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I tentativi di isolamento dell’Iran esplodono in faccia
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I provocatori test missilistici di 10 giorni fa hanno riaperto il dibattito sulla probabilità di attacchi aerei contro l’Iran. Comunque, dal disgelo della settimana scorsa, un attacco all’Iran entro la scadenza del mandato del presidente Bush sembra essere meno imminente. In più, il ristretto ambito solamente militare perde di vista il quadro più ampio: la strategia complessiva degli USA di contenimento dell’Iran, in linea di principio, ha fallito. E il tentativo di imporre all’Iran un regime di sanzioni ha portato ad una erosione dell’influenza strategica USA in Asia ed in Medio Oriente.
Nel lungo termine la miope politica di contenimento di Washington danneggerà soltanto gli interessi occidentali nella regione. Ne beneficerà la Cina, allontanerà alleati importanti e renderà l’Iran intoccabile.

All’undicesima ora persino l’amministrazione Bush, sia pure in modo limitato, sembra aver compreso l’intrinseco fallimento dell’approccio di contenimento. Con un notevole voltafaccia la Casa Bianca ha non solo acconsentito a colloqui diretti fra rappresentanti iraniani e statunitensi a Ginevra questo fine settimana, ma ha anche prospettato la possibilità di riaprire a breve un ufficio commerciale a Teheran. Questo cambiamento di rotta lascia intendere che i realisti intorno al Segretario di Stato Condoleeza Rice e al Segretario alla Difesa Robert Gates hanno vinto la mano finale contro la fazione che ruota attorno al vice-presidente Dick Cheney nel feudo intra-amministrazione. Questo capovolgimento di fronte conferma anche che il duplice approccio di sanzioni e minacce militari non ha prodotto altro che l’isolamento dell’America. Le ripercussioni a lungo termine di queste sanzioni contro-produttive nei confronti dell’Iran si apprezzano meglio nei progressi di quest’ultimo mese del gasdotto Iran-Pakistan-India.

E’ il gas, stupidi

Il gasdotto Iran-Pakistan-India (IPI) è un progetto da 7,5 miliardi di dollari, sviluppato per rifornire le megalopoli indiane col gas naturale proveniente dai pozzi iraniani sul Golfo Persico, grazie ad un gasdotto di oltre 2.800 km. attraverso il Pakistan. Sin dall’inizio il progetto è stato ripudiato e boicottato molte volte dall’uno o dall’altro dei partners, ma il 3 luglio scorso Murli Deora, ministro indiano per il petrolio, a lato del Congresso Mondiale per il Petrolio di Madrid, ha affermato che l’India si aspetta di arrivare finalmente alla firma dell’accordo per la fine del prossimo mese. Questo progresso lungamente atteso costituisce per l’India un passaggio cruciale verso la sicurezza energetica.

Dall’altra parte invece, per gli Stati Uniti, infligge un sonoro colpo al fronte delle fragili sanzioni internazionali ideate dall’amministrazione Bush per contrastare l’Iran. Maggiormente poi si prepara, con la Cina desiderosa di aggregarsi al progetto, un nuovo asse geo-strategico fra Teheran, Islamabad, Nuova Dehli e Pechino. Questo asse ridisegnerà completamente la struttura del potere in Asia e, conseguentemente, l’equilibrio globale del potere.

A dispetto del rumore di sciabole della fazione di Cheney, l’amministrazione Bush contava sulla sanzioni economiche per strangolare gli investimenti e ridurre in sottomissione una Teheran dipendente dalla tecnologia. Questa strategia di stringere il corpetto economico, soffocando l’Iran e così forzandolo a rinunciare alle proprie ambizioni nucleari, ha comunque isolato maggiormente gli USA ed suoi alleati, piuttosto che l’Iran. Fino ad oggi Washington è riuscita a lusingare la francese Total, la anglo-olandese Shell e la spagnola Repsol a ritirare le loro offerte di sfruttamento del giacimento iraniano South Pars, il più grande giacimento mondiale di gas naturale, e l’Unione Europea il mese scorso ha approvato il congelamento dei fondi della Banca Melli, principale banca di stato iraniana.

Ma le contromisure iraniane hanno funzionato bene per parecchio tempo; dopotutto il paese ha già sofferto a lungo gli effetti delle sanzioni e della riluttanza delle compagnie occidentali ad investire nel suo settore energia. Così ha cercato sempre di più nuovi finanziatori e partners commerciali in oriente. L’esempio che maggiormente colpisce è la richiesta iraniana del 24 marzo scorso di ammissione alla Organizzazione di Shangai per la Cooperazione (SCO), il gruppo per la sicurezza dell’Asia centrale dominato dalla Russia e dalla Cina.

Questo nuovo concetto politico di “guardare ad Est” (negahe be shargh) è la creatura di Manoucher Mottaky, il ministro degli Esteri iraniano, educato in Bangalore. Mentre la partecipazione dell’Iran allo SCO è tuttora di là da venire, il predominio asiatico sul mercato iraniano è una realtà attuale. La Cina è già al primo posto fra gli investitori esteri in Iran; la malaysiana Petronas e la coreana LG figurano in prim afila per lo sfruttamento del giacimento South Pars. Il nuovo gasdotto IPI sarebbe il chiodo finale nella bara del regime di sanzioni.

L’Impero restituisce il colpo

Gli USA hanno combattuto duramente contro il nuovo gasdotto IPI. Non più tardi del 15 luglio scorso i senatori Dodd (Connecticut) e Shelby (Alabama) hanno minacciato di rafforzare il Decreto per le Sanzioni a Iran e Libia del 1996, che consente di procedere legalmente contro le aziende estere che investono nell’Iran sottoposto a sanzioni; un chiaro avvertimento all’India. Nel mentre, dato che i tre paesi non sono in grado di sostenere da soli il costo previsto di 7,5 miliardi di dollari, Washington si è anche avvalsa della considerevole influenza presso la Banca Mondiale del suo ex presidente Paul Wolfowitz. Questi ha bruscamente informato il Pakistan che la banca non avrebbe permesso ad alcuna istituzione internazionale di finanziare il progetto.

