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Il dio che ha fallito: la (pseudo) demokràzia
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Se c’è una cosa che tutte le tecnocrazie ed oligarchie paventano, è un referendum. L’eurocrazia ne ha motivo, visto che ogni volta che si è osato chiedere un parere ai cittadini di una qulaunque nazione sulla loro amata costruzione europea, si sono sentiti subissare da un risonante no!

No a Maastricht, no alla pseudo-costituzione di Lisbona, no all’ampliamento... Se ne sono infischiate ed hanno proceduto a completare la loro costruzione a forza di fatti compiuti. L’euro, moneta comune senza uno Stato politico comune, ne è l’esempio più lampante.

Lo sapevano, gli eurocrati, che avrebbero così provocato una serie di devastanti crisi «asimmetriche» (così le chiamava Padoa Schioppa) ma loro auspicavano queste crisi, prevedendo che i politici degli Stati portati alla rovina sarebbero andati in ginocchio a implorarli di salvare la situazione, cedendo loro gli ultimi brandelli di sovranità, perchè governassero al loro posto: Europa federale, la chiamano i congiurati e la invocano i loro complici interni agli Stati.

Ed ecco che proprio il politicante Papandreu, screditato governante dello Stato più indebolito, più dipendente dal buon volere delle tecnocrazie e dei banchieri, più (credevano) asservito, getta sulla bilancia la spada di Brenno dell’appello al popolo. Sgomento, proteste, «certe cose non si fanno», ho sentito persino un economista dire a Radio 24, che la Grecia «non ha il diritto» di indire un referendum che ha effetti anche sugli Stati vicini, fra cui l’Italia; ma forse è questa interdipndenza forzata dagli incroci bancari a non avere diritto di esistere.

Banchieri ed economisti sono in ambasce, perchè è stata gettata nella bilancia una entità che non sono abituati a contare nelle loro partite doppie, un’entità che esula dall’economia: la sovranità popolare. Fatto singolare ma istruttivo, anche i politici eletti si stracciano le vesti: segno che ormai si vivono non come rappresentanti del popolo ma come funzionari, professionisti e parassiti della politica, in una parola: come oligarchi, sia pur di livello inferiore (valvassini) del sistema.

Basta ricordare come i politici nostrani, italici, abbiano tradito la volontà popolare espressa nei referendum del 1992-94; il popolo aveva detto sì al maggioritario, e si trovò il Mattarellum, un sistema elettorale pseudo-maggioritario e realmente proporzionale, un inghippo il cui unico scopo era garantire la sopravvivenza dei partitini e del loro personale professionale-politico. Resto convinto che la aggravata corruzione del popolo italiano (e dei suoi politici) sia la conseguenza di quel tradimento e di quella slealtà primaria.

Papandreu, indicendo il referendum, ha posto i cittadini greci non più davanti al fatto compiuto, ma davanti alle loro responsabilità.

Questa è appunto la democrazia non finta, non viscida, non fatta di feste democratiche e di notti bianche pop e rock: responsabilità. Il duro principio della democrazia – a contrario della mistica democratistica e dei demagoghi – non è che il popolo è infallibile, perchè non sbaglia mai. Al contrario. Dice semplicemente che il popolo è sovrano, ossia che spetta a lui decidere su questioni che sono essenzialmente discutibili, e che lo riguardano direttamente. La scelta politica non è mai fra una soluzione buona e una soluzione cattiva, perchè se no sarebbe facile scegliere, e non ci sarebbe dibattito. La scelta politica vera, duramente reale, è fra due soluzioni che – entrambe – hanno dei pro e dei contro, dei vantaggi e degli svantaggi. Discutibili, appunto; decida il popolo.

Nel caso del popolo greco, il referendum verterà su due domande:

1) volete restare nella UE, con l’euro come moneta, e pagare i debiti fino all’ultima goccia di sangue, oppure

2) uscire dall’euro e dall’Europa? In un caso e nell’altro, si tratta di accettare sacrifici estremi, sacrifici da tempo di guerra, anni di miseria. Dica il popolo quali sacrifici – che comunque farà – gli danno una prospettiva, una luce al fondo del tunnel.

Il popolo greco – come quello italiano – non è abituato alle responsabilità. Ha vissuto di pasti gratis economici, di posti statali, sopra i suoi mezzi, e di evasione fiscale (ci sono più Porsche in Grecia di quanti contribuenti dichiaranti oltre i 50 mila euro l’anno, la sola città di Larisssa, 250 mila abitanti nella misera Tessaglia, ha più Porsche pro-capite di quante ne abbia New York). Ora, questi regali della demokratia sono finiti. Ora comincia il duro mestiere della democrazia diretta, dell’assunzione di responsabilità.

