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Le grandi bugie mediatiche nell’era globale: la vicenda AIDS
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Riceviamo:

«Egregio signor de Fina, spettabile redazione,

a seguito della lettera pubblicata su EFFEDIEFFE a firma ‘Ferri’, ho pensato di scrivere qualcosa sulla vicenda Aids. Ho inteso soprattutto il pezzo come risposta a quanto dice il Direttore a Ferri; io sono un’orgogliosa ‘Aids-dissident’, o anche ‘Aids-denialist’, e come l’autore della lettera ho avuto impressioni contrastanti sulla vostra posizione su questa vicenda. In generale, ho sempre avuto l’impressione, forse sbagliando, che questo argomento non sia ben accetto in contesti cattolici, pur tradizionalisti, perché mette a nudo quanto meno il silenzio della Chiesa in uno dei grandi crimini contro l’umanità dei nostri tempi. Non è nè con i farmaci nè con i preservativi nè con l’astinenza che si sconfigge l’Aids, è solo con la ragione. D’altra parte, i preservativi non possono nulla contro le reali infezioni che da sempre si diffondono e uccidono dove c’è promiscuità sessuale (che non credo sia un problema particolare in Africa). Nel mondo dell’informazione alternativa, e in generale di chi si impegna nella ricerca della verità al di là delle bugie dei media, la vera storia dell’Aids è uno dei temi più radicali. Come scrivo anche di seguito, immergersi nello studio di come sono andate le cose in questa vicenda lascia allibiti. Certo è richiesto addentrarsi in qualche dettaglio di natura scientifica di livello più elevato, ma la versione ufficiale HIV-Aids non ha nulla da invidiare, in quanto a pura demenzialità, alla versione ufficiale sull’11 settembre. Potrei parlare di Aids all’infinito (è stato l’incontro causale con questa vicenda che mi ha svegliato dal sonno di La Repubblica!), ma so che in genere il problema fondamentale è far capire qual’è l’oggetto fondamentale della controversia. Per questo cerco di scrivere in modo semplice e accessibile rimandando l’analisi dei dettagli a chi è interessato a saperne di più; però almeno spero che i due punti di vista in contrasto siano chiari. In quanto scrivo, mi rendo conto di essere molto categorica, e spero di non aver esagerato. Con l’occasione mi è gradito esprimervi la mia stima e gratitudine per il vostro lavoro.

Cordiali saluti,

Maria Missiroli
»
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Le grandi bugie mediatiche nell
era globale: la vicenda AIDS

«Nella bugia grande c’è sempre una certa forza di credibilità, perché le grandi masse di una nazione vengono sempre corrotte più facilmente negli strati profondi della loro natura emotiva piuttosto che consciamente o volontariamente; quindi, nella primitiva semplicità delle loro menti cadono vittima più prontamente della bugia grande che della bugia piccola, in quanto essi stessi dicono spesso piccole bugie in cose da poco, ma si vergognerebbero di ricorrere a falsità su larga scala. Non verrebbe loro mai in mente di fabbricare falsità colossali e non crederebbero che altri possano avere l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame». (da ‘Mein Kampf’)

«C’è un principio che è un ostacolo verso tutta la conoscenza, una prova contro tutti gli argomenti e che non può mancare di tenere un uomo in perpetua ignoranza - quel principio è giudicare con sufficienza prima di aver esaminato. Herbert Spencer, filosofo (1820-1903)»

«Quando una rete di bugie ben confezionata è stata venduta gradualmente alle masse per generazioni, la verità sembrerà del tutto insensata e chi la dice un lunatico farneticante. Anonimo»

In campo medico non mancano certo le vicende atroci e assurde, alcune ampiamente diffuse molto vicino a noi, come le cosiddette «cure» per il cancro. Per la grande maggioranza delle persone, l’AIDS (anzi Aids, come si dice oggi) è solo qualcosa di cui si legge sui giornali. Ma chi si imbatte nella controversia sull’Aids e ha la perseveranza di andare fino in fondo, sa che la storia dell’Aids è talmente folle che ha un potere particolare di lasciare completamente frastornati, di modificare per sempre il proprio modo di vedere il mondo, e di trasformare anche normalissimi professionisti e accademici in orgogliosi «dissidenti» pronti a sopportare le peggiori ingiurie dallo stesso mondo in cui prima vivevano ignari.

