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Il Paese di Kafka
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Prima di trasferirmi in Italia, il «fatto» più rilevante che conoscevo riguardo al dibattito pubblico del Paese era che Andreotti aveva baciato Riina. In quei giorni prima di Internet, non ricordo neppure come mi arrivò in America l’immagine di questa fusione cinematografica tra il destino della sconosciuta classe politica dell’Italia con la sua famosissima classe criminale. Ma il vecchio titolo di giornale chiaramente mi era rimasto impresso, esattamente come una bella - o bruttissima - scena hollywoodiana.

Quando iniziai a raccontare la cronaca e la politica italiane agli americani nel 1998, non ci volle molto a scoprire che il bacio era l’invenzione di seconda mano di un pentito, nonostante Andreotti stesse effettivamente facendo i conti con un processo sia per associazione mafiosa, sia addirittura per l’omicidio da parte di Cosa Nostra del giornalista Mino Pecorelli. Cinque anni dopo, la somma dei verdetti finali nella saga giudiziaria di Andreotti non soddisfò nessuno: senza dubbio nessun bacio, tecnicamente nessuna responsabilità criminale, ma c’erano fonti di prova di rilievo sulle connessioni mafiose precedenti al 1980 che erano finite in prescrizione.

E così la questione se il più importante uomo politico dell’Italia del dopoguerra sia un criminale o una vittima del sistema giudiziario non è risolta né per gli storici, né per l’opinione pubblica, nel momento stesso in cui Paolo Sorrentino ripropone il bacio in una versione fantasiosa, quasi romantica. In Italia, insomma, meglio fare il cineasta che il giornalista.

Oggi ci sono nuove immagini che arrivano dalle aule di tribunale italiane ed entrano nelle teste degli americani e di altri in giro per il mondo. A Torino, un altro pentito sta accusando un altro primo ministro di connessioni con i piani omicidi della mafia siciliana. Vecchie domande tornano a galla: l’uomo che guida l’Italia era legato a Cosa Nostra? I magistrati stanno cercando di smontare la volontà dell’elettorato, rovinando l’immagine sia dell’Italia, sia dei suoi leader? O c’è un’area grigia di mezzo, con domande preoccupanti (sul caro amico di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado per legami mafiosi) che vengono deviate da accuse oltre ogni limite e poco plausibili da parte di un singolo pentito?

E nello stesso tempo, la seria testimonianza contro Berlusconi resa da Gaspare Spatuzza è di gran lunga la meno seguita e la meno spettacolare tra i due casi che stanno facendo titolo in tutto il mondo. A Perugia, il processo ad Amanda Knox (e dobbiamo chiamarlo così, nonostante ci siano altri imputati e, naturalmente, una vittima) riguarda meno l’Italia di quanto non sia invece uno studio di rilievo sul fenomeno globale di Internet. Non solo i contenuti del suo profilo su Facebook offrono i primi elementi sul personaggio, ma la «cliccabilità» delle foto del suo volto acqua e sapone vicino alle parole «assassinio» e «sesso» hanno alimentato l’appetito senza fine per questo caso. Non c’è dubbio che seguirà un film, nonostante come nel caso di Berlusconi sarà difficile rendere una versione di celluloide di Amanda, perché la stiamo guardando tutti i giorni. (Nanni Moretti è riuscito ad aver successo con Berlusconi solo mettendo se stesso nei panni del protagonista). Eh sì, magari alla fine i giornalisti davvero tolgono lavoro ai cineasti!

Ma andando oltre il medium - che si tratti di Internet o di cinema - ci sono connessioni più profonde in questi due casi che hanno a che fare con l’Italia di oggi. Vale la pena notare che i sostenitori della Knox hanno ripetutamente citato «il sistema giudiziario italiano» nell’esprimere la loro disapprovazione per come si sviluppava il caso. Ciò va oltre la tipica frustrazione per un particolare pm o per una particolare caratteristica della legge, e riflette l’immagine - guadagnata attraverso casi politici e non politici - che hanno le aule di giustizia italiane come un luogo di saghe giudiziarie kafkiane senza fine. E qui, andando oltre i fatti di ciascun caso, la somma delle vicende di cronaca che sono filtrate all’estero nel corso degli anni riflette perfettamente la realtà: l’Italia ha un bisogno disperato di una vasta riforma del proprio sistema giudiziario.

Naturalmente, non accadrà in tempi rapidi. E questo perché oltre Perugia e Torino, c’era un altro caso venerdì a Milano che ha ricevuto un’attenzione assai minore. La riapertura del caso Mills ci ricorda che la saga dei tribunali italiani - e il loro ruolo nelle vite dei cittadini qualunque - continuerà a dipanarsi parallelamente al destino di Silvio Berlusconi.

Visti dall’estero, questi casi offrono un colpo d’occhio sulla divisione tra quello che chiamerei la vita naturale e quella pubblica dell’Italia. Il caso Knox non interessa gli americani, in realtà, perché conferma la cattiva immagine dell’Italia, ma perché contrasta con la sua bellezza. Perugia rappresenta l’idillio italiano dove gli americani vengono in vacanza, e mandano i loro preziosi ragazzi a studiare all’estero. Che sia avvenuto un omicidio in questo contesto (con un’americana al 100 per cento come imputata più famosa) non rischia di cambiare ciò che gli americani amano del Belpaese, quell’Italia naturale.

Ma per coloro che conoscono meglio l’Italia, persistono gli eterni strati di paradosso, e così come ci sono buone notizie in quelle cattive, ce ne sono di cattive in quelle meno peggio. Così nel momento stesso in cui questo processo orribile a Perugia quasi quasi fa una sorta di pubblicità al turismo umbro, i processi di Torino e Milano ci ricordano della preoccupante condizione dell’Italia pubblica. Cioè un’Italia dove l’ombra della corruzione e del compromesso sono dovunque, dove un pentito pubblicamente accusa il primo ministro di proteggere la mafia, e la nazione e il resto del mondo quasi smettono anche di farci caso.

JEFF ISRAELY Chief Correspondent di Time Magazine per l’Europa

Fonte >
  LaStampa.it | 6 dicembre


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