Il dibattito pubblico che in Grecia occuperà la piazza e i media nei prossimi due mesi, consentirà al pubblico di chiarirsi le idee sulle scelte alternative a cui è chiamato, sui pro e i contro, sui vantaggi e sui danni collaterali dell’una e dell’altra; diverrà chiaro al pubblico che non si tratta di una scelta fra la festa perpetua e i posti statali in cui imbucarsi contro i sacrifici imposti dalla Germania, bensì fra due diverse stritture di cinghia.

Un dibattito vero, finalmente, non come i dibattiti finti che affollano le nostre TV e i talk-show. Non come essere chiamati a pronunciarsi sulle nozze fra omosessuali o sui diritti dei trans. Un dibattito per adulti. La democrazia diretta è infatti un sistema per adulti e che rende adulti, mentre la democrazia delegata – troppo delegata ai politici di professione che si concepiscono come un’oligarchia in carriera – è stata una culla di infantilismo politico, di irresponsabilità... e di spesa pubblica indecente.

Lo sostiene Han Herman Hoppe, un tedesco, sociologo-economista dell’Istituto Von Mises, che ha pubblicato (in America) un saggio dal titolo significativo: Democracy, the God that failed, e dal sottotitolo anche più istruttivo: Leconomia e la politica in monarchia, democrazia e nellordine naturale. (Democracy: The God That Failed)

Orribile a dirsi, Hoppe parte dall’asserzione politicamente scorrettissima che la proprietà, la famiglia e la gerarchia sono valori della civiltà, che sono stati svalutati, quando non criminalizzati, dalla democrazia rappresentativa derivata dalla demagogia giacobina. Vige oggi, anzi trionfa, la preferenza per limmediato delle maggioranze infantilizzate; mentre i padri di famiglia e i proprietari – i soli che sono disposti a sacrificare l’immediato per investire e risparmiare in vista del futuro, dei figli, del mantenimento della proprietà – sono marginalizzati e colpevolizzati. L’estrema caricatura del principio un uomo, un voto, ossia il voto dato ai diciottenni che vale quanto il voto di un padre di quattro figli è una iniquità morale, dato che quest’ultimo ha quattro volte più interesse alla buona, oculata, previdente conduzione della cosa pubblica. Se l’Italia fosse quella che proclama la costituzione, «una repubblica fondata sul lavoro», riserverebbe il diritto di voto a chi un lavoro ce l’ha, o almeno lo cerca.

Hopper si spinge fino a preferire (turatevi le orecchie) il sistema monarchico: il re essendo il primo proprietario e il primo dei pater familias, interessato alla durata della sua famiglia nei secoli, meglio esprime la parte adulta della società, quella che sacrifica l’immediato in vista del futuro. I monarchi non hanno alcun interesse a succhiare e a consumare il capitale pubblico. Non a caso, dal secolo undicesimo fino al 1800, le monarchie hanno prelevato mediamente l’8% della ricchezza nazionale.

Come si è arrivati ai prelievi fiscali del 50 e più per cento delle dilapidanti democrazie, presunti governi del popolo? Con la delega. Dovunque nel mondo d’oggi, nelle banche come nelle imprese, nelle tecnocrazie e nel personale politico, agiscono non i proprietari e i padri di famiglia, ma gestori, manager, amministratori (non a caso detti ) delegati.

Tutti questi gestori non-proprietari vogliono guadagnare il massimo nel più breve termine, proprio a causa della condizione relativamente instabile di gerente. Ciò è stato scandalosamente evidente nei banchieri e gestori di fondi che giocano col denaro altrui, e si pagano bonus colossali distruggendo l’economia con le loro tattiche di brevissimo termine; ma è vero anche per gli eurocrati, e ancor più per i politici eletti nel sistema di democrazia delegata.

In conclusione, i dirigenti attuali condividono la preferenza per limmediato delle parti basse, maggioritarie e infantilizzate, della società, ossia della maggioranza elettorale. Alle folle, o alle lobby, che pretendono voglio tutto e subito, i politici danno dei regali, per mantenersene il favore. Lo fanno tanto più spensieratamente, in quanto il denaro che gestiscono non è il loro. Assicurano il finanziamento di questi regali con imposte che colpiscono minoranze (tale è l’imposta sul reddito delle persone fisiche) con imposte apparentemente indolori (l’IVA), ma soprattutto con l’indebitamento pubblico tramite folle emissione di BOT, perchè così indebitano le generazioni future, che non possono ancora protestare.