Sull’Aids esiste una teoria ufficiale, elaborata da scienziati «esperti», dedicati in modo più o meno esclusivo allo studio dell’Aids, e sostenuta da ricchissime agenzie governative tra cui l’Unaids. In breve, tale teoria  afferma che un retrovirus probabilmente originario dell’Africa e diffuso a partire dall’inizio degli anni ‘80 ha il potere di avviare la distruzione del sistema immunitario, per cui chi si infetta è destinato a morire di «infezioni opportunistiche».

Poi, c’è qualcuno che crede che un virus così non possa essere naturale e che sia stato creato in laboratorio artificialmente, come «arma biologica» a fini di sterminio di massa.

Chi segue canali di informazione alternativa probabilmente è al corrente che esiste un altro genere di opinioni riguardo all’Aids; sono le idee dei cosiddetti «Aids-dissident» o «Aids-denialist», convinti che l’Aids sia una colossale truffa; cioè, essi sostengono che il virus HIV, se esiste, è del tutto inoffensivo e che le malattie note come Aids sono esistite e conosciute da sempre, e non sono causate da alcun virus misterioso. Anche su EFFEDIEFFE sono citate talvolta le parole di alcuni «Aids-dissident».

Tra i dissidenti sull’Aids ci sono alcuni tra coloro che sull’Aids ne sanno di più su scala mondiale. Ci sono alcuni grandi esperti di microbiologia: c’è Peter Duesberg, il professore in microbiologia cellulare a Berkeley considerato, prima di parlare pubblicamente contro la versione ufficiale dell’Aids, il massimo esperto mondiale di retrovirus, c’è Kary Mullis, il chimico che ha inventato (e ha avuto il Nobel per questo) la PCR, la tecnica per rilevare il DNA che si usa anche nei test diagnostici dell’Aids, e tanti altri.

La controversia sull’Aids non è certo, come per altre scottanti controversie, una questione per cui basti una lettura veloce. Non ripeterò qui tutte le argomentazioni scientifiche, che, in modo più o meno accurato, si trovano in molti siti (www.duesberg.com è uno dei migliori); il punto cruciale è se da queste indicazioni partire per una ricerca personale oppure accantonarle come qualche opinione «ragionevole ma chissà se poi è vero». Non ci sono grosse difficoltà tecniche, e basterebbe anche un solo libro («Aids, il virus inventato», di Peter Duesberg), o anche meno, ma è necessario impegno personale per rendersi conto che quello che è scritto nel libro è tutto assolutamente vero.

La vicenda dell’Aids, nel senso di epidemia infettiva inventata, non è stato certo il primo caso del genere, e non è stato l’ultimo, ma mai si sono raggiunte dimensioni di questo tipo. Il fatto è che l’immaginario relativo all’Aids diffuso dai media faceva leva sui sensi di colpa sessuali, da cui pochi erano immuni. Allora il senso critico della gente fu completamente sopraffatto, e invece di esaurirsi in poco tempo la vicenda dell’Aids ha raggiunto vette stratosferiche di follia. Solo molto recentemente hanno cominciato ad aprirsi crepe anche tra i sostenitori della teoria ufficiale: «forse ci siamo spaventati troppo», «tutti quei soldi forse potevano essere spesi meglio», suscitando stizzite reazioni tra quelli che dall’Aids ricavano i più lauti degli stipendi: «non bisogna abbassare la guardia!».

Anche chi crede che l’HIV sia un virus creato in laboratorio, è necessariamente convinto che ci siano persone nel mondo la cui malattia o morte è causata da questo virus. In realtà, non c’è nessuna seria ragione per ritenere che sia così. Ognuno di coloro definiti malati o morti di Aids presenta cause di malattia e di morte macroscopiche e che nulla hanno a che fare con un virus misterioso. Ma i giornali riportano allarmate notizie di decine di milioni di infetti e molte vittime in Africa; per alcuni anni  si è parlato continuamente di epidemia di Aids nel mondo occidentale, si parla di avanzamenti scientifici nella sintesi di farmaci che allungano la vita ai malati di Aids e della necessità di fornire questi farmaci ai «malati» che non sono in grado di pagarli.

Per cominciare, vorrei far riflettere sul fatto che, contrariamente a quello che molti ritengono istintivamente, le autorità tendono in linea generale  ad «esagerare» le notizie sulla diffusione e i pericoli di un’epidemia di tipo infettivo, non a «sminuirle». Questo perché un’epidemia di tipo infettivo (cioè trasmissibile tra gli individui) fornisce allettanti occasioni per stabilire quarantene, esercitare potere coercitivo sugli spostamenti, sulla residenza e sulle abitudini delle persone, insomma ridurre la libertà degli individui, oltre che per stanziare enormi fondi pubblici ad uso delle autorità. Molti anni fa, la resistenza dell’establishment medico ad ammettere che malattie come la pellagra e lo scorbuto erano causate da deficit alimentari e non da agenti infettivi durò molti anni dopo che le indicazioni in questo senso erano diventate lampanti.

