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Il Paese paga il no al nucleare e gli errori in campo agricolo
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Primavera calda, anzi caldissima. I peggiori timori si sono avverati e i dati Istat di marzo mostrano che la fiammata inflazionistica è arrivata, più forte del previsto. Si tratta di un trend generale, sia ben chiaro, tanto che se l'Italia piange — 3,3% è il nostro livello di aumento del costo della vita, mai così alto dal 1996 - l'Europa addirittura si dispera con un 3,5% che rappresenta il tasso d'inflazione più elevato mai raggiunto nella storia di Eurolandia, vale a dire dal 1999. Ma per noi questa inflazione è tanto più grave perché si aggiunge, in un combinato disposto di stagflazione, ad un ritmo di crescita economico sem¬pre più vicino allo zero, mentre l'area euro viaggia sull'I,5%-1,7%.

Si tratta, va detto subito, di inflazione "importata", cioè le cui cause sono tutte da ricercare fuori dai nostri confini. In particolare l'aumento delle materie prime, quelle energetiche ma anche le commodities agricole, a sua volta figlio in buona misura della crisi finanziaria post-subprime. Per questo, è chiaro che il problema è a monte, e la palla non può che essere nelle mani di Trichet, il quale del resto non ha mai fatto mancare gli allarmi sull'inflazione, anche se la politica monetaria che finora ha messo in campo non è servita né a frenare le spinte recessive né a bloccare l'aumento dei prezzi.

Ed è chiaro, anche, che ben poche sono le cose che possiamo fare a livello domestico: fanno tenerezza le notazioni del cosiddetto "Mister prezzi", authority senza reali poteri sanzionatori, che ieri ha invitato semplicemente a «continuare a monitorare il mercato per evitare comportamenti speculativi». Una prece. Né serve - anzi - immaginare nuova forme di indicizzazione, che alimenterebbero solo la spirale prezzi-salari-prezzi.

Invece, è bene dirci senza reticenze che nel boom dei prezzi l'Italia risente soprattutto di un fattore strutturale tutto proprio: la crescente dipendenza dall'estero. Dipendenza che è diventata patologica ed emergenziale in due settori, quelli dell'energia e quello delle materie agricole. Non a caso i picchi inflattivi misurati dall'Istat riguardano i trasporti (+5,8%) e gli alimentari (+5,5%). Dati che indicano chiaramente una cosa: stiamo pagando caramente lanostra scelta di duplice isolamento. Nell'energia, con il "niet" demen¬ziale al nucleare con il quale ci siamo legati mani e piedi alle forniture di gas e petrolio, diventando soggetti passivi delle fluttuazioni di mercato.

Lo stesso fenomeno, meno strombazzato dai media ma che adesso sta emergendo in tutta la sua gravità, riguarda le materie prime agricole. Basti pensare che il prezzo del frumento è salito del 77% nell'ultimo anno, e quello del riso del 40% solamente negli ultimi tre mesi. Un boom dalle cause molteplici - la "fame" di cereali dei Paesi asiatici, il riposizionamento su questo settore dei grandi capitali d'investimento - ma che sta avendo conseguenze sempre più evidenti sui nostri portafogli. Il pane costa oggi il 13,2% rispetto a un anno fa, la pasta addirittura il 17%. Insomma, l'effetto commodities sta falcidiando i consumatori, contri¬buendo pesantemente alla fiammata inflazionistica in atto.

Anche qui, dobbiamo ringraziare la cecità di chi ci ha fatto credere che il massimo che si potesse fare in campo agricolo era un "made in Italy" da gentiluomini di campagna. Adesso, con i granai vuoti, se vogliamo continuare a mangiare a costi accettabili dobbiamo solo sperare che in Canada e negli Usa faccia bel tempo.
Infine, i dati Istat rendono ancora più inefficaci le promesse-fotocopia di Veltroni e Berlusconi su salari e pensioni.

C'è addirittura chi parla di scala mobile, riesumando un residuato bellico degli anni Ottanta: ottima idea, se vogliamo tornare a tassi di inflazione a due cifre. Se invece volessimo veramente porci il problema di come bloccare la spirale inflazionistica, è bene tenere a mente che, al momento, l'unica misura possibile è quella di ripensare seriamente la politica di approvvigionamento del Paese. Tra chi sproloquia di scala mobile, e chi tira fuori dall'armadio vecchie idee come dazi e protezionismo, è bene ricordare che l'unica ricetta attuabile al momento è quella di un serio stop all'import di questa "inflazione da isolamento".


Enrico Cisnetto

Fonte >
    Il Messaggero



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