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La frenesia livida di sporcare piegare e colpire
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 Non è vero che la Congregazione per la dottrina della fede, negli anni in cui era guidata da Joseph Ratzinger, insabbiò il procedimento canonico a carico di Lawrence Murphy, il sacerdote americano colpevole di abusi su dei bambini sordi. Chi legga i documenti pubblicati dal New York Times a sostegno di questa accusa scopre che in realtà solo i vertici della Chiesa americana insistettero a indagare su fatti, che erano stati archiviati dalla giustizia civile.

È vero invece che la terribile vicenda delle 29 denunce contestate a padre Murphy – e risalenti ad abusi avvenuti tra il 1950 e il 1974 – arrivò alla Congregazione solo nel 1998, quando l’ ormai anziano sacerdote scrisse a Ratzinger chiedendo l’interruzione del processo anche a causa delle sue gravi condizioni di salute. Tuttavia l’allora segretario della Congregazione, Tarcisio Bertone, rispose ordinando che si procedesse secondo le misure previste dal canone 1341 «per ottenere la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia». Il prete accusato morì quattro mesi dopo.

Della realtà sulla denuncia del New York Times riferiamo a pagina 5. Ma un simile attacco (il secondo in pochi giorni) sulla prima pagina di uno dei più autorevoli quotidiani americani è una cosa che fa pensare. È un piegare quasi con la forza i fatti a una tesi che sembra precostituita e ordinata a uno scopo preciso: attaccare, nella persona del Papa, la Chiesa. Con una determinazione e una tendenziosità che lascia sbalorditi. Le accuse contro quel sacerdote americano sono terribili, ma dopo la prima denuncia il prete venne allontanato e da allora visse ritirato. La giustizia civile lasciò perdere. Da Roma invece, 24 anni dopo l’accaduto, non si consentì alla richiesta di cancellare la vicenda. Chi è l’insabbiatore dunque?

La sproporzione fra le accuse e la realtà è troppa per non vedere la volontà di addossare alla Chiesa l’immagine di una sorta di "cupola" opaca, che sa e non vede, che è informata e finge di ignorare. Quasi come se la dolorosa e limpida lettera di Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda, ammettendo le colpe di alcuni sacerdoti e le mancanze di una Chiesa locale, avesse risvegliato un rancore inespresso ma aspro, un’ansia di lanciare accuse gravi e non provate contro la Chiesa tutta, e il Papa per primo. C’è un sentore quasi di voglia di lapidazione in certi titoli forzati, sparati e subito ripresi da altre testate: come quando tra bande di ragazzi si decide all’improvviso che "quello" è il nemico, e insieme lo si attacca.

Perché? Noi non sappiamo di complotti. Abbiamo invece il dubbio di trovarci di fronte a una di quelle onde mediatiche che a volte traversano l’informazione: gli episodi di pedofilia in Irlanda, denunciati dallo stesso Benedetto con una accorata richiesta di verità e giustizia, usati come anello di una catena che va a cercare singoli episodi, ora veri ora dubbi, ora vecchi di trenta o cinquant’anni, in cui gli accusati spesso sono morti; e serra l’uno all’altro gli anelli, fino a farne una catena vera, da prigionieri, che mette addosso ai sacerdoti cattolici, tutti, alla Chiesa, tutta.
Di "onde mediatiche" se ne creano spesso, come se i media amplificassero se stessi in un gioco incontrollabile di echi. Ma questa volta si avverte in alcuni almeno una frenesia strana di lanciare il sasso, di sporcare, di insinuare che, in realtà, coloro agiscono nel nome di Cristo sono poi uguali a noi, e anzi molto peggiori. Il che talvolta tragicamente può essere vero. Ma non cambia la essenza della Chiesa, il suo essere corpo di Cristo, pure fatto di uomini peccatori.

Che strana, livida voglia di fango emerge da certi titoli, dalla realtà piegata e costretta nei propri disegni. Viene in mente l’Eliot dei Cori da «La Rocca», viene in mente quella Straniera che non è amata dagli uomini – perché è «la Testimone»: «Colei che ricorda la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare». La Chiesa, che ancora pretende di affermare che esiste un Bene, e un Male. Che questo dia fastidio? Sembra diretto ai nostri giorni la profezia di Eliot, siamo noi, forse, «gli uomini che deridono/ tutto ciò che è stato fatto di buono».

