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I sei milioni di prima
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A quanto pare, c’è stato un altro olocausto prima dell’olocausto. Nel 1919. Anche allora, sei milioni di ebrei a rischio dela vita. Ecco qui l’interessante documento, che devo a un lettore. Può darsi che alcuni ne siano a conoscenza; io, che non sono un esperto olocaustico, ammetto che non lo conoscevo. Eccone la nostra traduzione:



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«La morte deve vincere all’asta? - Cosa sei disposto a dare?»

«Si chiede il tuo aiuto per salvare le vite di sei milioni di persone nell’Europa orientale e centrale. Esse sono prive di cibo, vestiti, tetto, medicinali - di tutto ciò da cui dipende la vita. Tu puoi dar loro la vita. Il loro destino è nelle tue mani. Quanto darai? Invia il tuo contributo a Paul Baerwald, tesoriere del Fondo non-settario della Grande New York».

Presidente Otto A. Rosalsky
Gestito dal Joint Distribution Committee - presidente Felix M. Warburg




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«E’ solo un’altra campagna. Ma le vite di 6 milioni di esseri umani aspettano la risposta»

«Le campagne (di raccolta fondi) sono storia vecchia a New York. Ma per 6.000.000 di uomini donne e bambini, la fame è storia anche più vecchia, e così la nudità, la mancanza di un tetto, la malattia e la morte. Mai durante la guerra, nemmeno in Belgio e nella Francia del nord, c’è stata una situazione più critica, un bisogno più grande, di quello che ci viene oggi dall’Est e Centro Europa (...). Se la febbre tifoide ed altre innumerevoli conseguenze della fame che colpisce centinaia di migliaia di esseri umani non sono tenute sotto controllo, qualche riflusso di questa spaventosa calamità raggiungerà le nostre rive, proprio come l’epidemia di influenza in Europa ha trovato la via di superare l’Atlantico».

I nomi del Comitato Esecutivo del Joint Distribution committee sono tutti ebraici




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«L’appello - Salvare sei milioni di uomini e donne nell’Europa orientale dallo sterminio per fame e malattia»

«I fatti. Certifico ufficialmente (…) che le spaventose condizioni che sono state riferite (...) sono vere al di là di quanto le parole possano descrivere. Firmato Bainbridge Colby, segretario di Stato».

Seguono i nomi dei principali donatori. I primi due, con 100 mila dollari, sono Jacob Schiff e Felix Warburg, i due grandi banchieri americani della Kuhn & Loeb, la banca che finanziò la rivoluzione bolscevica in Russia, e Lev Trotsky in particolare.




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«In nome del cielo, sollevatevi ebrei d’America!»
Questo è il grido che gli ebrei d’Europa lanciano agli ebrei d’America

«Fate capire loro che stiamo morendo! Che il popolo intero sta morendo! Morendo per mancanza di cibo! Morendo per mancanza di assistenza medica! Morendo per mancanza di tetto!

Fate capire loro che a centinaia e centinaia si stanno togliendo la vita perchè la loro sofferenza, e quella dei loro familiari, ha reso la vita intollerabile.

Fate capire  loro che milioni di ebrei sono intrappolati in Europa e non hanno alcuna speranza, se non nell’aiuto americano.

Dichiariamo solennemente agli ebrei d’America che mai nella storia del popolo ebraico, per quanto si vada inietro nei secoli, c’è mai stata una situazione come questa, e che mai nella storia del popolo ebraico c’è stata un’emergenza così grande. Già più volte gli ebrei d’America ci hanno salvato dalla morte. Ed ora, dall’abisso della nostra disperazione, vi imploriamo di aiutarci ancora, altrimenti moriamo» (Da una lettera inviata da un importante ebreo europeo a David A. Brown, presidente nazionale della United Jewish Campaign per 15 milioni di dollari).