Quando poi la crisi del debito diventa insostenibile, ricorrono alla patrimoniale, ossia all’esproprio dei piccoli proprietari e dei padri di famiglia che risparmiano in vista del futuro. Magari tagliano le spese sociali, ma non però le spese per le notti bianche pop, o per le loro autoblu.

Il caso patente del giorno è il ministro della Difesa La Russa che, con questi chiari di luna, ha ordinato 19 Maserati blindate per altrettanti generali (nel Paese badogliano, i generali sono tanti, e trattati coi guanti). O il ministro Tremonti e il ministro Bossi che, il giorno del crollo di tutto, erano alla Sagra della Zucca in un paesino del Nord.

Come rimediare? Il ritorno alla monarchia è un’idea che non è ancora matura. Il secondo metodo migliore, e praticabile da subito, è invece la democrazia diretta. Hopper cita il lavoro di due eminenti svizzeri, i professori Feld e Kirchgassner (2008), il quale dimostra che la democrazia diretta svizzera – il referendum fiscale e finanziario, il voto di iniziativa popolare, il cosiddetto referendum di veto – permette di ridurre il livello delle spese e delle imposte del 30%, e il livello del debito pubblico del 50%.

Come noto (ma forse non abbastanza) in Svizzera i cittadini votano frequentemente a tutti i livelli, municipale, cantonale, federale, per approvare o rifiutare spese pubbliche rilevanti; se le cifre sono grosse, tali referendum sono addirittura obbligatori (in Italia per contro è vietato il referendum in materia fiscale). Così, per esempio, i cittadini di Zurigo hanno bocciato per due volte il progetto del loro sindaco di dotare la città di una metropolitana: troppo caro, meglio restare al tramway. Ogni decisione di indebitamento dei rappresentanti del popolo viene sottoposta a referendum, il che invariabilmente ha il risultato di ridurre l’indebitamento stesso. In Svizzera, con raccolta di firme, i cittadini possono contestare una decisione del governo locale o federale chiamando il popolo ad esprimersi: l’iniziativa popolare ha fatto sì che per ben tre volte gli svizzeri abbiano rifiutato l’introduzione dell’IVA, che infine è stata adottata, ma con un tasso modestissimo.

Perchè ogni volta che sono chiamati a dare il loro parere i cittadini frenano le spese e l’indebitamento? Facile: perchè i soldi da spendere sono i loro, mentre i politici di professione, i tecnocrati, i funzionari, i sindacalisti e i banchieri giocano col denaro altrui. Il referendum, la democrazia diretta, stimola negli svizzeri il loro status di risparmiatori, di piccoli proprietari, di classe media: in una parola, di adulti.

Quando si chiede direttamente ai cittadini, la democrazia è portata al suo cuore pulsante: l’esercizio della responsabilità.

Perciò ben venga il referendum dei greci. Non è affatto certo che sceglieranno la soluzione più facile (ammesso che esista) nè la preferenza per limmediato. È singolare invece la grandine di critiche e rabbiose derisioni che gli altri politici greci, e i commentatori dei grandi giornali ellenici, hanno lanciato su Papandreu per questa scelta: è un trucco per guadagnare tempo, un trucco per evitare elezioni anticipate perchè sa che il suo partito verrebbe cancellato, è troppo poco serio per fare cose serie... È la rabbia di chi teme di essere svegliato e di doversi scoprire adulto, capace di scelte dolorose, e forse ancor più di trovarsi espropriato della delega fasulla della professione politica, o dello status di opinion leader.

È la democrazia diretta, bellezza. Non si scherza più, non si tratta di arraffare pasti gratis; fuori i pagliacci dall’arena, fuori i bambini viziati.

Ma forse sto sognando. Apprendo che in tedesco l’espressione che noi mal traduciamo Confederazione Elvetica, in tedesco si legge Schweizerische Eidgenossenschaft. Che letteralmente significa: Associazione di comproprietari (Genossenschaft) uniti da un giuramento (Eid) di difendersi in comune.

Naturalmente, oggi una democrazia di comproprietari giurati sarebbe bollata come oligarchia, dagli oligarchi delegati e da quelli che la delega se la sono presa in Europa, nelle banche, dovunque. Eppure qualcosa mi dice che la democrazia ateniese, quella vera e antica dell’agorà, era qualcosa di molto più simile alla Eidgenossenschaft elvetica che alla demokràtia astratta, formale e truffaldina di oggi.



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