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La destra «moderna» di Fini in fuga per paura del voto
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Pochi giorni fa, durante la direzione del Pdl, Gianfranco Fini ha perso le staffe. Il Cav sul palco gli aveva appena detto che se voleva dare battaglia nel partito avrebbe fatto bene a lasciare la presidenza della Camera, ruolo neutro per antonomasia. Gianfranco, che era in platea, è scattato in piedi e ha gridato con sarcastico furore: «Che fai? Mi cacci?». Era così fremente che avresti detto - se non fosse stata già occupata a masticare un chewingum - che aveva la bava alla bocca.

Ieri Fini - ospite di Lucia Annunziata nel programma «In mezz’ora sulla Terza Rete tv» - ha fatto retromarcia nella sua posizione anti-Cav, magari perché lo spettro delle elezioni gli fa un po’ paura. E poi, quasi per smentire l’impressione nevrotica che aveva suscitato, ha detto di sé: «Io sono la destra moderna. Quella che non ha la bava alla bocca e che parla con gli altri». Dunque lui e i quattro gatti suoi seguaci - i Bocchino, gli Urso, i Granata - calmi, sereni e dialoganti. Mentre il resto della destra, questo il sottinteso - dal Cav a Bondi, da Letta a La Russa - ringhiosi e antimoderni, truci e isolati.

Ora quale sia la destra moderna di Fini personalmente lo ignoro conoscendo solo le sue posizioni di sinistra su fisco, ingerenza dello Stato, immigrazione, identità nazionale, questioni etiche. Dunque, su questo, non azzardo commenti. Quanto, invece, alla pacatezza e all’inclinazione al dialogo sua e dei suoi basta andare indietro con la memoria, anche di poco, per sbellicarsi dal ridere.

Per mesi, Gianfranco non ha parlato con il Cav. Ha evitato i faccia a faccia e gli ha solo fatto capire indirettamente che non lo digeriva. Ha messo in Parlamento i bastoni tra le ruote al governo e minacciato, nelle ultime ore, di farlo anche di più in futuro. Ha mugugnato a mezza bocca e seminato zizzania nel Pdl in ogni intervista che ha rilasciato. Un lavoro sotterraneo da talpone politico che ha raggiunto il clou nel dialogo con Nicola Trifuoggi, procuratore della repubblica di Pescara. Uno scambio di battute che doveva rimanere segreto e che invece - causa microfoni aperti - è stato registrato.

Nel novembre del 2009, nell’aula comunale di Pescara, Fini presenziava con Trifuoggi alla consegna del premio Borsellino. I due si erano appena conosciuti. Nonostante questo, la terza carica dello Stato si è abbandonata a confidenze come se l’altro fosse un intimo di casa. Mentre un oratore filosofeggiava ad alta voce: «Noi siamo di passaggio, qui nessuno è eterno», Fini dà di gomito al procuratore e sussurra: «Se lo sente Berlusconi si incazza». Trifuoggi ride e lo spiritoso, sempre pensando al Cav, aggiunge: «Confonde la leadership con la monarchia assoluta. In privato gli ho detto ricordati che gli hanno tagliato la testa a... (forse intendeva Luigi XVI ma, incerto sull'attribuzione, è rimasto sul vago, ndr)... e quindi statti quieto». Poi, visto che il magistrato si beava con la presa dei fondelli del premier, Fini ha rincarato. «Un avversario di Giolitti - ha fatto sfoggio - un giorno gli disse: ‘Lei rappresenta lo stato, participio passato del verbo essere’».

Trifuoggi al settimo cielo: «Potrebbe essere riesumata». Gianfranco, col sorriso destra moderna: «Infatti, non escludo di farlo... prima o poi lo faccio». A questo punto i due erano ormai amiconi e Fini, gasato, è passato a Spatuzza che - secondo voci - accusava il Cav. Invece di indignarsi col confidente mafioso - il minimo che poteva fare per l’uomo cui deve tutto – l’impudente presidente della Camera dice: «E’ una bomba. L’importante però è che i giudici facciano le verifiche con
scrupolo». Come dire, l’occasione per incastrare il Berlusca è ghiotta, speriamo non la sprechino.

Questo è l’uomo senza bava alla bocca, pronto a dialogare con gli altri. Chiunque altro, purché non sia Berlusconi e ne sia anzi il peggior nemico. Se invece deve chiarirsi con quelli del Pdl si sottrae sdegnoso e fa il viso dell’arme. Con Vittorio Feltri e il Giornale, che gli rompono i giochi e lo pungolano, anziché spiegarsi civilmente, magari con un’intervista, querela. Oppure, com’è successo qualche giorno fa nell’assemblea Pdl, allude sprezzante e acidulo al «direttore lautamente stipendiato da un parente del premier». Lo stesso fa con gli ex An che non si sottomettono a tappetino. Ricorderete l’episodio di qualche anno fa quando all’uscita di un bar, nella romana piazza di Pietra, Matteoli, La Russa e Gasparri congetturavano sullo stato dei nervi di Fini. «E’ tremendamente dimagrito, non si sa cosa vuole, sfugge. Bisogna prenderlo di petto», dicevano angustiati i tre. Pensavano, i grulli, di essere tra loro. Un giornalista invece aveva origliato il siparietto e lo spiattellò l’indomani sul suo giornale. A Fini, mi sia consentito, venne la bava alla bocca e rifiutò di ricevere i tre che volevano spiegarsi. Poi, inaudita altera parte, tuonò: «Mi aspetto che si dimettano». Non so più se da una carica, dal partito o dalla vita. Fatto sta che lui, la dialogante destra moderna, rifiutò ogni contatto. Noto di passaggio che pretendeva le dimissioni, non per ragioni politiche come quelle che oggi gli sollecita il Cav, ma per pura e semplice lesa maestà.

Lo stile pacato e aperto di Gianfranco ha fatto scuola tra i suoi fedelissimi. Ne abbiamo avuto la prova una settimana fa nella trasmissione TV di Gianluigi Paragone. Presenti due pretoriani finiani, Italo Bocchino e Adolfo Urso, con il loro collega di partito, Maurizio Lupi. Costui, di botto, è stato preso di petto da Bocchino. «Hai un atteggiamento fascista e squadrista», gli ha detto suscitando pantagrueliche risate poiché l’accusa proveniva da un giovanottello ex missino cresciuto a pane e duce. Per vendicarsi dello scherno, Italo se l’è allora presa col cattolicesimo dichiarato dell’altro e ha sibilato: «Voi di Comunione e Liberazione siete i maestri della divisione dei posti». Lupi, sconcertato, ha reagito. E’ intervenuto Urso togliendogli inviperito la parola: «Basta Lupi, basta. Condividi il titolo del Giornale (uno dei tanti su Fini, ndr). Condividi quel titolo? Rispondi, rispondi» e giù a reiterare la pretesa con la tigna del tarlo. «Sei un po’ nervoso», gli fa l’altro. E Bocchino, nel pacioso stile di Fini, si intrufola di nuovo: «Tu, tu sei nervoso, tu sei nervoso. Ti abbiamo toccato Comunione e Liberazione». Su questo è calato il sipario tra la destra arretrata e la dialogante destra moderna rivendicata ieri da Fini. Che ha così dimostrato di mancare di quel minimo sentimento del pudore che divide la decenza dal suo sciagurato opposto.
 
Giancarlo Perna

Fonte >
  Il Giornale | 26 aprile 2010

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