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Discordia presso il nemico?
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Il Generale Martin Dempsey, capo degli Stati Maggiori riuniti USA «Lacchè degli iraniani!»: così lo ha insultato, strepitando, il premier israeliano Benjamin Netanyahu. (Netanyahu calls top US general a servant of Iran)

La colpa del Generale Dempsey è di avere definito un attacco israeliano contro l’Iran nel prossimo futuro, in un’intervista alla CNN, «destabilizzante» e «non prudente». Netanyahu è montato su tutte le furie. Da queste dichiarazioni pubbliche, ha detto, «Gli iraniani vedono che c’è disaccordo tra gli Stati Uniti ed Israele, e che gli americani hanno obiezioni ad un’azione militare. Questo riduce la pressione su di loro».

Tom Donilon
  Tom Donilon
Non è il primo scoppio di rabbia per quella che l’Eletto interpreta come malavoglia del servo americano. Secondo Debka Files, Netanyahu ha insultato e trattato come uno zerbino anche l’inviato che Obama ha spedito a Gerusalemme il 18 febbraio per rabbonire i paranoici colà al comando, e cercare di convincerli a non lanciarsi in una guerra almeno nell’anno delle elezioni presidenziali in America (1). Un inviato d’alto bordo, Tom Donilon, direttore del National Security Council nonchè consigliere di Obama per la Sicurezza nazionale. Missione fallita: «Tom Donilon s’è trovato davanti un astioso (acrimonious) Netanyahu in due ore di tempestosa conversazione, domenica 19 febbraio». Donilon non è riuscito (dice ancora Debka) «a dissuadere i leader israeliani dal recedere da un attacco militare contro i siti nucleari iraniani».

Un litigio destinato a restare segreto, e di cui i media americani (ed europei) hanno taciuto in coro, per non rovinare ulteriormente la posizione di Obama presso la lobby ebraica americana, essenziale per le sue speranze di essere rieletto. Ma Debka infierisce:

«Secondo le nostre fonti, Netanyahu ha accusato lAmministrazione Obama di attrarre lIran a riprendere i negoziati sul nucleare, con unassicurazione che a Teheran sarebbe permesso di arricchire luranio fino al 5% in qualunque quantità (anche durante le trattative, ndr.) ... Il Primo Ministro ha sollevato limputazione che questo permesso contravveniva alle garanzie date ad Israele dallAmministrazione USA sulla questione nucleare, rendendo libera Teheran di aumentare il proprio livello di arricchimento, attualmente al 20%, fino al 90%, arricchimento da armamento». (Obama to try and talk Netanyahu out of Iran strike after his advisers failed)

Passo rivelatore per molti versi. Anzitutto per il linguaggio: la Casa Bianca nella posizione di «imputata», e il suo delitto è di «invogliare Teheran a negoziare» anzichè chiudergli le porte in faccia e bombardare senza tante storie. Apparentemente, dietro la faccia feroce ufficiale, ci sono segreti accordi in corso. Tanto che Obama, dice Debka, è «altamente ottimista» sul fatto di poter convincere gli iraniani a scalare il loro programma nucleare in cambio di un programmato abbassamento delle sanzioni, a stadi. Esistono «canali occulti» attraverso cui, tramite «emissari della Turchia», la Casa Bianca e l’ayatollah Ali Khamenei si stanno intendendo, e ciò può «preparare la strada a negoziati formali».

Moshe Ayalon
  Moshe Ayalon
Negoziati anzichè bombardamenti? Orrore, orrore! Da non credere, il Golem disubbisce al suo rabbino! Così si spiega il crescendo di dispetto e insofferenza del governo ebraico. Qualche settimana fa il vice-ministro della Difesa Moshe Ayalon ha definito «esitante» la Casa Bianca per la sua cattiva volontà di aggredire l’Iran; pochi giorni dopo il ministro degli Esteri, il noto razzista Avigdor Lieberman, ha incitato gli USA a «passare dalle parole ai fatti»: evidentemente erano state fatte delle promesse, ma appare che anche a Teheran gli americani facciano promesse. C’è da perdere le staffe, Netanyahu ha tutte le ragioni.

Il fatto è che ciò che Debka chiama il «roseo ottimismo» di Obama è condiviso da un personaggio insospettabile: «Il ben informato e già consigliere di primo piano di Obama, Dennis Ross», il quale, in un articolo sul New York Times del 16 febbraio, s’è spinto a scrivere: «Iran is ready to talk», l’Iran è pronto a parlare.

Dennis Ross
  Dennis Ross
Ora, Dennis Ross non è solo un ebreo molto influente, che appunto per questo Bill Clinton mandò come suo inviato speciale diplomatico a negoziare sul conflitto israelo-palestinese nel ‘95 (e i palestinesi chiesero, miti: non potrebbe la Casa Bianca, una volta tanto, far trattare la questione a un non-giudeo?). Dennis Ross è molto, molto più che uno dei tanti sayanim dilettanti. È il co-fondatore dell’AIPAC, American Israeli Public Affairs Committee, ossia del braccio armato della lobby, di cui ogni politico americano ha un giusto terrore, perchè può stroncare carriere e decretare successi inauditi nel panorama della «democrazia» USA. Nessun senatore, deputato o presidente vuol farsi cogliere a disubbidire all’AIPAC. Ma se ora il fondatore dell’AIPAC disobbedisce all’AIPAC, scostandosi dalle sue posizioni neocon-messianiche e guerrafondaie, che cosa sta succedendo?