Marina Corradi

Fonte > 
Avvenire.it



Prete pedofilo in Usa, ecco come è andata veramente

“Alti funzionari vaticani – incluso il futuro papa Benedetto XVI – non sconsacrarono un prete che aveva molestato qualcosa come 200 ragazzi sordi, malgrado diversi vescovi americani avessero ripetutamente avvertito che la mancanza di una azione decisa in materia avrebbe potuto mettere in imbarazzo la Chiesa”. Così inizia l’articolo del New York Times oggi ripreso con grande evidenza dai media italiani. In realtà proprio l’intera documentazione pubblicata dal New York Times sul suo sito, smentisce questa lettura tendenziosa dei fatti riguardanti padre Lawrence Murphy, tra il 1950 e il 1974 cappellano in una scuola per sordi della diocesi di Milwaukee.

I documenti  dicono infatti che gli unici a preoccuparsi del male compiuto da padre Murphy sono stati i vertici della diocesi americana e la Congregazione per la Dottrina della Fede, mentre le autorità civili avevano archiviato il caso. In particolare la Congregazione della Dottrina della Fede, investita della questione solo tra il 1996 e il 1997, ha dato indicazione di procedere nei confronti di padre Murphy malgrado la lontananza temporale dei fatti costituisse un impedimento a norma di diritto canonico.

Tutto comincia il 15 maggio 1974 quando un ex studente della St. John’s School per i sordi presenta una denuncia sugli abusi compiuti su di lui e su altri ragazzi da padre Lawrence Murphy tra il 1964 e il 1970, ma - a quanto viene riportato – dopo un’indagine, il giudice incaricato archivia il caso. La diocesi di Milwaukee invece allontana subito padre Murphy, con un permesso temporaneo per motivi sanitari (fino a novembre 1974) che però diviene definitivo. Una lettera dalla diocesi di Superior nel 1980 spiega che padre Murphy vive a Bounder Junction (Wisconsin), a casa della madre, continuando comunque a esercitare il ministero sacerdotale aiutando il parroco locale.

Nel frattempo però le denunce presso la diocesi di Milwaukee si moltiplicano e tra il luglio e il dicembre del 1993 padre Murphy viene sottoposto a quattro lunghi interrogatori dai responsabili dell’arcidiocesi assistiti da psicologi esperti di pedofilia. Ne emerge un quadro clinico di “pedofilo tipico”, che ne raccomanda un trattamento psicologico per maniaci sessuali e anche un accompagnamento pastorale/spirituale oltre che una restrizione nell’attività ministeriale. Dalla relazione degli interrogatori si evince che ci sono state 29 denunce di ragazzi: padre Murphy ammette “contatti” solo per 19 dei ragazzi coinvolti. Dai documenti successivi si ha poi la dimostrazione che l’arcidiocesi di Milwaukee prosegue nelle sue indagini cercando di appurare la realtà e l’ampiezza dei fatti, e il 17 luglio 1996 il vescovo Rembert Weakland scrive all’allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger, chiedendo lumi sul caso di padre Murphy e su quello – non collegato - di un altro prete, accusato di crimini sessuali e finanziari.

Monsignor Weakland fa riferimento alla denuncia del 1974 e spiega che però solo recentemente è venuto a conoscenza del fatto che certi crimini sessuali sono avvenuti durante il sacramento della Confessione, così che ha incaricato ufficialmente un prete della diocesi, padre James Connell, di condurre un’indagine approfondita (il decreto è del dicembre 1995). Un ostacolo all’accertamento dei fatti – afferma mons. Weakland – è dato dalla comprensibile reticenza dei ragazzi e della comunità della St John’s school a rendere pubbliche circostanze imbarazzanti. Monsignor Weakland si rivolge alla Congregazione per la Dottrina della Fede per avere un chiarimento sulla giurisdizione in questo caso di “crimine di sollecitazione” (canone 1387), se è di pertinenza della diocesi o della Congregazione.

