

Devo dar ragione al lettore. E’ sempre lo Stato-Moloch che si ripropone, e pretende di aver dalla sua la «legalità». In Ungheria, la «solidarietà socialista» («aiuto fraterno», lo chiamò Mosca) portata coi carri armati; a Gaza, «il diritto di Israele». Qui, «la sentenza passata in giudicato». E sempre, qualcuno deve morire, l’atto irreparabile deve essere completato.

Un’ultima nota su Gianfranco Fini: la sinistra e i progressisti lo ammirano per la posizione che ha preso, dicono che somiglia a Napolitano. Infatti gli somiglia sempre più. Se lo prende come complimento, contento lui...





1) Se in Italia vigesse la pena capitale, e se Eluana Englaro fosse stata condannata a morte per un gravissimo reato, avrebbe almeno un avvocato difensore, avrebbe diritto alle garanzie legali, a un appello. La morte di Stato non è stata abolita in Italia, la si vuole solo cambiare di ministero: dalla Giustizia alla Sanità. E quando la morte per sete e per fame  viene comminata come «terapia», la vittima non ha difesa. Proprio perchè non è colpevole, non viene giudicata; viene solo «curata». Nel socialismo sovietico era lo stesso: i borghesi non venivano giudicati, il regime riconosceva che non avevano colpe individuali; venivano messi a morte «in quanto appartenenti alla classe sfruttatrice», magari per il solo fatto di essere laureati, dirigenti d’azienda, docenti universitari. A decretarne l’eliminazione non era un tribunale, ma un ente amministrativo. Che oggi sia un ente sanitario forte della «sentenza passata in giudicato» non cambia la cosa, la rende solo più mostruosa.


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