Il resto del volantino invita gli ebrei di New York a raccogliere la loro quota: 6 milioni di dollari. Un dollaro a testa per ognuno dei 6 milioni di ebrei euro-orientali da salvare. E’ perfino economico, anche se il dollaro allora valeva molto di più.

primo_olocausto5.jpgAllora, quando? Anche se il volantino non reca una data, era il 1920. Bainbridge Colby, il politico che attesta la verità della tragedia, divenne segretario di Stato nel marzo di quell’anno. Il banchiere Jacob Schiff che appare tra i donatori e i firmatari dell’appello disperato morì nel 1920 (Felix Warburg defunse nel 1937). Nel 1919 l’ebraismo americano lanciò infatti una grande campagna di raccolta fondi, con invio di aiuti materiali e l’apertura di crediti enormi a Lenin, in pratica salvando il sistema sovietico dalla prima grande sua crisi, auto-generata.

La carestia cui alludono i volantini era infatti la conseguenza dellle collettivizzazioni economiche, delle requisizioni forzate e della disorganizzazione che i comunisti avevano creato smantellando gli apparati pubblici (e massacrando i dirigenti più capaci, perchè «borghesi»), il tutto nella «lotta alla controrivoluzione». Il dichiarato «Terrore Rosso».

Nella regione di Arkangelsk, per esempio, «i contadini che non aderivano alle requisizioni forzate erano sottoposti a immersioni prolungate in pozzi dove li si faceva scendere all’estremità di una corda; per il mancato pagamento dell’imposta rivoluzionaria si trasformava la gente in statue di ghiaccio», ricostruisce Solgenitsin («Due secoli insieme, II, 157). A Kiev, nell’agosto del 1919, truppe «bianche» (anticomuniste) prendono la città e scoprono centinaia di corpi di fucilati, o liquidati con colpi alla nuca, in capannoni e scantinati usati dalle «ceke». Il giudice istruttore della Ceka di Kiev, sotto interrogatorio, confessa: «Il numero dei collaboratori della Ceka oscillava tra i 150 e i 300 (...). La proporzione degli ebrei era uno su quattro nell’insieme, ma i posti chiave erano tutti quasi esclusivamente nelle loro mani. Su 20 membri della commissione, ossia quelli che decidevano le esecuzioni, 14 erano ebrei». (Solgenitsin, II, 162).

Ovviamente, congelare i contadini non è il metodo migliore per risolvere una carestia. Nacquero disordini per la fame. Nel febbraio 1921, ci furono a Mosca scioperi operai con la seguente parola d’ordine: «Abbasso i comunisti e gli ebrei!». L’avanguardia del proletariato dovette sterminare quegli operai borghesizzati.

«Fin dal gennaio 1918 funzionava la pena di morte sul posto, senza processo nè istruttoria. Venne poi la retata di centinaia e presto migliaia di ostaggi perfettamente innocenti, fucilati di notte o annegati nei fiumi a barche intere. Lo storico S. Melgunov, che conobbe le prigioni e le minacce della Ceka, ha descritto in modo indimenticabile l’epopea del Terrore rosso nel suo famoso libro appunto ‘Terrore Rosso’: Non c’era un solo luogo (in tutta la federazione) in cui non si procedesse ad esecuzioni mediante fucilazioni». La Ceka pubblicava un settimanale, Gladio Rosso, dove il redatore capo, l’ebreo Lev Kravin, scriveva: «Per noi è da escludere che ci si debba preoccupare dei vecchi principii della morale e dell’umanesimo, inventati dalla borghesia».

Questo succedeva specialmente in Ucraina. Uno storico americano, Bruce Lincoln, ha attestato: «La Ceka ucraina era composta circa all’80% da ebrei». Sicchè avvenne che, nel Paese percorso da armate bianche (generali Denikin, Wrangel, Petliura), quando queste strappavano una città ai bolscevichi, venivano massacrati ebrei a centinaia. «... Nelle fasi di tregua la popolazione ebraica fuggiva in massa, borgate e frazioni si svuotavano completamente; alcuni fuggivano verso la frontiera romena (nella vana speranza di esservi soccorsi); altri presi dal panico, senza direzione nè meta precise» (Solgenitsin, II, 176).

primo_olocausto.jpgPer qualche ignoto motivo, gli ebrei venivano identificati col bolscevismo. E’ probabilmente questa situazione, con ebrei nel panico fuggenti sena mèta, ad aver mobilitato la raccolta di fondi di Jacob Schiff e per «i sei milioni di affamati, nudi e senza tetto». Per fortuna loro, durò poco. Le armate bianche si disfecero presto, e i lavoratori del proletariato ripresero coraggio. Via via che il bolscevismo riprendeva il terreno perduto, procedeva alla normalizzazione.

