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Islanda : la prima vittima della crisi (parte I)
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Il sistema bancario dell'Islanda è disintegrato. Valutato in euro, il Prodotto Interno Lordo è sceso del 65%. Molte aziende sono alla bancarotta; altre stanno pensando di spostarsi all'estero. I governi britannico ed olandese richiedono risarcimenti - che assommano ad oltre il 100% del PIL - per i propri cittadini titolari di depositi ad alto interesse presso le sedi locali di banche islandesi. I capi dell'Europa richiedono urgenti procedure per impedire che cose simili accadano a piccole nazioni dotate di grossi settori bancari.

L'Islanda sta vivendo la crisi finanziaria più rapida e grave che conosca in tempo di pace, crisi verificatasi quando le sue tre principali banche sono saltate tutte, e contemporaneamente, nell'arco di una settimana di questo ottobre 2008. E' il primo paese sviluppato che negli ultimi 30 anni chieda aiuto al Fondo Monetario Internazionale.

A seguito dell'applicazione delle leggi anti-terrorismo da parte delle autorità del Ragno Unito contro la Landsbanki, banca islandese, e contro le autorità islandesi il 7 ottobre, il sistema dei pagamenti dell'Islanda è effettivamente arrivato ad un punto morto, con difficoltà estreme nel trasferimento del denaro fra Islanda ed estero. Per un'economia dipendente dagli scambi import-export come quella islandese, una tale situazione è risultata catastrofica.

Benchè ora sia possibile seppur con difficoltà trasferire del denaro, il mercato monetario islandese opera ora sotto il controllo dei capitali mentre il governo cerca finanziamenti per far ri-fluttuare la corona islandese sotto la supervisione del FMI. Infatti ci sono tutt'ora differenti tassi di cambio operativi contemporaneamente sulla corona.

I negoziati con il FMI sono terminati ma, al momento in cui andiamo in stampa, il FMI ha procrastinato la sua decisione. Le autorità islandesi sostengono che ciò sia dovuto alla pressione del Regno Unito e dell'Olanda per i rimborsi ai cittadini che hanno depositato il loro denaro  nelle filiali britanniche ed olandesi della banca islandese Icesave. Le perdite nette su tali depositi potrebbe superare il PIL dell'Islanda, ed i due governi stanno chiedendo al governo islandese di rimborsare una fetta consistente di tali perdite. In tal caso, il risultato più probabile è la bancarotta dello stato islandese.

Come si è giunti a ciò ?  Si è puntato malamente sull'inflazione.
La ragione base del fallimento islandese è data da una serie di errori che risalgono ad un decennio fa.

La prima e principale causa della crisi è data dal modo col quale si è presa a bersaglio l'inflazione. Durante tutto il periodo di attenzione all'inflazione, questa era quasi sempre al di sopra del tasso prefissato. In risposta, la banca centrale teneva i tassi alti, a volte superiori al 15%.

In una piccola economia come quella dell'Islanda gli interessi alti incoraggiano le aziende locali ed i proprietari di casa a chiedere prestiti in divise estere ed attraggono anche gli speculatori che operano contro la UIP ( Uncovered Interest Parity, parità di interesse non coperta, riguarda la parità fra tasso di interesse e tasso di cambio, ndt  ).

L'effetto è stato un considerevole ingresso di divise estere che ha determinato a sua volta un netto innalzamento del tasso di cambio il quale ha dato all'Islanda l'illusione di stare in salute ed agli speculatori un guadagno raddoppiato. Il flusso di denaro in divisa estera in entrata ha anche incoraggiato la crescita dell'economia e dell'inflazione; effetti che hanno indotto la Banca Centrale ad innalzare ulteriormente i tassi di interesse.

Morale : alla fine si è prodotta una bolla causata dall'interazione fra alti interessi interni, apprezzamento della valuta e flusso di capitali in entrata. Di regola, fatti quali un flusso in entrata di divise fanno prevedere un abbassamento dei prezzi sui mercati interni, in Islanda l'effetto è stato quello opposto.

Lo sbaglio del centrarsi sull'inflazione

Le ragioni del fallimento dell'incentrarsi sull'inflazione non sono chiare. Un motivo chiave sembra essere stato che le divise estere siano diventate parte integrante della fornitura di moneta locale e che il rapido apprezzamento del loro cambio abbia portato direttamente alla formazione di nuovi settori dell'economia.

Il tasso di cambio è quindi diventato via via più scollegato dai fondamentali dell'economia, ed è stato inevitabile un rapido deprezzamento della moneta. Questo avrebbe dovuto essere ben chiaro alla Banca Centrale, che ha mancato diverse ottime possibilità per prevenire apprezzamenti nel tasso di cambio e costituirsi delle riserve.

La specifica struttura di amministrazione della Banca Centrale


A tutto ciò va aggiunta la specifica e particolare struttura di amministrazione della Banca Centrale islandese. Sua peculiarità è l'avere non uno ma tre governatori, uno o più dei quali di norma è stato in precedenza un politico. Come conseguenza, l'amministrazione della Banca Centrale d'Islanda è stata sempre percepita  come strettamente legata al governo centrale, sollevando anche dubbi sulla propria indipendenza. Attualmente il presidente del consiglio dei governatori è un ex Primo Ministro di lungo corso. I governatori della Banca Centrale dovrebbero, ovviamente, essere assolutamente imparziali, ed avere un politico quale governatore determina la percezione di una politicizzazione delle decisioni della banca centrale.

Inoltre, tale struttura di amministrazione porta con sè delle sfortunate conseguenze che sono diventate particolarmente visibili durante la crisi finanziaria. Scegliendo dei governatori in base al loro retroterra politico  piuttosto che in base alla loro competenza in economia od in  finanza, la Banca Centrale può essere percepita come male equipaggiata per gestire una economia in crisi.

Un settore bancario esagerato

Il secondo fattore dell'implosione dell'economia islandese è stato la dimensione del suo settore bancario. Prima della crisi, le banche dell'Islanda detenevano portafogli all'estero per un valore di circa 10 volte il PIL islandese, con debiti da far quadrare. Nelle normali situazioni economiche, tutto questo non causa preoccupazione, finchè le banche sono guidate con prudenza. Non c'è dubbio alcuno che le banche islandesi fossero meglio capitalizzate e con minore esposizione nelle posizioni ad alto rischio che non molte delle loro controparti europee.

Ma se le banche sono troppo grandi per venir salvate, il fallimento diventa una profezia che si auto-avvera.

(Fine Parte I)

Jon Danielsson

Traduzione per EFEFDIEFFE.com di Massimo Frulla

Fonte >
 
VOX | 12 novembre

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