E mica succede solo in USA. Persino in Israele, cova una fronda anti-guerra nutrita addirittura nei piani alti del Mossad, dove altissimi capi ora a riposo (Meir Dagan, Hefraim Halevy) criticano sempre più apertamente la paranoia di Netanyahu, tanto che sono entrati nel campo dei negazionisti: nel senso che negano che l’Iran, atomico o no, sia un pericolo esistenziale per Israele. A questi s’è aggiunto il generale Dan Haluf, l’ex-capo di Stato Maggiore delle forze giudaiche, che ha recentemente dichiarato: il «pericolo esistenziale per Israele» non è l’Iran, ma il fanatismo religioso ebraico e lo strapotere dei rabbini sulla truppa. ('Iran does not pose an existential threat')

Questi non sono isolati marginali. Attraverso tali personaggi, sono notevoli nuclei di potere israeliano che si esprimono contro l’avventura bellicista; gruppi di potere che, evidentemente, hanno appoggi e maniglie in America, sia al Pentagono, sia all’AIPAC.

Il contro-potere dev’essere forte e ramificato, se in articolo di Haaretz apparso il 21 febbraio, un commentatore di nome Sefi Rachlevsky invita i piloti degli F-15 e F-16 israeliani a disobbedire, se ricevono l’ordine di bombardare l’Iran perché, da parte «di questo governo», sarebbe «un ordine patentemente illegale». E l’inaudito invito di Rachlevsky non viene da un pacifista, tutt’altro. Il suo argomento è: se attacchiamo l’Iran ci giochiamo l’alleanza strategica con gli Stati Uniti, che conta molto di più.

«Nessuna mano celeste scenderà dal cielo a prevenire questa follia, al modo in cui langelo impedì ad Abramo di sacrificare Isacco. Deve essere dunque una mano israeliana a rifiutare lordine e mettere fine a questa follia». (Netanyahu is demolishing the strategic alliance with U.S.)

Come giustamente nota il sito Dedefensa, la cosa che deve aver davvero fatto perdere a Netanyahu il lume degli occhi, fino ad insultare il generale Dempsey, il superdecorato militare più potente della più potente forza armata della storia, è il fatto che Dempsey ha definito il regime dell’Iran un «attore razionale», non una nazione-suicida pronta ad assicurare il proprio incenerimento gettando (se e quando l’avrà) la sua unica bomba atomica su Israele: «Siamo dellopinione che il regime iraniano sia un attore razionale, ha detto, e per questa ragione, ritengo che la strada su cui ci teniamo (diplomazia e sanzioni, ndr) sia fino ad oggi la più prudente». Notate quel «siamo» al plurale: Dempsey parla per il Pentagono intero.

Qualificare Teheran come razionale, significa smentire direttamente il nucleo centrale della propaganda di Netanyahu – che crede alla sua propaganda – secondo cui il regime iraniano è dominato da folli integralisti apocalittici, malvagiamente pronti ad auto-distruggersi pur di cancellare Israele dalle carte geografiche, nelle cui mani irresponsabili una bomba atomica sarebbe un pericolo non solo per Sion, ma per il mondo intero; e quindi tale da giustificare i bombardamenti preventivi.

È un caso classico di «proiezione psicanalitica» – l’operazione in cui il malato mentale espelle da sè e localizza negli altri, i propri desideri malvagi e i sentimenti di odio che sono solo suoi, ma che egli rifiuta in sè. Sigmund Freud definì e riconobbe questo sintomo frequentissimo nei suoi pazienti (tutti ebrei), e lo ritenne «un meccanismo di difesa arcaico» tipico «della paranoia e delle fobie». Ora, è il paranoico in conclamato delirio, che dispone di 300 testate nucleari, e si sente dire che l’Iran è «razionale»: ci sarà da guardarsi da qualche suo gesto inconsulto, e da un attentato false flag che trascini gli USA in una guerra che, chiaramente, al Pentagono non vogliono.

In ogni caso, tutta la faccenda – dice Dedefensa – ricorda molto «la Discordia fra il Nemico». È una citazione di Sun Tsu, l’antico stratega cinese che nel suo Arte della Guerra insegnava che le vittorie migliori sono quelle che si ottengono senza bisogno di combattere. Fra i metodi raccomandati da Sun Tzu, c’era appunto: «Quando il nemico è unito, dividilo. Semina disaccordi nello Stato avversario, semina la discordia fra i capi».

Sembra che facciano tutto da soli. A meno che non sia già una silenziosa vittoria di Teheran...




1) A giudicare dai discorsi dei candidati repubblicani alla presidenza, il popolo americano – aizzato dalla propaganda mediatica – sarebbe favorevole ad una guerra contro l’Iran. Il fatto è che la guerra farebbe aumentare immediatamente il prezzo del greggio, e gli americani sono ostili al rincaro della benzina alla pompa. I rincari di carburante sono rovinosi per il presidente in carica.



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