Ma come si  «inventa» un’epidemia? Racconto brevemente il caso dell’Aids; in casi analoghi (SARS e influenza aviaria i più recenti), la storia è stata più o meno dello stesso tipo. Per prima cosa, si cerca un gruppo specifico di persone le cui condizioni di vita sono talmente malsane che tra loro abbonda ogni genere di malattia. Nel caso dell’Aids, furono le comunità gay delle metropoli californiane. Tra queste, all’inizio degli anni ‘80 erano ampiamente diffusi stili di vita del tutto inimmaginabili fino a poco più di dieci anni prima, a cominciare da una promiscuità sessuale esagerata, che dava luogo a scambi di infezioni reali e conseguente abuso di antibiotici e farmaci in generale, oltre all’abuso di stupefacenti di ogni tipo e ai «poppies», notoriamente tossiche inalazioni di nitriti d’argento diffuse tra gli omosessuali. Nessuna meraviglia che le malattie e le morti fossero in percentuale più diffuse rispetto a quanto erano tra la popolazione generica, ed erano molto diffuse alcune malattie specifiche, come il sarcoma di Kaposi, un tumore alla gola.

Poi si monta un caso sulla stampa e in TV. Si cominciarono a diffondere notizie di morti in numero sospetto, tra persone in contatto tra loro, a causa di malattie a volte simili a volte completamente diverse. In realtà, non c’era nulla di cui stupirsi, ma gradualmente nel corso di mesi si andò avanti con l’insinuazione che stesse avvenendo qualcosa di strano in California. E quando si fu creata nel pubblico, a forza di pubblicare notizie in questo senso, una aspettativa diffusa («che sia un virus?»), all’improvviso il colpo di scena: fu organizzata una conferenza stampa nientemeno che del Segretario di Stato americano, che presentò uno scienziato dell’Istituto di Sanità governativo (tra gli scienziati dell’Istituto, il più pervicacemente arrivista, il più disonesto e il meno sveglio scientificamente) il quale annunciò che «la probabile causa delle morti in eccesso in California è stata identificata ed è un virus, in particolare un retrovirus».

La buona pratica scientifica vorrebbe che uno scienziato, prima di annunciare i suoi risultati, li sottoponga al vaglio di revisori competenti scelti tra i suoi colleghi di più enti scientifici. Nulla di tutto questo valse per l’annuncio in aprile del 1984. Quali ragioni effettive aveva Robert Gallo per affermare quello che affermò? I risultati dei suoi esperimenti furono in seguito pubblicati in un articolo che da allora è citato come fonte originaria del fatto che il virus HIV (che allora non si chiamava così) è la causa dell’Aids. Ma quello che dimostravano gli esperimenti, al massimo e con molta indulgenza, è che il virus era presente nel 50% degli individui dei campioni esaminati.

Se questo può sembrare in qualche modo significativo a chi non è esperto di microbiologia, vale la pena ricordare che la presenza di un virus non è prova che esso causi alcunché; nel nostro corpo noi ospitiamo centinaia (o migliaia) di retrovirus, che hanno caratteristiche genetiche che non differiscono in nulla di particolare dal virus HIV. I retrovirus sono «pezzetti di RNA», che possono inserirsi nelle cellule, ma non attaccano le cellule e non le uccidono dopo essersi riprodotti in sufficiente numero, come può avvenire invece con i virus standard. Proprio per la caratteristica di non uccidere le cellule, ma di riprodursi con esse, i retrovirus furono presi in considerazione quando si cercava di dimostrare che il cancro ha origine virale. Quella linea di ricerca superfinanziata e inconcludente era da poco stata chiusa. Gli esperti di retrovirus, tra cui il più convinto cacciatore di retrovirus come causa di cancro, Robert Gallo, rischiavano di non aver più accesso a laute fonti di finanziamento.

Ma anche se Gallo avesse avuto solo fumose motivazioni per derivare affermazioni tanto dense di conseguenze, non può essere che egli «ci abbia preso», pure fortunosamente? Non è stato in seguito verificato che le cose stavano effettivamente così? Questo è quanto è stato detto, proclamato, strombazzato infinite volte da allora, ma di prove scientifiche, o anche solo verosimiglianza, scavando un po’ si scopre che non c’è neanche l’ombra.