«Ecco un avviso della Vetceka pubblicato nell’ottobre 1920 a Kuban: ‘I villaggi dei cosacchi e i borghi che danno rifugio ai Bianchi saranno distrutti, tutta la popolazione adulta fucilata, tutti i beni confiscati». «Essendo le vittime troppo numerose per fucilarle ad uno ad uno», si passa «alle mitragliatrici». «Dopo la partenza del generale Wrangel, la crimea fu soprannominata ‘il cimitero panrusso’ »(il numero dei fucilati è stato valutato in 120-150 mila). «A Sebastopoli, non ci si accontentava di fucilare; si impiccava, a centinaia». La Prospettiva Nakhimov rigurgitava di impiccati (ai lampioni) arrestati per strada e giustiziati senza processo. Il terrore in Crimea proseguì per tutto il 1921. (Solgenitsin, II, 155).

A questa opera rivoluzionaria, gli ebrei si dedicarono massicciamente: «Tra i giudici istruttori incaricati della lotta con la controrivoluzione, - di gran lunga la sezione più importante delle strutture della Vetceka (polizia politica) - la metà era composta da ebrei»,  dice lo storico Kritchevski («Gli ebrei nell’apparato della Vetceka-Ghepeù negli anni Venti», Gerusalemme, 1999).

Poveri ebrei, scrive un altro storico, G. A. Landau: «La condizioni materiali della vita dopo il colpo di Stato dell’ottobre (1917) crearono un clima tale che gli ebrei furono costretti ad unirsi ai bolscevichi (...) Per non morire di fame, sono stati costretti a prendere servizio presso il governo, senza sottilizzare troppo sul genere di lavoro che veniva loro richiesto... Il numero dei funzionari ebrei, sin dall’inizio della rivoluzione d’ottobre, fu molto elevato» (citato  da Solgenitsy, II, 120).

Da New York, i grandi finanzieri erano preoccupati della carestia e della guerra civile. Il 13 marzo 1917, Jacob Schiff aveva salutato le novità in Russia inviando a Milyukov, neo-ministro degli Esteri del governo bolscevico, un telegramma pubblicato dal New York Times: «Mi consenta, come nemico giurato del governo autocratico e tirannico che ha spietatamente perseguitato i nostri correligionari, di congratularmi, attraverso di lei, con il popolo russo per ciò che tanto brillantemente ha compiuto, e di augurare il successo ai vostri compagni di governo e a lei personalmente».

Ora Schiff temeva, nel 1919, che quel successo (per cui aveva pagato milioni di dollari di allora) fosse messo in pericolo dalla carestia e dalle armate bianche. Lui, Warburg, Lehman e gli altri banchieri di New York  sollevarono un’immensa campagna di stampa (1) per attrarre l’attenzione sugli ebrei affamati in Europa orientale, e organizzarono immani raccolte di fondi.

L’«American Jewish Joint Distribution Committee» che firma il volantino («joint», cioè «unito», in quanto il comitato raccoglieva ebrei ortodossi e non-ortodossi, «non-sectarian») fu lo strumento principale di questo secondo finanziamento ai bolscevichi. Era stato creato nel 1914 per sostenere gli ebrei d’europa e di Palestina a superare le difficoltà del periodo bellico. Il primo appello al soccorso lo lanciò l’ambasciatore statunitense in Turchia (Herny Morgenthau) nell’agosto 1914, per gli ebrei di Palestina: Schiff spedì 50 mila dollari. Nell’insieme, durante la grande guerra, il JDC raccolse 16 milioni di dollari, che andarono esclusivamente a soccorrere ebrei, attraverso comitati ebraici formati in loco.