Dai successivi documenti non sembrerebbe che la lettera sia mai arrivata sul tavolo del cardinal Ratzinger e dell’allora mons. Bertone, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. In ogni caso, in mancanza di una risposta, l’arcidiocesi di Milwaukee va avanti per la sua strada e il 10 dicembre 1996 informa padre Murphy che il 22 novembre è stato aperto un procedimento penale ecclesiastico a suo carico con un tribunale creato ad hoc. La richiesta dell’accusa è la “destituzione di padre Murphy dallo stato clericale”.

Il problema che però si pone è quello della prescrizione dei crimini commessi, per cui a norma di diritto canonico si sarebbe impediti di procedere. Ma l’arcivescovo di Milwaukee è intenzionato a individuare una deroga al canone tenuto conto della situazione fisica e psicologica delle vittime. Intenzione avallata poi da mons. Bertone nella lettera del 24 marzo 1997. Alla fine del 1997 il processo passa poi alla diocesi di Superior, ma il presidente del tribunale rimane lo stesso di Milwaukee, padre Thomas Brundage. Dai documenti presentati dal New York Times si evince chiaramente l’intenzione delle autorità ecclesiastiche di Milwaukee e Superior di procedere nel modo più spedito possibile per arrivare a un atto di giustizia e di riparazione per le vittime e la comunità della St John’s school.
Nel frattempo, padre Murphy scrive una lettera al cardinal Ratzinger (12 gennaio 1998), chiedendo l’annullamento del processo a suo carico perché l’Istruzione del 1962 prevede per avviare l’azione penale un termine di 30 giorni dal momento in cui è presentata l’accusa. Padre Murphy afferma tra l’altro che – oltre ad essere pentito – è gravemente malato e comunque vive ritirato da 24 anni. Per cui chiede almeno di non essere ridotto allo stato laicale.

Il 6 aprile 1998 mons. Bertone scrive a mons. Fliss, vescovo di Superior, a nome della Congregazione per la Dottrina della Fede spiegando che – dopo aver esaminato attentamente la vicenda – non esiste un termine per l’azione penale così come invocato da padre Murphy, per cui il processo può continuare anche se – aggiunge Bertone – è giusto tenere conto dell’articolo 1341 del Codice di diritto canonico secondo cui una sanzione penale deve essere comminata solo dopo aver constatato che non sia “possibile ottenere sufficientemente la riparazione dello scandalo, il ristabilimento della giustizia, l'emendamento del reo” con altri mezzi.

Monsignor Fliss risponde il 13 maggio a monsignor Bertone affermando che, conformemente a quanto indicato dalla Congregazione, c’è la necessità di un processo a padre Murphy tenendo conto della gravità dello scandalo e del grande dolore inferto alla comunità cattolica della St John’ school.
Si arriva quindi al 30 maggio quando in Vaticano c’è un incontro tra mons. Bertone, il sottosegretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, padre Gianfranco Girotti, e i presuli americani interessati alla questione. Dalla minuta dell’incontro si evince che nella Congregazione ci sono dei dubbi circa la fattibilità e l’opportunità del processo canonico, data la difficoltà a ricostruire i fatti accaduti 35 anni prima, soprattutto per quel che riguarda il crimine in confessionale, e dato che non risultano altre accuse per il periodo dal 1974 in poi. Bertone quindi, a conclusione dell’incontro, riassume le due linee fondamentali da tenere: una restrizione territoriale per il ministero sacerdotale (in pratica padre Murphy deve restare a Superior) e un’azione decisa per ottenere il pentimento del sacerdote, inclusa la minaccia di “dimissione dallo stato clericale”.

Il vescovo di Milwaukee scrive ancora il 19 agosto a mons. Bertone per metterlo al corrente delle misure prese per attuare le linee indicate dalla Congregazione, e informarlo del fatto che la sua diocesi continuerà a farsi carico delle spese per sostenere le terapie alle vittime degli abusi sessuali. Infine, il 21 agosto padre Murphy muore, chiudendo definitivamente il caso.


Riccardo Cascioli

Fonte > 
Avvenire.it


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