Dopo la conferenza stampa, la campagna sui giornali divenne sempre più martellante. Notizie sempre più agghiaccianti sulla letalità del virus si succedevano l’una sull’altra, insieme a sempre più inquietanti illazioni che il virus si potesse trasmettere anche per via eterosessuale. Sul fronte scientifico, ci fu la figuraccia di Gallo e la battaglia legale per i diritti sul cosiddetto test-HIV tra Gallo e Montagnier; il primo fu smascherato per aver usato gli stessi campioni che il francese gli aveva mandato per un confronto. La guerra su chi era stato il primo a scoprire il virus HIV aveva un ovvio effetto psicologico sulle persone: «Se litigano tanto per qualcosa, questo qualcosa deve essere molto concreto» (molto più tardi, pochi mesi fa, nel 2008, la questione è stata definitivamente risolta con l’assegnazione del premio Nobel a Montagnier, senza menzione al co-scopritore Robert Gallo, di nuovo con l’effetto psicologico di convincere il pubblico che si stia trattando di qualcosa di sicuramente concreto).

Si arrivò in breve ad un quadro di questo genere: Se il vostro sangue reagisce ad alcune proteine (ovvero siete positivi al test HIV), anche se ora state benissimo sicuramente vi ammalerete e morirete, forse anche solo tra quindici anni. A pensarci adesso a mente fredda, credo che neanche in un romanzo di fantascienza di quart’ordine si possa osare tanto. Ma lo dicevano sui giornali scienziati dai titoli altisonanti e dalla faccia seria, non lo diceva Vanna Marchi. E a pochi venne in mente la spiegazione più semplice: «Non è vero».

Sulla scia dell’allarmismo generale, a porte chiuse fu deciso da un conclave di scienziati che l’ipotesi che il virus HIV fosse la causa dell’Aids era corretta e che ogni altra ipotesi (erano numerosi gli scienziati a sostenere che le cause di malattia tra i gay californiani fossero legate al loro stile di vita) era da scartare. E in grande fretta fu approvato dalla FDA il più tossico farmaco per uso prolungato mai prescritto, l’AZT.

Per «inventare» un’epidemia, un altro aspetto che si ritrova in più casi è quello di definire la malattia in modo il più vago possibile, in genere come un compendio di malattie ben note e tanto meglio se comuni. La definizione dell’Aids è cambiata nel tempo, introducendo nuove malattie o accorpandone alcune; a tutt’oggi, è definita come una lista di 26 malattie note ed esistenti da sempre, che in molti casi non hanno nulla in comune tra loro, e a volte non sono neanche caratterizzate da immunodeficienza. Un medico non può fare una diagnosi di Aids visitando un paziente, lui vede solo la malattia col vecchio nome; ma se il risultato di un test, su cui lui non sa nulla ed è prodotto chissà dove, è positivo, allora quella malattia diventa AIDS. Le modalità per definire la «positività al test» e la diagnosi di «AIDS conclamato» sono cambiate nel tempo, e per molti anni sono state diverse da Paese a Paese - e si noti che stiamo parlando di una sorta di condanna a morte!

L’AZT è un farmaco chemioterapico, scoperto negli anni ‘60 e scartato per eccesso di tossicità. Ai primi «malati» di Aids fu dato in dosi massicce, e così le persone (compresi alcuni personaggi famosi come Freddy Mercury e Rudolph Nureyev) morivano esattamente come previsto dalla teoria HIV. E’ ben noto che la chemioterapia è immunosoppressiva. Una buona domanda sarebbe stata: «Cosa succederebbe ad una persona perfettamente sana se prendesse gli stessi farmaci in quelle dosi?».

Adesso, anche la teoria ufficiale riconosce che l’AZT nelle dosi dei primi anni ha ucciso un sacco di gente. Ma ormai il suo scopo è stato raggiunto: instillare nel pubblico la piena «consapevolezza» della letalità del virus HIV, e quanto sia importante «limitare la diffusione». Pochi si chiederebbero ora: ma allora, era così letale il virus, o lo erano i farmaci?