Ma Schiff e Warburg fecero di meglio che metterci i soldi loro. Convinsero Herbert Hoover (il futuro presidente) a creare un ente pubblico, l’American Relief Administration (ARA) che con denaro pubblico, ma su indicazione del JDC, spedì convogli interi di cibo, medicinali e vestiario alle comunità ebraiche del’Europa orientale e della Russia, dove la condizione degli ebrei era a rischio anche perché «milizie armata giravano per il Paese» (i bianchi, i cosacchi anticomunisti).

Nel 1919, il primo soccorso era stato sostituito da un programma più ambizioso: ricostruire le comunità ebraiche nell’Est. Il Joint Distribution Committee finanziò la ricostruzione di ospedali per ebrei, finanziò l’invio di centinaia di medici e operatori sociali americani in Russia per istituire programmi sanitari e addestramento medico. A questo scopo, nacque in Russia l’OZE (Organizzazione Sanitaria russo-ebraica), completamente mantenuta dal JDC.

In questo modo, gli ebrei russi furono salvati effettivamente dalla «fame» ed esentati dalle restrizioni che essi stessi avevano provocato come classe operativa del bolscevismo, e che colpivano tutto il resto della popolazione russa.

Diamo ancora la parola a Solgenitsin (II, 137). Nel 1919, racconta e documenta, la nuova classe rivoluzionaria si piazza a Mosca, in palazzi aristocratici e grandi edifici celebri dello zarismo. Per esempio l’hotel Il Nazionale diventa «la Prima Casa dei Soviet», un condominio di lusso un cui inquilino, tale Ulrich, usava scherzare: «Perchè non apriamo una sinagoga al Nazionale, visto che ci vivono solo ebrei?». Altri inquilini del genere, la nuova elite sovietica, si insedia al Metropol (Seconda Casa dei soviet), all’ex seminario di via Bojedomski (Terza Casa dei Soviet), nel palazzo di Mokhovaia (Quarta Casa) e di vie Cheremietvski (Quinta casa dei Soviet).

Soffrivano la fame, questi austeri esponenti dell’avanguardia proletaria, spesso costretti a viaggiare a Kiev o a Sebastopoli per reprimere la controrivoluzione contadina, ed eseguire le requisizioni forzose?

«Questi locatari (delle Casse dei Soviet)  ricevono abbondanti pacchi da un centro di distribuzione speciale: caviale, formaggi, burro, storione affumicato non mancavano mai sulla loro tavola», racconta uno che ne godeva, tale David Azbel ebreo, ospite di due zie ricche e comuniste nella Prima Casa. E siamo ne 1920, commenta Solgenitsin: per tutti i russi era la fame nera, e il terrore rosso.

«Tutto era speciale, concepito specialmente per la nuova elite: giardini d’infanzia, scuole, club, biblioteche. Nel 1921-22, anno della micidiale carestia del Volga, nella scuola-modello, la mensa era mantenuta dalla fondazione ARA - la famosa American Relief Administration - e serviva colazioni americane: riso al latte, cioccolata calda, pane bianco e uova al tegame». Tanto che «i ragazzi delle case vicine odiavano quelli delle Case Sovietiche, e alla prima occasione li aggredivano» (Solgenitsin, II, 137).

Ecco come soffrivano quegli ebrei dell’Est per i quali a New York Schiff e Warburg chiedevano aiuto urgente, «altrimenti moriranno». Il che getta una luce inquietante, se vogliamo, su tante altre sofferenze e persecuzioni che gli ebrei dicono di aver subito. Ma questo dubbio va rigettato, in quanto potenzialmente negazionista.

Bisogna dunque ringraziare la comunità ebraica, perchè ci ha condonato almeno questo genocidio, precedente al primo; non ci obbliga a ricordarlo. Apparentemente, la comunità stessa l’ha dimenticato. Eppure, anche nel 1919-20, c’erano 6 milioni di ebrei in stato di destituzione per fame, freddo, nudità, tifo, malattie, bande armate controrivoluzionarie. Per fortuna l’ARA li ha salvati, con la cioccolata calda e le uova al tegame; altrimenti la loro volontà rivoluzionaria sarebbe venuta meno - si sa quanto affatichi fucilare decine di migliaia di contadini reazionari, congelarli nei pozzi e affogarli nei fiumi. Oltretutto, tanta attività all’aria aperta mette appetito. Una fame da lupi, è il caso di dire.

