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La sovranita' dello Stato deve essere cambiata nell'era globalizzata
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Un pezzo profetico datato 2006: l’autore che qui proclama il mondialismo è Richard Haass, ebreo, presidente del Council on Foreign Relations

Nell'età della globalizzazione, gli Stati dovrebbero cedere parte della loro sovranità ad entità mondiali in nome del loro stesso interesse


Per 350 anni, la Sovranità - la nozione secondo cui gli Stati sono gli attori centrali del palcoscenico mondiale e i loro governi sono essenzialmente liberi di fare quello che vogliono all'interno del loro territorio ma non all'interno del territorio di altri Stati - ha costituito il fondamento organizzativo delle relazioni internazionali. E' venuto il tempo di ripensare questa nozione.
 
I 190 e più Stati presenti al mondo coesistono ora con un più ampio numero di potenti attori non sovrani almeno parzialmente (e spesso ampiamente) indipendenti, in una gamma che va dalle corporations alle organizzazioni non governative (le ONG), dai gruppi terroristi ai cartelli della droga, dalle istituzioni regionali o globali alle banche e ai fondi di private equity. Lo Stato sovrano è influenzato da questi (nel bene e nel male) nella misura in cui è in grado di influenzarli. Il quasi monopolio della forza di cui una volta godevano le entità sovrane sta subendo un'erosione.
 
Come risultato, sono necessari nuovi meccanismi di governance regionale e globale che includono attori altri rispetto agli Stati. Questo non è tanto per osservare come a Microsoft, Amnesty international o Goldman Sachs vengano concessi seggi all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, quanto per sottolineare come ciò significhi includere rappresentanti di tali organizzazioni nelle deliberazioni a livello regionale o globale riconoscendo loro esse la capacità di determinare se e quando sfide regionali e globali vengano affrontate.
 
DI MENO UGUALE DI PIU'
 
Per di più, gli Stati devono essere preparati a cedere una parte della loro sovranità a enti mondiali affinché il sistema internazionale possa funzionare. Questo già accade nel regno del commercio. I governi accettano i regolamenti dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) perché in cambio beneficiano di un ordine commerciale internazionale anche nel caso in cui una particolare decisione richieda che essi modifichino una pratica che è loro diritto sovrano mettere in atto.
 
Alcuni governi sono pronti a cedere elementi di sovranità per fare fronte alla minaccia del cambiamento climatico globale. In virtù di uno di questi accordi, il protocollo di Kyoto, in vigore fino a tutto il 2012, i firmatari si accordano per porre un limite ad alcuni tipi di emissioni. Quello che occorre adesso è un accordo successivo, nell'ambito del quale un più ampio numero di governi, inclusi Stati Uniti, Cina e India, accettino i limiti alle emissioni o adottino parametri comuni con cui riconoscere che sarebbe assai peggio se non lo facessero.
 
Tutto ciò suggerisce come la sovranità debba essere ridefinita se gli Stati vogliono tener testa alla globalizzazione. Lo spirito di quest'ultima richiede l'incremento di volume, velocità ed importanza dei flussi - entro e attraverso i confini - di persone, idee, gas da effetto serra, beni, dollari, droghe, virus, emails, armi e tutto quanto rappresenti un buon affare, sfidando uno dei principi fondamentali della sovranità: la capacità di controllare cosa attraversa i confini e in quale direzione. Gli Stati sovrani misurano la loro progressiva vulnerabilità non uno contro l'altro, ma in rapporto a forze che vanno oltre il loro controllo.
 
Dunque la globalizzazione implica non solo che la sovranità diventi realmente più debole, ma che è indispensabile che lo diventi. Gli Stati dovrebbero essere così saggi da indebolire la propria sovranità per proteggersi, perché non possono di certo isolarsi da quanto accade in qualunque altro luogo. La sovranità non è più un santuario.
 
Questo è stato dimostrato dalla reazione dell'America e del resto del mondo al fenomeno del terrorismo. Il governo talebano dell'Afghanistan, che ha fornito rifugio e supporto ad Al Qaeda, è stato rimosso. Allo stesso modo, la guerra preventiva all'Iraq, dichiarata ignorando le Nazioni Unite e nella convinzione dell'esistenza delle armi di distruzione di massa, ha mostrato che la sovranità non è più sinonimo di assoluta protezione.
 
Immaginate come reagirebbe il mondo se si venisse a sapere che un certo governo stia sul punto o abbia già progettato di usare o trasferire dispositivi nucleari. Molti converrebbero - correttamente - nel ritenere che la sovranità non procura alcuna protezione a quello Stato.
 
La necessità può anche dettare la riduzione o persino l'eliminazione della sovranità quando un governo, vuoi per mancanza di capacità, vuoi per consapevole scelta politica, sia incapace di provvedere ai bisogni fondamentali dei cittadini. Ciò non riflette semplici scrupoli, ma la prospettiva che il fallimento dello Stato e il genocidio possano condurre a flussi destabilizzanti di rifugiati e alla creazioni di un terreno fertile per il terrorismo.
 
L'intervento della NATO in Kosovo è stato l'esempio in cui un determinato numero di governi sceglie di violare la sovranità di un altro governo (in questo caso la Serbia) per fermare la pulizia etnica ed il genocidio. Al contrario, gli eccidi di massa di una decina d'anni fa in Rwanda e quelli attuali in Darfur e Sudan, dimostrano l'alto prezzo da pagare quando si giudichi la sovranità suprema e dunque si faccia poco o nulla per impedire una carneficina di innocenti.
 
CONDIZIONI NECESSARIE
 
La nostra nozione di sovranità deve perciò essere condizionale, addirittura contrattuale, piuttosto che assoluta. Se uno Stato viene meno all'adempimento della sua parte di contratto, sponsorizzando il terrorismo, trasferendo oppure utilizzando armi di distruzione di massa, o commettendo un genocidio, allora perde i normali benefits legati alla sovranità ed espone se stesso all'attacco, alla destituzione del suo governo o all'occupazione.
 
La sfida diplomatica della nostra era è quella di guadagnare il supporto più vasto possibile ai principi di una condotta di Stato e ad una procedura per definire i rimedi nel caso in cui tali principi vengano violati.
 
Il fine dovrebbe essere quello di ridefinire la sovranità nell'era della globalizzazione, creando una compensazione tra un mondo di Stati assolutamente sovrani e un sistema internazionale che pone una scelta  tra governo mondiale o anarchia.
 
Bisogna che venga preservata l'idea base della sovranità, che determina ancora un'utile coercizione all'uso della forza tra gli Stati. Ma occorre al contempo adattare il concetto ad un mondo in cui le più importanti sfide all'ordine provengono da ciò che le forze globali fanno agli Stati e ciò che i governi fanno ai loro cittadini piuttosto che ciò che gli Stati fanno uno all'altro.
 
Richard Haass è il Presidente del Council of Foreign Relations e autore de "L'Opportunità: il momento per l'America di cambiare il corso della storia". 

DI RICHARD HAASS

Traduzione per EFFEDIEFFE.com a cura di Milena Spigaglia


Fonte >  Taipei Times | 21 febbraio 2006

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