Quando le apocalittiche previsioni sulla diffusione in massa dell’epidemia (che avevano assicurato un fiume di denaro pubblico) non si verificarono, il «virus» fu scoperto fare molte vittime tra i tossicodipendenti (un’altra categoria di gente che non aveva certo bisogno di un virus misterioso per ammalarsi!) e tra gli emofiliaci (anch’essi notoriamente facilmente ammalati e spesso prematuramente morti a causa delle impurità del fattore VIII usato nelle trasfusioni).

Poi, quando sembrava difficile mantenere alto il livello di allarme e relativi finanziamenti, i «cacciatori di virus» si rivolsero all’Africa e al Terzo Mondo, e lì di malattie da poter chiamare «Aids» ce n’erano tante. In Africa, il «virus» sarebbe diffuso in modo equo tra i due sessi (al contrario del mondo occidentale), e si manifesterebbe proprio con le malattie da sempre endemiche dell’Africa, come la tubercolosi e la dissenteria. Computer a Ginevra generano statistiche manipolando i dati di un ridicolmente piccolo numero di campioni, producendo fantasiose stime di «milioni e milioni» e percentuali a due cifre. Intanto, le dosi di AZT nella terapia ufficiale dell’Aids sono state ridotte, mostrando «quanto siamo stati bravi a combattere il virus» e a «trasformarlo da malattia mortale in pochi anni» a «malattia cronica», che ucciderà sì il paziente, ma intanto può vivere molti anni consumando costose medicine (mentre non ci sono rimedi efficaci per il virus del raffreddore).

Ironicamente, il sarcoma di Kaposi, una delle principali malattie che diede origine a tutto quanto, adesso è chiamato col suo nome anche in pazienti HIV+, e si riconosce essere direttamente legato all’inalazioni di poppies. La linea ufficiale ancora oggi sostiene qualcosa di questo tipo: il virus HIV può infettare una persona, e questa sviluppa gli anticorpi; dopo un bel po’ di tempo, anche se non c’è traccia del virus nel corpo di quella persona, esso, tramite un meccanismo che «ancora non riusciamo a capire», può avviare la lenta distruzione delle cellule CD4 che porta all’immudeficienza. Se tali cellule per qualche motivo scendono sotto una certa soglia (del tutto fisiologica per persone negative all’HIV), il protocollo indica che al paziente vengano prescritti farmaci tossici per uso cronico. Come faccia un virus che non c’è a produrre effetti di alcun tipo è un paradosso che non scalfisce minimamente i finanziatissimi esperti di Aids. E quale sarebbero le «prove schiaccianti» che il virus HIV causa Aids? Ci si può addentrare in un mare di fumosi dettagli, ma alla fine l’unica «prova» sarebbe la correlazione, cioè il fatto che solo le persone HIV+ si ammalerebbero di Aids. Per forza, in pazienti negativi all’HIV le stesse malattie non si chiamano Aids! La logica è completamente circolare. Non c’è neanche bisogno di tirare in ballo uno dei basilari princìpi di logica, ovvero che la correlazione in se stessa non è dimostrazione di causalità. E’ già la supposta «correlazione» a essere dubbia, quando si considera che in molti casi le persone HIV+ sono convinte a prendere farmaci notoriamente immunodepressivi.

Ci sono miriadi di dettagli, alcuni talmente demenziali da risultare comici, altri agghiaccianti, che non posso raccontare tutti, ma sono disponibile a rispondere a qualsiasi domanda o dubbio, come lo sono, da sempre, tutti quelli che si impegnano per smascherare la bugia dell’Aids. Chi esamina questa vicenda in profondità, si trova alla fine di fronte a questo quadro: più di centomila articoli scientifici pubblicati sulle più prestigiose riviste, più di mille miliardi di dollari spesi in 25 anni di AIDS, tantissime vite rovinate da un test e migliaia e migliaia di persone avvelenate, tutto basato su pure parole, su pura aria fritta. Se ne può uscire completamente trasformati.

Il presidente sudafricano Thabo ‘Mbeki è stato costretto alle dimissioni qualche mese fa; la reale causa è stata la sua politica sull’Aids. Quando le multinazionali farmaceutiche e le grandi organizzazioni internazionali dissero che in Sudafrica si stava diffondendo una catastrofica epidemia di Aids, ‘Mbeki disse (fine anni ‘90): «Bene, se dite così allora organizziamo un simposio stabile di scienziati che si occupi di fornire le prove di tutto questo e di individuare le migliori contromisure», e invitò scienziati dissidenti in numero pari ad un terzo di tutti gli scienziati invitati. Gli scienziati, dissidenti e non, si stavano accordando sugli studi da condurre, quando la risposta dell’establishment arrivò perentoria, tramite la «dichiarazione di Durban» del 2000, un documento fatto firmare da 5.000 scienziati (molti dei quali non sapevano nulla di Aids) che diceva sostanzialmente «le prove che l’HIV causa l’Aids sono schiaccianti e la comunità scientifica rispettabile si rifiuta di metterle in discussione», uno dei più gravi atti di arroganza «scientifica» mai commessi. Ovviamente, le tanto proclamate «prove schiaccianti» non vengono mostrate in nessuna forma che soddisfi alcuno standard scientifico anche di minimo livello.