Sei milioni di ebrei alla fame, esattamente come le vittime di 20 anni dopo. Sei milioni, 6.000.000. Non uno di più e nemmeno (Dio ci scampi) uno di meno.

E’ un numero confitto nella memoria delle sofferenze ebraiche, stampato a fuoco, incancellable. Tant’è vero che già nel 1911 - 30 anni prima dell’Olocausto - lo confermò Max Nordau (Suedfeld) in pieno Congresso Sionista Mondiale. Erano tempi difficili per il sionismo; gli ebrei tedeschi, molto integrati, non ne volevano sapere. Adducevano la perfetta uguaglianza di cui godevano in Germania, la correttezza del governo tedesco, le ottime posizioni sociali ottenute. Nordau sbottò: «Questi governi così solleciti del diritto, così nobilmente e industriosamente attivi nel preparare la pace universale, stanno preparando il completo annichilimento di sei milioni di persone».

Sei milioni. Nordau già prevedeva l’esatto numero di sei milioni nel 1911.

Misteriosissima anima ebraica: dotata di qualità preternaturali, essa dispone persino di «Memoria Preventiva». Si ricorda delle persecuzioni 30 anni prima di subirle. Il motivo è che questo popolo vittima ha dovuto subire olocausti anche peggiori. Non ci credete? Vediamo.

Nel Talmud (Gittin 57b) si attesta che i Romani, nella sola città di Bethar, trucidarono 4 milioni di ebrei, diconsi 4.000.000, in una città che aveva in tutto, forse, meno di 50 mila abitanti. E non basta: sempre il Talmud (Gittin 58a) dichiara che sempre i romani, in una delle loro ferocissime persecuzioni al povero popolo, avvolsero nei rotoli della Torah e bruciarono vivi 16 milioni di ebrei. Diconsi 16.000.000! Questa è pura verità storica, signori, attestata dal testo più sacro e indubitabile che esista. Guai a contestarla, sareste negazionisti e vi espellerebbero da ogni Paese civile (l’Argentina ad esempio), nonchè dalla Chiesa cattolica apostolica romana.

E’ generoso da parte di tali vittime che non ci obblighino, noi lontani discendenti latini, a ricordare e a pentirci annualmente con visite guidate a Bethar-Birkenau.

Essi però ricordano - ricordano accanitamente, dolorosamente, con sempre nuovi particolari - e ne hanno tutto il diritto: le vittime sono loro. Prendiamo ad esempio Herman Rosenblatt, sopravvissuto di un lager annesso a Buchenwald, ora vivente in USA. Tutta l’America s’è commossa al suo libro di ricordi, in cui racconta come, bambino di 9 anni, fosse stato sfamato da una bambina - ebrea ma adottata da contadini cattolici - che gli tirava da oltre il reticolato mele e pane. E come poi, decenni dopo, ormai americano, Herman abbia incontrato per caso, amandola e poi sposandola, una donna che - oh sorpresa! - era proprio la bambina soccorritrice, il suo «Angelo al reticolato»; «Angel at the fence» è infatti il titolo del libro di vivida memoria. Un successo, due comparsate dalla promotirce libraria più famosa, Oprah Winfrey, un film ricavato da questa autentica preziosa memoria.

Ne abbiamo parlato qualche tempo fa. Aggiungendo che la commovente memoria di Herman Rosenblatt e di sua moglie Roma è stata comprovata falsa da numerosi esperti di storiografia olocaustica. Ma ora qui ci dobbiamo pentire, e ci dichiariamo pentiti di aver dubitato.

Rosenblatt è apparso in un’altra trasmissione di successo, «Good Morning America», ed ha fieramente dichiarato che non ha motivo di chiedere scusa a nessuno. La sua storia, ha detto, «non è una menzogna. Era la mia immaginazione, e nella mia mente, io l’ho creduta. Anche adesso ci credo» (2).