Nel tentativo di destabilizzare l’Iran e deviare il possibile tracciato del gasdotto gli USA stanno presumibilmente sostenendo il Jundallah. Questo gruppo insurrezionale nelle province iraniane del Sistan e del Belucistan ha sospetti collegamenti con i Talebani e con l’Esercito di Liberazione Beluci (BLA), che sin dal 2000 combatte una guerra di guerriglia contro l’esercito pakistano. Questo collegamento clandestino col BLA, messo in luce recentemente dal giornalista Seymour Hersh sul New Yorker, mina il Pakistan, il fragile alleato dell’America, sempre sull’orlo del colpo di stato. Inoltre Washington spinge per il gasdotto alternativo Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan- India (TAPI) la cui realizzazione, come beneficio collaterale, andrebbe soltanto a compagnie USA. Questo schema alternativo è sorprendentemente simile all’accordo per l’oleodotto Unocal raggiunto con i Talebani nel 1996.

L’ostruzionismo USA non è il solo problema relativo al progetto IPI. L’Iran chiede un sacco di soldi; l’India ed il Pakistan notoriamente hanno problemi a collaborare. Ma questo insieme di minacce e coercizione americane fino a poco tempo fa si è dimostrato di capitale importanza al fine di impedire il decollo del progetto. In una conferenza all’università di Harvard nel marzo scorso l’ex sottosegretario di Stato Nicholas Burns ha citato l’aver impedito il progetto IPI come uno dei suoi più grandi successi.

Fattori di spinta

L’India, comunque, ha un disperato bisogno di energia per la propria crescita, e metterà a rischio le sue relazioni con gli USA pur di ottenerla. Inoltre non può più sostenere il basso costo, pesantemente sovvenzionato, del proprio gas, specialmente adesso, prima dell’anno delle elezioni. Dopotutto, col petrolio intorno ai 140 dollari al barile e una recessione globale che balena all’orizzonte, gli Stati Uniti non hanno più la capacità di esercitare pressioni su altri paesi perché tronchino i legami energetici con l’Iran, come avvenne quando un John Bolton che sputava fuoco forzò il Giappone a ritirare le proprie offerte per lo sfruttamento del campo petrolifero iraniano di Azadegan. Ora come ora ogni paese sta dalla propria parte nel nuovo ambiente dell’energia.

E così, a dispetto dell’opposizione USA, di nuovo si parla del gasdotto IPI. Gli ultimi problemi commerciali fra Pakistan ed India circa i pedaggi di transito sono stati chiariti, e rimangono solo dettagli tecnici minori che saranno discussi in un incontro trilaterale previsto nelle prossime settimane a Teheran. Se si raggiungerà un accordo entro questa estate la costruzione potrebbe iniziare nel 2009 e concludersi nel 2012. Il Pakistan è desideroso di espandere il proprio nuovo ruolo futuro di corridoio dell’energia. Si aspetta dall’IPI un’entrata annuale pari a 600 milioni di dollari in costi di trasporto e sta facendo una forte politica nei confronti della Cina perché si unisca al progetto, in modo da poter incrementare tali entrate. Finché non è stato confermato il consenso indiano il Pakistan si è servito dell’ipotesi cinese come mezzo di contrattazione per forzare l’India ad un cenno d’assenso. Ma ora sembra che Teheran ed Islamabad possano farcela, e se il finanziamento da parte della Banca Mondiale viene a mancare la Cina può farsi avanti e sottoscrivere il conto.

Il compimento del progetto IPI nelle prossime settimane potrebbe essere ben più di uno schiaffo in faccia al presidente Bush; dopotutto nel 2006 si è personalmente impegnato per un patto di cooperazione nucleare con l’India disegnato per venire incontro alle necessità energetiche indiane in cambio di legami più stretti con gli USA per controbilanciare l’emergente Cina. Ora però non soltanto il governo indiano non è riuscito a far ratificare il patto dal proprio parlamento, ma addirittura l’India è sulla via di collaborare con la Cina per disinnescare le sanzioni americane all’Iran. Anche il Pakistan, irrobustito da oltre 10 milioni di dollari di aiuti militari forniti dall’amministrazione Bush, si sta mostrando freddo nei confronti di Washington. E così l’Iran, sulle mosse di diventare il fornitore energetico numero uno per l’Asia orientale, diventa ogni giorno più intoccabile.

L’articolato progetto dell’amministrazione Bush di tenere in gabbia l’Iran e usare la tigre indiana per domare il drago cinese corre il rischio di crollare negli ultimi mesi della sua presidenza. In effetti il regime americano delle sanzioni sta gettando l’Iran fra le braccia della Cina e sta agevolando il riappacificamento sino-indiano. Ancor peggio, l’America si trova a dover affrontare il sorgere di un nuovo asse strategico in Asia che si estenderà da Teheran a Nuova Dehli, con Islamabad come perno centrale, finanziato dai petrodollari.
Una volta di più la politica di Bush, dando vita a questa nuova alleanza strategica per l’energia, potrebbe in ultima istanza rafforzare il sostegno di Washington ad un’azione militare contro l’Iran per ottenere quello che il contenimento non è riuscito ad ottenere.

Hannes Artens

Tradotto per EFFEDIEFFE.com da Arrigo de Angeli


Fonte >  Antiwar.com per gentile concessione di Foreign Policy in Focus


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