Se fosse anche solo parzialmente vero quello che veniva detto negli anni ‘80 sulla letalità del virus, e con le percentuali di «sieropositivi» in Sudafrica strombazzate dai media, si dovrebbe verificare un’ecatombe, che semplicemente non c’è.

A volte leggo fonti ufficiali, come Wikipedia, dove si possono trovare cose di questo tipo: «Consequences of Aids denialism [...] Two independent studies have concluded that the public health policies of Thabo Mbeki’s government, shaped in part by Duesberg’s writings and advice, were responsible for over 330,000 excess AIDS deaths and many preventable infections, including those of infants».

«Due studi indipendenti»... come suona convincente; e poi gli «infants», così tutto fa un’impressione ancora più terribile in chi legge. Ma chi ha la perseveranza di dire «bene, vediamo cosa dicono esattamente i due studi», così come «se le prove dell’ipotesi HIV-Aids sono così schiaccianti, fatemele vedere», si trova davanti ad affermazioni altisonanti quanto vaghe, costruite attorno ad ipotesi, prese come dogma, che sono loro stesse l’oggetto della questione. Come un truffatore non si interessa di chi ha capito il trucco e si rivolge ad altri potenziali polli, l’establishment dell’Aids non si sogna di dibattere i tanti scienziati che criticano le sue ipotesi, semplicemente li calunnia con aria autoritaria sperando che non siano tanti ad andare a vedere da vicino come stanno le cose.

La citazione di cui sopra è tratta dalla pagina di Wikipedia su Peter Duesberg. In essa, lo si accusa della morte di 330.000 (?!) persone. Peter Duesberg a poco più di trent’anni era già uno scienziato di fama, avviato ad una brillante carriera, considerato in lizza tra i possibili vincitori di premi Nobel. Buttò all’aria tutto questo quando l’establishment scientifico si inventò che un retrovirus poteva distruggere il sistema immunitario; ovviamente Duesberg, che era stato lo scopritore dei retrovirus, aveva il dovere di avvisare il pubblico. Non c’è stata strada che non abbia provato, non c’è punto della teoria ufficiale che non abbia smontato usando logica elementare e i più semplici principi della microbiologia.

E’ andato incontro a ostracismo, censura, ridicolizzazione, privazione dei fondi di ricerca, fino ad essere in alcuni casi bollato come criminale. Duesberg ha speso una buona parte della sua vita e delle sue energie per salvare le persone (e ogni giorno c’è qualcuno che va da lui a ringraziarlo di cuore per avergli aperto gli occhi e salvato la vita), e i veri criminali sono i ricchissimi «esperti» di Aids che spremono soldi per diffondere terrore e l’uso senza ragione di farmaci velenosi. Possono essere veramente grandi le bugie.

Maria Missiroli




Alcuni libri di divulgazione sull’argomento (ma ce ne sono tantissimi altri):

Peter Duesberg: «Aids, il virus inventato», 1996, pubblicato in italiano da Baldini&Castoldi;
Kary Mullis, capitoli «Il caso non è chiuso» e successivo di «Ballando nudi nel campo della mente», 1994, pubblicato in italiano da Baldini&Castoldi;
Harvey Bialy, «Oncogenes, Aneuploidy, and Aids: A Scientific Life and Times of Peter
H. Duesberg», 2004;
Etienne De Harven, Jean-Claude Roussez, «Ten Lies about Aids», 2008;
Rebecca Culshaw, «Science Sold Out: Does HIV Really Cause Aids?», 2007;
Henry H. Bauer, «The Origin, Persistence and Failings of HIV/Aids Theory», 2007;
Celia Farber, «Serious Adverse Events: An Uncensored History of Aids», 2006.

Qualche sito:

www.duesberg.com
www.rethinkingaids.com/
www.virusmyth.com
http://aras.ab.ca/index.php
www.reviewingaids.com/awiki/index.php/Main_Page


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