Ha ragione, Rosenblatt! Affrettiamoci a ripetere: ha ragione, ragione da vendere! Lui alla sua storia ci crede, dunque è vera. E’ solo così che è lecito ricostruire la storia dell’olocausto! Solo dei negazionisti incalliti, da espellere, incarcerare e scomunicare (se cattolici), possono trarre dalla sua vicenda motivi per dubitare, malignamente, di tante altre memorie terribili che hanno perfetto corso legale.

Per esempio, Elie Wiesel, Nobel per la pace e sopravvissuto di Auschwitz, ricorda con precisione che gli ebrei venivano gettati vivi in pozzi infocati. E’ un particolare che nemmeno le guide autorizzate ad Auschwitz, e istruite su cosa dire, confermano. Ebbene? Mica hanno sofferto, le guide turistiche polacche; Elie Wiesel ha sofferto, il popolo ebraico ha sofferto - sei milioni di morti - e dunque solo il popolo ebraico ha diritto di ricordare. Se le ricorda così, le persecuzioni, dunque sono avvenute così. Se ha ragione Rosenblatt, ha ragione anche Wiesel.

E mica lui solo: nello sterminio hitleriano, Elie Wiesel è scampato ad Auschwitz, e con lui suo padre e due sue sorelle. Altri testimoni delle veridica memoria dei fatti. Il numero di queste vittime, con la loro precisa memoria della più grande persecuzione mai subita dal popolo-vittima (a parte quelle subite dai Romani: sedici milioni di morti, ma ci sono condonate) aumenta regolarmente.

Nel 1956, la Germania colpevole aveva già versato compensazioni a 400 mila sopravvissuti ebrei dei lager, ed altre 852.812 domande erano ancora pendenti (la fonte è Jewish Aufbau, 13 luglio 1956). Nel giugno 1965, il numero dei sopravvisuti era triplicato. A quella data, la Germania federale aveva raccolto richieste di risarcimento, per le inenarrabili sofferenze inflitte dal 1939 al 1945,  di ben 3.375.020 vittime - vittime ma sopravvissute per ricordare, e farsi risarcire.

Non ho i dati ultimi, ma sono quasi sicuro che oggi il numero dei sopravvissuti e reclamanti si avvicina a 6 milioni.




1) Ecco ad esempio passi di un articolo pubblicato su «The American Hebrew» il 31 ottobre 1919, dal titolo «The Crucifixion of Jews must stop!», a firma di  Martin H. Glynn, ex governatore dello Stato di New York: «From across the sea six million men and woman call to us for help, and eight hundred thousand little children crie for bread. These children, these men and women are our fellow members of the human family with the same claim on life as we, the same suxceptibility to the winter’s cold, the same propensity to death before the fangs of hunger. Within them reside the illimitable possibilities for the advancement of the human race as naturally would reside in six million human beings. We may not be their keepers but we ought to be their helpers (…).
Six million men and woman are dying from lack of the neccessaries of life; eight hundred thousend children crie for bread. And this fate is upon them through no fault of their own, through no transgression of the laws of God or man, but through the awful tyranny of war and a begoted lust for Jewish blood. In this threathened holocaust of human life, forgotten are the niceties of philosophical distinction, forgotten are the differences of historical interpretation; and the determination of help the helpless, to shelter the homeless, to clothe the naked and to feed the hungry become a religion at whose altar men of every race can worship and women of every creed can kneel (…). Six million man and woman are dying - eight hundred thousend little children are crying for bread. And why? Because a war to lay Autocracy in the dust and gave democracy the sceptre of the Just. And in that war for democracy 200.00 Jewish lads from the United States fought beneath the Stars and Stripes in the 77th Division alone there were 14.000 of them, and in the Argonne Forest this division captured 54 German guns (…). In the world war the Jew has helped everybody but the Jew. ‘Over there’ he helped in camp, in council and in conflict. ‘Over here’ he helped the Red Cross, the Y.M.C.A., the Knights of Columbus, the Masons, the Salvation Army and everybody else. So now is the time for everybody to help the Jew, and God knows now is the time he needs it».
2) «Author of fake Holocaust story is not sorry, says in his mind he believed it «, Associated Press.


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