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Gaetano Gifuni rinviato a giudizio
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Il pm: sperpero soldi del Quirinale

A giudizio l'ex segretario generale della presidenza della Repubblica, Gaetano Gifuni, sarà processato in relazione al presunto sperpero dei fondi destinati dal Quirinale alla tenuta di Castelporziano. Il gup Maurizio Caivano, in completo accoglimento delle richieste del pm Sergio Colaiocco, ha mandato a giudizio anche altre 4 persone. Abuso d'ufficio, peculato, truffa, falso materiale e falso ideologico, i reati contestati a vario titolo. Il processo comincerà l'11 luglio prossimo davanti ai giudici dell'VIII sezione penale. Oggi, davanti al giudice, è stato definito il patteggiamento, a 5 anni di reclusione, di cui tre condonati grazie all'indulto, per Gianni Gaetano, uno dei cassieri-contabili della tenuta.

Gifuni è coinvolto anche per il nipote acquisito Luigi Tripodi, ex capo del Servizio tenute e giardini del segretariato generale della presidenza della Repubblica. In base all'imputazione formulata dal pm Colaiocco Gifuni rispondeva di abuso d'ufficio perché "su istigazione e in concorso" con Tripodi, "dopo aver appositamente ricostituito nel dicembre 1993 il Servizio tenute e giardini e preposto Tripodi (figlio della sorella della moglie) a capo dello stesso, intenzionalmente gli procurava un vantaggio patrimoniale quale l'indebita assegnazione di un alloggio di servizio (villa abusivamente realizzata con oltre 180 mq con giardino) all'interno della tenuta".

Il peculato era contestato ai due perché "nell'esclusivo interesse del Gifuni, utilizzavano materiale acquistato dalla tenuta, per la falegnameria interna, per la realizzazione, e posa in opera di un armadio bianco, di un secondo armadio, con ante scorrevoli, di un tavolino e, infine, di una tettoia parasole all'interno dell'appartamento privato di gifuni in via Valadier". In relazione a quest'ultimo episodio ai due si contestava un altro abuso di ufficio: Gifuni, su istigazione e in concorso con Tripodi, avrebbe affidato ai dipendenti in servizio presso la tenuta "incarichi non compresi nei doveri d'ufficio" richiedendo in orario di servizio e in più occasioni a sei elementi della maestranza la realizzazione di quei lavori di falegnameria presso l'abitazione di via Valadier.

Per Tripodi il peculato riguarda l'appropriazione di oltre 4 milioni e mezzo di euro tra il 2002 e il 2008; oltre a lui, devono rispondere anche Alessandro De Michelis, già direttore della tenuta, e i cassieri-contabili Gianni Gaetano e Paolo Di Pietro: gli ultimi tre con la disponibilità di un conto Bnl presso il Quirinale e delle chiavi della cassaforte ove venivano custoditi i contanti. Per mascherare tali ammanchi si truccavano i libri mastri spediti al Servizio ragioneria.

Secondo la ricostruzione del pubblico ministero Colaiocco la villa era abusiva ed è stata costruita, (fatto attribuito a Tripodi, De Michelis e al funzionario Giorgio Calzolari) forzando direttive e norme sugli appalti. Le indagini erano partite grazie a un esposto del Quirinale. L'amministrazione non si è costituita, per ora, parte civile. In aula, prima che il gup disponesse il rinvio a giudizio, Gifuni ha reso alcune dichiarazioni spontanee: "Provo profondo disagio a trovarmi qui nelle vesti di imputato dopo cinquanta anni al servizio delle istituzioni esclusivamente nel pubblico interesse e non avendo mai approfittato del mio ruolo presso il Senato e la presidenza della Repubblica".

Fonte >  Repubblica.it



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